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Autore: LarcheeX    14/12/2010    6 recensioni
Dopo la morte di Xemnas, le istanze dittatoriali di un certo Re cominciarono a farsi troppo ambiziose e avide di potere, portando quello che era un universo che aveva faticosamente guadagnato la pace e la serenità a diventare un oscura distorsione di sé stesso.
Ma come ogni dittatura porta consensi, volenti o nolenti, e dissensi, un gruppo di Ribelli ritornati in vita capitanati dai traditori traditi dal loro migliore amico è pronto a sorgere dalle macerie dei ricordi e farsi avanti per distruggere il Re.
.
Tornata in vita non si sa come, LarcheeX torna alla carica dopo un imbarazzante numero di mesi: qualcuno la seguirà? Boh. Vedremo.
Penumbra is back.
Genere: Avventura, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Salvataggio.
 


Prigioni del Castello Disney, ore 20.06

 

“E neanche un goccino di rum!” brontolò Jack per l’ennesima volta: “Sto morendo di sete!” piagnucolò infine, depresso. Riku, con il braccio sano, visto che quello ferito sembrava riluttante a cicatrizzare la ferita, gli porse la fiaschetta d’acqua che era arrivata qualche ora prima con quello che chiamavano pranzo (anche se era una brodaglia informe, incolore e insapore): “Tieni, è rimasta un po’ d’acqua.” Gli disse. Non l’avesse mai detto: il pirata balzò in piedi, indignato: “Io?! Acqua?! Ma io sono capitan Jack Sparrow, il più famoso pirata dei sette mari! Io, bere acqua!? Ma stiamo scherzando?”
A Riku venne quasi da ridere, considerato che quel pazzo stava facendo lo schizzinoso in una situazione in cui era inutile farlo. Comunque sia gettò uno sguardo curioso al terzo compagno di cella, ignorando bellamente le proteste indignate di Jack, notando che non si era mosso dalla posizione della sera prima. Aveva due pesanti occhiaie intorno agli occhi, che lo facevano sembrare ancora più affamato di quanto realmente non fosse: “Cloud, vuoi un po’ d’acqua?” chiese, porgendogli la fiaschetta che Jack aveva rifiutato. Lui scosse la testa.
Cloud rifletteva da quando Riku gli aveva accennato a una possibile evasione. Cosa avrebbe fatto? Si sarebbe nascosto? Avrebbe combattuto? Non lo sapeva. Sapeva solo che avrebbe passato la sua ritrovata libertà per cercare Yuffie.
Non appena focalizzò nella mente il nome della sua amica il suo sguardo, perso al di fuori della finestra della cella, si concentrò sul minuscolo spazio che c’era tra le due sbarre, notando solo in quel momento un pacchetto sgualcito e sporco. Non fece caso a quanto fosse malmesso, ma su come ci fosse arrivato. La sua cella era sì ai piani inferiori, ma aveva comunque una vista del paesaggio intorno alla Rocca Disney, anche se era impossibile arrivare alla sua finestra, perché era posta in alto a strapiombo sulla Rocca.
Pur capendo che era impossibile arrivare fino a lì prese il pacchetto tra le dita magre, se lo rigirò un paio di volte tra le mani e lo aprì. Non c’era niente di speciale, anzi, in un primo momento credeva che non ci fosse nulla, poi, affilando lo sguardo stanco, era riuscito ad individuare un nastrino nero arrotolato alla meglio. Era il nastrino che Yuffie utilizzava per legarsi il ciuffetto dei capelli dietro la testa.
Le possibilità erano due: o era un trucco di Re Topolino per indurlo a svelare dove fosse il ninja, anche se doveva ammettere che non ne aveva la più pallida idea, o la vera Yuffie era passata e gli aveva lasciato il pacchetto.
“L’hai vista?” chiese la voce di Riku, che ebbe il potere di riscuoterlo dai suoi pensieri. Fece un segno di diniego. No, non l’aveva vista. Strano, perché aveva passato tutta la notte in bianco.
“Sai cosa significa?” chiese ancora Riku. Perspicace, il ragazzo. Aveva capito in poco tempo chi fosse l’ipotetico mittente e il significato del messaggio.
“Certo. Verrà tra poco.” Concluse lui, e un semi-sorriso si faceva strada sulle labbra dell’albino, mentre Jack, che per tutto il tempo della loro silenziosa conversazione non aveva fatto altro che protestare sul perché Riku gli avesse offerto della volgare acqua, finì con uno sconclusionato: “Viva il rum!”

 

Villa Abbandonata di Crepuscopoli, ore 21.15
 

Era passato un giorno da quando avevano deciso i dettagli della missione, e tra gli inquilini, con cuore e non, scorreva l’impazienza e l’agitazione.
Tra tutti i Nessuno quello più agitato, o che sarebbe stato il più agitato, era senza dubbio Demyx. Non aveva mai imparato a combattere come si deve e non aveva mai trovato la voglia e il coraggio necessari per farlo. Della sua vita di umano ricordava che, in effetti, non era molto diverso da come era in quel momento: Myde (sì, era una delle poche persone che si ricordava il proprio nome da umano) era fifone, allegro e evitava gli scontri diretti con ciò che era più grande di lui, anche se adorava fare il gradasso e fingersi più forte di quanto realmente fosse. Non che avesse paura, per carità, però gli dava molto fastidio tornare a casa pieno di lividi e sentire sua madre che si lamentava. La madre non era rimasta impressa molto nella sua mente, anzi, di lei ricordava solamente la voce esasperata di quando lo vedeva tutto sporco per qualche lotta momentanea con un amico.
Kairi, se possibile, era ancora più spaventata del numero IX. Anzi, era possibilissimo, dato che lui non poteva esserlo.
Ma la rossa si sentiva sola. Terribilmente sola perché aveva un cuore. Le sembrava di sentire il proprio battito cardiaco rimbalzare tra le pareti della Villa, sonante. E le sembrava di scorgere anche lo sguardo invidioso di Axel, o quello carico di rancore di Larxene. Era sicura di essere odiata persino da Naminé per la sua fortuna. Ma la bionda non sembrava dimostrare il proprio odio, e se ne stava zitta il più lontano possibile da Marluxia.
“Dov’è il numero XI?” chiese ad un certo punto Xemnas, guardandosi intorno sospettoso. Da quando la notizia del tradimento era giunta alle sue orecchie la fiducia nel numero XI e nel numero XII era calata ad un livello identificabile con il suolo. Non sapeva nemmeno perché li teneva ancora
tra le fila dell’Organizzazione. Forse perché sono terribilmente potenti? Hai forse pauraXemnas? Paura dei tuoi sottoposti? Gracchiò la fastidiosa vocina chiamata coscienza, scacciata bruscamente dai suoi pensieri perché non poteva avere paura. E poi, io sono più potente di loro, e sono il capo, quindi faranno bene a ricordarsene! Esclamò mentalmente.
“Di sopra.” Rispose la voce del numero XI, che apparve un secondo dopo l’arrivo del suo varco oscuro. Ci fu una sorta di lotta di sguardi tra quello enigmatico e ceruleo di Marluxia e quello dorato e autoritario di Xemnas, finché il sottoposto cedette e fece scorrere lo sguardo sui presenti, frustrato. Niente da fare, Il Superiore non avrebbe assolutamente posto più la fiducia in lui. Si prospettava per lui e per Larxene una lunga faida contro Xemnas e Saïx, che di sicuro non avrebbe abbandonato il capo. Da tempo Marluxia si era convinto che il numero VII fosse un grandissimo leccaculo. Che cosa ci guadagnava a essere comandato a bacchetta da un superiore così intransigente? Non aveva mai pensato, anche per un solo istante, a ribellarsi? A prendere il comando lui stesso? Proprio non lo sapeva.
“Gradirei essere informato su dove scappi, numero XI.” Sibilò Xemnas, assottigliando gli occhi. La risposta di Marluxia fu un falsissimo ‘sarà fatto’, ma così falso che Larxene scoppiò quasi a ridere. Peccato che Xemnas non comprese la venatura ironica della sua voce.
“Allora, abbiamo intenzione di liberarlo, questo poveraccio, o lo dobbiamo far morire di fame ancora un altro po’?” chiese Xigbar, riferendosi ovviamente a Riku. Tutti sembrarono riscuotersi dalla tensione generata dalla lotta silenziosa di Xemnas e Marluxia.
“Sì” disse Kairi, nervosa: “Quando partiamo?” chiese infine, posando lo sguardo su Naminé, che fece spallucce.
“Beh, suggerirei prima di prenderci una vacanza…” ridacchiò ironicamente Larxene.
“In questo momento.” Decise invece Xemnas: “Preparatevi immediatamente. Vi voglio pronti tra cinque minuti.”

 

Castello Disney, ore 21.15
 

“Cid, io vado a dormire. Mi raccomando, mi serve assolutamente quel file per modificare Tron.” Disse Topolino, congedandosi dalla riunione che andava avanti dalla mattina. Era letteralmente esausto. “Sì Sua Maestà.”
“Sora.” Chiamò, davanti alla porta della sua camera, e presto il fido guerriero si fece davanti a lui, in ginocchio.
“Maestà?” rispose, ubbidiente. Il Re pensò che era davvero stata una fortuna essere riuscito a convertirlo ai suoi voleri senza utilizzare Naminé, perché così era assolutamente sicuro di avere la sua fiducia e, soprattutto, il suo rispetto. Sora era estremamente malleabile e deliziosamente innocente, anche da adulto. Non aveva faticato per niente per metterlo ai suoi piedi, era bastata qualche bugia ben costruita che mascherasse i suoi veri progetti ed ecco che si ritrovava un Eroe del Keyblade convertito a lui. “Notizie di Naminé e Kairi?” chiese.
Il moro alzò leggermente la testa, per permettere al Re di vedere la sua espressione irritata: “No, mio signore. Non sono rintracciabili.”
“Pensi che Riku ci abbia mentito?”
“No. Penso piuttosto che abbia sparato un mondo a caso per coprire il fatto che non lo sa nemmeno lui.” Rispose.
Annuì, lentamente. Quelle ragazzine potevano costituire un problema. Un grosso problema.
“Sora, aumenta la sorveglianza, ho brutti presentimenti.” Ordinò infine, sulla porta della sua stanza. Sora annuì: “Sarà fatto.”

 

Crepuscopoli, ore 21.30
 

Si erano avviati verso il Castello di Yen Sid, poiché Kairi aveva spiegato loro che i varchi oscuri nel Castello non potevano essere usati perché intrappolavano lo sfortunato viaggiatore nel limbo tra i due mondi a morire di fame. Perciò avrebbero usato la stessa porta che le due ragazze avevano utilizzato per arrivare a Crepuscopoli, tre giorni prima. Dopo aver accuratamente messo KO il mago.
Una volta arrivati nel giardino sottostante si nascosero alla base e cominciarono a ricordarsi a vicenda i propri compiti, che dovevano avere una precisione cronologica perfetta, sennò avrebbero mandato a monte l’intero piano. E si sarebbero fatti catturare.
“Dunque.” Esordì Xemnas: “Numero II tu cosa farai?” e pronta arrivava la risposta di Xigbar: “Prendo le donne, Marluxia, Axel e Saïx.” Il Superiore annuì. “Numero III?”
“Con Il Superiore, Naminé e Zexion, poi incaricato a sfondare la porta della cella.” E così via.
“E non dimentichiamoci che dopo aver liberato il vostro amichetto sarete voi ad aiutarci.” Ricordò Vexen alla fine dell’elenco. Naminé annuì, precisando che lei e Kairi avrebbero dovuto cercare insieme al di nuovo libero Riku la Stanza dei Cuori. “E poi facciamo fuori il Topo.” Ghignò Luxord. “E Sora.” Precisò poi Lexaeus.
Annuirono.
“Bene, ora che ci ricordiamo cosa fare che ne dite di passare all’azione?” chiese Axel, avviandosi verso la casa di Yen Sid, ma fu fermato per un braccio da Saïx: “Ti vuoi fare tutte le scale?” chiese, alzando un sopracciglio. Il rosso scosse la testa giusto in tempo per vedere Xigbar scomparire teletrasportandosi con Naminé nella stanza in cima alla torre, dove c’era la camera di Yen Sid.
Aspettarono si e no cinque minuti, il tempo di dare una botta in testa in silenzio e senza farsi vedere al mago. Poi videro il numero II spenzolarsi dalla minuscola finestra per far loro segno di entrare e aprirono un varco oscuro per salire.

“E questa sarebbe la porta?” chiese Demyx, osservando il muro. Beh, per essere una porta era nascosta benissimo! Poi vide che tutti gli altri membri stavano entrando in quella che, effettivamente, era una porta e che lui stava fissando un banalissimo muro.
Si affrettò a raggiungere gli altri.
Superarono l’apertura in pochi secondi e si ritrovarono subito nella sala della Prima Pietra. Istintivamente tutti si misero il cappuccio, per celare il volto.
Si radunarono in cerchio: “Allora, sapete cosa fare.” Disse Xemnas: “Al lavoro.”
Subito Xigbar prese in braccio Naminé: “Dove andiamo dolcezza?” chiese, il suo solito ghigno strafottente nascosto dal cappuccio scuro. “Sala delle torture, vicino alle celle.” Sussurrò quella. Stava cominciando a sentire il groppo in gola tipico di quando faceva qualcosa di pericoloso, quello che le veniva di solito quando combatteva.
Xigbar si materializzò dopo pochi secondi sopra al tavolo di tortura, con un’imprecazione mista a un’esclamazione di disappunto circa l’atterraggio su un oggetto non programmato. “Bene, ora vado a prendere gli altri.” Comunicò, sparendo di nuovo.
Naminé si nascose dentro l’armadio dove Sephiroth conservava i suoi attrezzi da tortura, stando bene attenta a non sfiorarne nessuno, anche perché sembravano tutti sporchi di sangue. Fresco. Rabbrividì, raggomitolandosi sulla parete sinistra, l’unica libera, dell’armadio. Sentì di nuovo l’imprecazione di Xigbar, e qualcuno aprì la porta del mobile, infilandosi accanto a lei. Percepì la presenza di Axel, e un lieve odore di rose. Marluxia. Pensò, appiattendosi ancora di più, se possibile, sulla parete legnosa.
Ancora una volta Xigbar apparve nella sala, portando questa volta Larxene e Saïx. Quest’ultimo annusò un po’ l’aria, come se captasse pericolo. Naminé aprì lo sportello per intravedere il viso del Nessuno, che annunciò: “Sephiroth e Léon si stanno dirigendo qui.”
I sei si guardarono l’un l’altro, mentre cercavano un posto dove nascondersi: il tavolo era di legno e di sicuro sarebbe stato molto facile vederli, entrando dalla porta, e l’unico mobile era quello dove erano nascosti già in tre. “Muovetevi, venite qui!” esclamò Axel, prendendo Larxene per un braccio e trascinandola dentro. “Non ci entreremo mai.” Decretò il numero II. “Non abbiamo altra scelta.” Disse invece Saïx, entrando dopo Larxene, seguito infine da Xigbar che chiuse l’anta.
Naminé, alla fine, si era ritrovata schiacciata tra la parete dell’armadio e il petto di Marluxia, che, nel buio, sembrava ghignare. Lo incenerì con un’occhiata cupa, ma nessuno fece in tempo a parlare che la porta della sala delle torture si aprì, mentre Léon e Sephiroth entrarono, trascinando un prigioniero. “Ma quello è Hercules!” sussurrò Marluxia, scostando di qualche millimetro l’anta per vedere chi fosse. Gli altri annuirono. Ma solo Saïx sembrava cogliere il significato di quell’entrata: “Se devono marchiarlo dovranno aprire l’armadio.” Sussurrò a sua volta. Gli altri sembravano nervosi. “Beh, facciamoli fuori non appena aprono l’armadio.” Propose Larxene, parlando a voce bassissima. “Noi dovremmo essere morti, finché lo credono ancora meglio è, possiamo contare sull’anonimato.” Ribatté Saïx.
Léon, intanto, si stava avvicinando per aprire l’armadio. I sei trattennero il respiro.

 

Corridoio del Castello Disney ore 21.45.
 

Zexion aprì il suo libro di nuovo, respirando ancora una volta il suo confortante odore di antico. Era l’unica cosa che gli ricordasse il suo cuore, perché aveva sempre avuto l’abitudine di girovagare per la biblioteca di Ansem, senza sapere da quale libro cominciare, tanti ce n’erano. Poi, all’improvviso, veniva attratto dal colore della copertina di uno, o dal fregio di un altro, e cominciava a leggere.
Anche in quel momento, da Nessuno, aveva il desiderio di leggere, perché, anche se non lo dava a vedere, per lui i ricordi sbiaditi che conservava erano oro, oro che doveva lucidare ogni volta, aprendo uno dei tanti manoscritti che gli passavano sotto al naso.
Qualche mormorio, ed ecco la barriera fatta di illusione che li avrebbe protetti fino al giungere alle celle. Era identica al muro del Castello, e, anche se riusciva a mascherare completamente chi ci passava dietro, era estremamente fragile. “Non la oltrepassate.” Avvertì: “Se si dovesse rompere non so se riuscirei a farne un’altra in fretta.” E, detto questo, lasciò andare avanti Kairi, per far sì che li guidasse.
Erano in fila, ordinati, anche se piuttosto agitati. Anzi, l’unica preoccupata era Kairi, ma lo era così tanto che bastava per tutti quanti. Con il cuore in gola guidò il gruppo per i corridori del Castello, finché non giunse davanti alle scale per scendere nei sotterranei.
Lì si immobilizzò quando la figura esile di Aerith comparve davanti ai suoi occhi. In quel momento si fermarono tutti quanti, nervosi.
Aerith era tranquilla, quasi felice, e non sembrava conservare dentro i suoi occhi alcun ricordo della manipolazione che Naminé aveva compiuto su di lei. Eppure Kairi ricordava che il suo Nessuno era stato costretto a fare un grande lavoro per riuscire a penetrare nella sua testa, ma, alla fine, c’era riuscita.
La giovane passò loro davanti, tranquillamente, senza accorgersi di niente. Fu allora che gli otto emisero un respiro di sollievo, rilassandosi. Ma non si accorsero di essere stati sentiti, e videro Aerith tornare indietro, incuriosita. Si piazzò davanti a Xemnas, analizzando il muro che lei vedeva, senza accorgersi del Nessuno, ovviamente nascosto dall’illusione. Il Superiore, cautamente, fece qualche lento passo indietro, fino ad appiattirsi al muro. Così fecero tutti quanti, alla fine.
Dopo circa dieci minuti che Aerith aveva passato ad osservare il muro decise di toccarlo. Era la cosa che Zexion temeva: toccandolo avrebbe di sicuro rotto la sua fragile illusione. Trattennero tutti il respiro.
Luxord stava riflettendo: se il cambio delle guardie era alle dieci e che Aerith stava lì da almeno dieci minuti significava che ne avevano solo cinque per scendere e catturare delle guardie da utilizzare per camuffarsi. Era qualcosa di impossibile.
Però, alla fine, Aerith sembrò essere stata distratta da un richiamo, e lasciò cadere la sua concentrazione per il muro illusorio per dirigersi da qualche altra parte. “Muoviamoci!” sibilò Kairi, visibilmente agitata.

 

Sala delle torture, ore 21.55
 

Sephiroth e Léon depositarono Hercules sul tavolo, facendo penzolare le braccia muscolose, inerti. Larxene osservò, attraverso lo spiraglio che aveva aperto Marluxia, il volto dell’Eroe: era pieno di graffi, e aveva un occhio nero e gonfio. Per non parlare della veste stracciata sul petto e della caviglia sinistra che assumeva un’angolazione irregolare. Doveva essere rotta.
Probabilmente Hercules aveva lottato, e molto, prima di farsi catturare, anche se, alla fine, era stato costretto a soccombere.
Ma non poté riflettere oltre perché vide la mano di Léon appoggiarsi sull’anta. Chiuse gli occhi: presto anche lei avrebbe venduto cara la pelle.
“Aspetta.” Lo interruppe poi la voce di Sephiroth: “Hanno appena fatto il cambio delle guardie, lo farà uno di loro.” Disse. Dopo pochi secondi la mano minacciosa si spostò mentre, assieme al suo proprietario, se ne andava. Emisero un sospiro di sollievo.
“Hanno già fatto il cambio delle guardie?” chiese Axel, agitato. “A quanto abbiamo sentito sembra di sì.” rispose Saïx.
“Ma noi dovevamo confonderci tra loro, adesso cosa facciamo?” chiese ancora una volta Axel. Nessuno rispose. Non avevano calcolato imprevisti nel piano, e questo li metteva in difficoltà.
Ad un certo punto, la porta si aprì, e i sei sobbalzarono, per poi vedere comparire sull’uscio la chioma rossa di Kairi, mentre si rifugiava, trafelata, dentro la stanza, seguita dagli altri.
“Cos’è successo?” chiese Xigbar. “Te lo racconto dopo…” rispose lei, mentre si affacciava al corridoio delle celle. “Hanno già fatto il cambio!” esclamò poi, nervosa. La sua voce era diventata più acuta per l’ansia: “Cosa facciamo?” squittì.
“Forse ho un’idea.” Disse Zexion, guardando una delle guardie che ronfava seduto su una sedia. Neanche era entrato in servizio che già dormiva. “Xigbar, riesci a trasportarmi al posto di quell’uomo mentre lo porti qui?” chiese. Il numero II annuì.
Prese Zexion per le ascelle e sparì, trasportandosi esattamente sopra la guardia pigrona. Lo fece dondolare un paio di volte, finché il numero VI non si lanciò addosso al soldato, facendolo svenire. Dopodiché, grazie al potere delle illusioni, prese le sue sembianze, rimettendosi a dormire. In questo modo nessuno si sarebbe accorto della differenza, e nessuno di estraneo avrebbe scoperto i compagni.
Dopodiché il numero VI diede il via libera.
Tutti quanti entrarono nel corridoio delle celle, cercando quella di Riku. Larxene, Xigbar, Xemnas, Saïx, Axel e Marluxia si gettarono invece sulle guardie che stavano girando l’angolo, e, sempre coperti dal cappuccio, cominciarono a combattere.
Xaldin, seguito da Lexaeus, stava cercando la cella di Riku. Vedeva Ariel, Mulan, Pinocchio… ma nessuno che somigliasse all’albino. Poi, ad un certo punto, scorse un braccio magrolino che fuoriusciva dalle sbarre, come se gli stesse facendo un segnale. Si diresse velocemente verso la cella del braccio, ignorando tutte le suppliche e i lamenti degli altri prigionieri.
Jack stava segnalando all’uomo vestito di nero di venire nella loro cella. Gliel’aveva detto Riku, che, dato aveva ancora il braccio sanguinante ed era ancora piuttosto debole, non riusciva ad alzarsi.
I suoi occhi color acquamarina brillarono, quando vide la figura possente dal soprabito nero oscurare la luce che traspariva dalle sbarre. Un lieve sorriso gli incrinò le labbra. Era contento perché finalmente qualcuno l’avrebbe liberato.
Lexaeus cominciò a menare fendenti contro la serratura, una volta estratto il suo tomawhk *, e lo stesso fece Xaldin con le sue lance. Ma, niente da fare, la serratura non cedeva.
Saïx si accorse, guardando con la coda dell’occhio, che Xaldin e Lexaeus avevano trovato la cella di Riku e stavano provando a liberarli.
Stavano procedendo bene, nonostante il ritardo con le guardie erano riusciti a cavarsela, grazie al cielo. Una volta liberato Riku, avrebbero potuto uccidere Sora e i suoi compagni. Non vedeva l’ora di assaporare la sua vendetta. Mentre pensava a ciò, con un colpo di claymore aveva già mandato all’altro mondo la quinta guardia. Non dovevano rimanere testimoni.
“Smettila di saltare e combatti da uomo!” esclamò una guardia, frustrata, mentre Larxene, con un salto, schivava uno dei suoi fendenti. Inutile dire che si sentì punta nell’orgoglio, essendo stata invitata a combattere da uomo. Tirò un kunai accuratamente mirato, e colpì alla gola la guardia, levandogli la vita. “Sono una donna, idiota.” Brontolò, pestandogli il naso con la punta dello stivale.
Naminé schivò ancora una volta un fendente di spada, per poi colpire il suo nemico con il Keyblade allo stomaco, aprendo una ferita profonda e sanguinante. Poi fece per dirigersi verso la serratura ma, dato che non era ancora una guerriera esperta, nonostante le sue doti particolari, non si accorse dell’uomo dietro di lei, che la inchiodò al muro con la spada: “Le bambine non dovrebbero giocare al soldato.” Le soffiò nell’orecchio, con il suo alito pestilenziale. Non fece nemmeno in tempo a rispondere che una falce sgozzò il suo avversario, mentre nella sua visuale entrava Marluxia, con il suo solito sorriso furbo: “Non gli do torto.” Decretò posando lo sguardo sulla mano bianca di Naminé che stringeva il Keyblade: “Fatti da parte.” Ringhiò invece la bionda, spostandolo con un colpo di Keyblade sul fianco e andando a mietere la vita della guardia che stava di lì a qualche metro.
Xemnas e Luxord evitarono per la terza volta uno dei proiettili di Xigbar che, per evitare errori, aveva deciso di sparare su tutto e su tutti. Almeno stava facendo questo finché un proiettile viola inchiodò la manica del numero X al muro. Luxord trasformò il numero II in carta e proseguì il suo combattimento.
Axel e Demyx, invece, stavano combattendo l’uno accanto all’altro, anche se non si accorgevano che l’uno spegneva il fuoco dell’altro e l’altro faceva evaporare l’acqua dell’uno. Ma, tra i due, quello più in difficoltà era chiaramente il numero IX. Mandava schizzi d’acqua ovunque, senza curarsi di infradiciare anche i suoi alleati, e sembrava fare sforzi immani per non cadere.
Vexen fu costretto a ghiacciare un po’ dell’acqua che Demyx stava usando per allagare il corridoio, ma la cosa riuscì a passare a suo vantaggio, perché usò le lastre di ghiaccio sul pavimento per muoversi più velocemente, come se stesse pattinando, e così riuscì a mettere al tappeto tre guardie.
Quando, con l’ultima fiammata, tutte le guardie furono uccise, i Nessuno decisero di dare man forte a chi cercava di rompere la serratura della cella di Riku.
Alla, fine, con uno scatto metallico di qualcosa che si rompe, la porta ormai malmessa della cella cadde al suolo, fracassandosi in mille sbarre di ferro deformato.
“Bene, prendete Riku e andiamocene.” Ordinò Xemnas, che però fu contraddetto da Jack: “Scusate messeri, ma aprite la porta della nostra cella e non ci fate uscire?” chiese, imbronciato. Riku rifletté. Se scappava solo lui di sicuro Sora avrebbe costretto Cloud e Jack a dire la verità sul come era riuscito a uscire: “Prendete anche loro.” Disse, infine.
In pochi secondi i tre furono presi in braccio e riuscirono a passare dalla prigionia alla libertà, anche se il marchio che avevano sul collo, durante il passaggio oltre la porta, aveva cominciato a bruciare.
Jack, non appena fu messo giù, fissò lo sguardo su una figura più o meno robusta, che sembrava parlare con un accento strascicato. “Ci rivediamo Jack Sparrow.” Salutò quello, abbozzando un inchino. Il pirata avrebbe scommesso la sua ormai morta Perla Nera che dietro quel cappuccio si celava il ghigno strafottente di Luxord. “Capitan Jack Sparrow.” Precisò con un ringhio.
“Bene, ora, se vogliamo andare noi dovrem-” provò a dire Vexen, ricordando la promessa fatta da Kairi e Naminé, ma fu interrotto da una voce gracchiante che si levava da una cella: “ALLARME, ALLARME! GUARDIE! I PRIGIONIERI SCAPPANO!!!”

 

Camera da letto di Re Topolino, 22.30
 

 Il bussare insistente aveva svegliato il regale dormiente, facendolo rizzare a sedere, innervosito e soprattutto irritato. “Chi è?” chiese, con voce autoritaria, ma non fece in tempo a dire altro che Sora si precipitò nella sua stanza: “Maestà! Ci sono degli intrusi nelle prigioni. Sembrano in quattordici.” Disse, preoccupato.
Al suono del ‘quattordici’ le tonde orecchie di Topolino si fecero più attente e preoccupate. “Attivate tutti gli scudi. Non deve uscire nessuno.” Ordinò, e Sora, seppur stupito, fu costretto ad ubbidire.

 

Prigioni del Castello, ore 22.31
 

Tutti i presenti ancora in vita si girarono immediatamente nella direzione della voce, ma solo Jack riuscì a riconoscerla: “Barbossa, dannato cane! Perché gridi?!” strillò, decisamente irritato, ma quello sibilò: “Se non esco io non esce nessuno.”
Dannato egoista! Pensò Xemnas, ma non fu capace di formulare il suo pensiero in una forma ben più offensiva a parole che Riku lo interruppe, più agitato di Kairi: “Presto, dobbiamo uscire, prima che att-” ma fu interrotto anche lui, stavolta dal suono assordante di una sirena. Sembrava quasi un allarme. Intanto una luce rossa sembrava lampeggiare nelle prigioni, come per magia.
“Scappate!” gridò Riku: “Torniamo alla sala della Prima Pietra, presto!” sembrava parecchio nervoso. Ma non fu necessario dirlo, perché l’Organizzazione XIII, Jack, Cloud, Kairi e Naminé se la stavano già dando a gambe. Non abbastanza in fretta, però.
“Più veloce!” gridò ancora una volta. Se fossero stati catturati sarebbero morti tutti. Perché quando si attivava anche un solo scudo, gli avevano spiegato, ogni accesso e ogni uscita veniva bloccata a tempo indeterminato. Al suo incitare, Cloud si librò in volo con la sua ala nera, portando in braccio Kairi e Larxene, anche se quest’ultima non sembrava molto entusiasta. La porta della prigione si stava bloccando con delle sbarre, che si stavano abbassando sempre di più.
Per Riku sembrò un miracolo quando Axel uscì in scivolata da sotto le sbarre, ma la sua espressione sollevata si trasformò in terrificata quando si accorse che Xigbar e Zexion erano rimasti chiusi dentro.
Tutti si fermarono a guardarli, ma Xigbar si teletraportò davanti al gruppo, prendendo Zexion per un braccio e trascinandolo con sé, borbottando: “Questa si chiama non fiducia delle mie capacità!” protestò, ma fu zittito dalla voce affannata per la corsa del numero VI: “Taci e corri.”
“Ehi!” protestò però Vexen: “E i nostri cuori?”chiese, preoccupato: “Non c’è tempo, se perdiamo anche solo un minuto ancora rimarremo bloccati qui per sempre!” Rispose Riku, mentre incitava ancora una volta i suoi compagni. Cloud fu uno dei primi ad arrivare, grazie alla sua ala nera, e posò Kairi e Larxene per terra, mentre Naminé e Xigbar entravano trafelati nella stanza, dopo aver aperto totalmente il passaggio nella sala del trono.
In un altro momento Larxene avrebbe fatto notare a Cloud che detestava essere portata in braccio, ma pensò piuttosto ad aprire un varco oscuro dentro la porta magica, per far si che riuscissero ad arrivare direttamente alla casa abbandonata.
Intanto l’allarme si era fatto più insistente, e la luce rossa lampeggiava anche dove si trovavano i Nessuno. Demyx provò a fare il primo passo verso la salvezza, ma una scossa molto violenta di terremoto li buttò tutti a terra.
“Presto!” gemette Kairi, rialzandosi e appoggiandosi ad Axel, che si stava rimettendo in piedi a sua volta. Ben presto tutti quanti, bene o male, riuscirono a passare.
Fu un passaggio un po’ strano: dall’assordante sirena rossa al silenzio più totale.
I Nessuno e i loro compagni si accasciarono al suolo, uno più stanco dell’altro.
“Phiew.” Sospirò di sollievo Riku, buttandosi con malagrazia su una sedia, facendo una smorfia per il taglio sul collo. Stava sanguinando da quando aveva oltrepassato la soglia della cella. Come se non avesse anche un braccio sanguinante a cui pensare.
 
* pronunciate tomauàk 










e rieccomi quiii ^^ bene, devo dire che sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo XD, ma i commenti li lascio a chi legge.
bon, credo di aver risposto  a tutte le recensioni con il nuovo metodo di efp, e spero di essere stata chiara.. se non avete capito basta chiedere^^

bene bene... Riku, Cloud e Jack sono liberi... ma perchè l'Orghi non si è presa i cuori? eh eh :D

spero vi piaccia.
sayonara


Larchy

  
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