2)Bill
Questa
è la mia foto
per te che vado via
il resto è dentro la mia testa
dove tengo le mie cose
mi assomiglia molto
e se solo fossi morto
racconterebbe bene
quello che io sono adesso
Loitsche
era sempre stata troppo piccola per lui.
Bill
Kaulitz aveva sempre sognato in grande e desiderato vedere altri
orizzonti, quelli del paesino tedesco gli erano sempre andati stretti.
Fin
da piccolo si era sempre sentito diverso.
Qualcuno
diceva che era speciale, qualcuno che era sbagliato. Nessuno
aveva trovato accordo su di lui, constatò giunto a quindici
anni.
Giravano
da sempre voci su di lui, a causa del suo look particolare e
dei tratti vagamente femminili del suo volto, molti dicevano che fosse
gay.
Qualche
ragazzino si era spinto a dimostrare che non gradiva gli
omosessuali veri o presunti picchiandolo, se non ci fosse stato Tom non
sapeva
come sarebbe finita.
Tom
era il suo gemello, era il suo punto fisso.
Ovviamente
anche sua madre e il suo patrigno lo erano, ma non
potevano certo
intervenire nelle dispute
tra ragazzini se non volevano che la situazione peggiorasse.
Tom
l’aveva aiutato più volte, con i bulli e con il
suo sogno.
Bill
aveva un sogno. Era da sempre affascinato dal mondo dello
spettacolo e dalla musica, per lui rappresentavano quelle occasioni di
riscatto
e di libertà a cui sentiva di avere diritto.
Se
lo sentiva che non avrebbe vissuto a lungo a Loitsche, per lui doveva
esserci altro nel mondo, ne era certo.
Così
aveva deciso di coinvolgere Tom. Non poteva fare altrimenti, per
sentirsi sicuro doveva avere anche il gemello dalla sua parte.
Tom
era diverso da lui, più calmo ed abitudinario, forse si
sarebbe
adattato alla vita sonnacchiosa di paese, accontentandosi di diventare
un
personaggio dei racconti da bar.
A
Bill non bastava, lui voleva di più.
Un
pochino si sentiva in colpa nei confronti del gemello, lo stava
trascinando nei suoi sogni per egoismo, ma in fondo sapeva di fare il
suo bene.
Tom
come lui era sprecato in quel paesino, da quando aveva iniziato a
suonare la chitarra e di conseguenza ad aiutarlo nel suo sogno sentiva
che
sarebbero volati lontano.
Non
aveva motivi per rimanere in quel piccolo paese, questo era quello
che aveva sempre pensato.
Anche
dopo l’incontro con Georg e Gustav non aveva avvertito il
nascere
di legami con il paese, loro due erano i ragazzi con cui avrebbe
realizzato il
suo sogno. Loro sarebbero venuti via con lui.
Era
cambiato qualcosa quando aveva incontrato Janis,
lei era speciale. Lei non avrebbe
potuto venire via con lui, lei nel bene e nel male rappresentava un
legame con
Loitsche.
Era
bella Janis, di una bellezza nascosta sotto milioni di muri per
allontanare da sé gli altri. Aveva la sua età,
lunghi capelli biondi sempre
striati di un qualche colore e profondi occhi azzurri.
Bill
amava gli occhi di Janis, erano sempre freddi e respingenti, tranne
quando parlavano con lui. Sembravano un cielo in cui il sole si fosse
fatto
spazio e gli piaceva pensare che fosse lui quel sole.
Gli
piaceva quando sorrideva per lui.
Gli
piaceva quando lei si arrabbiava per lui ed insultava chi lo
derideva.
Gli
piaceva baciarla e sentire il suo corpo infagottato da vestiti tropo
larghi contro il suo.
Bill
si era innamorato di lei e questo lo spaventava e lo rendeva felice
allo stesso tempo.
Cosa
ne sarebbe stato di loro il giorno in cui finalmente i suoi sogni
si fossero avverati?
Il
moro preferiva non pensarci, si godeva giorno per giorno la presenza
di Janis, secondo il suo motto, vivi il secondo.
Janis
sembrava appoggiarlo, li seguiva in ogni concerto e lo appoggiava
silenziosamente mentre le registrazioni con la
Sony
ristagnavano.
Bill
aveva capito che presto quell’etichetta li avrebbe scaricati
e
sperava di trovarne una nuova.
Accantonava
ancora i suoi sentimenti per Janis e le future sofferenze,
tuttavia non sempre si poteva vivere solo il secondo. A volte la vita
ti
costringeva a pensare al futuro.
Bill
era stato costretto a farlo il giorno in cui una nuova casa
discografica li aveva contattati, l’Universal aveva offerto
loro quello che lui
voleva.
Gli
aveva offerto la possibilità di incidere un cd e di
lanciarlo.
Questo
lo riempiva di gioia, ma anche lo faceva preoccupare. Cosa
sarebbe successo con la sua ragazza?
Se
loro fossero riusciti a sfondare non sarebbero più rimasti
al paese e
lei non avrebbe potuto seguirli, era troppo giovane e la sua famiglia
non era
affatto permissiva.
Se
la sentiva di proseguire una relazione a distanza?
Il
suo cuore urlava di si, la sua mente lo poneva cinicamente davanti
alle conseguenze. Se avessero avuto successo le loro vite sarebbero
state
rivoltate come calzini e così quella di Janis.
Bill
conosceva la sua storia, sapeva di quel padre fedifrago che era
sparito da un giorno all’altro e non dubitava che i
giornalisti, ammesso che ce
ne fossero stati, non avrebbero tardato a scoprirlo.
Per
Janis sarebbe stato un trauma rimestare nel passato, visto che
già
ne era imprigionata, come dimostravano i suoi silenzi e i suoi
comportamenti
scostanti.
Non
poteva infliggere questo a lei, che era stata una delle rare persone
che lo avevano accettato ed amato per quello che era.
I
dubbi non lo lasciavano stare, lui ci si dibatteva in cerca di una
soluzione che non fosse quella di troncare quel rapporto.
Tom
lo guardava e non parlava, forse temeva che le sue eventuali parole
sarebbero state fraintese o non accettate, ma Bill aveva disperatamente
bisogno
di un consiglio.
Questa
volta non l’avrebbe avuto, avrebbe dovuto cavarsela
da solo.
La
notte prima del colloquio con la casa discografica la trascorse
insonne e alla fine stremato andò a scuola e poi dai
produttori, in testa aveva
una confusione bestiale.
Si
diradò man mano sentiva David Jost parlare.
No,
non avrebbe mai permesso a Janis di seguirlo in
quell’avventura, non
avrebbe retto.
Doveva
mollarla, anche se il suo cuore si ribellava all’idea.
Alla
fine di quell’incontro il moro guardò Tom e il
gemello capì subito,
gli donò un sorriso triste e una mano appoggiata sulla
spalla per fargli
coraggio.
Bill
andò all’appuntamento
con la
morte nel cuore, quando la vide che camminava immersa in quel bianco
desiderò
abbracciarla e giurarle che nulla li avrebbe separati,che lei sarebbe
sempre
stata nel suo cuore qualunque cosa sarebbe successo.
Per
un attimo si immaginò come sarebbe stato fuggire con lei, ma
poi gli
fece troppo male veder le conseguenze: la polizia sulle loro tracce, la
vita di
Jan rivoltata come un calzino.
No.
Doveva lasciarla
per quanto
male facesse.
Chi
amava non era egoista, se era necessario allontanare le persone
amate per non farle soffrire lo faceva seppellendo il proprio dolore.
“Ciao
Piccola!” mormorò non appena le fu davanti.
Si
sentiva un essere schifoso, lei sorrideva felice e lui era pronto a
darle la mazzata finale.
-Dio
Janis,
perdonami-
Fu
l’ultimo pensiero logico che formulò prima che lei
gli si buttasse
tra le braccia e lo coinvolgesse in un bacio appassionato.
Bill
sentì un brivido corrergli lungo la schiena e il gelo
invaderlo.
Era
un bacio d’addio, da qualche parte nella sua anima la sua
ragazza
aveva capito prima di lui cosa stava per succedere.
Quando
si staccò da lei a la guardò negli occhi avrebbe
voluto che i
suoi occhi non fossero così dannatamente espressivi e che
lei non leggesse
tutto il suo dolore e la sua paura.
Lasciarla
non era facile, cosa avrebbe fatto senza di lei?
“Scusa, ma il
produttore mi ha
trattenuto.” Biascicò infine, carezzandole una
mano.
Era
morbida e fredda, gli sarebbe mancato scaldarle le mani fingendo di
non gradirlo.
“Tranquillo.”
“Devo
dirti una cosa…” Bill abbassò lo
sguardo.
-Verme.
Verme.
Verme.-
“Parla.”
“Ecco…
Ci hanno offerto un contratto, uno serio questa volta. Passiamo
alla Universal.”
Lei
aveva sorriso, forse voleva negare la realtà, Bill era certo
che
avesse capito.
Che
senso aveva per Jan facilitargli le cose? Nessuno.
“Sono
davvero felice per te.”
“Ce
ne andremo da Loitsche, penso che anche mamma e Gordon ci
seguiranno, staremo ad Amburgo”
“Bello!”
aveva sorriso lei. “Ci vedremo di meno, ma verrò
ogni volta che
posso.”
Lui
aveva distolto di nuovo lo sguardo,perché era
così difficile?
Lui
avrebbe voluto portarla via con se ed invece non poteva far altro
che lasciarla e farla soffrire.
“No,
Jan…. Io … mi dispiace, ma penso che sia meglio
chiudere qui.”
“Perché?”
La
voce della bionda era tremula e sofferente, Bill si odio per quello.
Lui doveva essere un motivo di gioia per lei, non doveva farla soffrire!
“Jan, soffriremmo
inutilmente.
Non posso costringerti a una relazione a distanza che si logorerebbe
man mano,
sarebbe orribile.
Io…La
scelta è tra rimanere qui e perdere la mia grande occasione
e
andarmene.
Qui
non c’è quel che voglio, io voglio essere libero,
io voglio che la
gente veda quel che valgo.”
“E
io? Io cosa faccio, eh?
Cosa
vuoi da me? La mia benedizione a calpestarmi il cuore?
Io
ti amo, cazzo!”
Era
la prima volta che glielo diceva, Bill desiderò scomparire.
Non
poteva essere così crudele la vita.
“Non
posso venire con te?”
“Abbiamo
quindici anni Jan, sarebbe bellissimo se tu potessi venire, ma
tua madre non ti lascerà mai.
Se
avessimo avuto diciott’anni….”
E
per un attimo Bill si cullò nell’illusione che
fosse possibile, faceva
male.
Doveva
essere risoluto anche e soprattutto per lei ricordandole la
realtà.
“E così
mi molli qui…
Bhe
bravo, hai imparato la prima regola del mondo degli adulti, calpesta
chi non ti serve.”
“Jan…”
In
quel nome c’era tutto il dolore, c’era tutto il se
stesso fragile e
sanguinante che si mostrava a
lei perché
era troppo fottutamente debole per fare l’uomo risoluto.
Credeva
forse di meritarsi il perdono così o di lenire il dolore
della
sua ragazza?
“Janis ti amo. Non
potremmo
almeno rimanere amici?”
“Vaffanculo
Bill, sei una testa di cazzo!”
Jan
cose via piangendo e Bill si sentì morire.
Lei
era persa. Andata. Per sempre.
Era
la prima vittima del
suo
successo.
Questa
è la mia foto
per te che vado via
a cercare un mondo nuovo
per capire cosa sono
la nave parte presto
e non mi resta tempo
stringimi le mani
che quasi quasi svengo
Quel
giorno Bill tornò a casa distrutto, si chiuse in camera e
non volle
parlare con nessuno ne scendere per la cena.
Non
diede retta nemmeno a Tom che alle sette e mezza venne a bussare
alla porta della sua camera e a supplicarlo di scendere. Bill
semplicemente lo
ignorò.
Si
sentiva troppo male per poter affrontare una conversazione decente e
non voleva sentire su di sé lo sguardo di Tom, lui di sicuro
non avrebbe capito
i motivi della sua sofferenza, era uno di quelli che non voleva
affezionarsi a
nessuno.
Già
stava male, il biasimo del fratello era l’ultima cosa che
volesse.
Si
rannicchiò a letto e lasciò che le lacrime
sgorgassero liberamente.
Negli
anni il moro aveva imparato a piangere silenziosamente per non
disturbare e al momento voleva solo piangere.
Piangere
e ricordare.
Ricordare
il primo bacio.
Ricordare
l’ansia mista a gioia quando le aveva chiesto di essere la
sua
ragazza.
Ricordare
quella volta in cui erano andati alle giostre insieme in
estate e lei rideva come una bambina, il bel volto illuminato da un
sorriso che
raramente gli aveva visto.
Tutto
questo faceva male.
Bill
sapeva che non avrebbe visto ancora il sorriso di Jan, la sua
figura esile e gli occhi color del cielo, eppure non poteva fare a meno
di
ripercorrere masochisticamente tutto per stamparselo bene in mente.
Il
momento che aveva sempre desiderato stava per arrivare, avrebbe
lasciato quel paese in cui si era sempre sentito di troppo, non pensava
certo
che ora avrebbe sofferto.
I
momenti che aveva vissuto con lei sarebbero stati quelli che avrebbe
sfogliato in futuro, quello che ora era il suo dolore sarebbe stato il
suo
conforto.
Ora
faceva solo male, sangue grondava da quella ferita.
Lui
stringeva i denti sapendo che lo faceva anche per proteggere lei, ma
era dura.
Il
moro non seppe quanto tempo rimase rannicchiato su stesso in
posizione fetale, seppe solo che a un certo punto la porta della stanza si aprì con un
leggerò cigolio e un po’ di
luce entrò.
Bill
non aveva bisogno di voltarsi per sapere che era suo fratello la
figura che stazionava sulla porta.
“Non
ho voglia di parlare. Vattene!” biascicò.
Fu
come se non avesse parlato, sentì dei passi dirigersi verso
il suo
letto e poi Tom che si sedeva accanto a lui.
“Stai
bene?” azzardò il gemello.
Una
meraviglia, stava giusto meditando di ballare una conga.
“No,
sto una merda. L’ho appena lasciata, te ne rendi
conto?”
“Ma
l’hai lasciata tu!”
Bill
si voltò di scatto per fronteggiarlo.
“Perché
non capisci? Non l’ho mollata perché ero stanco di
scoparci, io
la amo e tu lo sai!
L’ho
mollata per non farla soffrire andandomene e condannandola a una
relazione a distanza disastrosa, ma la amo e ci sto male!
Non
voglio sentire il tuo biasimo o le tue spiegazioni da playboy da
strapazzo, quindi vattene!”
Sputò
acido.
“Ma..”
Tom provò timidamente a ribattere.
“Vattene
o ti sbatto fuori a calci.” Bill alzò leggermente
la voce.
Il
fratello si alzò in piedi e si avviò verso la
porta, poi si fermò.
“
Ero solo venuto a dirti che capisco il tuo dolore e che se volevi
parlare io c’ero, ma vedo che non è aria.
Buonanotte fratellino.”
Bill
si sentì ancora peggio, suo fratello era venuto per
consolarlo e
lui l’aveva trattato a pesci in faccia! Idiota patentato che
non era altro!
Domani
si sarebbe scusato con lui, ora aveva un appuntamento
improrogabile con il suo dolore.
Il
giorno dopo effettivamente si scusò, ma rimase
un’ameba assente che
ciondolava in giro per casa, persino sua madre ebbe pietà di
lui e lo lasciò a
letto a vegetare, anche se fosse andato a scuola non sarebbe comunque
riuscito
a seguire nulla.
Arrivato
a sera il ragazzo si accorse di essere senza sigarette ed
uscì
a prendere un pacchetto al distributore automatico.
Il
paese non era per niente animato,c’era solo un po’
di movimento
nell’unico bar del paese, accanto alla tabaccheria e Bill
decise di farci un
salto.
Ci
sarebbe stato giusto il tempo di un caffè, si disse.
Si
stava raccontando una bugia, quando era passato davanti al locale
aveva subito pensato che sbronzarsi poteva essere una soluzione per
staccare un
attimo la spina.
Lo
sapeva che era sbagliato e che domani tutti i suoi problemi sarebbero
stati li a fargli “ciao” con la manina, ma una sera
se la poteva concedere.
Iniziò
con un bicchiere di vodka, che poi diventarono due, tre, fino a
perdere il conto, mentre il tempo passava e l’ora di chiusura
si avvicinava.
Quando
era arrivata se fosse stato cosciente avrebbe visto il
proprietario guardarlo con disprezzo e poi chiamare a casa sua per far
si che
qualcuno lo venisse a prendere.
Si
svegliò solo quando sentì il freddo avvolgerlo
come un mantello
gelido, aprì impacciato gli occhi e si accorse che era
stretto alla schiena di
qualcuno, Gustav per la precisione.
Provò
a biascicare qualcosa, l’unico risultato che ottenne furono
gli
aspri rimproveri di Tom che gli perforarono in modo fastidioso il
cranio.
Il
moro decise che era meglio sprofondare nel buio che sentirli ancora e
chiuse gli occhi. Si risparmiò così lo sguardo di
biasimo della madre e la sua
ramanzina.
Li
riaprì solo la mattina dopo quando un mal di testa
allucinante e un
sapore acido in bocca lo costrinsero ad alzarsi, era in arrivo un
po’ di
vomito.
Barcollò
verso il bagno ed arrivò appena in tempo al water, poco dopo
la
prima scarica di vomito lo colse.
Sentì
che qualcuno era arrivato alle sue spalle e che gli teneva la
fronte, doveva essere Tom.
“Sei
un coglione Bill, ma sei anche mio fratello e mi tocca farti da
balia.” Mugugnava.
“Vedi
di non farmi più spaventare così o ti ammazzo,
razza di idiota!”
Si,
era suo fratello.
Quando
ebbe finito, lo aiutò a ripulirsi e a tornare a letto. si
sentì
male solo un’altra volta e anche quel giorno rimase a casa,
sebbene sua madre
questa volta non fosse per nulla felice.
Trascorse
tutta la giornata a
letto, verso sera Gustav venne a trovarlo e Tom uscì, aveva
una faccia strana,
ma Bill non ci fece caso.
Parlò
con l’amico e lo ringraziò per averlo aiutato,
Gustav si strinse
nelle spalle.
“Ma
figurati, siamo amici no? Oggi a te, domani a me.”
“Sei
troppo intelligente per ubriacarti, Gustav.”
Il
biondino aveva sorriso.
C’era
stato un attimo di silenzio, poi era iniziato un discorso,
infarcito di progetti e deliri sul loro futuro e su quello che
avrebbero
vissuto in futuro.
Piano
piano stava tornando il colore sulle sue guance smunte, tanto che
non si accorse che il tempo passava e che di sotto era arrivato
qualcuno.
Sentì
dei passi lungo le scale, pensò fosse Tom e non se ne
preoccupò.
La
porta si aprì ed entrò il fratello, dietro
c’era la figura pallida,
triste e stravolta di Janis.
Bill
impallidì, la guardò per un tempo che gli parve
infinito. Avrebbe
voluto comunicarle tutto con quegli occhi, ma si
chiese
se il messaggio sarebbe arrivato a destinazione. Gli occhi di
Janis erano freddi come due lastre di ghiaccio.
Ormai
per il ragazzo c’erano solo lui e Jan in quella stanza, non
si era
nemmeno accorto che Gustav se l’era filata lasciandoli soli.
Lei
rimaneva ferma in mezzo alla stanza.
“Jan mi dispiace, ma era l’unica cosa a fare.
Mi potrai mai perdonare?”biascicò infine.
Solo questo sapeva dire? C’erano mille parole che avrebbe potuto usare e lui sceglieva le più banali? Idiota!
Questo sembrò sciogliere Jan perché camminò fino al letto, piano come una sonnambula, si sedette e lo guardò seria.
“Ti amo.”
I suoi occhi erano freddi, ma vide una scintilla di sofferenza attraversarli.
“Anche io, ma questo non cambia le cose.”
La voce di lei era amara e faceva male.
“Hai ragione. Spero che un giorno mi perdonerai.”
“Chissà.”
La sua freddezza era un colpo al cuore, stava uscendo altro sangue da quella dannata ferita metaforica.
“Ti chiedo solo un’ultima cosa, un bacio.”
Jan annuì, nei suoi occhi vide il dolore e il bisogno e lesse tutto l’amore che lei provava e che lui non era certo di meritarsi fino in fondo.
La ragazza si avvicinò piano alle sue labbra e le catturò in un lungo bacio.
Bill cercò di infonderci tutte le parole che il suo stupido cervello non aveva saputo tradurre in una frase sensata.
Voleva che capisse che lui l’amava, che non avrebbe mai voluto farla soffrire e che era la cosa più bella e preziosa che la vita gli avesse donato al di fuori della sua famiglia e che desiderava disperatamente il suo perdono.
Alla periferia della sua coscienza registrò che le lacrime erano li li per uscire.
Quando Jan si staccò i suoi occhi erano ancora tristi ma più dolci, rassegnati all’inevitabile, lei gli accarezzò piano una guancia e si alzò.
“Buona fortuna Bill. Impegnati al massimo con questa storia e sfonda, non ti perdonerei se tu mi avessi mollata per poi non farcela.”
“Grazie Jani” mormorò usando il nomignolo che le aveva dato affettuosamente la prima volta che si erano baciati.
Ora era davvero finita, altre lacrime uscirono dai suoi occhi.
se
quando torno sarò
livido
e i soldi avranno fatto i solchi sul mio viso
la foto ti dirà quello che sono stato
ma non devi piangere
Passarono
sei anni da quel giorno.
Nella
vita di Bill era cambiato tutto, non era più il quindicenne
che
aspettava buono buono la sua occasione per sfondare ed andarsene da un
paese
che gli andava stretto.
Ora
aveva ventun’anni ed era il vocalist di una band di fama
mondiale,
lui, Tom, Gustav e Georg ne avevano fatta di strada.
Con
un successo che non aveva avuto precedenti, avevano sbaragliato le
classifiche delle Germania e poi dell’intera Europa e del
mondo.
Era
stato come salire su un treno lanciato in piena corsa, non
c’era
stato modo di fermarli.
Le
ragazzine li idolatravano, altri li disprezzavano fino a tentare atti
violenti contro di loro e tutti sparlavano.
All’inizio
erano stati solo gli anti della sua band, c’era chi lo
credeva una ragazza e chi lo credeva gay.
Nessuno
sapeva chi fosse veramente.
Nessuno
sapeva che a volte nel cuore della notte si riscopriva a pensare
a quella ragazzina bionda che aveva lasciato al suo paese e che il suo
cuore si
stringeva spesso nella morsa conosciuta del dolore.
Era
stato giusto sacrificare Janis per la sua ambizione?
Era
giusto cantare d’amore se lui per primo l’aveva
buttato via?
Non
lo sapeva, sapeva solo che lei mancava.
Lui
sorrideva, era felice, vedeva il suo sogno crescere e prendere
forma e portarli
lontano lungo strade
che nemmeno nei suoi sogni più megalomani aveva percorso.
Aveva
tutto per essere felice e lo era, ma quel piccolo tassello fuori
posto, quella nota stonata risuonava nelle ore tarde della notte.
Bill
avrebbe potuto cercarla e lo
fece quando nel 2008 fu operato alla gola, durante la convalescenza un
giorno
si recò a Loitsche alla villetta dove Janis Keller abitava
con sua madre.
Fu
la donna ad aprirgli la porta e avrebbe riservato un sorriso
più
cordiale al demonio se mai se lo sarebbe trovato davanti.
“Mia
figlia non è in casa.” Aveva scandito
gelida.” Si è trovata un
bravo ragazzo, vedi di lasciarla in pace, non ha bisogno che tu torni a
sconvolgerle la vita.”
Se
la donna gli avesse dato un calcio in pancia avrebbe fatto meno male,
Bill era rimasto di ghiaccio su quella porta.
Cosa
credeva? Che Janis lo avrebbe aspettato per sempre?
In
fondo era stato lui ad andarsene! Da quel momento tutto era diventato
un po’ più grigio e meno scintillante per lui.
Cercava
di non darlo a vedere, ma era così.
Se
lo si guardava in superficie era lo stesso Bill Kaulitz sorridente di
qualche mese prima, forse anche più carico per lo scampato
pericolo, ma dentro…
Dentro
si sentiva a lutto.
Bill
si buttò nel lavoro, i traguardi erano soddisfacenti, ma la
fama
aveva anche un aspetto negativo che non poteva trascurare.
Bastava
un giro nei forum dedicati alla sua band per accorgersi che una
piccola minoranza lo dava gay e persino incestuoso.
Faceva
male che proprio loro che proclamavano di amarlo e si rispettarlo
fraintendessero così il suo rapporto con Tom, ma lasciava
correre, la carriera
era più importante.
Anche
se forse fermare l’isteria delle fan sarebbe stato
auspicabile,
visto che alcune di loro si erano messe a presidiare casa loro.
Afgane
in tour…Dito al culo sarebbe stato più corretto
come definizione
e l’unico tour che avrebbe concesso loro sarebbe stato quello
nel vero
Afganistan possibilmente in un campo pieno di mine antiuomo.
Il
calmo e paziente Bill aveva maturato questa rabbia sorda da quando
quelle pazze furiose avevano portato Tom all’esasperazione e
a un processo che
non si meritava.
Suo
fratello non era un violento! Era un ragazzo di vent’anni che
aveva
perso comprensibilmente la pazienza davanti a
quell’intrusione insensata.
Per
non parlare di quello che era successo a Gustav con
quell’aggressione senza motivo che gli era costata un sacco
di punti in testa.
Ma
come stava andando il mondo?
Anti
scatenati, fan scatenate e fanatiche!
Piano
piano nelle interviste il suo disagio era fuoriuscito e anche
sulla sua figura. Non era mai stato grasso, ma era dimagrito ancor di
più, così
le voci sulla sua anoressia avevano ripreso vigore.
Si
era sentito come un animale in gabbia.
Il
nuovo cd era andato bene ed anche il tour, questo lo aveva ripagato
in parte( i concerti erano la sua vita), ma la solitudine non si
placava.
Qualcosa
gli mancava, era l’amore e lui non poteva fare a meno di
chiedersi se non ci fosse ancora l’ombra di Janis nel suo
vuoto.
Era
la punizione per il suo egoismo probabilmente.
Se
lo disse mentre preparava la valigia nella sua villa di Los Angeles.
Non
gli era piaciuto trasferirsi in California, Bill amava profondamente
Era
troppo, da li l’America.
Ora
stava preparando la valigie per un breve ritorno a Loitsche, dai
suoi nonni, loro non potevano attraversare l’oceano per
lui… E poi segretamente
sperava di rivedere Janis, ma questa era una cosa che non avrebbe
confessato
nemmeno a Tom.
In
ogni caso finì di preparare quella dannata valigia e poi si
buttò a
letto, decisamente stanco, stressato ed incredulo di non avere impegni
fino all’epifania.
Che
manna dal cielo trascorrere un capodanno
in santa pace! Anche se come al solito
avrebbe dovuto litigare con il suo gemello per non avere la casa piena
di
smorfiose bionde.
Dettagli.
La
mattina dopo partirono per
Nulla
era cambiato ma qualche traccia della loro notorietà
persisteva,
la buca delle lettere della loro vecchia casa traboccava di lettere
delle fan
ad esempio.
I
suoi nonni furono estremamente cordiali, erano felici di avere attorno
quei nipoti così strani e così famosi.
Loro
li avevano sempre sostenuti e il loro successo li riempiva
d’orgoglio. Bill li amava per questo.
L’antivigilia
fu piacevole, la nonna li rimpinzò di cibo e lui
contraccambiò
con le chicchere. Descrisse i posti che aveva visto, le emozioni che
aveva
provato sul palco, Los Angeles.
Alla
fine sulla tavolata era calato il silenzio e tutti come al solito
ascoltavano solo lui.
Bill
sorrise, si, era stata una bella idea venire a Loitsche.
Per
la prima volta dopo tanto tempo quella sera si addormentò
sereno e
la mattina dopo si svegliò pieno di autentica voglia di fare.
Il
moro decise che un giro per il paese non sarebbe stato male ed
uscì
di casa conciato come un terrorista.
Camminò
per un po’ nelle strade, ricordando cose accadute anni prima
e
poi si diresse al parco.
Li
c’era stato il suo penultimo incontro con Jan, forse sperava
di incontrarla
li, come nelle fiabe.
-Sveglia
Bill,
questa è la realtà.
Il
tuo treno l’hai
perso anni fa il giorno in cui hai deciso che non volevi una storia a
distanza
e hai imposto questa decisione a Janis.-
Bill
sbuffò, che idiota che era! Si sarebbe preso a randellate da
solo
per tutti i casini che aveva fatto e per quella coscienza che non
voleva mai
tacere.
Se
uno stava male di suo perché torturarlo sadicamente
così?
Bill
non lo sapeva ed era talmente immerso nelle sue riflessioni che
sobbalzò quando una voce argentina trillò
un:”Ciao” a pochi passi da lui.
Bill
guardò a chi appartenesse, per un attimo gli era parso di
cogliere
l’eco di una voce conosciuta.
Davanti
a lui c’era una bambina di tre anni circa, ma forse ancora
più
piccola, infagottata in un cappottino viola , con dei grandi occhi
scuri e i
capelli rossi che lo guardava incuriosita.
Bill
sbatté la palpebre, quella bambina spuntata dal nulla
sembrava un
piccolo elfo.
“Ciao!”
ripete lei.
“Ciao.”
Rispose lui piano.
“Ti
piace la neve?”
“Si.”
Si guardò intorno.
In
quel paesaggio bianco non c’era traccia di altri esseri umani
a parte
lui e la bambina.
“IO
mi chiamo Tamara. Tu chi sei?”
“Io
sono Bill.”
“Io
ti conosco!” batté entusiasta le
mani.”Sei uno che canta nella
tele!”
Sgamato
al primo colpo.
“Piccola
dov’è la mamma?”
“Di
là.” Indico vagamente verso destra e riprese a
scrutarlo e a sorridere,
Bill sorrise di rimando.
“Come
mai sei qui da sola?”
La
piccola non rispose, si accucciò a terra e fece una palla di
neve che
poi gli mostrò orgogliosa.
“Facciamo
un pupazzo?”
Bill
alzò un sopracciglio.
“E
come lo vestiamo? Qui non abbiamo nulla!”
Stava
decisamente regredendo all’infanzia se per un attimo aveva
seriamente considerato di usare la sua costosissima giacca per il
pupazzo.
Si
stava ancora dando dell’idiota quando qualcosa di freddo lo
colpì in
piena faccia, facendogli sbattere gli occhi.
Si
guardò attorno e vide Tamara accucciata che rideva.
Ecco
svelato il mistero, la piccoletta voleva iniziare una battaglia di
neve con lui e il piccolo Bill che era in lui non vedeva
l’ora.
“Battaglia
a palle di neve?”
“Se
non si può fare un pupazzo..”
Il
tono della rossa era annoiato, secondo la sua logica infantile doveva
essere ovvio.
“D’accordo!”
Si
chinò a terra e raccolse una manciata di neve che
lanciò piano
in direzione di
Tamara, la piccola rise
e Bill si ritrovò coinvolto in una battaglia.
Erano
anni che non succedeva e lui rideva felice.
Poi
all’improvviso la piccola si imbronciò e
incrociò le braccia.
“Però
io volevo fare il pupazzo!”
“Bhe
se vuoi puoi venire a casa mi oggi pomeriggio e ne costruiamo uno.
Che ne dici?”
E
da quando in qua lui invitava bambine sconosciute in casa sua?
Cosa
aveva quel piccolo elfo di diverso dagli altri?
“Siiii!”
la bambina battè le mani gioiosa e si illuminò.
“Spero
che la mamma mi lasci.
All’improvviso
sentì dei passi dietro di loro, passi affannati che
rimbombavano lungo la neve, Bill per un riflesso condizionato si mise
gli
occhiali da sole. Ormai ogni estraneo poteva essere un potenziale
pericolo.
Una
figura si stava avvicinando, era sottile e con dei lunghi capelli
che le ballavano intorno al corpo minuto.
“Quella
è la mia mamma!” trillò Tamara
felice.
Bill
per un attimo si sentì sollevato e si
tolse gli occhiali per poi pietrificarsi.
La
figura minuta che avanzava preoccupata,
la madre di Tamara era Janis. Il suo cuore fece un balzo di gioia e poi
si
ritrasse nelle profondità della cassa toracica. Se aveva una
figlia, era
davvero felice con il suo ragazzo come gli aveva detto la madre due
anni prima
Cosa
credeva?
Che
una perla rara come Janis sarebbe
rimasta da sola in eterno ad aspettarlo dopo che LUI l’aveva
mollata?
Che
coglione!
Janis
sorrise stranita vedendoli, forse lui
non era più una visione gradita nella sua vita….
“Jan”
mormorò stupidamente.
“Bill.”
Rispose lei, in apparenza sicura.
“Come
stai?”
La
voce di Bill suonava incerta alle sue
stesse orecchie e si diede dell’idiota per
l’ennesima volta.
Certi
sogni dovevano morire all’alba, era
la loro natura e forse il suo con Janis era uno di quelli.
“Bene,
tu? Come mai qui?”
Lui
scrollò le spalle per darsi un tono, al
momento rimpiangeva di non essere rimasto a L.A., meglio le illusioni
che
quella cruda botta di realtà.
“Sono
venuto a trovare mia nonna. In questi
anni ho avuto poche occasioni per vederla.”
“Capisco.”
“Non
sapevo avessi una figlia.”
Janis
si sforzò di sorridergli, ma non le
venne molto bene.
“Non
è che siamo rimasti molto in contatto
in questi anni.”
La
capacità di sferzare la gente non era
cambiata nella bionda, Bill rise imbarazzato, non sapeva cosa dire, lei
non
aveva tutti i torti.
“Bhe
comunque è davvero una bambina
simpatica ed intelligente, ti somiglia.”
Bill
sorrise a Tamara sperando in
un’alleata.
“Prima
ci siamo conosciuti, vero, piccola?”
“Si!
E sei davvero simpatico” trillò la piccola.
“Come
mai qui, Jan? Nonna mi ha detto che
vivi ad Amburgo.”
“Sono
venuta a trovare mia madre e miei
nonni.”
“Da
sola? Il padre di Tamara non c’è?”
“No.”
Tra
di loro calò un silenzio gelido, Bill
ebbe l’impressione di aver toccato un tasto sbagliato .
“Mamma,
Bill mi ha invitato da lui questo
pomeriggio! Ha detto che faremo un pupazzo di neve insieme!”
Tamara
lo salvò dall’imbarazzo.
“Ma
lui sarà impegnato!”
“No,
tranquilla. Io e Tom non abbiamo nulla
da fare.”
“Dai
mamma, posso?”
“D’accordo,
piccola. Ora però andiamo a casa o nonna penserà
male.”
La
bambina annuì, ma Janis non sembrava
entusiasta di quella decisione.
“Ciao
Bill!”
“Ciao
Tamara, Janis!”
“Ciao!”
Bill
le guardò allontanarsi assente. Aveva il cuore che
sanguinava.
Se
avesse dovuto seguire il suo istinto avrebbe preso Tom, armi e
bagagli e se la sarebbe filata a Los Angeles inventando un impegno
improrogabile di lavoro per i nonni.
Ma
non poteva. Non avrebbe voluto mentire a Tamara, gli occhi scuri
della bambina era limpidi, ci sarebbe rimasta davvero male davanti a un
suo
comportamento scorretto.
Il
moro arrivò a casa come una furia, spalancando la porta
dell’ingresso
e chiamando a gran voce il fratello.
Non
appena se lo trovò davanti gli puntò un dito
accusatore al petto.
“Tu!
Oggi pomeriggio tieniti libero! Niente ragazze, niente porno, nulla
che faccia pensare
al sesso!
Oggi
viene da noi la figlia di Janis e non voglio traumatizzarla!”
“Janis
ha avuto una figlia?” chiese sbigottito Tom.
“Si,
si chiama Tamara, ha tre anni e non vorrai essere tu a spiegargli
come nascono i bambini vero?
Ha
un padre che non sono io, ti rendi conto?
Sai
quanto brucia scoprire che il tuo primo e mai dimenticato amore ha
procreato con un altro?
Tanto!
Tantissimo! Peggio che stare sul rogo!
Ma
tu cosa vuoi capire che non hai
mai avuto un rapporto serio!”
Sbraitò senza soluzione di
continuità ormai in preda alla paranoia, Tom lo
guardò allibito.
“Sei
sicuro che sia una buona soluzione farla venire qui?”
“Certo
che lo è! Gliel’ho promesso e si deve mantenere le
promesse con i
bambini!
Tu
limitati a fare quello che ti ho detto!”
“Bill
io non ti capisco.” Commentò alla fine Tom,
allargando le braccia
e scuotendo la testa.
“L’importante
è che mi capisca io!”
“Penso
che, al momento, nemmeno tu ti capisca.”
“Vaffanculo!”
Tuonò irato il vocalist
prima di chiudersi in camera.
In
quel che restava della mattinata e del primo pomeriggio
cercò di
calmarsi e credette di esserci riuscito, non voleva che Tamara avesse
una
brutta impressione.
Alle
due precise qualcuno suonò il campanello e Tom
andò ad aprire, la
voce argentina di Tamara fece irruzione nella casa portando una ventata
di
allegria.
Bill
scese al piano di sotto, Tamara stava stordendo Tom di chiacchiere
infantili e suo fratello sorrideva stoico.
“Ciao
Tamara!”
La
bambina gli rivolse un sorriso radioso.
“Sei
pronto per il pupazzo di neve?”
Lui
sorrise di rimando.
“Certo,
adesso usciamo e lo facciamo e lo facciamo. Tom
ci darà una mano, vero?”
Il
cantante rivolse un’occhiata significativa al fratello che
sbuffò.
“Non
ci penso nemmeno!
“E
invece ci pensi! Andiamo!” Bill lo afferrò per un
braccio e lo
trascinò fuori, incurante delle sue proteste.
Bill credeva che Tom avrebbe
protestato di più, ma alla fine accettò di buon
grado di trascorrere buona
parte del pomeriggio a dare forma umana a un mucchio di neve.
Il
moro persino l’impressione che il moro si stesse divertendo,
di
sicuro Tamara era felice.
La
bambina chiacchierava incessantemente, raccontando molti aneddoti su
lei e Janis, ma non nominava mai il padre.
Bill
lo trovò strano, ma era poco delicato chiedere informazioni
una
bambina.
Tornarono
dentro infreddoliti, ma contenti.
“Mi
sono divertita.” Esclamò allegra Tamara.
“Sono
contento!” trillò Bill.
“Tu
nella tele sei truccato, mi insegni come si fa?”
Tom
scoppiò a ridere, Bill non fece una piega, salì
al piano superiore a
recuperare la trousse e poi scese suscitando la curiosità di
Tamara.
Lentamente
spiegò alla bambina come truccarsi, la piccola non si perse
un passaggio.
“Ehi
Bill, potresti fare un tutorial e metterlo su you tube!”
Bill
non rispose, forse sul tubo avrebbe potuto cercare un tutorial che
spiegava come uccidere il fratello e farla franca nonostante si fosse
una star
internazionale.
No,
questa era cattiva, si disse.
“Ehi
Tamara ti va di vedere qualcosa di davvero bello?”
La
rossina lo guardò
sorpresa.
Tom
sparì un attimo e tornò con la chitarra. Bill
sorrise, dopotutto il
suo recalcitrante fratellino si stava divertendo.
L’ex
rasta improvvisò un piccolo concerto per la piccola e fu
quasi più
dispiaciuto di lui ne le vederla andarsene.
“Domani
mi insegni a suonare la chitarra?” chiese sulla porta la
rossa.
“Sei
troppo piccola.”
Lei
si imbronciò.
“Lo
vedremo domani.”
Bill
la accompagnò alla porta, Jan fu di poche parole. Lui rimase
impalato a guardarle andare via.
Faceva
ancora male sapere che lei era di un altro, ma una speranza
assurda si era accesa nel suo cuore. Forse visto che la piccola non
parlava di
un padre forse questo non c’era?
-No,
Bill. Niente
illusioni fanno male.-
Tornò
in casa.
“Ma
i nonni dove sono?”
“Dalla
zia non so che cosa, quella che ti ritiene troppo tendente al
gayo per farti entrare in casa. Torneranno dopodomani.
Simpatica
Tamara.”
“Si.”
Tom
lo guardò incredulo.
“Come
mai così taciturno?”
“Devo
riflettere…. Comunque domani Tamara viene ancora da
noi.”
“Meglio,
no?”
“Si,
meglio.”
Bill
si chiuse nel sua camera a pensare, saltò la cena e cadde in
un
sonno agitato.
Fece
sogni confusi in cui Janis prima lo baciava e poi lo picchiava
furiosamente, prima gli annunciava Tamara era sua figlia e poi si
allontanava
felice con un uomo senza volto.
Bill
si svegliò con un gran mal di testa, vegetò fino
a pranzo cercando
di riprendersi.
Mangiò
svogliatamente e aspettò l’arrivo di Tamara.
La
piccola notò subito che qualcosa non andava in lui, era
perspicace
come la madre.
“Bill,
stai bene?”
“Non
ho dormito bene stanotte.”
“Hai
avuto gli incubi? I grandi non li hanno!”
“Li
hanno anche i grandi!” ribadì lui.
“Quando
ho gli incubi dormo con la mamma.”
-Oh
anche io vorrei
dormire con tua madre, dato che è la causa dei miei
incubi…. Ma tu questo non
puoi saperlo piccola.-
Bill
sorrise.
“Che
facciamo oggi?!
“Tom
mi insegnerà a suonare la chitarra.”
“Sei
troppo piccola!”
La
frase segnò l’inizio di una lite tra i due,
Tamara, testarda come
Janis non mollò, Tom faticava a starle dietro.
Il
piccolo litigio si trasformò in una guerra quando la rossa
affermò
che se non sapeva suonare la chitarra non sapeva cucinare.
La
logica dell’affermazione della bambina gli sfuggiva, ma
questo bastò
a far scatenare l’ego del suo gemello e a fargli dire che le
avrebbe preparato
una torta buonissima.
Tom
se la cavava con i waffeln, ma per il resto…BHe non erano
sempre
commestibili le sue creazioni.
La
cucina si trasformò presto in un campo di battaglia.
Bill
era disperato, ci avrebbero messo ore a ridare un aspetto civile al
locale!
Proprio
in quel momento il campanello suonò, doveva essere Janis.
Bill
accolse con autentico sollievo il suo arrivo, almeno non avrebbe
pensato a quanto poteva essere infantile, idiota
e meritevole di essere picchiato suo
fratello.
Aprì
alla bionda con il suo miglior sorriso e con un discorso logorroico
dei suoi sulle labbra.
“Ciao
Janis, ti va se ci prendiamo una cioccolata? Tamara e mio fratello
stanno
martirizzando la cucina.
Lei
voleva che lui le insegnasse a suonare
la chitarra, lui no e alla fine lei l’ha stuzzicato
così tanto dicendogli che
non sa fare nulla che per ripicca lui le ha detto che sa cucinare.
La
cucina di nonna è un devasto!”
Disse
tutto d’un fiato,allegro, senza
badare alla faccia sconvolta della ragazza.
“Ok,
va bene.”
Jan
sembrava titubante, ma accetto di
accomodarsi in salotto.
Bill
scomparve in cucina, riuscì a malapena
a preparare una cioccolata e a tornare da lei.
Janis
aveva una postura rigida su quella
sedia, a Bill non piacque.
“Come stai
Jan?”
In
quel pomeriggio passato a fare da
spettatore ai due uragani aveva elaborato un discorso e decise di
snocciolarglielo subito.
Aveva
l’impressione che lei avesse qualcosa
da dirgli che non gli sarebbe piaciuta e lui voleva anticiparla.
“Sono
contenta che tu ti sia fatta una
famiglia. Tamara è davvero adorabile,anche se non parla mai
di suo padre.
Devo
ammettere che un po’ ci sono rimasto
male vedendo che tu avevi avuto una figlia con un altro, ma poi mi sono
detto
che io non avevo alcun diritto su di te, li ho persi circa sei anni fa
,mollandoti.
Insomma,
sono davvero felice che tu abbia
voltato pagina e sia felice.
IO
un po’ ti ho pensato in questi anni, ma
non posso pretendere che tu abbia fatto lo stesso.”
Ok,
forse aveva esagerato, si disse Bill.
Aveva
parlato a velocità supersonica, come
durante un’intervista e a Jan non doveva essere piaciuto.
La
sua faccia si era oscurata mano a mano
che il discorso proseguiva.
Bill
era sulle spine.
Come
un cretino si era lasciato trasportare
dal discorso e ora ne pagava le conseguenze torturandosi sulla risposta
di
Janis.
L’avrebbe
mandato al diavolo? Gli avrebbe
detto che aveva un compagno e lo amava?
Che
idiota era stato!
Piccole
gocce di sudore freddo iniziarono a
rotolare lungo la sua schiena.
“In
che termini hai pensato a me?”
La
domanda di Jan gli giunse da molto
lontano e fu come una secchiata d’acqua gelida.
Il
tono era brutale, come se Jan trovasse
molto difficile credergli.
“BHe
diciamo che mi dispiaceva averti
mollato così. Sono stato un’idiota, ho gettato la
spugna prima di combattere e
non me lo perdonerò mai. Forse il nostro rapporto avrebbe
potuto funzionare, ma
ormai è tardi per i forse, tu hai una famiglia.”
“NO.”
“Come?”
La
negazione lo colse di sorpresa. Sbarrò
gli occhi e la guardò incredulo.
Che
significava?
“IO
ho una figlia, non una famiglia. il
padre di Tamara è uno stronzo che appena ha scoperto la mia
gravidanza mi ha
mollata. Ho dovuto crescerla da sola.
Mamma
si è incazzata da morire, io sono
andata a vivere da zia Meg ad Amburgo dopo il parto.
Li
ho lavorato in un negozio di belle arti,
ora lavoro come vignettista in un giornale.
Non
ho avuto storie importanti e in questi
anni ci sono stati momenti in cui avrei preso il primo aereo solo per
massacrarti di botte e altri solo per coccolarti. Come vedi anche io ti
ho
pensato un po’.”
Nel
salotto calò il silenzio. Bill si
sentiva leggero e stupidamente felice, lei non era fidanzata, sposata,
convivente o impegnata. Forse per lui c’era ancora una
speranza….
“Dici
che potremmo rimanere amici?”azzardò
piano alla fine.
“Solo
se mi inviti a cena, un'altra cena da
mia madre non la reggo.”
Bill
si sentì come quando lo avevano
scritturato alla casa discografica.
Aveva
voglia di spaccare il mondo e di
dimostrare quanto valesse.
“Ma
certo! Stasera tutti in pizzeria.Tom,
Tamara!”
I
due uscirono dalla cucina in uno stato
pietoso, Bill soprassedette.
“Stasera
si va in pizzeria!”Comunicò felice.
“Bene!”
esultò la bambina.
Tom
non disse nulla, sembrava soppesare la
proposta e i suoi effetti. Annuì poco dopo.
“D’accordo!
Vado a prepararmi, tu no, Bill?”
“Voglio
una cosa scialla.”
“Va
bene fratello.”
Poi
lo afferrò per la spalla e lo guardò negli occhi.
“Credevi
davvero che ti avrei lasciato cambiare tranquillamente con il
casino che hai combinato in cucina?
Dobbiamo
sistemarlo sennò nonna ci scuoia!”
Tom
sbuffò, Janis si avviò verso la cucina.
“è
un disastro!”Constatò Jan.”Dai, vi do
una mano!”
Bill
fulminò il gemello.
Lavorarono
tutti e tre di buona lena e in un’ora riuscirono a sistemare
almeno buona parte della cucina.
Arrivarono
in pizzeria stanchi ed affamati.
Fu
una serata divertente, per un attimo Bill ebbe l’impressione
che gli
anni non fossero passati e che loro non fossero famosi.
C’era
complicità tra loro, Tamara si divertiva e tra lui e Janis
c’era
una sottile elettricità.
Il
vocalist ebbe l’impressione che attraverso quelle chiacchiere
tutto
sommato futili si stesse riannodando quel rapporto troppo
prematuramente
troncato.
Quel
feeling, quella sensazione di benessere che aveva sempre provato
con lei gli scaldavano di nuovo il cuore.
Aveva
l’impressione di avere ritrovato qualcosa di importante, che
fosse
l’amore?
Bill
deglutì, se così fosse stato non
l’avrebbe lasciato andare questa
volta, non avrebbe compiuto due volte lo stesso errore.
Si
congedarono allegramente, solo lui era vagamente restio a staccarsi
da lei e triste.
Voleva
dirle quello che provava e non aveva il coraggio.
Guidò
fino a casa senza dire una parola, Tom lo guardava meditabondo,
per un attimo i ruoli sembrava si fossero invertiti.
Arrivarono
a casa ancora in silenzio.
“Ti
piace vero?”
Tom
aveva infine preso la parola.
“La
amo ancora.”
“Ha
un altro.”
“Il
padre di Tamara non l’hai mai riconosciuta, lei è
libera e io ho
paura di incasinarle la vita.
Sono
famoso, sono un peso, capisci?
Come
proteggerebbe sua figlia da me?”
Tom
lo afferrò per le spalle.
“Bill,
noi possiamo proteggerle, hai la mia parola, ma tu non negarti la
felicità.
Dai,
a Janis la possibilità di scegliere. Non escluderla a
priori,
potresti pentirtene.”
Bill
rimase in silenzio. Il discorso era insolito sulle labbra di suo
fratello.
“L’hai
sempre amata. Datti la possibilità di essere felice e
concedi a
lei la possibilità di scegliere.
Andrà
come deve, ma almeno non avrete rimpianti.”
“Hai
ragione. Sei davvero maturato, sai?”
Tom
sorrise.
“Tutti
devono farlo prima o poi e io voglio solo vederti felice.”
“Grazie
Tom.”
Bill
si allontanò a piedi, voleva godersi Loitsche di notte e
quella
sensazione piacevolmente strisciante di felicità che provava.
Dopo
anni era vicino all’epilogo.
Dopo
anni quel filo da lui tagliato anni prima forse si sarebbe
riannodato.
Forse
avrebbe trovato quello che mancava alla sua vita.
Il
paese era poco frequentato come ricordava ed era gelido.
Bill
rabbrividiva senza controllo quando arrivò davanti alla casa dei genitori di
Janis.
Voleva
farle una sorpresa, una serenata, forse, così si
incamminò a
passi che credeva furtivi, ma che con tutta probabilità
erano ridicoli, senza
accorgersi della figura che lo guardava dal portico.
“Bill?”
La
voce incerta di Janis lo colse di
sorpresa, l’idea della serenata era da scartare.
“Si,
sono io! Mi hai sgamato accidenti!”
“Ti
muovi con la grazia di un dugongo!
Impossibile non notarti.”
BIll
si diede dell’idiota e si incamminò
verso la veranda.
Senza
trucco e vestiti di scena si sentiva
stranamente vulnerabile.
L’ansia
tornò a fargli visita. Cosa avrebbe
detto la bionda?
Che
forse era in ritardo di sei anni e non
era accettabile?
“Come
mai sei qui?” mormorò Jan.
Era
sempre stranamente seria quando stava
con lui, come se non sapesse cosa aspettarsi o che piega potesse
prendere la
situazione e questo la mandasse in confusione.
Lui
aveva intenzione di chiarirle le idee
questa volta.
“Per
questo.”
La
afferrò per le spalle, la baciò piano
cercando di trasmetterle tutto l’amore che provava.
Lei
non si staccava e ricambiava, Bill era
sempre più confuso e felice.
Cosa
significava?
Che
lei provava ancora qualcosa per lui o
che semplicemente non le faceva schifo?
Quando
si staccò la guardò negli occhi,
erano pieni di domande inespresse.
Quando
si staccarono gli occhi di Bill
brillavano, Jan lo guardava confusa.
“E
adesso?”mormorò infine la bionda.
Piccola,
fragile ed incerta Janis.
Non
l’aveva mai vista così.
“Non
lo so Jan. Sentivo che dovevo farlo.
Quel filo tra noi due che io ho tagliato anni fa non si è
mai davvero
interrotto. Sono stato un coglione te l’ho già
detto.”
“Come
credi che potrà andare avanti questo
rapporto?”
Ecco
la domanda che più lo spaventava.
“Jan
non voglio ripetere lo stesso errore
di sei anni fa. Ti ho mollato e ho sbagliato. Ora so che non posso
ripresentarmi qui come se niente fosse, ma mi piacerebbe riprovarci,
anche solo
come amici.”
“Gli
amici non si baciano,noi non siamo
amici.”
“Hai
ragione, siamo sempre stati qualcosa
di più.
Ti
va di riannodare quel filo che c’è tra
di noi?
Vuoi
venire da noi a Los Angeles per
l’ultimo dell’anno?”
E
dopo quella domanda il cuore di Bill salì
in gola.
Era
stata una pazzia, una cosa totalmente
azzardata e lei avrebbe potuto benissimo mandarlo al diavolo e non
avrebbe
avuto nessun torto.
Invece
sul suo viso di porcellana passarono
parecchie emozioni.
Sorpresa,
gioia, indecisione e di nuovo
gioia.
“Perché
no? Al massimo mia figlia si godrà il sole della
California.”
Il
cuore di Bill esplose.
Finalmente
si sentiva completo, quel filo
spezzato anni prima e ora provvisoriamente riannodato lo stava rendendo
felice.
Così
felice che aveva voglia di saltare e
ballare ed era misto alla paura che tutto scomparisse piano piano.
A
quindici anni aveva sbagliato, a ventuno
sperò di essere riuscito a
rimediare.
Aveva
voglia di vivere la sua favola, pensava di meritarselo e se lo meritava
Janis.
Era
arrivato il loro momento, non sarebbe stato facile viverlo, ma loro
non avrebbero mollato.
Non
sarebbe stato male raccontare a Tamara la loro storia come fiaba
della buonanotte…
Mostrami la foto
di quando son partito
son passati molti anni
e quasi non mi riconosco
il viaggio è stato lungo
e il tempo si è divertito
a disegnare sul mio corpo
tutto quello che ho vissuto
questa è la mia foto
Angolo di Layla.
Eccoci con il secondo capitolo, che è dal punto di vista di Bill e conclude la storia.
Nello scorso capitolo ho dimenticato una cosa molto importante:questa shot è dedicata a Ra. La ringrazio per avere letto in anteprima tutto lo scorso capitolo e parte di questo.
Grazie per la pazienza e per avermi aiutato con il personaggio di Janis.
I corsivi sono strofe della canzone"La mia foto" dei Tre Allegri ragazzi Morti.
Quasi dimenticavo. Ho fatto un paio di diesegni di Janis se qualcuno volesse vederli mi contatti. Appena torno in possesso del mio portatile saranno di nuovo disponibili le scannerizzazioni che avevo fatto XD.
Passo alle recensioni:.
Nihal Tom 92:sono contenta che ti piaccia il personaggio di janis, anche io l'adoro.
Per i sentimenti di Bill penso o almeno spero che in questo capitolo siano stati chiariti^^.
In quanto a Tamara sono contenta che tu l'apprezzi e grazie dei consigli. IO e i bambini siamo un universo a parte XD!
Spero che questo capitolo ti piaccia.
Ciao^^
Jiada95: Grazie del commento e tranquilla^^.
Sono ocntenta che ti piaccia e sper che anche questo capitolo sia di tuo gradimento^^.
Grazie a tutte le persone che l'hanno messa nelle preferite, seguite, ricordate etc XD . Ovviamente se ce ne sono.
Alla prossima^^
Layla