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Autore: YuXiaoLong    17/12/2010    3 recensioni
Capita di rado, ma le storie di due mondi possono intrecciarsi.
Yulannath dell'Accademia dei Due Draghi (salvo in casi formali, Yu) è un giovane bizzarro: sognatore, distante, distratto, irrilevante per i Terrestri, che lo conoscono con un altro nome. Ma egli è un Viaggiatore, capace di attraversare il Confine, la barriera che separa la Terra dall'Inframondo: il mondo gemello che alberga ogni sorta di creatura fantastica. Ma ben presto il suo destino lo porterà al di là di entrambi, fra rancori e ambizioni senza tempo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ars Arcana, Capitolo II

Il nano volante



Era quasi mezzanotte quando Yu, ormai stanco di fissare la mappa di Euphesia, chiuse il Compendium e decise che, tutto sommato, quello che gli ci voleva era un bagno caldo.

Non poteva usare il fuoco per scaldare l’acqua, ovviamente: il fumo avrebbe segnalato agli Euxeliani la sua presenza, se fossero stati nei paraggi, ma era sicuro che i collettori che aveva piazzato sul tetto avessero raccolto abbastanza energia durante il giorno.

Lentamente, si alzò dalla sedia, staccato il pesante e ampio mantello verde dal gancio vicino alla porta, uscì dalla sua stanza e si avviò su per l’angusta scala di pietra, verso il tetto della torre. Già nel corridoio l’aria era così fredda che subito gli si intirizzirono le dita; d’altra parte, non poteva usare gli incantesimi per isolare anche i corridoi e i passaggi: c’erano troppe aperture sull’esterno, troppi spifferi, avrebbe richiesto troppa energia, e lui preferiva risparmiare le forze, o non sarebbe riuscito ad attraversare il Confine, se fosse stato necessario.

Giunto in cima, cercò a tentoni il chiavistello della botola, lo aprì e, alzato l’ampio cappuccio, tirò giù una cigolante scala a pioli e si arrampicò nel sottotetto. L’improvvisato osservatorio che vi aveva allestito era immerso nel più totale silenzio, e mobili e telescopi, coperti con teli di iuta, sembravano silenziosi fantasmi alla luce della luna.

Rabbrividendo per il freddo, il mago aprì ad uno ad uno gli sportelli dei tre lucernai, dove aveva posizionato, in mezzo a specchietti che aiutassero a convogliare la luce, i collettori, tre cristalli di quarzo nero purissimi. Li guardò luccicare alla luce della luna e sorrise.

La maggior parte della gente lo considerava un mago stravagante che anziché occuparsi seriamente dei suoi studi passava il suo tempo baloccandosi con sassi scintillanti.

Yu sicuramente non era il mago più potente della regione, ma solo in pochi sapevano quanto fosse abile: aveva un’intelligenza vivace e una mente inquieta, alla perenne ricerca di nodi da sciogliere, di idee da esplorare. I suoi studi sull’impiego dei cristalli come catalizzatori di potere erano cominciati, in effetti, un po’ come un gioco: un estro, una possibilità da esplorare, un tipo di magia originale. L’Accademia non aveva molti studenti, anche prima dell’arrivo degli Euxeliani, perciò, pur essendo assistente personale della Rettrice aveva abbastanza tempo libero per approfondire i suoi interessi; inoltre, Lea trovava divertente lasciarlo fare i suoi esperimenti.

In poco tempo era diventato molto abile in quell’ambito dell’Ars Arcana, ed era competente quanto ci si poteva aspettare da un mago adulto anche in altri campi. Pur essendo, per natura, assai pigro (potendo, avrebbe dormito sedici ore al giorno), possedeva un vantaggio rispetto alla maggior parte dei maghi dell’Inframondo: veniva da un mondo diverso, che già era sufficiente a stuzzicare il suo intelletto, e pertanto era animato da una costante, infantile curiosità, una sorta di ingenuità e di perenne meraviglia che gli permettevano di vedere possibilità che ad altri sfuggivano, o lo spingevano ad usare la magia in modi a cui pochi pensavano.

L’idea dei collettori solari ne era un perfetto esempio: sulla Terra, l’energia solare non era certo un prodigio, ma aveva lo svantaggio di essere discontinua e di non poter essere immagazzinata. I cristalli erano, invece, perfetti per immagazzinare energia, ma Yu non era ancora riuscito a trovare il modo di fargli convertire l’energia che raccoglievano in energia di altro tipo: i collettori solari immagazzinavano lue e calore, e solo quelle potevano restituire. Erano perfetti per riscaldare l’acqua senza usare il fuoco e senza che lui dovesse usare le proprie energie, benché, in effetti, fosse difficile anche per lui pensare ad altri modi di usare i collettori solari.

Da quando gli Euxeliani erano arrivati e, soprattutto, da quando Lea era sparita, tuttavia, Yu aveva cominciato a porsi una domanda insolitamente cupa: poteva trovare un modo di usare la sua magia come arma?

Sapeva perfettamente che era proibito cercare nuovi modi di nuocere al prossimo, e che Lea certamente avrebbe disapprovato… ma aveva indagato in merito, e aveva scoperto che sì, un sistema esisteva. Dopo tutto, era piuttosto scontato: i cristalli, fra le altre cose, erano eccellenti ricettacoli di energia. Attraverso semplici esperimenti, Yu aveva scoperto che essi potevano diventare armi, se preparati nel modo giusto: caricandoli con una sufficiente forza, li si poteva usare per appiccare fuoco ad oggetti, proiettare fasci di luce bruciante e persino farli deflagrare; ma, ovviamente, non disponeva di una fonte di energia sufficiente per preparare un cristallo-bomba, benché le altre due opzioni fossero piuttosto semplici da attuare.

Sospirò, stringendo nel pugno i tre quarzi; anche con quelle piccole scoperte, non poteva certo sperare di cambiare le cose: erano solo giochi, trucchetti; poteva usarli per difendersi da un malintenzionato, o da qualche aggressore, ma non poteva certo sperare di avere la meglio su un intero plotone. E poi, se usati in quel modo, si ricordò, i cristalli si scaricavano in fretta.

Scosse la testa per scacciare quei pensieri tetri, richiuse i lucernai e tornò nella sua stanza per prendere il necessario per il bagno, vestiti puliti e uno dei cristalli luminosi. Poi, con le dita ancora indolenzite, si avviò verso il lavatoio: era una stanza nel seminterrato che aveva adattato a quello scopo quando si era trasferito nella torre. In passato era stata una lavanderia: c’era una pompa che prelevava acqua da una delle cisterne interrate della fortezza, e la versava in una grande vasca di pietra. Yu l’aveva ripulita, aveva tappato la maggior parte degli spifferi e vi aveva portato tutto il necessario per lavarsi (fra cui alcuni flaconi di sapone terrestre, benché Lea avesse sempre sconsigliato di trasportare oggetti da un mondo all’altro) e qualche elementare mobile.

Gettò vestiti e teli su uno sgabello, poggiò il cristallo su un angolo della vasca e cominciò ad armeggiare con la pompa. L’acqua era gelida, ma la stanza era relativamente calda: Yu aveva commesso solo una volta l’errore di provare a farci il bagno senza averla protetta con la magia dal freddo, e la settimana di febbrone che si era dovuto fare gli era bastata per imparare la lezione.

Quando la vasca fu piena, vi gettò dentro uno dei quarzi e con un dito tracciò un cerchio sulla superficie dell’acqua, rilasciando l’energia del cristallo, riscaldandola. Infine, dopo essersi tolto la divisa, scivolò nel tepore della vasca, e si concesse un po' di tempo per lavarsi con tutta calma.

L’acqua aveva da poco cominciato a raffreddarsi quando forte vento aveva preso ad ululare fra le mura del castello. Il mago sbuffò; il fracasso della tormenta gli avrebbe guastato il sonno.

Aveva appena cominciato a rivestirsi, quando un boato, seguito da un forte schianto, scosse mura della torre.

Dopo un istante di paralisi, dovuta allo stupore, finì di allacciarsi l’ampia toga in tutta fretta, infilò le scarpe e prima ancora di aver finito di allacciarsi il mantello era già sfrecciato su per le scale buie, talmente di fretta che dimenticò il suo cristallo-torcia sulla vasca.

Chiedendosi cosa mai potesse essersi schiantato contro la sua torre e quale creatura poteva essere così pazza da mettersi a volare in piena notte con un tempo simile, si fece strada di corsa fino all’ingresso. Spalancò il portone e il vento lo avvolse in un mulinello di fiocchi di neve. La pessima visibilità gli ricordò che sarebbe stato opportuno disporre di una fonte di luce, così, richiusa a fatica la porta, scese di nuovo nel sotterraneo a recuperarla; infine, maledicendo la propria sfortuna e stringendosi ben bene nel mantello, il mago uscì nella tormenta, tenendo il cristallo davanti a sé, come una lanterna; uscire di notte portandosi una luce come quella, normalmente avrebbe sicuramente rivelato la sua presenza ad eventuali vedette Euxeliane, ma con quel tempo, di certo non l’avrebbero avvistato.

Le morbide scarpe che indossava non erano adatte a camminare nella neve, e dopo meno di un minuto erano già inzuppate e le dita dei piedi gli dolevano. Non avendo tempo di andare a prendere i suoi stivali, Yu ignorò il fastidio e fece un giro attorno alla torre, circospetto. Il manto di neve era ancora intatto, quindi qualunque cosa avesse colpito la torre o se n’era andata, o era ancora lì appesa.

Quando vide una strana ombra allungata penzolare da un balcone del terzo piano gli sfuggì un grido di sorpresa, temendo che il vento avesse portato nel castello un qualche mostro sconosciuto.

La sagoma si stagliava scura contro la parete dell’edificio, dondolava e si torceva, sospinta dal vento capriccioso, mandando tonfi sordi ogni volta che la sua estremità inferiore sbatteva contro la pietra.

Realizzando di cosa si trattasse, Yu sgranò gli occhi: un pallone aerostatico!

“Cielo santissimo!” esclamò, battendo i denti, chiedendosi se il passeggero della piccola mongolfiera fosse sopravvissuto all’impatto.

Per qualche istante, rimase immobile, domandandosi da dove potesse provenire: doveva certamente essere uno straniero; nella regione non c’erano artigiani in grado di costruire palloni aerostatici, e la gente di Alborea difficilmente sarebbe mai salita su uno di quei cosi anche in pieno giorno.

Scosse il capo, scacciando le domande: non aveva tempo per indagare. Se a bordo del pallone c'era qualcuno, era ferito, e di certo non sarebbe sopravvissuto nella tormenta. Doveva prestare soccorso.

“Chiunque tu sia, resisti!” gridò, cercando di frenare il battito dei denti e di sovrastare il vento. “Sto arrivando a soccorrerti, cerca di muoverti il meno possibile!”

Tese l’orecchio, sperando di udire una risposta, ma l’unico suono che giunse dal pallone furono i gemiti soffocati del cordame.

Coi piedi ormai intorpiditi, Yu rientrò nella torre, si chiuse la porta alle spalle e salì al primo piano: la cesta, oscillando per il vento, passava piuttosto vicina ad una finestra: se riusciva ad ancorarla e tirarla a sé poteva tirare in salvo il passeggero.

Col cristallo sempre stretto fra le dita gelate, si infilò nel ripostiglio, afferrò il primo rotolo di fune che riuscì a trovare e infilò un paio di guanti da giardinaggio, poi sfrecciò rapido verso il salotto su cui la finestra si affacciava. Spalancò i battenti e sporse fuori la testa; per poco la cesta non lo colpì in piena faccia.

Rabbrividendo da capo a piedi, il mago cercò di concentrarsi per tentare di attirare a sé la cesta con la magia, invano: era un oggetto troppo pesante, e il vento interferiva troppo. Avrebbe dovuto usare un sistema più elementare, pensò, appoggiando il cristallo illuminato sul tavolo.

Portò un capo della corda vicino al viso e sussurrò un incantesimo, come se stesse confidando un segreto alla fune, poi attese che l’oscillazione portasse la cesta vicino all’apertura e gettò la corda. Quella, guidata dall’incantesimo, serpeggiò nell’aria e si annodò saldamente ad una delle maniglie sul bordo della navicella. Quando il vento spinse di nuovo la cesta lontano dalla finestra, Yu allentò la presa per evitare che lo strattone lo precipitasse fuori.

Il problema, ora, era tirare la cesta vicino alla finestra e farla restare in posizione il tempo sufficiente per trarre in salvo lo sfortunato aviatore. Mentre si guardava attorno, temendo che il pallone si strappasse del tutto, il suo sguardo si posò sul camino. Sorrise e vi si accovacciò accanto. La legna andava adagiata su un supporto di ferro battuto, e la cenere, attraverso una grata, cadeva nel vano sottostante al focolare stesso, in una specie di grosso cassetto che poteva essere rimosso con facilità. La struttura era piuttosto robusta, e il mago era quasi sicuro che avrebbe retto; perciò, rimosse la grata e tirò fuori il cassone della cenere, fece passare la cima attraverso il foro, si sedette per terra e, puntellandosi coi piedi contro i bordi del vano, tirò con tutte le sue forze, augurandosi che quella carrucola improvvisata fosse di una qualche utilità.

Dopo quella che gli parve un’eternità, sentì la cesta colpire la parete. Di nuovo, recitò l’incantesimo, e la corda si annodò saldamente, dopo di che, stremato, si lasciò cadere supino sul pavimento, per recuperare le forze. Dopo un minuto, col cuore che ancora gli martellava nel petto, si alzò, raggiunse barcollando la finestra e si affacciò sulla navicella. Sul fondo, una figura vestita di scuro giaceva raggomitolata su un fianco, mandando gemiti sommessi di tanto in tanto.

Issare lo straniero al sicuro non fu affatto facile: era basso, ma aveva le spalle larghe e gli arti tozzi e robusti, ed era pesantissimo. Con difficoltà, l’esile mago lo rigirò e, dopo averlo afferrato per le ascelle, lo tirò dentro.

Yu non aveva idea delle lesioni che poteva avere riportato, se non che aveva sbattuto la testa e perso un po’ di sangue, e non sapeva se il suo soccorso assai poco professionale poteva aver peggiorato le cose.

Ma il tozzo straniero, dalla sua, aveva una grande fortuna: non era umano.

Svenuto nel salotto dell’ultimo custode dell’Accademia si trovava un nano.



Angolo dell'autore (edit), il ritorno: ancora, piccole revisioni per eliminare alcune sviste, e qualche piccolo esperimento per migliorare la formattazione altrimenti inguardabile. Spero che la maggiore leggibilità incoraggi a leggere e recensire questo mio racconto. A presto!

   
 
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