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Autore: Doralice    21/12/2010    5 recensioni
Sette scalini tra Claire e Gabriel. Sette gradi di differenza da superare.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Bennet, Peter Petrelli, Sylar
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Note:

E dopo un secolo Doralice... è quiiii! *parte la musica di Carramba Che Sorpresa e si apre il sipario*

Ehm... sono viva, sì. Scommetto che non ci speravate più, eh? E invece eccomi qua, con il quinto capitolo, che oltre ad essere in ritardissimo è pure strappalacrime e tragggico e pesantuccio.

Quindi buona (si fa per dire) lettura!







Step Five: Mess


In verità tutte le cose si muovono dentro di voi

in un continuo semi-abbraccio,

desiderio e paura,

ripugnanza e attrazione,

voglia e disgusto.

In voi si agitano queste cose

come luci ed ombre strette insieme.

- Kahlil Gibran -



La sua tendenza al masochismo si era fatta palese. Con un'ingenuità abissale, aveva riposto tutte le sue speranze nel racconto – forse falso, chissà? – di un uomo riguardo un'ipotetica realtà parallela e nelle sue sensazioni ingannatrici. Povero illuso...

Una parte di lui era rimasta ancorata alla realtà dei fatti, ma evidentemente non era bastato. Si era dovuto spingere oltre il limite che una volta si era saggiamente posto, fino a ritrovare quella crudele realtà che per un po' aveva fatto finta di ignorare.

Claire aveva paura di lui. Non si sarebbe mai fidata, non come intendeva lui.

Ci aveva letteralmente sbattuto contro. L'aveva sentito, forse anche più chiaramente di quanto non lo avesse sentito lei. Un'ondata di paura primordiale. Aveva infranto quel filo delicato che si era faticosamente creato tra di loro.

Improvvisamente gli era diventato chiaro come tutto quel flirtare fosse un gioco più grande di lei. Un gioco a cui Gabriel aveva dato troppo peso e Claire troppo poco.

Era così ovvio. Eppure aveva dovuto arrivare fino in fondo, farsi prendere per il culo a quei livelli – come sempre.

Ma adesso era finita. Era tutto finito.

Gabriel se lo ripeté fino a strapparsi dal petto ogni residuo di sentimento che potesse alimentare il suo dolore. Si ricoprì di una nuova, fulgida corazza di impietosità. E attese. Perché se lui era masochista, Claire Bennet era malefica, lo era come solo gli innocenti possono esserlo, ovvero in quel modo subdolo che deriva dalla superficialità, dall'ignoranza di quanto male si possa fare con le proprie azioni.

Così, quando Claire venne da lui, Gabriel si predispose a non ascoltarla. Ne aveva abbastanza di sentire: si era lasciato irretire dai suoi stessi sensi e ciò l'aveva avvelenato. Non sarebbe accaduto mai più.

Peccato che nel momento esatto in cui la vide varcare la soglia del laboratorio, come aveva già fatto tante e tante volte – eppure mai come stava facendo in quel momento – ogni intento di Gabriel crollò. Come aveva potuto credere che pochi giorni sarebbero bastati a cancellare anni di sentimenti frustrati? Gabriel sentì esplodere la rabbia in petto prima ancora che parlasse.

Non sono qui per chiedere spiegazioni. Voglio il mio carillon. –

Aveva gli occhi pesti di chi ha pianto, e l'aria altera e distaccata di chi si sente ferito.

Non farti fregare. Non di nuovo.

Il rancore di Gabriel si gonfiò, reprimendo all'istante qualsiasi sentimento pericoloso.

Prese il carillon da sotto il bancone e glielo porse: – Non si può aggiustare. –

Lo immaginavo. – annuì lei, mettendoselo in borsa.

Stava facendo una grossa fatica a non urlarle in faccia: tutta quella sua tranquillità gli stava scavando dentro come una lama.

Gli voltò le spalle: – Ciao, Gabriel. –

Ciao, Gabriel?

Contrasse le dita e Claire s'immobilizzò contro la sua volontà.

Ti stai divertendo? – le sibilò avvicinandosi.

No, non direi. – la sentì dire piano.

Gabriel le girò attorno scrutandola. Gli sembrava di ingoiare veleno ad ogni respiro. Che diavolo stava facendo? Lo sapeva che quella situazione era pericolosa.

Sei brava, ma non abbastanza. – cantilenò – Mi ci è voluto un po' per accorgermene. –

Claire alzò stancamente gli occhi: – Immagino che dire che non so di cosa parli, non servirebbe a niente. –

Mhm... no. –

La vide stringere le labbra e riabbassare gli occhi. Frustrazione e paura. Gabriel non ebbe modo di arginare quello che sentiva provenire da lei.

Bene. – sospirò – Dì quello che devi dire e finiamola. Sono stanca. –

Era stanca. La principessa era stanca. Gabriel sogghignò.

Gesù, non ne vale la pena... – mormorò tra sé e sé.

Potresti stringere? – disse atona – Faccio tardi a lezione. –

Gabriel la ignorò. Si sentiva abbastanza patetico a trattenerla lì, gustandosi la sua paura come una volta. Patetico e meschino. Ma ogni considerazione era distorta dal rancore.

Te n'è mai fregato qualcosa? – la sferzò – O ero una cavia? –

Claire scosse la testa in silenzio.

No, sul serio, vorrei capire. Perché mi hai dato corda? Era pietà? Volevi tenermi caldo per la notte? – scrollò le spalle – Avanti, sono sinceramente curioso. –

Ad ogni parola, la paura di Claire mutava in disgusto e dolore, e la rabbia di Gabriel aumentava di rimando. Credeva che umiliarla gli avrebbe portato un sadico piacere, invece lo stava solo distruggendo.

Sei tu l'empatico. – gli disse con voce incrinata – Dimmelo tu. –

Te lo dico io. – annuì, avvicinandosi e sussurrandole minaccioso – Avevi paura, come ne hai adesso. Ne avrai sempre e lo sapevi. Ti è piaciuto giocare col mostro? –

La vampa di dolore di Claire crebbe fino a soffocarlo. Gabriel si allontanò di scatto.

Be', il gioco è finito. – concluse, sentendosi bruciare i polmoni, gli occhi, il cuore – tutto.

Buono a sapersi. Hai finito? –

La lasciò andare. Claire uscì dal negozio e dalla sua vita. Quell'ultimo dlin-dlon gli trafisse il cuore. Gabriel voltò le spalle all'uscio e il campanello si schiantò al suolo e prese fuoco.

~~~

Che le cose sarebbero andate così l'aveva capito, ma non credeva che avrebbe fatto così male. Claire aveva mentito ovviamente: le voleva le spiegazioni, eccome, ma non poteva certo abbassarsi a chiedergliele.

Era andata da lui sicura di sé, gonfia dell'orgoglio di una donna ferita. E se n'era andata in frantumi. Claire era certa che nessuna esperienza – nemmeno riprendere vita in una sala operatoria con il torace aperto o l'essere seppellita viva in una roulotte – avrebbe potuto essere peggio che farsi umiliare dall'uomo che credeva di amare.

Ma la cosa peggiore era che in quello che Gabriel le aveva detto c'era una fondo di verità. Fin dall'inizio aveva sentito un gusto morboso in quello che stava succedendo tra di loro, c'era ancora una parte di lei che ripugnava l'attrazione che provava per lui. A tratti si sentiva sporca all'idea che proprio quello che le aveva fatto del male avesse su di lei un ascendente così forte.

Gabriel l'aveva sentito, era quella la paura di cui parlava. Il terrore di cedere del tutto e trovarsi invischiata con lui, proprio lui.

Sylar.

Sussurrò il suo nome tra sé e rabbrividì. Gli si era offerta. A lui.

Ma l'aveva plagiata – si era fatta plagiare – molto tempo prima, fin dal momento in cui aveva messo gli occhi sul suo potere e aveva preso a darle la caccia. In un modo o nell'altro, lui le piombava sempre addosso e metteva a soqquadro la sua vita. E lei glielo lasciava sempre fare, senza mai reagire. Solo ora si rendeva conto di quel perverso meccanismo, di come fosse stata complice consenziente della sua stessa tortura.

E alla fine nemmeno uno come lui aveva potuto sopportare una tale follia.

Se Claire non era “aggiustabile” era colpa di Sylar, ma Gabriel ci aveva provato a rimettere le cose a posto. E quando non ci era riuscito aveva fatto l'unica cosa che gli restava: sbatterle in faccia la verità. Era bravo in questo, c'era da ammetterlo. Un po' troppo bravo, magari.

Ma Claire non sarebbe più stata carnefice di sé stessa.

~~~

No, ti prego... –

Peter inarcò un sopracciglio: – Fa piacere anche a me vederti. –

Lady Claire si faceva la bua, ser Peter accorreva in soccorso. Una routine inappuntabile.

Lo vide infilarsi in casa sua senza essere invitato, salutare Gatto e accomodarsi sul suo divano come se niente fosse.

Che vuoi? – sbottò nervoso andandogli dietro – È venuta a piangerti addosso? –

Cosa le hai fatto? – gli chiese serio.

Si stava trattenendo dal picchiarlo e lo sapeva. Forse per questo gli venne da rispondergli in modo provocatorio.

Non sono affari tuoi. –

Lo erano fino ad una settimana fa. – gli fece notare – Che diavolo è successo nel frattempo? –

Gabriel fece una smorfia: – Fattelo raccontare da... –

Claire non vuole dirmi niente. – lo interruppe, scandendo le parole – Non si faceva più sentire, allora l'ho cercarla. È l'ombra di sé stessa, non ha neanche più lacrime da piangere. Non l'ho mai vista così. –

Come se non lo sapesse. Di lacrime non ne aveva più prima ancora di venire da lui a reclamare il suo carillon. Certo, detta così, a freddo, senza tutto il contorno di rancore fresco, era tutta un'altra cosa.

Stai colpendo basso, Petrelli... – disse a mezzabocca.

Fai meno la vittima e dammi un buon motivo per cui non dovrei prenderti a calci. – lo rimbrottò.

Gabriel si lasciò cadere affianco a lui, strofinandosi il viso. Dopotutto non gli avrebbe fatto male parlare un po'. E se alla fine l'avrebbe preso davvero a calci, be', qualcosa in fondo gli diceva che se lo meritava.

Riuscì a raccontargli quello che era successo qualche notte prima. A grandi linee e con molte epurazioni, ma ci riuscì. Vide Peter stringere i denti e trattenersi dal commentare di volta in volta.

Ha paura di me. – riassunse in tono amaro.

E non ti sei fermato a chiederti il perché? –

Si strinse nelle spalle: – Non ce n'era bisogno. –

Stronzate. – ribatté accigliandosi – Sei così atterrito all'idea di essere rifiutato che hai preferito pararti il culo scappando. –

Ed ecco Peter Peterelli e la sua innata, fastidiosissima, a dir poco seccante capacità di mettere la gente di fronte ai propri casini, senza mezzi termini. Gliel'aveva permesso una volta e adesso si arrogava il diritto di farlo quando gli pareva. Doveva darci un taglio.

Tu non puoi capire... ero riuscito a non sentirla più quella dannata paura e all'improvviso bam! Eccola lì, di nuovo. –

Gabriel... –

Tutto daccapo, – continuò, incapace di fermarsi, di contenere tutta quella frustrazione – come se non fosse successo niente, come se questi mesi non contassero niente. Non lo sopporto! –

Gabriel. –

Cosa?! –

Quando ti ho chiesto se non ti sei fermato a chiederti il perché, non era una domanda retorica. – disse Peter, col tono di chi parla ad un deficiente.

Gabriel stette al gioco.

D'accordo, – fece con aria affabile – spiegami. –

Tu non c'entri con la sua paura... cioè sì, c'entri, ma non come intendi tu. – sospirò e Gabriel ebbe la netta impressione che fosse imbarazzato – Il fatto è che... santo cielo, non riesco a credere di dover essere io a spiegarti una cosa del genere! –

Vieni al punto. – lo incalzò, sentendo nascere un dubbio atroce.

Ma tu lo sai che Claire... è...? –

Alzò le sopracciglia, guardandolo di sottecchi. Gabriel ricambiò lo sguardo con terrore crescente.

Vuoi dire...? – azzardò.

Peter si affrettò ad annuire.

Oh... –

L'aveva sospettato. Non ne era certo, ma ci aveva pensato. Ma come poteva il problema ridursi a quello?

Sono un empatico Pete, non un ginecologo. – borbottò davanti al suo sguardo pieno di compatimento.

Non poteva esserci situazione più imbarazzante: parlare della vita sessuale della sua ex-quasi-ragazza con il di lei zio.

E non dirmi che sono stato insensibile o cazzate del genere. – aggiunse ombroso – Quella paura non aveva niente a che fare con... –

Mosse una mano, rifiutandosi di concludere la frase.

Hai ragione. – ammise Peter – In parte. –

Gabriel alzò le braccia, esausto: – Avanti. Sii spietato. –

Ha paura di te? Sì. E forse ne avrà sempre, non puoi saperlo. Non lo sa nemmeno lei. Insomma, stiamo parlando di quello che le ha aperto la testa... –

E si suppone che io dovrei fare cosa? –

Magari darle fiducia? – suggerì stancamente – Lei l'ha fatto con te. –

Fiducia? Quella non era fiducia. Aveva solo voglia di... –

Attento a come parli. – lo interruppe gelido.

Qua non c'entra niente il... – si trattenne – Ma che cazzo! Non l'hai mai avuta una ragazza? –

Sì. – batté le palpebre pensieroso – L'ho uccisa. –

Peter restò a bocca aperta. Poi scosse la testa incredulo.

Ok, concentriamoci su quella che non hai ancora ucciso. – fece sarcastico.

Correggimi se sbaglio: hai fatto tutto tu, l'hai guidata fin dall'inizio. E poi l'hai abbandonata, proprio nel momento in cui aveva più bisogno di te. È stato il sesso, ma poteva essere qualsiasi cosa che fosse importante per il vostro... – deglutì e lo guardò di sbieco – rapporto. –

Gabriel iniziò a capire. E assieme alla comprensione arrivò anche la vergogna per la sua stupidità.

Lei si è messa nelle tue mani. Nonostante le sue paure. – insisté – E tu che hai fatto? –

Che ho fatto? – balbettò atterrito.

Peter lo osservò truce: – È venuta a cercarti, non è così? –

Gabriel annuì, lo sguardo perso.

E hai... peggiorato le cose... non ci posso credere! – concluse sull'orlo dell'isteria – Ma che ti dice il cervello?! –

Niente. – ridacchiò isterico – Ci hai fatto un giro, hai visto che gran contenuti? –

Finalmente Peter ebbe pietà e restò zitto.

Che intendi fare? – gli chiese dopo un interminabile momento di silenzio.

Incassare il colpo e darmi alla vita monastica. – mugugnò assente.

Sentì lo sguardo di Peter su di sé: stava per prenderlo a calci come aveva minacciato.

A parte quello. –

C'è solo una cosa. E non le piacerà. –

Peter non disse nulla. Si alzò dal divano, salutò Gatto e aprì la porta d'ingresso.

Fai quello che ti pare. Ma se la fai soffrire ancora, ti farò rimpiangere di non essere rimasto dentro quell'incubo. –

Gabriel lo stava già rimpiangendo.

~~~

L'aria si mosse e Claire sentì i suoi passi leggeri, identici a mille altre notti, eppure diversi.

Il letto s'inclinò di lato. Si voltò verso di lui e le bastò un'occhiata per capirlo: quella era l'ultima volta. Era la fine. Di tutto. Di qualsiasi cosa ci fosse mai stata tra di loro, qualsiasi legame morboso e non, qualsiasi insana dipendenza. Era semplicemente la fine.

Gabriel si chinò su di lei e l'abbracciò. Restarono così a lungo, dondolando piano. Claire avrebbe preferito non sentire più quel calore, mai più. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Era crudele e assurdo. Ed era giusto così.

S'irrigidì quando le prese il volto tra le mani. Gli si aggrappò ai polsi e la nausea arrivò tutta insieme, accompagnata da un dolore sordo. Sgranò gli occhi per la sorpresa.

No! –

Gabriel le premette le labbra sulla fronte e tremò. O era lei a tremare? Sentì le dita contrarsi sulla sua cute. Il dolore si fece acuto e penetrante.

No!

Singhiozzò disperata quando lo sentì. Qualcosa dentro di lei lo riconobbe. Si lacerò nel profondo, per tornare infine al suo posto.

Si allontanò da lei e Claire giacque inerme tra le coperte, incredula. Le lacrime le solcarono le tempie, ma non sapeva da dove venivano.

Il carillon era aperto sul comodino. Sentì la melodia risuonare nell'aria. Vide la balleria danzare.

Tutto era tornato al suo posto.

Gabriel svanì oltre la finestra. Il carillon restava lì. Claire non osava toccarlo. Si rannicchiò piano e attese. Poi il silenzio venne, nero come i suoi occhi, morbido come le sue lacrime.

   
 
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