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Autore: Herbologist    17/12/2010    2 recensioni
Il mattino dopo la battaglia, la Prof. Aurora Sinistra piange la morte dell'uomo che ha amato. Mentre tutti stanno celebrando la vittoria, lei vaga per i corridoi del castello senza meta, e fa una scoperta che le ridà la speranza. Piton/Sinistra
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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A/N:

Scuse per il fortissimo ritardo, ho promesso che non avrei mai abbandonato questa storia e non l’ho fatto. E’ solo che non ho avuto molto tempo per scrivere quest’anno e quando ne ho avuto, la mia musa è stata più generosa per le mie altre storie. Ma eccoci qui. Non vi posso promettere un capitolo la settimana, ma vi posso assicurare che per il prossimo non ci saranno tempi così lunghi… E probabilmente dovrei darvi un'indicazione sulla trama, per aiutarvi a decidere se vale l'attesa:

Questa sarà una storia romantica tra Sinistra e Piton, ma con uno sguardo critico al suo carattere. Il suo personaggio è interamente votato alla redenzione. A questo punto, potreste ribattere dicendo che ha pagato per i peccati della sua gioventù, ma è ancora amaro, crudele, emotivamente chiuso e terribile presuntuoso - qualcosa che forse non è del tutto colpa sua, ma non lo rende esattamente il candidato ideale per essere un marito premuroso. Quindi, riuscirà a cambiare da questo punto di vista e dove lo porterà un cambiamento del genere?

Ringrazio tutti quelli che la stanno ancora seguendo e in particolare chi mi ha spronato recensendo!

 

Buttandosi il passato alle spalle

Traduzione a cura di besemperadreamer

Il silenzio che regnava in quella strada, completamente deserta e avvolta dall’oscurità, fu infranto da un debole schiocco. Se ci fosse stato qualcuno lì intorno a testimoniare l’evento, sarebbe rimasto decisamente turbato, poiché con quello schiocco, un uomo alto, dai lineamenti spigolosi, sembrò comparire dal nulla. Egli procedette verso l’ingresso di una casa con falcate decise e con le lunghe vesti nere, uscite da chissà quale film d’epoca, che gli svolazzavano dietro. I capelli neri gli ricadevano retti sulle spalle, incorniciando un volto scarno, che sarebbe stato sgradevole anche senza l'espressione torva che vi era dipinta sopra.

Ma fortunatamente, non c’erano molti passanti in quella parte desolata della città. La maggior parte delle proprietà sembrava abbandonata. Erano modeste casette Vittoriane a schiera, indistinguibili l’una dall’altra se non per le porte verniciate di colori diversi. Aleggiava un'aria di trasandatezza su tutta la zona, aggravata dall'odore di fogna intasata. L'unico altro essere vivente nel raggio di miglia era una volpe dall’aspetto malaticcio, che fiutava speranzosa una confezione vuota di patatine gettata nel canale di scolo. La presenza dello sconosciuto sembrò impaurire la creatura, che abbandonò la possibilità di cibarsi per trovare rifugio in un cespuglio.

L'uomo dall’aria cupa entrò in una delle case, la cui porta non doveva essere stata chiusa, poiché egli non si premurò di fare uso delle chiavi. Dopo esservi sparito all'interno, un debole barlume tremolante comparve dietro le finestre.

La porta conduceva direttamente a un piccolo salotto, le cui pareti erano del tutto ricoperte da scaffali pieni di libri. La luce fioca rivelò uno spesso strato di polvere coprente ogni superficie e delle ripugnanti ragnatele appese agli angoli del soffitto. L'enigmatico uomo era Severus Piton, ultimo preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e – ancora egli stesso ignaro – prossimo eroe del mondo magico britannico, un mondo che egli aveva appena abbandonato per sempre. Si mise davanti al camino, poggiando le mani sul frontale, con la testa incassata tra le spalle, a fissare le fiamme che divoravano i grossi ceppi che vi erano accatastati dentro.

Odiava quel posto, anche se tecnicamente era casa sua. Era piena di ricordi di un'infanzia infelice, vissuta nella povertà e nell'emarginazione, a guardare i suoi genitori impegnati a rendersi la vita miserabile, e risentire in prima persona del fallimento del loro matrimonio. L'unico motivo per il quale era andato lì, era che non aveva nessun altro posto dove andare. Ce l’aveva con colei che l’aveva messo in quella situazione. Perché non l’aveva lasciato al suo destino? –Il destino di morire sul campo di battaglia, portando a compimento la sua ultima missione, espiando i suoi peccati e allo stesso tempo ponendo fine alla sua sventurata vita? Perché si era dovuta intromettere nei suoi affari?

Amore… Non aveva veramente né il tempo, né l'inclinazione, di avere a che fare con la sconsiderata infatuazione di quella lì. Era stato innamorato soltanto una volta, e cosa ne aveva ricavato? Soltanto dolore e umiliazione. Nel corso degli anni, aveva imparato ad allontanare tali sentimenti e apprezzava la capacità di controllo che ciò gli aveva dato, l’abilità di concentrarsi solo sui suoi doveri e sui suoi interessi intellettuali. Sì, si era abbandonato occasionalmente ai piaceri carnali, ma questo certo non significava che avrebbe dovuto sopportare la compagnia di qualcuna dopo aver soddisfatto i suoi bisogni fisici, né mai più si sarebbe reso così vulnerabile.

Il suo stomaco brontolò, ricordandogli gli altri inconvenienti dell’esser vivo. Con uno sbuffo sprezzante, si allontanò dal fuoco e sparì attraverso una porticina incassata fra gli scaffali. La cucina era ancora più piccola e ancor meno invitante del salotto, poiché oltre all’onnipresente polvere e alle ragnatele c’erano pure sporcizia e odore di muffa. Frugò nelle dispense, i cui cardini cigolavano forte mentre apriva e chiudeva le ante, ma trovò soltanto una pagnotta ammuffita e un pacchetto di biscotti che si sbriciolarono non appena li ebbe toccati. Per il disgusto, il suo volto si contorse in una smorfia. Avrebbe potuto trasfigurare quella roba in qualcosa di più appetitoso, ma di sicuro non aveva così fame da ricorrere a misure così disperate.

I suoi occhi ricaddero su una polverosa bottiglia di vetro verde lasciata fuori sul ripiano da lavoro davanti a lui, ancora piena per metà di liquido scuro. Quando la stappò e ne fiutò l'apertura, il caldo e dolce aroma di vino elfico sommerse i suoi sensi. Dopo un attimo d'esitazione, prese un bicchiere da una delle credenze, scagliando un incantesimo pulente prima di riempirlo di vino vermiglio. Piton beveva raramente. Nella sua testa, era un’ignobile abitudine che gli ricordava fin troppo suo padre. Ma di certo, in quella situazione, sfuggito all’abbraccio della morte per un soffio, un bicchierino era giustificabile, o almeno così pensava mentre lasciava la cucina con la bevanda in mano.

Con un sospiro, si lasciò sprofondare sul misero, vecchio sofà davanti al camino. La nube di polvere che si alzò dal tessuto liso sotto il suo peso avrebbe indotto quasi chiunque a starnutire ma, dopo essere stato esposto tutti quegli anni ai vapori delle pozioni, il suo naso era abituato anche a peggio. Allungando le gambe, prese un corposo sorso di vino, chiudendo gli occhi mentre sentiva il liquido scivolare giù nella gola. Sentì una piacevole sensazione di calore irradiarsi dal suo stomaco, che contribuì a scacciare il freddo mortale che gli si era insinuato nelle ossa.

Spesso si diceva che essere messo davanti alla propria mortalità facesse apprezzare maggiormente la vita, ma Piton sentiva solo un tedioso senso di vuoto. La sua vita non era mai stata piacevole. Durante la sua infanzia non aveva conosciuto altro che povertà e umiliazione e poi, nella sua gioventù, c’era stato un periodo in cui era stato consumato dalla rabbia, dall’odio e da una feroce ambizione, che l’avevano solo fatto sprofondare in un abisso di dolore, senso di colpa e disprezzo di se stesso, lasciandolo con un debito che avrebbe richiesto una vita per essere saldato. Ironicamente, era stato proprio quel debito che per la maggior parte delle ultime due decadi aveva dato alla sua vita un senso, e ora che aveva adempiuto il suo ultimo dovere, si sentiva completamente perso. Nella sua vita non aveva niente per cui valeva la pena vivere. Non aveva mai provato felicità e dubitava che sarebbe successo ora. Il pensiero di poter giungere alla veneranda età del suo predecessore, Albus Silente, un’età per niente inconsueta per un mago, accompagnato unicamente dalla sua disillusione, bastava a tentarlo di puntarsi contro la sua stessa bacchetta. Ma sarebbe stato decisamente da codardi - e un vigliacco era l'ultima cosa che Piton aveva mai voluto essere.

Dopo aver bevuto il vino rimasto, posò il bicchiere sul traballante tavolino basso accanto a lui, dove rimase in equilibrio precario in cima a un’ altissima pila di libri. Sebbene la bevanda avesse di gran lunga contribuito ad alleviare i crampi del suo stomaco, c’era ancora qualcosa che lo infastidiva. Scorrendo le sue lunghe dita tra i capelli, li trovò ancora piuttosto appiccicosi e pregni dell’odore metallico del sangue, a dispetto dell’incantesimo pulente che aveva scagliato prima su di sé. Era uno dei suoi più grandi fastidi, che nessun incantesimo inventato fino ad allora potesse fare concorrenza ad acqua e sapone Babbano quando si parlava d’igiene personale. Mentre molti maghi e streghe godevano nel farsi lunghi bagni caldi tanto quanto i Babbani – e l’enorme quantità di ricette per essenze da bagno magiche ne era la prova - Piton avrebbe felicemente fatto a meno della necessità di immergersi in acqua una volta ogni tanto. Rassegnandosi al fatto che, in quella situazione, sarebbe stato inevitabile, decise quantomeno di togliersi il pensiero il prima possibile. E così, fu con crescente terrore che si alzò dal sofà e salì le scale verso il bagno.

La piccola stanza si presentava triste esattamente come la ricordava, con le sue sudice mattonelle rotte, la vasca da bagno arrugginita e l’infisso dell’unica finestra presente del tutto marcio. L'unica cosa che si poteva prendere era lo specchio sopra al lavabo, che da tempo non rifletteva più e che dunque aveva la decenza di non ricordargli quanto la natura non fosse stata generosa con lui per quanto riguardava l'aspetto fisico.

Fece Evanescere quella che sembrava una fila di escrementi di topo dal fondo della vasca e girò le manopole dell’acqua. Cigolarono e gorgogliarono miseramente, come se volessero protestare per esser state maneggiate in quel modo, ma non vi uscì comunque nulla. Poiché Piton era un mago, tuttavia, mormorò appena un incantesimo per risolvere il problema.

Disfece i molti bottoni dei suoi vestiti con dita pratiche, liberandosi strato dopo strato degli indumenti, prima di entrare cautamente nella vasca. La sensazione dell'acqua calda non era del tutto sgradevole e, sebbene la vasca fosse troppo piccola per distendere completamente le lunghe gambe, contribuì notevolmente a ridargli le forze. L'obiettivo principale di quel teatrino, tuttavia, era lavarsi i capelli. Su un piccolo sgabello di legno a fianco della vasca c’era una tazza scheggiata, che era sempre stata utilizzata per quello scopo. La prese e cominciò a versarsi l'acqua sopra la testa finché la massa nera dei suoi capelli non fu del tutto zuppa. Dopodiché usò un pezzo di sapone grigio e dall’aspetto poco invitante, preso dallo stesso sgabello, per fare un po’ di schiuma. Il suo odore inconsistente e asettico era terribilmente familiare, e lo portò indietro a un tempo di cui non ricordava neppure di avere memoria.

“Severus! Guardati, sei tutto sporco! Veloce! Entra nella vasca! Tuo padre sarà a casa da un momento all’altro…”

Il ragazzino dai capelli scuri voleva protestare. Aveva fame e avrebbe preferito cenare prima, ma uno sguardo a sua madre gli disse che qualsiasi forma di resistenza sarebbe stata inutile. E così la seguì fino al bagno e la guardò mentre riempiva la vasca.

“Che cosa stai aspettando? Togliti i vestiti e salta dentro!”

Mentre obbediva, la guardò pulire i suoi vestiti appena levati con la sua bacchetta, domandandosi perché non poteva fare lo stesso con lui, se lo stava facendo solo per punirlo e se sapeva che era stato ancora giù al fiume, dove gli era proibito giocare. Odiava farsi il bagno, soprattutto farsi lavare i capelli, specialmente perché sua madre era sempre di fretta, e non stava attenta a non fargli andare il sapone negli occhi né faceva sforzo alcuno per essere delicata.

Mentre era seduto nella vasca, sopportando stoicamente quell’ardua prova con gli occhi serrati, la porta venne improvvisamente spalancata e sua madre, che stava sfregando vigorosamente la sua testa, gelò sul posto. Severus aprì un po’ gli occhi, malgrado il pericolo che sapone li facesse bruciare. Suo padre era davanti alla porta e aveva uno sguardo indefinibile, strano. Emanava lo stesso odore disgustoso che diceva sempre a Severus di tenersi alla larga da lui. Ma ora era intrappolato nella vasca. E vedeva che sua madre era spaventata.

“Eccoti qui, puttana, a nasconderti da me,”  farfugliò suo padre.

“Per favore, Tobias, non ora, il bambino… “lo supplicò.

Ma suo padre non sembrava averla sentita affatto. Le afferrò il braccio e la strattonò per farla alzare da dov’era inginocchiata accanto alla vasca, spingendola fuori dal bagno. La donna rivolse al figlio un ultimo sguardo carico di panico da sopra la spalla.

“Severus, finisci di lavarti, va bene?”

La sua voce tremava e stonava proprio con quello che aveva appena detto. Un momento dopo, sentì sbattere la porta della stanza attigua, la camera da letto dei suoi genitori, quindi un tonfo, un grido represso, uno schiaffo e un altro ancora. Poi sembrava che sua madre stesse gemendo e sentì degli strani rumori, come se qualcuno stesse ansimando. Si ficcò le dita nelle orecchie, non voleva sentire. Aveva paura. Non sapeva esattamente di cosa aveva paura, ma capiva che c’era qualcosa che non andava. La schiuma gli stava colando giù sulla faccia e dovette strizzare gli occhi perché questa non li facesse bruciare. Rimase lì seduto, circondato dall’oscurità e dal suono del suo stesso sangue che gli rombava nelle orecchie, sentendo solo l'odore tagliente del sapone e l'acqua che diventava sempre più fredda. Cominciò a tremare, sperando che sua madre ritornasse per farlo uscire dalla vasca, ma lei non venne.

Alla fine si rese conto che avrebbe dovuto passare la notte nell'acqua fredda, se non si fosse riscosso e si fosse preso cura da solo di se stesso. Piegandosi, provò a immergere la testa sotto l'acqua, sfregando le mani sul viso e sui capelli per lavare via il sapone. Finalmente poté aprire di nuovo gli occhi. Uscì dalla vasca con i denti che battevano e si asciugò con il vecchio asciugamano ruvido di famiglia, prima di scivolare nuovamente dentro i suoi vestiti che si trovavano ancora a terra accanto alla vasca, adesso freschi di bucato.

La casa era scura e silenziosa mentre scendeva le scale in punta di piedi verso la cucina. Il suo stomaco era ora così vuoto da quasi dolere. Alla tavola della cucina c’era seduta sua madre, con la testa tra le mani. Sembrava triste, ma non riusciva a capire se stesse piangendo. Quando lo sentì avvicinare, sollevò lo sguardo e sorrise, un sorriso che non sembrava felice come invece avrebbe dovuto. Severus voleva chiederle se andava tutto bene, ma non sapeva come prendere l’argomento.

“Severus, è ora di cena,” gli disse cinguettando, come se niente fosse accaduto, continuando ad aprire e chiudere gli sportelli della credenza, recuperando un piatto e un po’ di pane, mentre lui si sedeva.

Quando infine gli mise davanti al suo pasto, Severus era quasi eccitato. Era meglio del solito, poiché il consueto pane raffermo era accompagnato da un pezzo di formaggio e c’era persino una mela. Sua madre lo guardò mentre trangugiava affamato il cibo. Si domandò se questo trattamento fosse un segno di amore, ma lo sguardo di sua madre era triste e non ne poteva essere tanto sicuro.

“Adesso fila a letto, tu,” disse non appena ebbe finito.

Voleva darle l’abbraccio della buonanotte, ma gli sembrava così distante, e non sapeva se fosse una buona idea. Così invece, salì riluttante le scale senza dire una parola, strisciò nel suo letto e si tirò le coperte fin sopra le orecchie.

La luce fioca dell'alba stava già filtrando attraverso il vetro sporco dell’unica finestra presente quando Severus Piton riemerse dal quel cupo ricordo. Erano anni che non pensava a sua madre. Non sapeva bene cosa provasse per lei. Certo, pensava che fosse sua, in gran parte, la colpa dell’infelicità che aveva provato quand’era bambino -  sua e di quell’ubriacone di marito che si era scelta - ma allo stesso tempo lei stessa era stata una vittima e innamorarsi dell’uomo sbagliato sembrava essere un tipico errore della maggior parte delle donne. Ricordandosi l’ultimo esempio di una tale stupidità con il viso corrucciato, uscì dalla vasca e si scagliò addosso un incantesimo asciugante.

Mentre si vestiva, si rese conto di avere un piccolo oggetto arrotondato nel taschino dei suoi abiti. Lo prese e quando vide cosa era, il suo ghigno diventò ancora più cupo. Felix Felicis - o fortuna liquida, come veniva chiamata, era una pozione che Piton si divertiva a fabbricare per la sfida che essa rappresentava, ma non si sarebbe mai sognato di usarla, tranne forse in circostanze disperate. Non aveva mai contato sulla fortuna ed era una buona cosa, perché non ne aveva mai avuto. Solo gli stupidi credevano nella fortuna. Lui, invece, aveva realizzato tutto nella vita contando sulla propria abilità, intelligenza e duro lavoro. A partire dalle circostanze più sfavorevoli, era riuscito persino a ricoprire la carica di Preside di Hogwarts, una posizione di cui andava più fiero di quanto volesse ammettere. Il suo ritratto avrebbe raggiunto quelli dei più grandi nell'ufficio del Preside, in cui sarebbe stato per sempre ricordato e rispettato, se non fosse stato per quella sciocca malata d'amore alla quale doveva la piccola bottiglia in suo possesso.

Si voltò bruscamente, estraendo la bacchetta per far sparire l'acqua dalla vasca insieme alla pozione. Ma quello che vide lo gelò sul posto. Era possibile che ci fosse stato ancora così tanto sangue nei suoi capelli? L'acqua era rossa.

L'acqua era rossa. Era sangue, c’era sangue dappertutto, strisciato sulle mattonelle, gocciolato sul pavimento. Un momento prima, cercava sua madre per le stanze silenziose di casa sua, desideroso di comunicarle i risultati dei suoi MAGO. Sette MAGO, tutti Eccezionale, tranne che per un’O in Antiche Rune, avrebbero veramente reso lei e la sua Casa fiere. Ma la persona che stava cercando era dentro la vasca, senza vita, con la testa reclinata e i capelli che ricadevano come una cascata nera sul pavimento.

No. Non un altro viaggio nei suoi ricordi. Ricacciò indietro quelle immagini sgradite, ma si sentì male quasi fisicamente ed era veramente felice che il suo stomaco fosse vuoto. Doveva andarsene. Non sopportava di stare in quella casa un momento di più.

Scese velocemente le scale per l’ultima volta. La porta principale si richiuse dietro di lui con un tonfo mentre si allontanava in la strada con lunghe falcate. All'esterno, era sopraggiunto il nuovo giorno, l'aria era fredda e tonificante e il sole faceva capolino all’orizzonte al di sopra della fabbrica abbandonata. Era una mattina gloriosa, ma Piton non aveva lo spirito per godersela. Era arrabbiato. La sua intera vita era stata un macello e tutto era cominciato da lì - nato in povertà, trascurato e maltrattato dai suoi stessi genitori, evitato dai suoi arroganti parenti maghi, preso costantemente in giro e umiliato dai suoi compagni di Hogwarts, ignorato dal suo Capocasa e dagli insegnanti malgrado i suoi ottimi voti – doveva sorprendere che fosse stato attirato dalle uniche persone che riconoscevano i suoi meriti? Le uniche da cui si sarebbe dovuto tenere alla larga? Anche dopo aver voltato le spalle al lato Oscuro, era stato soltanto usato e manipolato stato dai suoi cosiddetti alleati, non ricevendo altro se non disprezzo e ingratitudine da quelli per la cui protezione aveva rischiato la vita. Aveva sempre saputo che la vita non era giusta, ma era come se l'intero mondo avesse cospirato contro di lui ed era stanco, stanco di pescare sempre il bastoncino più corto*. Lasciò che la sua rabbia prendesse il sopravvento, sommergendo tutti i suoi sensi, concentrandosi e amplificandosi attraverso il suo braccio teso verso la sua bacchetta. Quando la rilasciò, ci fu un’esplosione vigorosa che fece tremare la terra sotto i suoi piedi. I mattoni e gli altri materiali usati per fabbricare casa sua non potevano reggere una tale forza magica, un così rabbioso potere. Vennero distrutti, scagliati in aria da un'esplosione che poteva essere sentita anche a miglia di distanza.

Mentre la polvere si depositava, Piton rimase fermo, immobile, a fissare le rovine della sua casa d'infanzia con un’improvvisa sensazione di calma. Questa volta, tutto sarebbe stato diverso. Aveva ancora un asso nella manica. E che fosse proprio lui il produttore della pozione non lo rendeva forse l'architetto della sua stessa fortuna? Quel pensiero, da solo, sembrava rendere il suo impiego più accettabile. All’orizzonte, sentiva le sirene dei vigili del fuoco Babbani in avvicinamento. Stavano venendo a causa dell’esplosione, e non voleva dar loro l'occasione d’interrogarlo. Con una rinnovata risoluzione, stappò la boccetta a sua portata, ne deglutì il contenuto, e sparì nel nulla con un debole schiocco.

A/N: Ancora interessati? Ritagliatevi un momento per recensire e farmi sapere che ne pensare, per favore! Potrebbe pure servire per farmi scrivere più veloce!

*Si allude a un tipo di conta. Si mettono dei bastoncini (o fili di paglia) in mano, e chi pesca il più corto, perde. Qui è usato come metafora per la sfortuna.

 

  
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