CAPITOLO PRIMO: PRIGIONI.
Flare odiava le segrete del
castello. Cercava di evitare il più possibile quei luoghi tetri, quei luoghi
che trasudavano violenza e morte al solo posarvi lo sguardo. Aveva chiesto più
volte a Ilda di chiuderle o di destinarle ad un uso diverso, per impiegare
quelle fredde stanze come magazzini ove stivare la carne e gli altri beni
alimentari di cui d’inverno la cittadella avrebbe avuto bisogno.
Ma Ilda si era sempre rifiutata, preferendo
mantenerle in funzione, in onore ai loro antenati e alle guerre che avevano
combattuto, rischiando la vita contro gli invasori, senza temere sorte alcuna,
di prigionia o di morte che fosse. Inoltre, come dimostrato dal breve soggiorno
di Cristal il Cigno, agli albori della Guerra
dell’Anello, potevano comunque tornare utili, per ospitare aggressori da cui
Asgard avrebbe dovuto difendersi. Proprio come era accaduto anni addietro,
durante il conflitto scoppiato tra il regno e la cittadina di Iisung.
In quelle stesse segrete, che avevano visto patire e
morire coloro che avevano ardito sfidare la roccaforte degli Dei nordici, erano
stati imprigionati la Celebrante di Odino e sua sorella, assieme a due
servitori, Enji e Fiador.
Quest’ultimo, un ragazzo di diciotto anni scarsi, figlio del Conte Turin, alleato di vecchia data e fedele sostenitore del
casato di Polaris fino all’inspiegabile ribellione
messa in atto pochi mesi prima, giaceva rannicchiato in un angolo, tremando dal
freddo e dalla paura.
“Avresti potuto restarne fuori!” –Commentò Enji, riferendosi al tentativo fallito di liberare Ilda
messo in atto dal ragazzo assieme ad alcune guardie, mentre Loki
conduceva i tre prigionieri nelle segrete. Ma era bastato uno sguardo al Dio
del Nord per appiattire tutti loro contro il muro, invasi da un gelo mai
provato prima, lo stesso che adesso permeava l’intero stanzone.
“Non sarei riuscito a guardarmi di nuovo allo
specchio!” –Si limitò a rispondere il ragazzo dai riccioli scuri, reprimendo a
stento un singhiozzo. –“Già una volta sono stato troppo cieco da non vedere il
turbamento nell’animo di mio padre! Non avrei potuto rimanere inerme una
seconda volta!”
“Le tue parole ti fanno onore, giovane Fiador, ma purtroppo non ci aiutano ad uscire da questa
situazione, a dir poco, agghiacciante!” –Sospirò Enji,
prima di spostare lo sguardo sulla Regina di Midgard,
rimasta silenziosa per tutto il tempo, fin da quando Loki,
nel Salone del Fuoco, aveva piegato la sua debole resistenza, facendone una
serva obbediente. All’apparenza.
“Sorella mia… parlami!”
–Esclamò Flare, con voce strozzata dalle lacrime,
chinandosi sulla Celebrante di Odino e prendendole le mani tra le proprie. Ma
Ilda si ritrasse di scatto, scansando lo sguardo della sorella e limitandosi a
rimanere in silenzio, assorta in pensieri che Flare
non riusciva a decifrare.
La ragazza dai capelli biondi sospirò, vittima
dell’incomprensione che stava scendendo su di loro, e non poté fare a meno di
ricordare i tristi giorni della Guerra dell’Anello, quando la sorella al cui
fianco era cresciuta, e che tanto aveva ammirato per la sua saggezza e la sua
regalità, era improvvisamente cambiata, diventando un’estranea. Qualcosa di
simile a quel che Flare riteneva stesse accadendo
adesso, sia pur consapevole che Ilda fosse libera dall’influsso dell’Anello del
Nibelungo e stesse probabilmente dirigendo i suoi pensieri altrove. Sebbene la
ragazza non riuscisse a capire dove.
***
“Prega, sì! Prega pure, Ilda di Polaris!
Nient’altro ti resta nella tua sterile vita, solo un baluginare fioco di
preghiera! Ah ah ah!” –Rise soddisfatto Loki, sedendo in maniera scomposta sullo scranno che fu
della Regina di Midgard e osservando il suo volto
deformarsi nelle fiamme del braciere.
“Ridi da solo, mio Signore?!” –Esclamò una ruvida
voce d’improvviso, mentre un rumore di passi risuonò per il Salone del Fuoco.
–“Lascia che anch’io condivida la tua felicità, che, figlia della guerra, sarà
presto anche la mia!”
L’uomo appena entrato si fermò a pochi passi dal Dio
dell’Inganno, lasciando che le fiamme rischiarassero i riflessi scuri della sua
armatura. Coprente quasi interamente il suo robusto corpo, ma priva dell’elmo,
la corazza grigiastra aveva forme spigolose, con coprispalla
appuntiti, ed era ornata da un’ascia bipenne che il guerriero portava affissa
alla schiena, pronto ad impugnarla con un sol gesto.
“Ti sta bene quell’armatura!” –Commentò Loki con un sogghigno. –“Quasi quanto starebbe bene a me!
Ah ah ah!”
“Voglio chiederti scusa, per aver dubitato del tuo
piano! Ma proprio non credevo che vi fossero cinque armature custodite nelle
segrete della cittadella di Midgard! Mi chiedo a cosa
servissero, e da quanto non vengono indossate!” –Esclamò l’uomo, sfiorando la
fredda superficie del pettorale. –“Come facevi a saperlo?”
“Il mio rango di divinità significherà qualcosa, non
credi, Erik? Non solo nel trasformismo è abile Loki,
e presto Odino e gli altri Asi se ne renderanno
conto!” –Rise il Dio, prima di alzarsi in piedi e torreggiare sul suo fedele
servitore, che parve ricordare in quel momento chi aveva di fronte, accennando
un inchino piuttosto goffo. –“Tira su la schiena e spalanca le orecchie, perché
parlerò una volta sola! Mi si ghiaccia la gola ad aprir troppo la bocca! Questi
salamelecchi si addicono a viscidi alleati che tramano nell’ombra, non a
guerrieri dalle ampie spalle e dal portamento fiero, pronti a scendere in
battaglia per il loro Signore! E tu, tra tutti, sei il migliore!”
Erik annuì, senz’aggiungere altro, confortato dalle
parole del Dio dell’Inganno, al cui fianco da anni tramava in attesa del giorno
del cambiamento. Del giorno che adesso stava per sorgere.
“Situazione!”
“Tutto è pronto, mio Signore! Midgard,
priva dei sette Cavalieri del Nord, è caduta nelle nostre mani! Per quanto ben
addestrati a fronteggiare un assedio, i soldati della cittadella sono stati
sopraffatti dalla sproporzione numerica e, impossibilitati a fronteggiare
nemici dotati di cosmo, sono subito capitolati! La speme di quei pochi che
hanno avuto l’ardire di lottare a oltranza si è spenta alla notizia della
prigionia della loro regina!” –Spiegò Erik, con maliarda soddisfazione. –“I
lupi di Járnviðr, guidati da Skoll e Hati, scorazzano liberi
per le strade, sbranando chiunque tenti di sbarrare loro il passo, mentre i
Soldati di Brina controllano ogni accesso alla fortezza e Managarmr,
Drepa e Bjuga stanno radunando le truppe
nel piazzale retrostante, di fronte alla vigile statua di Odino!”
“Ah ah ah! Lasciatelo guardare, il guercio! Presto
perderà anche l’ultimo occhio!” –Rise Loki,
sfregandosi le mani soddisfatto. –“Che ne è dei nostri alleati? Sono pronti
come dovrebbero essere?!”
“Nel Niflheimr faranno il loro dovere e gli Hrimthursar
ben presto marceranno su Asgard! A Muspellheimr la
situazione invece è, se così si può dire, più incandescente! I fratelli di Surtr non sono certo tipi con cui si possa intavolare una
discussione civile e molti Giganti di Fuoco sono fedeli a Odino, ma sapremo
convincerli a stare dalla parte giusta!” –Sibilò Erik, con gli occhi intrisi di
fiamme. –“La nostra!”
“Voglio ben sperarvi! Il loro ruolo è fondamentale!
Rappresentano un terzo dell’esercito del Valhalla!
Perso quello, al vecchio guercio resteranno solo gli Einherjar
e gli Asi suoi compagni, perlomeno coloro che
vorranno sporcarsi le mani! Di sicuro non i Vani, che non si scomoderanno per i
loro antichi rivali!” –Commentò Loki. –“Poveri
sciocchi! Queste contese divine ci hanno sempre favorito e ci favoriranno anche
in quest’occasione!”
“Che ne è della Regina di Midgard?
La sua testa è già pronta per ornare la sala della tua nuova reggia?!”
“Non ancora!” –Sibilò Loki,
suscitando un’immediata reazione da parte di Erik, che lo squadrò sorpreso, a
tratti indignato, alzando il tono della voce.
“Come?! La voglio morta!!! Me lo avevi promesso!”
“E morirà! Ma non adesso che mi è ancora utile!”
“Capisco!” –Mormorò Erik, cercando di ricomporsi.
–“Anzi no, in realtà! Ma hai la mia fiducia, Signore dell’Ambiguità, anche se
vorrei che almeno con me tu fossi chiaro! Ricordati che la mia ascia è sempre
pronta per recidere la sua testa, e se proverai una qualche remora, allora
aprirò io le porte di Hel per la discendente del
massacratore!”
“Nutri un forte rancore nei suoi confronti!” –Commentò Loki, che ben conosceva i motivi di tale astio, e per questo amava stuzzicare il guerriero al riguardo.
“Nei confronti suoi e della sua dinastia! Fu suo
padre, diciotto anni fa, a ordinare lo sterminio della mia famiglia ad Iisung! Non l’ho dimenticato anche se ero solo un dodicenne
agli inizi della pubertà!” –Ringhiò Erik, sfiorando la cicatrice che gli
tagliava l’occhio destro a metà e rivedendo nella mente immagini ben note.
Immagini di quella notte in cui la sua cittadina fu messa a ferro e fuoco dai
soldati inviati da Midgard, guidati da un uomo la cui
forza era stata tale da sovrastare persino quella di suo fratello, da lui
considerato invincibile. Fino a quel giorno.
“Avrai la tua vendetta, questo è certo! Te lo
promisi quel giorno, portandoti via dalle macerie e te lo confermo quest’oggi!
E il Buffone Divino ha una sola parola, per quanto di facce invece…
ne abbia diverse! Ah ah ah!” –Esclamò Loki, e la sua risata risuonò per tutto il castello,
invadendo sale e corridoi, in cui lupi feroci controllavano a vista i servitori
rimasti in vita, e raggiungendo le segrete, ove andò a sommarsi al gelo di cui
erano intrise, divenendo un coltello dalla lama così affilata da scuotere i
prigionieri nelle ossa.
“Aaah!!! Fateci uscire!
Liberateci!!!” –Gridò Fiador, alzandosi di scatto e
lanciandosi verso la porta. Ma venne trattenuto dalle catene che lo bloccavano
alle caviglie e ricadde a terra, sbattendo il viso sul suolo costellato di
ghiaccio.
“Calmati, Fiador!”
–Esclamò Flare. –“Siamo tutti inquieti ma lasciarci
dominare dalla disperazione non ci aiuterà! Servirà solo a peggiorare questi
momenti!”
“E come potrebbero essere peggiori?! Incatenati
nelle segrete, condannati a morire di fame, di sete e di freddo! Sempre che a
quel pazzo dalle orecchie a punta non venga in mente di tagliarci la testa!”
“Il suo nome è Loki, della
stirpe dei Giganti di Brina, e il suo potere rivaleggia con Odino, con cui nel
Mondo Antico strinse un patto di sangue, legando il proprio destino a quello
del Signore degli Asi!” –Parlò Ilda per la prima
volta, spostando lo sguardo su Fiador, a cui sembrò
di essere trafitto da mille aghi di ghiaccio. –“In quanto a chiamarlo pazzo, ci
andrei cauta con le parole, poiché il Calunniatore degli Asi
è stato definito con vari appellativi, ma mai riferendosi alla sua pazzia,
peraltro inesistente, bensì alla scaltrezza che lo contraddistingue!”
“A sentirvi parlare, mia Signora, si direbbe quasi
che lo ammiriate…” –Sbuffò Fiador,
scocciato, prima di rincantucciarsi alla bell’e meglio per ripararsi dal gelo,
sotto lo sguardo pieno di disapprovazione di Enji per
il tono con cui aveva parlato.
“In un certo senso…”
–Rifletté Ilda. –“Poiché il destino di Asgard è anche il suo! Egli è la chiave
di volta, e qualunque sorte attenda il regno degli Asi
attenderà anche Loki! Fuoco e distruzione, morte e
rinascita!”
“Le tue parole sono oscure, sorella!” –Commentò Flare, stringendosi a Ilda, prima che un rumore di passi
fuori dalla cella distraesse gli occupanti.
La porta si spalancò all’istante, lasciando entrare
un’alta figura rivestita da un mantello di piume di falco, seguita da un
plotone di guardie armate.
“Siete pronta per il vostro ultimo viaggio?!”
–Esclamò Loki, con un sorriso divertito.
“Lascia stare mia sorella! Non ti permetterò di
farle del male!” –Gridò Flare, credendo si rivolgesse
a Ilda e gettandosi contro di lui. Ma la catena che la imprigionava mozzò a metà
la sua corsa, facendola cadere goffamente in avanti, proprio tra le braccia del
Signore dell’Inganno.
“Quale onore! So bene di essere irresistibile ma non
avevo mai incontrato una donna che mi si gettava letteralmente tra le braccia!”
–Rise questi, aiutando Flare a rialzarsi.
“Cosa vuoi, Loki?” –La
voce di Ilda risuonò imperiosa, attirando gli sguardi di tutti i presenti.
–“Parla e poi vattene!”
Pur nella disagevole situazione in cui si trovava,
indebolita e tremante, priva del suo scettro e del controllo sulla sua
cittadina, la Regina di Midgard conservava tutta la
maestosità che il suo ruolo le imponeva.
Non ha sbagliato quel giorno Odino a nominarla sua
Celebrante!
Commentò il Dio dell’Inganno, osservandola affascinato e inebriato dalla sua
segreta potenza. La stessa che anch’egli sentiva albergare dentro di sé.
“Ho già quel che voglio! Le chiavi del regno!”
–Sibilò infine Loki, stringendo il polso di Flare in una ferrea stretta e facendo voltare la ragazza,
che lo fissò impaurita e confusa, mentre il Dio le si avvicinava,
solleticandole il collo con l’indice destro, fino a scendere e aprirle
leggermente la camicetta che portava sotto lo scialle.
“Flare!!!” –Gridò Ilda, facendosi avanti ed espandendo per la prima volta il cosmo.
“Al tuo posto!” –Si limitò ad esclamare Loki, schiacciandola al muro, stritolata da scariche di
energia azzurra, che le rigarono il corpo, strappandole le vesti e ustionandole
la pelle. Anche Enji e Fiador
fecero per muoversi, per quanto limitati fossero i loro movimenti, ma bastò che
le guardie abbassassero le lance, puntandole contro di loro, per farli
desistere da ogni impresa. –“Il tuo ruolo in questa guerra è lungi da venire,
Ilda di Polaris! Non costringermi, con i tuoi gesti
avventati e per nulla utili, a cancellare la tua parte!”
“Credi di poterlo controllare, Loki?”
–Sibilò la Celebrante di Odino, affannando nel rimettersi in piedi. –“Credi di
essere davvero il direttore di questo dramma? Sei un illuso, e te ne accorgerai
presto! Il potere che vuoi scatenare è troppo grande per chiunque, persino per
un figlio della stirpe degli Jötnar!”
“Dovrei ringraziarti per
la tua premura, Regina di un regno che volge al crepuscolo? Ah ah, lo farò!
Tratterò bene tua sorella, se questo ti preme, fintantoché lei sarà gentile con
me!” –Rise Loki, prima di volgerle le spalle e
incamminarsi verso l’uscita, portando Flare con sé.
–“Perdonami se sono malfidato, ma al posto tuo sarei il primo a tentare qualche
stratagemma!” –Aggiunse, fermo sulla soglia, muovendo con destrezza le dita
della mano destra, ricamando in aria un segno stilizzato. –“In questo modo ti
sarà più difficile uscire!”
Ilda la riconobbe subito,
nella sua semplicità, una linea verticale.
Isa, o Iss, la runa di ghiaccio.
E capì che da quella prigione per il momento non
sarebbero usciti.
Anche Enji ne comprese il
significato e si affrettò a spiegarlo a Fiador, che
lo fissava sconsolato, mentre Loki si allontanava,
lasciandoli soli.
“Isa è la runa del ghiaccio, esprime conservazione e
isolamento, simboleggiando la staticità e la conservazione delle cose, nel loro
stato presente e invariabile!”
“In altre parole… siamo
murati dentro!” –Esclamò Fiador, senza nascondere il
terrore.
Enji non rispose, limitandosi a
rimettersi a sedere, come già aveva fatto Ilda di fronte a lui, immersa nei
suoi pensieri.
Potrei
sciogliere l’incantesimo che sta dietro Iss! Mia
madre, fin da bambina, mi avvicinò alla conoscenza delle rune e del loro
significato, molto più che simbolico! Ma una runa divina, da Loki intessuta, potrebbe rivelarsi difficile da sbrogliare!
E se lo facessi, sarei molto debole e i miei poteri potrebbero non bastare per…
Sospirò, ripensando alla promessa che Loki le aveva fatto, sul modo in cui avrebbe trattato sua
sorella. Avrebbe davvero voluto crederci, per il bene di Flare,
ma sapeva che sarebbe stata soltanto una sciocca, un’ingenua, a riporre fede
nel Buffone Divino.
***
Nel Niflheimr, il regno
dei morti, cadeva una fitta neve scura, che difficilmente riusciva ad aderire
al terreno, sferzato com’era da forti e gelidi venti che rendevano la
visibilità minima. Eppure, chi da tempo viveva in quelle lande buie e terribili
era comunque in grado di orientarsi nel deserto di ghiaccio, superando la Porta
di Hel, e il suo gallo guardiano, e dirigendosi verso
il cuore del regno, a Eliudhnir, l’antica Helgaror, la Casa delle Nebbie.
La tozza sagoma del palazzo, freddo di nevischio,
pareva mescolarsi con le nebbie perenni che lo avvolgevano, rendendo
difficoltoso persino trovarne l’entrata, in quel confuso ammassarsi di blocchi
di ghiaccio accatastati, o crollati l’uno sull’altro. Ma Ganglati,
il pigro, e Ganglot, la sciatta, quel giorno avevano
acceso due torce, posizionandole ai lati dell’ingresso. Un segnale per
permettere ai due uomini che stavano aspettando di non perdere tempo a girare a
vuoto attorno alla fortezza.
“Pare che quei due sgorbi abbiano una qualche
utilità!” –Esclamò una squillante voce maschile, camminando a passo deciso
nella tormenta, diretto verso l’arco di ingresso. –“Dovremo aspettare ancora prima
di darli in pasto alle serpi di Nastrond!”
“Non disprezzare i servitori della Regina di Hel! Servono la nostra stessa causa!” –Commentò una voce
più adulta, al suo fianco. –“Inoltre, è stato grazie a loro, che ti trovarono
per caso dopo che fosti sconfitto, che ho potuto salvarti quel giorno, o mi
sarei perso in quel dedalo di corridoi e tu saresti morto, sepolto dal gelo
nero che già ti stava ricoprendo!”
“Devi continuamente puntualizzare?!” –Brontolò
l’altro, giungendo infine a Fallandaforad, la soglia d’ingresso di Eliudhnir,
sotto le torce che illuminavano i loro visi maschili e le corazze dalle forme
tetre che avevano indosso.
“Ci tengo a ricordarti a chi devi la tua presenza
qui, quest’oggi, nel nuovo mondo che stiamo per far sorgere! E a chi devi
obbedienza, Megrez! A tuo padre!” –Aggiunse il
secondo uomo, varcando la soglia, seguito poi dal figlio, che non gli risparmiò
un’occhiata di sbieco.
Ganglot li stava aspettando, con
una lanterna in mano, in quello che un tempo era stato l’atrio della reggia,
ormai un vuoto stanzone dove la nebbia si era insinuata così in profondità da
ostacolare persino la respirazione. Dopo che Hel era
stata sconfitta e imprigionata da Odino, nel breve conflitto scaturito in
seguito alla cattura di Balder, pareva che l’intero Eliudhnir si fosse congelato con lei, perlomeno quel che
era rimasto dopo la distruzione chiesta dal Principe Freyr,
deciso a eliminare qualsivoglia nefasta creazione si celasse nei suoi anfratti.
“Bentrovati, oriundi
portatori di gelo!” –Tossì la rachitica voce della servitrice di Hel. –“Spero che abbiate fatto un cattivo viaggio dalla
spiaggia a qua! Cattivo sì, ih ih, proprio come me!”
“Abbastanza da indurci a trattenerci solo il
necessario per l’operazione, Ganglot! Perciò, se vuoi
fare strada…” –Esclamò il padre di Megrez, con un tono che non ammetteva repliche.
Ganglot tirò su con il naso,
sghignazzando tra sé, prima di volgere loro la schiena ingobbita e procedere
nell’interno del palazzo. Megrez la fissò per qualche
secondo, trovandola repellente, per l’aspetto da megera, per le vesti di
stracci che le coprivano il sudicio corpo, odoroso di morte e di miseria, per
le mani ossute dalle unghie nere che stringevano tremolanti la lanterna.
L’avrebbe uccisa subito, con un solo colpo di spada, non fosse stato per
l’utilità che poteva avere, assieme a quel derelitto di suo fratello, nel
guidarli per Eliudhnir.
Bofonchiò tra sé, prima di seguirli, giusto in tempo
per non perdere la luce della lanterna, che già stava venendo inghiottita dalle
tenebrose nebbie di Hel. Percorsero in silenzio i
corridoi del palazzo, passando dietro muri abbattuti e passaggi seminascosti,
scendendo di livello in livello, fino a giungere alle segrete, non molto
distante dalla stanza dove Megrez era stato sconfitto
da Cristal il Cigno.
Il ragazzo ringhiò, stringendo i pugni con rabbia,
al ricordo di quell’umiliazione che non gli dava pace, e di quel che aveva
dovuto subire in seguito, venendo salvato da suo padre, e trovandosi quindi in
debito con lui.
Vorrei essere
morto là dentro, così da non dover sottostare alla sua autorità! Sibilò, tirando
un’occhiata alla sua destra e riconoscendo lo stanzone, dal soffitto ormai
crollato, dove Hel aveva rinchiuso i Cavalieri d’Oro
di Atene.
Il padre parve comprendere i suoi pensieri e lo
apostrofò bruscamente.
“Come certo ricorderai, siamo quasi arrivati!” –E
non nascose un ghigno di perfida soddisfazione, mentre Ganglot
sollevava la lanterna, socchiudendo i suoi piccoli occhi giallognoli, per
prendere la diramazione giusta e condurre i due Megrez
alla fine del percorso.
Un’ampia corte interna, da cui un tempo si poteva
accedere anche da fuori, prima che il terreno venisse smosso e tonnellate di
neve e ghiaccio ne ricoprissero una parte, nascondendo ulteriormente la tomba
della padrona del regno.
Ganglati li attendeva proprio là,
con una lucerna in una mano e l’altra impegnata a scavarsi nel naso. Letame a cui è stata data una parvenza di
forma umana, così Megrez etichettò entrambi i
servitori della Regina di Hel, colei che aveva dato
il nome al regno su cui Odino le aveva concesso l’autorità, confinandocela per
sempre.
Colei che riposava, da un paio di mesi, all’interno
di strati di ghiaccio, dopo che i poteri congiunti di Cristal
il Cigno, Odino e Freyr l’avevano sconfitta. Megrez avrebbe voluto liberarla quel giorno, quando suo
padre lo portò via da Eliudhnir, ma era troppo debole
per farlo, e c’erano ancora troppi Einherjar in giro
per Hel, lasciati dal Dio dell’Abbondanza e della
Fertilità a sorvegliare la zona.
Chissà se
erano gli stessi che abbiamo massacrato poc’anzi! Si disse il giovane che in
un’altra vita era stato il Cavaliere di Asgard della stella Delta Ursae Majoris, ancora ebbro del
sangue versato sul deserto di ghiaccio. Sogghignò, impugnando la spada infuocata
che Artax aveva creato tempo addietro, nella caverna
di lava, e liberando una fiamma che rischiarò l’intera corte.
Suo padre lo imitò all’istante, sebbene la spada che
portava con sé fosse una semplice, ma ben affilata, lama, e dopo un fugace
sguardo d’intesa col figlio si gettò contro la massa di ghiaccio, conficcandovi
l’arma e imprimendovi tutto il suo cosmo. Megrez
aveva già fatto altrettanto, sul lato opposto rispetto al corpo della Regina di
Hel, lasciando che le fiamme penetrassero dentro la
tomba di ghiaccio, liquefacendola in parte. Quel che bastava affinché il cosmo
di colei che vi era stata imprigionata potesse tornare ad alitare.
Ganglot e Ganglati,
rimasti a distanza di sicurezza, grugnirono soddisfatti nel vedere i due Megrez balzare indietro, armi ancora in mano, e una luce
biancastra sorgere dall’indistinta massa di fronte a loro, che esplose poco
dopo, obbligando i presenti a coprirsi gli occhi per non essere feriti dalle
schegge di ghiaccio.
Ne emerse una figura, orribile a vedersi, dal fisico
gracile, rivestita da una leggera tunica grigiastra che strascicava camminando,
coprendole i piedi scalzi e avvizziti. Il viso era deforme, diviso in una parte
umana, dai rosei tratti di donna, e in una cadaverica, simbolo del suo status
in perenne bilico tra vita e morte, tra rinascita e putrefazione.
“Bentornata tra noi, Hel,
figlia del divino Loki e della Gigantessa Angrbodhra e Regina del Niflheimr!” –Esclamò il padre di Megrez,
inginocchiandosi. Lo stesso fecero suo figlio e i due servitori, posando le
lucerne di fronte a loro, conferendo alla Dea, grazie alla luce proveniente dal
basso, un’immagine ancor più spettrale.
“Miei fidi…” –Sibilò Hel, accennando un sorriso, che a Megrez
parve più il ghigno di un teschio, tanto ingialliti erano i pochi denti che le
erano rimasti. –“La vostra fedeltà sarà ricompensata! Poco, è vero, ho dormito,
ma molto ho pensato! Siamo dunque pronti? È infine giunto il momento della
rivalsa attesa per millenni?”
“Così è!” –Commentò con voce fiera il padre di Megrez, alzandosi infine in piedi.
Hel ghignò soddisfatta, prima
di aprire le braccia e socchiudere gli occhi, caricando il suo corpo di
mortifero cosmo. Un turbine di gelo si sollevò all’istante, sferzando il
pavimento e spingendo indietro i quattro servitori, mentre i grigi capelli
della Dea parvero danzare, sibilando come serpenti. Nel palmo della sua mano
destra comparve la sua arma preferita, una scopa di saggina, con cui amava
seminare la morte. Nel palmo della sinistra comparve invece un vecchio coltello
spuntato, denominato Sultr, che la Dea fissò alla
cintura che le fermava la veste.
Quindi impugnò la scopa e la scosse, con un
movimento semicircolare, generando un’onda di energia che si abbatté sulla
parete di ghiaccio alla sua destra, crepandola in più
punti. Un secondo colpo a spazzare ed essa crollò del tutto, permettendo ai
freddi venti infernali di penetrare all’interno della cavità.
Hel rise a squarciagola,
lasciandosi inebriare da quelle correnti portatrici di gelo e morte, prima di
sollevarsi in aria e scivolare all’esterno, seguita da Megrez
e da suo padre, che, balzando agili tra i mucchi di ghiaccio crollati,
riuscirono a tenere il passo, giungendo proprio ove un tempo si ergevano le
alte mura perimetrali della Casa delle Nebbie.
“Mio padre?!” –Domandò allora la Regina di Hel.
“Sta arrivando!” –Rispose il padre di Megrez, accennando un sorriso soddisfatto per la loro
macchina organizzativa. Una sincronia perfetta. –“E non verrà solo!”
“Una riunione di famiglia?!” –Ironizzò Hel, abbandonandosi a una sonora sghignazzata. –“E sia! Da
molto non vedo i miei fratelli! Chissà se sono cresciuti…”
–E nel dir questo portò due dita alla bocca, soffiando ed emettendo un fischio
stridulo che risuonò per l’intero Niflheimr, fino ai margini estremi del deserto di ghiaccio.
Per qualche secondo non si udì rumore, soltanto
l’ululare impetuoso nel vento, ma poi a Megrez e a
suo padre parve di udire un abbaiare furioso farsi strada nel sepolcrale
silenzio delle nebbie, fino a farsi sempre più consistente, privo dei lacci che
lo avevano imprigionato fino ad allora.
“La mia cavalcatura!” –Sogghignò allora Hel, dando conferma ai sospetti che i due antichi Cavalieri
di Asgard nutrivano. –“Una regina non può certo andare in giro a piedi! Se ben
immagino il destriero su cui giungerà mio padre, non voglio essergli inferiore!
Igh igh igh!”
Megrez e suo padre sogghignarono
con lei, prima di discendere dall’altra parte di quel che restava delle mura di
Eliudhnir e avviarsi verso Nastrond,
ove avrebbero mostrato alla regina i frutti della loro demoniaca e operosa
attività.
Non si voltarono verso la Casa delle Nebbie,
sollevati forse di lasciarsela finalmente alle spalle, ma se anche lo avessero
fatto difficilmente avrebbero notato due corvi neri appollaiati sulla torre più
alta, intenti ad osservare gli eventi con attenzione.
Un attimo dopo, spalancarono le ali piumate,
librandosi in aria, senza risentire delle correnti turbinanti, e si diressero
verso i confini di Hel
Huginn e Muninn,
pensiero e memoria, dovevano portare in fretta a Odino le ultime notizie.