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Autore: sihu    08/12/2010    4 recensioni
il sesto anno al tempo dei malandrini inizia in modo davvero movimentato. Lily e Sirius sono talmennte arrabbiati con James tanto da odiarlo e persino Remus ha pensato di strozzare l'amico con gli occhiali, l'unico problema è che James non si trova. che ne sarà stato di James Potter e che ne sarà dei malandrini? Dal terzo capitolo: Non voglio tediarvi con i particolari anche perché non sarebbe giusto nei confronti della famiglia. La notizia fino ad ora è rimasta riservata per non fare preoccupare nessuno e per motivi di privacy, tuttavia vorrei che tutti osservassimo qualche istante di silenzio e rivolgessimo una silenziosa preghiera per James Potter.” disse il vecchio preside abbassando la testa..
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, I Malandrini, Lily Evans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Broken Memories'
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CAPITOLO 16
RIMETTERE INSIEME I PEZZI


James vagava da ore nel giardino del castello come un’anima in pena, solo. La sua improvvisa sparizione non era certo passata inosservata dopo la fine della partita, ma a lui non importava più di tanto; l’intera casa di Grifondoro lo cercava per congratularsi con lui e brindare insieme per la partita, ma questo non costituiva certo un ottimo motivo per farsi vedere in giro.
James non voleva vedere nessuno ma allo stesso tempo desiderava che lo cercassero dimostrando così di tenere a lui. Voleva delle spiegazioni, certo, ma allo stesso tempo sapeva che non avrebbe permesso a nessuno di parlare tanto era furioso. Non riusciva a smettere di pensare alle menzogne, a tutte quelle cose non dette e a tutto il male che gli avevano fatto in quegli ultimi mesi. Quello di cui aveva veramente bisogno era sfogarsi, poter urlare al mondo la sua rabbia per essere stato tradito da persone nelle quali aveva sempre riposto una fiducia cieca, persino quando non ricordava nulla.
Il Cercatore sospirò, si guardò appena intorno e continuò a camminare senza prendere una direzione precisa. Dal punto in cui si trovava si intravedeva appena lo stadio e le urla, di rabbia per Serpeverde e di gioia per Grifondoro, arrivavano deboli come sussurri lontani.
“Ehi, ragazzo..” chiamò un voce alla spalle di James, facendolo sobbalzare.
Subito il ragazzo si voltò, pronto ad aggredire il nuovo venuto. Aveva già la bocca aperta ed i pugni stretti ma si bloccò quando vide che si trattava di Silente. Inspiegabilmente il vecchio preside non era nel suo ufficio o fuori dallo stadio ad osservare divertito i festeggiamenti, ma era lì in compagnia di un visitatore girato di spalle.
“Preside?” mormorò James, perplesso, cercando di capire chi fosse l‘ospite misterioso e soprattutto cosa avesse spinto i due uomini ad andarlo a cercare fin quasi nel cuore della Foresta Proibita. Il ragazzo guardò meglio l’uomo voltato di spalle, curioso. C‘era qualcosa in lui che lo faceva sembrare familiare, ma James non avrebbe saputo dire con precisione di cosa si trattava.
“Ci sarebbe una visita per te, James.” disse il vecchio insegnante, sorridendo ed indicando l‘uomo che sembrava tenersi volontariamente a distanza.
“Non credo di volere vedere nessuno, almeno per adesso.” rispose James, cupo, distogliendo lo sguardo dal visitatore.
Il Preside sospirò, paziente. Probabilmente sapeva tutto. Lo aveva sempre saputo eppure era rimasto a guardare anche lui, forse scommettendo con gli altri insegnanti circa quando sarebbe caduto. Subito James si pentì di quel pensiero tanto cattivo. Probabilmente Silente aveva sempre saputo tutto, ma si era tenuto volontariamente in disparte, pronto ad intervenire quando lui ne avrebbe avuto più bisogno.
“Nemmeno un vecchio zio che si sente tanto idiota?” chiese una seconda voce appartenente all‘uomo girato di spalle, che James finalmente riuscì a riconoscere. Si trattava di Robert, il padre di Alice, il fratello di sua madre, quello zio che si era dileguato da qualche mese a quella parte e che aveva deciso di ricomparire solamente nel momento peggiore. La sua presenta irritò ancora di più James, facendolo diventare paonazzo per la rabbia; tra tutte le persone che desiderava non vedere, lui era decisamente ai primi posti. James sospirò, cercando di mantenere la calma, finendo con il fallire miseramente.
“Fammi capire, non ti fai vedere per mesi, poi compari sorridendo ed io dovrei correre da te dimenticando quanto sei stato stronzo?” urlò James, dimenticandosi di essere nel bel mezzo del parco della scuola a pochi passi dal Preside, che tuttavia sembrava divertito da quel siparietto. Lo zio sospirò, per nulla spaventato dalla sfuriata di James. Conosceva bene il ragazzo e si era aspettato una reazione del genere. Aveva pienamente ragione, il suo comportamento era stato pessimo.
Silente, fermo sulla sua posizione, guardava i due divertito chiedendosi quanto sarebbe durata quella sfuriata. James aveva bisogno di sfogarsi, per questo aveva chiamato Robert subito dopo la partita. Parlare con qualcuno che James amasse quasi come un padre lo avrebbe fatto calmare e tornare la persona solare che era prima di quel drammatico incidente. Quando aveva visto comparire il preside nel salotto di casa sua, Robert si era spaventato, intuendo che doveva essere successo qualcosa a James. Il vecchio preside non si era fatto pregare ed aveva subito raccontato di come il ragazzo doveva aver ricordato tutto durante la partita, per poi sparire subito dopo. Silente non aveva aggiunto altro, ma Robert aveva capito cosa doveva fare; parlare con James e farlo ragionare era una cosa che poteva fare solamente lui. Ora che lo aveva di fronte, deluso, arrabbiato e solo, l’uomo ne era sempre più convinto.
“Ho sbagliato, lo so. Soffrivo come un cane. Tuo padre mi mancava troppo e tu me lo ricordavi in tutto. Guardarti in faccia e starti vicino faceva troppo male.” cercò di spiegare Robert, fissando con insistenza il pavimento. Avrebbe voluto dire molte altre cose, ma le parole gli erano morte in gola. Non era riuscito a dire a James quanto fosse dannatamente simile a suo padre e di quanto Charlus ne fosse sempre stato fiero.
James guardò a lungo lo zio, sorprendendosi nel vedere nei suoi occhi una sofferenza infinita. Forse la stessa che stava provando lui in quel momento, tradito da Sirius e dalle persone a cui voleva in assoluto più bene. Si ritrovò a pensare che suo padre era sempre stato il miglior amico di suo zio anche prima che conoscesse e sposasse sua madre e che anche per lui non dovevano essere stati uno scherzo quei mesi.
“Avevo bisogno di te. Anzi, forse anche ora ho bisogno di te..” esclamò James, lasciandosi cadere a terra con la schiena appoggiata ad una sequoia secolare. Lentamente la rabbia nei confronti dello zio iniziò lentamente a diminuire per lasciare il posto ad un tristezza indefinibile ed infinita. Robert sembrò intuire questo cambiamento e si avvicinò al nipote, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo. A quel punto Silente capì che era arrivato il momento di andarsene, lasciando soli e due. In meno di un istante sparì, silenzioso e discreto come solo lui riusciva ad essere.
“Mi sono comportato da egoista ma ora sono qui, promesso. Sai che sei stato bravissimo in campo? Sono davvero orgoglioso di te.” sussurrò Robert, con la voce rotta e tremante per vie dell’emozione. James apprezzò molto che lo zio non avesse detto una frase strappalacrime tipo, tuo padre sarebbe stato fiero di te.
Il giovane cercatore chiuse gli occhi, di colpo pieni di lacrime, e cercò di schiarirsi la voce per mascherare quel groppo in gola che lo aveva colto all’improvviso.
“Facciamo due passi?” chiese James, aggrappandosi al braccio dello zio. Improvvisamente la presenza dello zio non era più fastidiosa ma rassicurante. Averlo lì lo faceva sentire infinitamente meno solo. L’uomo lo fissò, cercando sul suo volto del ragazzo tutti i segni di quella lunga giornata, poi si schiarì a sua volta la voce.
“I tuoi amici vorranno festeggiare con te la la vittoria..” iniziò Robert, cupo, senza muoversi di un passo. Silente gli aveva raccontato a grandi linee quello che era successo dopo la partita e voleva cercare di aiutare James a chiarirsi con gli amici. Mai come in quel momento, quando aveva appena ricordato e realizzato la morte del padre una seconda volta, aveva bisogno di loro anche se non riusciva ad ammetterlo nemmeno con se stesso.
“Si, ma io non li voglio vedere.” rispose James secco, voltando le spalle e lanciando lontano un sasso che si perse nel bel mezzo della foresta proibita.  
“Mi racconti cosa è successo, campione?” chiese Robert passando un braccio intorno alle spalle del nipote. James alzò le spalle. Nonostante cercasse di non darlo a vedere era chiaro che era sconvolto e ferito. Si sentiva abbandonato, tradito. Aveva perdonato suo zio, ma non sarebbe stato altrettanto tenero con gli altri. Non con Alice e Sirius almeno, i due che erano riusciti a fargli più male.
“Alla fine mi sono ricordato ogni cosa, tutto qui.” spiegò James, cercando di impedire a quelle stupide lacrime di riprendere a bagnargli il viso. Fu un tentativo inutile e ben presto James si ritrovò a singhiozzare.
“Fa male, vero?” chiese Robert, serio. James annuì, lentamente. Non riusciva ad aggiungere altro, non ne aveva la forza.
“Ti sembrerò una femminuccia ma non riesco proprio a smettere di piangere.” ammise alla fine James, asciugandosi gli occhi con la manica della veste.
Lo zio lo tirò a sé, e lo strinse forte. James si sorprese di quel gesto ma si abbandonò quasi subito a quella stretta così familiare e paterna.
“Tranquillo, sfogati. Fa bene, sai?” sussurrò Robert all’orecchio del nipote, trascinandolo verso il castello. James non capiva dove lo zio lo stesse portando, ma si lasciò guidare.
Improvvisamente aveva sentito il bisogno di riprendere a fidarsi di qualcuno.
Una volta arrivati di fronte al portone principale lo zio lo spinse, entrando nell’atrio dove Silente stava parlando a bassa voce con alcuni professori. Tutti sembrarono stupiti e sollevati di vedere che James era tornato e si zittirono non appena i due nuovi arrivati si avvicinarono. Tra loro c’erano anche la McGranitt e Lumacorno, ma nessuno dei due sembrava avere troppa voglia di parlare della partita appena terminata.
“Albus, porto il ragazzo fuori dal castello.” avvisò Robert, ricevendo subito un silenzioso gesto di assenso da parte dell’anziano preside.
“Albus, non è pericoloso?” chiese subito la McGranitt, preoccupata. James si sorprese nel vedere la donna, normalmente glaciale e altera, così preoccupata per lui. In lontananza si sentivano chiaramente i canti festosi della sua casa, ma alla donna sembrava non importare. Per la prima volta da quando ne era stata nominata direttrice, Minerva McGranitt ignorava una vittoria della sua casa, troppo preoccupata per uno dei suoi ragazzi.
“Tranquilla Minerva, è con me.” assicurò Robert, tranquillo. Silente diede nuovamente il suo silenzioso assenso ed i due sparirono dalla vista del gruppo di professori.
“Dove andiamo?” chiese James, curioso, seguendo lo zio senza perderlo di vista.
Senza che il ragazzo si fosse riuscito a spiegare come fosse stato possibile, era tornato tutto come prima del suo incidente e della morte di suo padre. In suo Zio Bob aveva ritrovato un fratello, un amico, un confidente ed un compagno di avventure. Un punto di riferimento insomma.
“Tu fidati.” rispose Robert, vago, sorridendo tristemente tra sè. Anche se non lo diceva apertamente era evidente che il suo pensiero era volato a Charlus. Il ragazzo annuì, serio.
“Mi basta andare lontano da qui.” mormorò James, imbronciato. Era bastato ripensare alla partita perché gli fossero tornate alla mente tutte le bugie che gli avevano raccontato e perché la rabbia tornasse a farsi sentire.  
Robert condusse il nipote fino a fuori dal cancello della scuola senza aggiungere nulla, per poi materializzarsi alla porte di un bosco fitto che James non riusciva a riconoscere.
I due uomini camminarono a lungo, in silenzio prima che uno dei due si decidesse a parlare.
Solo quando vide una roccia ovale Robert si fermò e James capì dove erano finiti. Suo padre gli aveva spesso raccontato di quel posto. Diceva che era lì che lui e Bob avevano vissuto insieme i momenti più belli e più brutti della loro vita. Il ragazzo vide l’uomo accomodarsi alla meglio su un sasso a poca distanza da una pozza d’acqua e subito lo imitò. James intuì subito che stare lì per lo zio, senza il suo storico compagno di malefatte doveva essere terribile. Proprio come era per lui pensare ad un futuro senza Sirius ma con la differenza che Sirius era ancora vivo. Forse un po’ stronzo ed insensibile, ma tutto sommato vivo.
“Tu non li odi.” disse alla fine Robert, cercando di scacciare dalla mente i ricordi del suo migliore amico. Qualsiasi cosa in quel luogo gli parlava di Charlus, in particolare il viso insieme triste ed imbronciato di James. Essere lì era doloroso, ma lui doveva farlo per il bene del suo adorato nipote. Lo doveva al suo migliore amico. Non poteva più fare nulla per il suo migliore amico, ma almeno poteva occuparsi di suo figlio.
“Infatti, li detesto.” Ribatté James, accigliato. Robert sospirò. Sapeva che il nipote aveva la testa dura, proprio come suo padre e sua sorella Dorea. Il pensiero di quella somiglianza riuscì a strappargli un sorriso che stupì James, seppure per qualche istante solo.
“No, ora sei solo arrabbiato. È normale. Loro hanno avuto tempo di superare la cosa, tu No.” spiegò con pazienza lo zio. James ci rifletté per qualche istante, prima di ribattere nuovamente. Le parole dello zio avevano un senso, eppure non voleva neppure provare a trovare loro una giustificazione. Era infantile, ma non voleva giustificarli. La paura che potessero mentirgli ancora era troppo forte. Per quanto stupido suonasse, voleva avere ragione senza condizioni.
“Lily mi odia, Sirius mi disprezza e Alice mi ha mentito. La mia vita fa schifo.” dichiarò, sconfitto. Non gli importava se lo zio aveva ragione, lui guardava solo ai fatti. I suoi amici avevano dichiarato di volergli bene, poi lo avevano tradito.
“Andiamo James, non essere così teatrale..” esclamò Robert, alzando gli occhi al cielo.
“Ah, dimenticavo la parte più bella; mio padre è morto.” aggiunse James, lanciando lontano un sasso e colpendo di striscio un innocuo gruppo di castori che corsero via offesi.
“Lo so, ragazzo. Non è difficile solo per te, ricordi?” mormorò Robert, distogliendo lo sguardo per nascondere le lacrime.
“Scusa..” biascicò James, imbarazzato. Nel vedere il viso addolorato allo zio al pensiero di suo padre, James capì quanto era stato stupido qualche mese prima a pensare che solo lui aveva il diritto di soffrirne.
“Non importa, sfogati.” disse lo zio, sorridendo.
James aprì la bocca per sfogarsi e tirare fuori tutto il dolore che aveva dentro, ma una voce che sembrava provenire dalla sua tasca lo interruppe ancora prima che potesse cominciare a parlare.
“James, rispondi.” chiamò Sirius, spaventato. James alzò gli occhi al cielo e prese a sbuffare.
“Cosa?” chiese Robert, guardandosi intorno frenetico senza capire da dove veniva quella voce e soprattutto di chi fosse.
“Lo specchio..” rispose James, indicando la tasca della veste nella quale c’era lo specchio gemello con il quale lui e il suo migliore amico erano soliti comunicare.
“Me lo ricordo bene. Non rispondi?” chiese Robert, sorridendo. Conosceva bene quegli specchi perché anche lui e Charlus li avevano usati parecchio tempo prima. Erano stati proprio lui e Charlus a donarli ai due ragazzi, per continuare la tradizione di scherzi e punizioni che avevano iniziato loro anni addietro.
“Non ho voglia di sentirlo. Non ora, almeno.” sbuffò James, allontanando lo specchio dalla sua vista. Vederlo voleva dire soffrire, ricordare quello che aveva da poco perso.
“Prenditi il tempo che ti serve.” consigliò lo zio. James sospirò, pensieroso.
Dallo specchio venne ancora la voce di Sirius, più debole e spaventata di prima.
“James, sono una merda. Lo so che mi odi, ma io ho una paura fottuta. Parla, ti prego. Dimmi che non hai fatto pazzie..” implorò Sirius, la voce rotta. Sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Anzi, qualcosa gli diceva che forse il suo migliore amico stava già piangendo ed era terrorizzato.
“Che cosa sta dicendo?” chiese James, guardando Robert sconvolto. Lo zio sospirò, grattandosi la testa indeciso sulle parole da usare.
“Beh, mettiamola così; nessuno sa di preciso come si sia svolto il tuo incidente..” disse alla fine lo zio, scegliendo con cura le parole per evitare che il ragazzo si mettesse ancora sulla difensiva e scappasse anche da lui.
“Credono che mi sia suicidato?” esclamò James, incredulo. Quella frase suonava talmente assurda che gli sembrava incredibile che l’avesse detta proprio lui e ancora più folle gli sembrava che qualcuno avesse potuto credere all’ipotesi del tentato suicidio.
“Sapevo bene che non era così, ma è lo stesso bello sentirtelo dire.” sospirò Robert, visibilmente sollevato. James sbuffò, di colpo di nuovo furente.
“Ma che diamine è passato per la testa a tutti?” si chiese James, passando dall’incredulità alla rabbia; possibile che nessuno avesse fiducia in lui? Se persino i suoi amici e la sua famiglia avevano creduto a quella assurda voce voleva dire che nessuno lo conosceva veramente, oppure che negli ultimi tempi doveva avere perso veramente il senno.
“Hai idea di cosa abbiano passato i tuoi amici e la tua famiglia mentre eri in coma? Non credi che abbiano già pagato abbastanza le schiocchezze che hanno detto?” cercò di farlo ragionare Robert, saggiamente. James sospirò, soppesando con cura le parole. La sua parte razionale sapeva bene che lo zio aveva ragione, ma dentro di lui c’era una parte più istintiva che non voleva saperne di calmarsi.
“Beh, si.. Ma come la metti con me? Dovrei stare buono, zitto e fingere che non mi abbiano mentito e che la mia vita sia perfetta?” esplose James, dando sfogo alla sua rabbia. Lo zio sospirò, soppesando nuovamente le parole.
“Hai tutto il diritto di essere arrabbiato e di volere delle spiegazioni. Solo, vedi di non esagerare.” consigliò Robert, per nulla turbato dall’aggressività del nipote. Dopo tutto ne aveva tutto il diritto.
“Ho capito, sono già stato abbastanza teatrale.. Grazie zio, per tutto.” mormorò alla fine James, sorridendo. Parlare con lo zio alla fine gli aveva fatto bene, come tutte le altre volte.
“Grazie a te per avermi rivolto ancora la parola nonostante tutti i miei sbagli. Se hai perdonato me puoi perdonare anche loro.” disse Robert, felice di essere riuscito a strappare un sorriso al ragazzo. Il ragazzo guardò severo lo zio, riflettendo seriamente sulle sue parole.
“Vuoi una risposta?” sbuffò James, imbronciato. Un conto era dire che lo zio aveva ragione, un altro perdonare Sirius, Alice, Lily e gli altri così su due piedi.
“No, ma promettimi che ci pensi.” ribatté Robert, testardo quanto il nipote.
James sospirò, poi annuì lentamente solamente dopo averci pensato su per un bel po’. Robert, soddisfatto, lo riportò al castello dove la professoressa McGranitt ancora attendeva con trepidazione, ingannando l’attesa punendo i Serpeverde che violavano il coprifuoco.

La Casa di Grifondoro nel frattempo era in agitazione per molti motivi, primo tra i quali la stracciante vittoria che aveva permesso a sorpresa di vincere la coppa. Il motivo che agitava i Malandrini, tuttavia era diverso ed aveva a che fare con la sparizione di James.
Remus fissava attonito Sirius che non faceva altro che urlare nello specchio da ore, senza avere nessuna risposta. Dall’altra parte proveniva solamente un fastidioso silenzio che metteva in crisi Sirius e che metteva agitazione gli altri malandrini.
“Allora?” chiese Remus, ansioso, mentre Charleen e Sebastian entravano nella stanza seguiti a ruota dagli altri. Alice e Lily entrarono per ultime, senza guardarsi in faccia. La rossa andò subito a sedersi vicino a Charleen, che guardò male l’altra ragazza.
Remus sospirò, guardando prima Seba e poi Frank. Non ci voleva certo un genio per capire che Charleen e Lily dovevano avere litigato con Alice. Non era nemmeno difficile indovinare il motivo della lite, ma il ragazzo preferì non fare commenti. C‘erano già abbastanza problemi senza aggiungerne altri.
“Non risponde.” sbuffò Sirius, lanciando lo specchio sul letto. Se avesse seguito il suo istinto lo avrebbe mandato ad infrangersi in mille pezzi contro il pavimento, ma poi non avrebbe più saputo come contattare l’amico per accertarsi che stesse bene.
“Dannazione, è sparito da troppe ore.” esclamò Seba, tormentandosi i ricci.
Quando James era andato via sbattendo la porta tutti loro si erano preoccupati ma avevano subito pensato che sarebbe tornato nel giro di poco per mandarli a quel paese e litigare con loro. Per quanto non era bella la prospettiva di discutere con James, era positivo il fatto che avrebbero potuto accertarsi che tutto sommato stava bene.
Sfortunatamente la loro teoria si era rivelata abbastanza sbagliata: James non era tornato, ne per discutere ne per altro. Il ragazzo si era chiuso in un ostinato silenzio che li faceva stare in ansia e faceva prospettare anche gli scenari peggiori.
“Infatti, sono preoccupata.” sbuffò Charleen. Nelle ultime settimana aveva passato molto tempo con James, sia per le ripetizioni che per gli allenamenti, ed aveva scoperto un ragazzo molto diverso da quello che credeva di conoscere. Il cercatore si era dimostrato deciso, tenace, forte ed allo stesso tempo pronto ad ammettere i propri limiti e chiedere l’aiuto di Charleen e Frank per superarli. Alla fine la ragazza aveva concluso che era impossibile non affezionarsi a James e non essere in pensiero per lui. Ovunque si trovasse, Charleen pregava perché stesse bene.
“Sapevo che era una cavolata mentirgli.” sospirò Frank, evitando con cura lo sguardo di Alice. Alla fine tutte le incomprensioni, le cose non dette e le azioni insensate erano sfociate in una litigata con i fiocchi ed i due non sembravano essere intenzionati a rivolgersi la parola. Anche Charleen evitava lo sguardo della ragazza, decisa a non rivolgerle la parola almeno per un po’. Gran parte di quello che era accaduto a James nell’ultimo mese, in particolare in quelle ultime ore, era esclusivamente colpa di Alice.
“Ok, è stata una pessima idea. Possiamo cercare di rimediare?” sbottò Alice, irritata. Non aveva bisogno di qualcuno che le facesse notare i suoi errori ma di aiuto per porvi rimedio. Aveva sbagliato tutto con James, ma gli voleva troppo bene. Non poteva nemmeno pensare all’eventualità di averlo perso. Le litigate con Charleen e Lily prima e con Frank poi l’avevano lasciata svuotata, incredibilmente sola.
“Dove potrebbe essere?” chiese Lily, mordendosi il labbro. Sapeva che probabilmente era in cima alla top ten delle persone più odiate da James in quel momento, forse alla pari con Alice e Sirius. Anzi, sicuramente era così. Come aveva potuto tradire ancora la fiducia di James proprio nel momento in cui il ragazzo stava dando segni di volersi avvicinare a lei?
“Nel migliore dei casi è furioso, non ci vorrà parlare e non si farà trovare..” ipotizzò Remus, pensieroso, scribacchiando parole a caso su una vecchia pergamena per concentrarsi meglio.
Avevano guardato ovunque nel castello, persino nelle cucine, ma non era servito a nulla. A completare quel disastroso quadro c’era anche il fatto che la mappa del malandrino era proprio nella mani di James e non potevano quindi usarla per ritrovarlo.
“Nel peggiore?” chiese Cristal, ansiosa. Nessuno ebbe il coraggio di pensare ad una risposta e sui ragazzi crollò un improvviso e cupo silenzio.
“Credete possa fare qualche pazzia?” chiese alla fine Sebastian, facendosi coraggio ed esprimendo l‘idea che in quel momento stava passando per la mente di tutti quanti.
“Non dirlo nemmeno per scherzo. Stiamo parlando di James!” urlò Alice, nervosa.
Frank sbuffò e decise che aveva sentito abbastanza. Se ne andò sbattendo la porta mentre Alice scoppiava a piangere. Aveva perso anche lui. Prima James, ora Frank.
***
Verso sera James cominciò a sentire freddo e si strinse nel mantello, cercando di non pensare all‘aria ghiacciata che passava attraverso le vesti.
Era tornato al castello da qualche ora ma non aveva nessuna voglia di andate nella sua stanza o nella torre di Grifondoro. Sapeva che erano tutti lì ad aspettare lui, pronti a fargli domande o a dargli spiegazioni che non era sicuro di voler ascoltare. Robert era quasi riuscito a farlo ragionare, ma alla fine anche lui aveva ammesso che James aveva come prima cosa bisogno di tempo per accettare gli ultimi avvenimenti.
Mentre la sua mente lavorava frenetica, i piedi del cercatore non erano da meno. Vagando per le silenziose stanze del castello era finito sulla torre più alta, perso a guardare il cielo. Solo, appoggiato alla balaustra e con lo sguardo perso oltre l’orizzonte, James si sentiva finalmente bene, in pace con se stesso. Il posto perfetto per fare il punto dei suoi guai.
“Ehi, Potter.. Non festeggi?” mormorò una voce alle sue spalle. James si voltò di scatto e si ritrovò di fronte Regulus, più pallido che mai. La sconfitta subita bruciava, non tanto per la sua casa o per la sua squadra quanto per il suo orgoglio.
“No, non mi Va..” rispose il Grifondoro, alzando le spalle. Non gli andava di sfottere il rivale, ne di fermarsi a parlare con lui. L’unica cosa che gli premeva veramente era  rimanere solo, perso nella contemplazione del nulla.
“Che faccia, ricordi che avete vinto voi vero?” lo canzonò il più piccolo, divertito.  
James sbuffò. Decisamente Regulus non aveva l’aria di uno che intendeva andarsene tanto presto.
”Certo, Black. Non hai niente di meglio da fare?” chiese James in rimando usando un tono acido nella speranza che l‘altro capisse che era ora di andarsene.
“Ehi, mettiamo bene le cose in chiaro. Quello acido sono io, non tu.” precisò Regulus, stizzito. Quella frase ebbe il potere di strappare un sorriso al Grifone, uno dei pochi della giornata.
“Falla finita, ti prego.” sbuffò James tornando subito serio, chiedendosi perché stava perdendo tempo a rispondere al fratello di Sirius.
“Mamma mia che paura.” esclamò Regulus, prendendosi gioco del Grifondoro.
“Coglione.” imprecò James a mezza voce.
“Ci sento..” protestò Regulus, offeso.
“Sei qui per scappare dai tuoi compagni?” chiese James, cercando di ferirlo per spingerlo ad andarsene.
“No, credo che stiano organizzando una vendetta con i Grifondoro.” rispose Regulus, alzando le spalle. Non sembrava particolarmente coinvolto o risentito contro i Grifondoro. Per lui non si trattava di uno sport di squadra quanto di una questione da risolvere tra cercatore. James aveva vinto, lui aveva perso. Tutto finiva così.
“Non partecipi?” chiese ancora James, sorpreso. Questa volta fu Regulus a sbuffare.
“Perché dovrei?Io non gioco per vincere, ma per me stesso. È stata una bella lotta, hai vinto tu ma va bene così. Tu invece?” mormorò Regulus, portandosi al fianco del Grifondoro.
“La mia fa schifo..” si lasciò sfuggire James.
“Addirittura? Dove si trova Sirius mentre il suo amichetto sta male?” chiese Regulus, diretto come suo solito.
“Non lo voglio vedere, mi ha mentito.” ringhiò James, offeso.
“Falla finita, ti prego. Sappiamo tutti e due che alla fine lo perdonerai, qualsiasi cosa tu abbia detto a lui o lui abbia detto a lui.” esclamò Regulus, alzando gli occhi al cielo.
“Perché dovrei?” chiese James, stupito. Il fratello di Sirius non sapeva nulla della sua, ne di quello che gli era capitato eppure gli stava dando lo stesso consiglio che gli aveva dato suo zio anche se con parole e toni decisamente diversi.
“Perché sei uno stupidissimo Grifondoro. L’acido incazzoso che non perdona nessuno lascialo fare a noi serpi.” rispose Regulus, voltando le spalle al Grifondoro. Nelle parole della Serpe non c’era risentimento, solo delusione. Rimpianto forse.
James rimase a lungo immobile a soppesare le parole del ragazzo.
“Sparisci.” disse alla fine, poco convinto. La verità che non voleva sentirlo perché in fondo aveva ragione e la cosa lo spaventava.
“Certo, sei noioso.” sbuffò Regulus, sparendo oltre le scale.
Il Grifone rimase a lungo a fissare il punto in cui era sparita la Serpe, immobile.
C’era voluto un po’, ma alla fine James si era deciso a rientrare, vinto dal freddo pungente della sera. Il buio aveva avvolto ogni cosa, nascondendo persino le stelle, non aveva più senso stare lì al freddo.
“Signor Potter..” chiamò una voce, facendo sobbalzare James; possibile che fossero tutti in giro a cercare lui, compresi i Serpeverde? Si volto piano e ancora una volta in quella strana giornata si ritrovò di fronte un professore che sembrava spuntato dal nulla giusto per accertarsi che lui stesse bene e non stesse facendo nulla di strano o di pericoloso.
“Professor Lumacorno, che ci fai lei di notte su una torre?” chiese James, sorpreso di trovarsi di fronte un insegnante in vestaglia. A quelle parole l’uomo arrossì, quasi fosse stato colto con le mani nella marmellata.
“Potrei farti la stessa domanda, ragazzo, oppure punirti e toglierti punti.” sbottò il vecchio professore, burbero, schiarendosi la voce e nascondendo velocemente qualcosa dietro la schiena in modo che il Grifone non lo vedesse.
“Faccia come preferisce..” rispose James, alzando le spalle. Decisamente il suo ultimo pensiero era per i loschi traffici del professore, per la sua casa o per i punti che le avrebbe potuto fare perdere stando lì a discutere con lui.
“Ma come? Non è da Grifondoro fregarsene della sua casa di appartenenza.” esclamò Lumacorno, sorpreso. James alzò gli occhi cielo, esasperato all’idea che d’improvviso tutti o buona parte dei Serpeverde si fossero in mente di insegnargli come doveva comportarsi un vero Grifondoro; cosa potevano saperne loro?
“È solo una stupida competizione.” sbuffò James, alzando le spalle ed evitando con cura lo sguardo dell‘uomo. Sapeva che negli occhi del professore ci avrebbe trovato rimprovero, tristezza e preoccupazione e lui non voleva saperne nulla. Voleva solo chiudere gli occhi e riuscire a dimenticarsi di tutto quanto. L’idea lo fece sorridere. Qualche mese prima avrebbe dato ogni cosa pur di ricordare il suo passato, ora invece non chiedeva altro che riuscire a dimenticarlo.
“Capisco, allora è qualcosa di grosso. Ecco perché la signorina Evans piangeva..” mormorò il professore di pozioni, lasciando la frase in sospeso. Le parole dell’uomo lo colpirono quasi come un pugno allo stomaco, toccando un nervo scoperto.
“Lily?” chiese James, incredulo. Era bastato sentire il suo nome per scuoterlo. Quando aveva ricordato tutto aveva provato odio per tutti i suoi amici, compresa lei. Con le ore la rabbia però era passata; come faceva ad odiarla dopo tutti i bei momenti che avevano passato insieme nell’ultimo periodo? Semplicemente non poteva, era insensato. Era in suo veleno, ma sentiva di non poterne più fare a meno. Nonostante tutto il male che si erano fatti James sapeva che quella strana ragazza con quegli adorabili capelli rossi e quegli accecanti occhi verdi era il suo futuro, l’unica ragione per guardare avanti nonostante tutto.
“È straordinaria, sai? La figlia che non ho avuto. Pensa, mi ha anche regalato un pesce rosso. La più bella magia che ho visto nella lunga vita, credimi.” iniziò a raccontare Lumacorno, avvicinandosi al ragazzo. Più lui parlava più James diventava triste.
“Mi odia. Anzi, credo mi disprezzi al punto di preferire un vermicolo a me.” disse alla fine, fissando intensamente il pavimento della torre. Non sapeva nemmeno perché stava raccontando quelle cose proprio a quel professore con il quale non aveva mai parlato prima.
“Non credo. O meglio, una volta era così. Credo che adesso ci tenga veramente tanto.” mormorò Lumacorno con l‘aria di uno che la sapeva lunga.
“Se lo dice lei.” sospirò James. Non voleva farsi illusioni per poi soffrire ancora. Lily lo odiava, non c’era altro. Si era solo illuso che negli ultimi tempi era riuscito a costruire un rapporto con lei. La verità era che lei gli aveva mentito, esattamente come tutti gli altri.
“Non ti chiedo che è successo. Non sono così ingenuo da pensare che lo racconteresti a me. Sono una Serpe dopo tutto, e tu un Grifone.” iniziò Lumacorno, serio.
“Cosa vorrebbe chiedermi?” chiese James, curioso.
L’uomo alzò le spalle, serio. Per la prima volta James non vedeva di fronte a sé uno sbruffone pieno di sé, ma un uomo saggio.
“Nulla, ma fatti dare un consiglio. Non farla scappare. Di ragazze come Lily non ne incontri tante nella vita, senza contare che lei è pazza di te.” concluse il vecchio professore, sorridendo in modo fin troppo malizioso.
James si allontanò scuotendo la testa. Era assurdo come tutti si fossero attivati per dagli consigli. Doveva essere per forza un complotto ai suoi danni per mandarlo fuori di testa, o qualcosa del genere.
Stancamente James si trascinò verso la sala comune, sperando di non fare altri incontri folli. Mancava solo che ci fosse Piton appostato dietro l’angolo con i capelli puliti e l’aria afflitta e poi sarebbe stato definitivamente pronto per finire al manicomio. Mentre camminava si fermò a riflettere a quello che avrebbe trovato nella sua sala comune e per un attimo tentennò, poi riprese a camminare. Se doveva affrontare quelli che almeno sulla carta erano i suoi amici tanto valeva farlo subito.
Una volta nella sala comune James fu subito accolto da uno dei suoi compagni di squadra. Si voltò veloce cercando gli altri con lo sguardo ma non trovò nessuno.
“Ehi, James.” salutò Simon, correndogli incontro felice. Sul suo volto erano chiaramente visibili i segni della festa che doveva essere andata avanti per molte ore. Il ragazzo non sembrava nemmeno troppo lucido ma a quanto pare non aveva bevuto abbastanza per dimenticarsi del suo capitano e del modo in cui era scomparso subito dopo la partita.
“Ciao Simon.” salutò stancamente James, sollevato ed insieme deluso di non avere trovato Sirius e gli altri.
“Accidenti, sei davvero tu?” chiese il ragazzino, incredulo, allungando al proprio capitano una bottiglia di Burrobirra ormai quasi vuota.
“Così pare..” sbuffò James, troppo stanco per scherzare. Diede un sorso alla bottiglia e la restituì al proprietario che la svuotò in un istante.
“È incredibile. Voglio dire, gli altri erano così preoccupati.” biascicò l’altro, imbarazzato.
“Dove sono?” chiese James, ansioso. Il ragazzino parve pensarci un po’ su prima di rispondere, quasi la domanda dell’altro lo avesse messo seriamente in crisi.
“Ti stanno cercando, ovunque.” rispose Simon alla fine, alzando le spalle.
“Non c’è nessuno quindi?” chiese ancora James, prudente, guardandosi in giro.
“Solo Seba. Non stava bene ed è andato a letto.” spiegò il ragazzo, a bassa voce.
“È di sopra, vero?” mormorò James, alzando lo sguardo. L’altro annuì, deciso.
“Beh, si.” si affrettò ad aggiungere Simon, barcollando vistosamente verso una delle poltrone disposte intorno al camino.
“Vado da lui.” comunicò James, secco.
“Aspetta James, cosa dico agli altri?” chiese Simon, ansioso, cercando affannosamente di rimettersi in piedi.
“Niente, lascia che tornino da soli.” rispose il cercatore, sparendo in pochi istanti dalla vista dell’amico che nel frattempo era collassato nuovamente sulla poltrona.
James salì le scale lentamente, cercando di capire cosa fare una volta che si sarebbe trovato di fronte Seba. Alla fine aprì di scatto la porta facendo sobbalzare il ragazzo addormentato.
“Che diamine.. James?” esclamò Seba, incredulo. Tra tutte le persone che si aspettava di vedere James era decisamente l’ultima. Era sparito da ore e a tutti sembrava improbabile che sarebbe tornato prima della mattina successiva.
“Sono ancora vivo, niente tentato suicidio..” sospirò stancamente James, con un filo di ironia nella voce. Il suo sguardo vagò per la stanza, cercando tracce di Frank o di qualcuno degli altri, senza successo.
“Sono contento di vederti.. Mi spiace.” mormorò Seba, imbarazzato. Non era pronto per una conversazione del genere e non sapeva cosa dire. Remus aveva ipotizzato che quando si sarebbe deciso a tornare probabilmente James sarebbe stato troppo arrabbiato per ragionare e si sarebbe limitato ad urlare tutta la sua rabbia e la sua delusione senza lasciare loro nemmeno il tempo di parlare. Quello che aveva di fronte Seba invece era una versione sorprendentemente calma, triste ed allo stesso tempo delusa di James alla quale non era per nulla preparato. Probabilmente nessuno di loro lo sarebbe stato.
“Ti prego, niente banalità. Voglio dire, sono qui.. Arriva al punto. Voglio delle spiegazioni, possibilmente ora.” disse James secco, senza alzare la voce, fissando intensamente l’amico.
Quello sguardo tanto penetrante mise in crisi Seba, che si affrettò a mettersi seduto cercando di mettere in fila almeno qualche frase di senso compiuto.
“Sirius e Lily hanno capito di avere esagerato, ti hanno anche scritto per chiederti scusa quest’estate ma tu eri già in coma.” iniziò a raccontare Seba, confuso. Qualsiasi cosa avrebbe potuto dire a James in quel momento poteva essere quella sbagliata. Tanto valeva giocarsi tutte le carte e smetterla con le bugie. Era stato mentendo a James che si erano messi in quel casino e potevano uscirne solo raccontando al ragazzo le cose come stavano.
“Parli sul serio?” chiese James, sorpreso. Nessuno gli aveva mai parlato di quelle lettere. Certo, aveva visto quelle che i ragazzi gli avevano mandato a settembre, ma non quelle precedenti di cui parlava Seba.
“Certo, Alice deve avere ancora quelle lettere da qualche parte.” confermò Seba, grattandosi la testa. La reazione di James non tardò ad arrivare.  
“Farle leggere anche a me? Perché diamine nessuno mi ha detto nulla?” chiese James, perdendo la calma. Ancora menzogne, ancora bugie ed ancora segreti.
“Per paura di perdere la tua amicizia o di farti soffrire ancora, immagino. Io ho detto che secondo me era una cazzata, ma chi lo ascolta mai Sebastian?” iniziò a dire Seba, parlando più a se stesso che a James. Quello strano siparietto ebbe quasi il potere di strappare una risata al cercatore, che tuttavia riuscì a trattenersi.
“Va bene, dai un taglio alle scenate.” esclamò burbero, sforzandosi di tornare serio. Seba sospirò e si alzò del tutto, appoggiando una mano sulla spalle dell’amico.
“Guarda che ci sono stati malissimo. Sirius e Lily, dico.. All’inizio dell’anno Alice ha fatto loro delle scenate assurde. Diceva che era tutta colpa loro, che ti avevano praticamente spinto al suicidio..” continuò a raccontare Seba, riassumendo brevemente tutte le discussioni che c’erano state all’inizio dell’anno. James lo ascoltava, silenzioso ed incredulo.
“È proprio una fissa la vostra. Non ho mai cercato di ammazzarti..” mormorò alla fine James, alzando gli occhi al soffitto. Seba rimase in silenzio e sulla stanza cadde uno strano silenzio.
“Beh, sei caduto da una finestra.” sussurrò alla fine Seba, distogliendo lo sguardo.
“Finestra? Ma che dici..” esclamò James incredulo; di che diamine parlava? Lui non era mai caduto dalla finestra, si era fatto male dopo..
Improvvisamente la testa di James iniziò a girare e sentì tutta la stanchezza di quella folle giornata e di quei mesi frenetici cadergli sulle spalle.
“James, che ti prende?” chiese Seba, preoccupato, senza però ottenere risposta.
Improvvisamente James si era fatto silenzioso e si era lasciato cadere seduto sul letto dell’amico. Il ragazzo più grande lo fissava, anche senza riuscire a vedere chiaramente il suo volto poteva intuire lo stesso che nella sua testa stava succedendo qualcosa.
James aveva di colpo realizzato come era visto dalle persone che aveva intorno e quella improvvisa rivelazione lo aveva devastato. Nello spazio di quei pochi istanti aveva potuto rivedere gli ultimi mesi della sua vita da punto di vista di sua cugina e dei suoi amici.
Per loro era solamente un povero pazzo, talmente distrutto e provato dalla morte del padre da arrivare a togliersi la vita. Certo, quella lettura di prestava perfettamente a spiegare la situazione, tranne per la parte del suicidio. Togliersi la vita, persino in quel momento tanto disperato, non gli era mai passato per la mente. Dal suo punto di vista morire sarebbe stato da codardi, non avrebbe risolto nulla. Sarebbe solo servito a scaricare sugli altri la colpa per i propri fallimenti.
James alzò gli occhi e si accorse che era ancora nella stanza del suo amico, che per di più gli stava parlando senza che alle sue orecchie arrivasse il minimo suono. L’espressione di Seba lasciava intuire che, qualunque cose stesse dicendo, dovesse essere davvero preoccupato per quell’improvviso silenzio. James avrebbe voluto fare e dire molte cose, ma non aveva idea da che parte fosse meglio iniziare. Dentro di lui c’era un grande vuoto.  L’unica cosa che riusciva ad avvertire chiaramente era un dolore, assurdo ed intenso, che gli premeva sul petto quasi a farsi beffe di lui.
Seba continuava a guardarlo  con gli occhi fuori dalle orbite e James si obbligò a dire qualcosa, per quanto faticoso potesse essere.
“Si può sapere perché capitano tutte a me? Seba, io non ce la faccio più.. Sono davvero stanco.” mormorò James debolmente, dopo essersi schiarito appena la voce.
“Sfogati, avanti. Vuoi che ti accompagni nella tua stanza?” chiese Seba, ansioso ma allo stesso tempo sollevato per il fatto che James avesse ripreso a dare segni di vita. Anche il fatto che avesse ammesso di essere stanco e di avere bisogno di aiuto era senza dubbio un segnale positivo.
“Non voglio parlare con nessuno, almeno per ora.” disse James, la voce poco più alta di un sussurro. L’idea di andare nella sua camera e di trovarsi di fronte la faccia preoccupata di Sirius, quella comprensiva di Remus e quella spaventata di Peter lo rendeva ancora più stanco di quanto già non fosse. Non poteva reggere anche quello, non quella sera almeno.
“Dormi qua, allora. Puoi prendere il letto di Frank.” ribatté Seba, indicando il letto vuoto del suo migliore amico. James voltò lentamente la testa verso il letto ancora intatto del portiere.
“Passa la notte con Alice?” chiese James, alzando la testa e trovandosi di fronte una pallida imitazione del suo compagno di risate.
Incontrare lo sguardo serio e preoccupato di Seba lo fece sentire ancora peggio. Era come se ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato nel fatto che avesse smesso di sorridere e fare il cretino come sempre.
“Si, poverina era sconvolta.” disse Seba, ricordando quanto fosse sconvolta la ragazza dopo la litigata con Frank. Certo Alice aveva sbagliato ma in quella strana giornata era stata lei a pagare il prezzo più alto arrivando a discutere con tutti quanti, primi tra tutti Frank, Lily e Charleen.
“Lei?” chiese James, ironico, togliendo gli occhiali e passandosi una mano sul viso.
“Si sente in colpa per quello che è successo, ha discusso anche con Frank, Lily e Charleen.” spiegò Seba, senza entrare troppo nel dettaglio per non rischiare di peggiorare le condizioni di James.
“Posso non volerne sapere nulla?” chiese il ragazzo, alzandosi dal letto di Seba per lasciarsi cadere su quello di fianco al suo.
“Buona notte, Jamie.” mormorò Seba, sorridendo. Sapere che James dormiva da parte a lui, senza fare nessuna sciocchezza e senza vagare per chissà quale anfratto del castello lo faceva essere un po’ più sollevato, anche se intuiva che le cose erano ancora molto lontane dall’essere tornare a posto.
“Notte.” mormorò James, chiudendo gli occhi
Non appena toccò il letto James capì che non ci sarebbe voluto poi molto prima di crollare addormentato. Ogni più piccola parte del suo corpo avvertiva chiaramente la necessità di riposare, specialmente la sua mente che non vedeva l’ora di staccare ogni collegamento con la realtà. Per qualche ora, il tempo di una notte, voleva dimenticare di essere James Potter e voleva poter accantonare tutti i problemi per riuscire a riposare. Ci sarebbe stato il giorno successivo per parlare, ma soprattutto per ripensare a quella lunga giornata iniziata con la vittoria della squadra di Grifondoro. Quel pensiero improvvisamente lo fece sorridere.
“Ehi, Seba..” chiamò James, piano. Nel buio della stanza l’altro ragazzo non poteva vedere che James stava sorridendo.
“Dimmi.” disse Seba, curioso di sapere cosa volesse dirgli James. Improvvisamente il suo tono di voce si era fatto più sereno, quasi divertito.
“La squadra era condannata, vero?” chiese James, ironico.
Il condizioni normali Seba avrebbe dovuto prendersela, mettere il muso e fare l’offeso, ma sentire James scherzare era la più bella conclusione per quella terribile giornata.
“Ma tu mica stavi male?” chiese in rimando Seba, lanciando il cuscino addosso all’amico.

ANGOLO DELL'AUTRICE:
ringrazio tutti quanti ed ancora una volta mi scuso per il ritardo con il quale procede la storia.
spero che vi piaccia, nonostante tutto, e che di essermi fatta perdonare almeno un pochino con questo lunghissimo capitolo!

Malandrina4ever: grazie mille!
Chiedo scusa per la lunga assenza, ma spero che questo capitolo sia all'altezza delle tue aspettative.
In questo capitolo ci sono molti incontri che servono a fare capire a James tante cose.
Certo, la rabbia non è ancora del tutto passata..

Love_vampire: grazie mille!
Alice è uno dei personaggi con cui mi sono divertita di più, passa da momenti in cui è veramente dolce a momenti in cui è veramente stronza. Povera, in questo capitolo tutti se la prendono con lei!
Nel prossimo capitolo ti anticipo ci sarà un momento strappalacrime con Lily e (forse) finalmente ci sarà il tanto sospirato bacio!

Stecullen94: grazie mille!
Bhe, in questo James anche senza malandrini non è rimasto solo!
Nel prossimo dovrà affrontare i suoi amici e soprattutto Lily.. :D

IloveJames97: grazie mille!
Spero che questa e che le altre storie ti piacciano!

  
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