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Autore: Layla    26/12/2010    2 recensioni
Il primo amore non si scorda mai. Neanche se ti chiami BIll Kaulitz e hai lasciato la tua ragazza per seguire sogni di gloria.
Non si scorda mai, soprattutto se bruscamente interrotto.
E quando lo reincontri....
"Jan lesse qualche riga di Cenerentola, la bambina si addormentò subito a causa delle emozioni della giornata.
La ragazza sorrise, depose un bacio sulla fronte della figlia e uscì dalla camera.
Sua madre era già andata a letto, la casa era silenziosa e lei si sentiva sola.
Le aveva fatto male ritrovare quotidianità con un passato che credeva infinitamente lontano da lei.
La bionda aveva bisogno di fumare, così recuperò un posacenere ed uscì in veranda, sua madre non voleva che le fumasse in casa.
Si accese una sigaretta e guardò la luna.
No, da quel soggiorno a Loitsche non sarebbe uscita integra."
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2)Bill

Questa è la mia foto
per te che vado via
il resto è dentro la mia testa
dove tengo le mie cose
mi assomiglia molto
e se solo fossi morto
racconterebbe bene
quello che io sono adesso

 

Loitsche era sempre stata troppo piccola per lui.

Bill Kaulitz aveva sempre sognato in grande e desiderato vedere altri orizzonti, quelli del paesino tedesco gli erano sempre andati stretti.

Fin da piccolo si era sempre sentito diverso.

Qualcuno diceva che era speciale, qualcuno che era sbagliato. Nessuno aveva trovato accordo su di lui, constatò giunto a quindici anni.

Giravano da sempre voci su di lui, a causa del suo look particolare e dei tratti vagamente femminili del suo volto, molti dicevano che fosse gay.

Qualche ragazzino si era spinto a dimostrare che non gradiva gli omosessuali veri o presunti picchiandolo, se non ci fosse stato Tom non sapeva come sarebbe finita.

Tom era il suo gemello, era il suo punto fisso.

Ovviamente anche sua madre e il suo patrigno lo erano, ma non potevano  certo intervenire nelle dispute tra ragazzini se non volevano che la situazione peggiorasse.

Tom l’aveva aiutato più volte, con i bulli e con il suo sogno.

Bill aveva un sogno. Era da sempre affascinato dal mondo dello spettacolo e dalla musica, per lui rappresentavano quelle occasioni di riscatto e di libertà a cui sentiva di avere diritto.

Se lo sentiva che non avrebbe vissuto a lungo a Loitsche, per lui doveva esserci altro nel mondo, ne era certo.

Così aveva deciso di coinvolgere Tom. Non poteva fare altrimenti, per sentirsi sicuro doveva avere anche il gemello dalla sua parte.

Tom era diverso da lui, più calmo ed abitudinario, forse si sarebbe adattato alla vita sonnacchiosa di paese, accontentandosi di diventare un personaggio dei racconti da bar.

A Bill non bastava, lui voleva di più.

Un pochino si sentiva in colpa nei confronti del gemello, lo stava trascinando nei suoi sogni per egoismo, ma in fondo sapeva di fare il suo bene.

Tom come lui era sprecato in quel paesino, da quando aveva iniziato a suonare la chitarra e di conseguenza ad aiutarlo nel suo sogno sentiva che sarebbero volati lontano.

Non aveva motivi per rimanere in quel piccolo paese, questo era quello che aveva sempre pensato.

Anche dopo l’incontro con Georg e Gustav non aveva avvertito il nascere di legami con il paese, loro due erano i ragazzi con cui avrebbe realizzato il suo sogno. Loro sarebbero venuti via con lui.

Era cambiato qualcosa quando aveva incontrato  Janis, lei era speciale. Lei non avrebbe potuto venire via con lui, lei nel bene e nel male rappresentava un legame con Loitsche.

Era bella Janis, di una bellezza nascosta sotto milioni di muri per allontanare da sé gli altri. Aveva la sua età, lunghi capelli biondi sempre striati di un qualche colore e profondi occhi azzurri.

Bill amava gli occhi di Janis, erano sempre freddi e respingenti, tranne quando parlavano con lui. Sembravano un cielo in cui il sole si fosse fatto spazio e gli piaceva pensare che fosse lui quel sole.

Gli piaceva quando sorrideva per lui.

Gli piaceva quando lei si arrabbiava per lui ed insultava chi lo derideva.

Gli piaceva baciarla e sentire il suo corpo infagottato da vestiti tropo larghi contro il suo.

Bill si era innamorato di lei e questo lo spaventava e lo rendeva felice allo stesso tempo.

Cosa ne sarebbe stato di loro il giorno in cui finalmente i suoi sogni si fossero avverati?

Il moro preferiva non pensarci, si godeva giorno per giorno la presenza di Janis, secondo il suo motto, vivi il secondo.

Janis sembrava appoggiarlo, li seguiva in ogni concerto e lo appoggiava silenziosamente mentre le registrazioni con la

Sony ristagnavano.

Bill aveva capito che presto quell’etichetta li avrebbe scaricati e sperava di trovarne una nuova.

Accantonava ancora i suoi sentimenti per Janis e le future sofferenze, tuttavia non sempre si poteva vivere solo il secondo. A volte la vita ti costringeva a pensare al futuro.

Bill era stato costretto a farlo il giorno in cui una nuova casa discografica li aveva contattati, l’Universal aveva offerto loro quello che lui voleva.

Gli aveva offerto la possibilità di incidere un cd e di lanciarlo.

Questo lo riempiva di gioia, ma anche lo faceva preoccupare. Cosa sarebbe successo con la sua ragazza?

Se loro fossero riusciti a sfondare non sarebbero più rimasti al paese e lei non avrebbe potuto seguirli, era troppo giovane e la sua famiglia non era affatto permissiva.

Se la sentiva di proseguire una relazione a distanza?

Il suo cuore urlava di si, la sua mente lo poneva cinicamente davanti alle conseguenze. Se avessero avuto successo le loro vite sarebbero state rivoltate come calzini e così quella di Janis.

Bill conosceva la sua storia, sapeva di quel padre fedifrago che era sparito da un giorno all’altro e non dubitava che i giornalisti, ammesso che ce ne fossero stati, non avrebbero tardato a scoprirlo.

Per Janis sarebbe stato un trauma rimestare nel passato, visto che già ne era imprigionata, come dimostravano i suoi silenzi e i suoi comportamenti scostanti.

Non poteva infliggere questo a lei, che era stata una delle rare persone che lo avevano accettato ed amato per quello che era.

I dubbi non lo lasciavano stare, lui ci si dibatteva in cerca di una soluzione che non fosse quella di troncare quel rapporto.

Tom lo guardava e non parlava, forse temeva che le sue eventuali parole sarebbero state fraintese o non accettate, ma Bill aveva disperatamente bisogno di un consiglio.

Questa volta non l’avrebbe avuto, avrebbe dovuto  cavarsela da solo.

La notte prima del colloquio con la casa discografica la trascorse insonne e alla fine stremato andò a scuola e poi dai produttori, in testa aveva una confusione bestiale.

Si diradò man mano sentiva David Jost parlare.

No, non avrebbe mai permesso a Janis di seguirlo in quell’avventura, non avrebbe retto.

Doveva mollarla, anche se il suo cuore si ribellava all’idea.

Alla fine di quell’incontro il moro guardò Tom e il gemello capì subito, gli donò un sorriso triste e una mano appoggiata sulla spalla per fargli coraggio.

Bill andò  all’appuntamento con la morte nel cuore, quando la vide che camminava immersa in quel bianco desiderò abbracciarla e giurarle che nulla li avrebbe separati,che lei sarebbe sempre stata nel suo cuore qualunque cosa sarebbe successo.

Per un attimo si immaginò come sarebbe stato fuggire con lei, ma poi gli fece troppo male veder le conseguenze: la polizia sulle loro tracce, la vita di Jan rivoltata come un calzino.

No. Doveva  lasciarla per quanto male facesse.

Chi amava non era egoista, se era necessario allontanare le persone amate per non farle soffrire lo faceva seppellendo il proprio dolore.

“Ciao Piccola!” mormorò non appena le fu davanti.

Si sentiva un essere schifoso, lei sorrideva felice e lui era pronto a darle la mazzata finale.

-Dio Janis, perdonami-

Fu l’ultimo pensiero logico che formulò prima che lei gli si buttasse tra le braccia e lo coinvolgesse in un bacio appassionato.

Bill sentì un brivido corrergli lungo la schiena e il gelo invaderlo.

Era un bacio d’addio, da qualche parte nella sua anima la sua ragazza aveva capito prima di lui cosa stava per succedere.

Quando si staccò da lei a la guardò negli occhi avrebbe voluto che i suoi occhi non fossero così dannatamente espressivi e che lei non leggesse tutto il suo dolore e la sua paura.

Lasciarla non era facile, cosa avrebbe fatto senza di lei?

 “Scusa, ma il produttore mi ha trattenuto.” Biascicò infine, carezzandole una mano.

Era morbida e fredda, gli sarebbe mancato scaldarle le mani fingendo di non gradirlo.

 “Tranquillo.”

“Devo dirti una cosa…” Bill abbassò lo sguardo.

-Verme. Verme. Verme.-

 “Parla.”

“Ecco… Ci hanno offerto un contratto, uno serio questa volta. Passiamo alla Universal.”

Lei aveva sorriso, forse voleva negare la realtà, Bill era certo che avesse capito.

Che senso aveva per Jan facilitargli le cose? Nessuno.

“Sono davvero felice per te.”

“Ce ne andremo da Loitsche, penso che anche mamma e Gordon ci seguiranno, staremo ad Amburgo”

“Bello!” aveva sorriso lei. “Ci vedremo di meno, ma verrò ogni volta che posso.”

Lui aveva distolto di nuovo lo sguardo,perché era così difficile?

Lui avrebbe voluto portarla via con se ed invece non poteva far altro che lasciarla e farla soffrire.

“No, Jan…. Io … mi dispiace, ma penso che sia meglio chiudere qui.”

“Perché?”

La voce della bionda era tremula e sofferente, Bill si odio per quello. Lui doveva essere un motivo di gioia per lei, non doveva farla soffrire!

 “Jan, soffriremmo inutilmente. Non posso costringerti a una relazione a distanza che si logorerebbe man mano, sarebbe orribile.

Io…La scelta è tra rimanere qui e perdere la mia grande occasione e andarmene.

Qui non c’è quel che voglio, io voglio essere libero, io voglio che la gente veda quel che valgo.”

“E io? Io cosa faccio, eh?

Cosa vuoi da me? La mia benedizione a calpestarmi il cuore?

Io ti amo, cazzo!”

Era la prima volta che glielo diceva, Bill desiderò scomparire.

Non poteva essere così crudele la vita.

“Non posso venire con te?”

“Abbiamo quindici anni Jan, sarebbe bellissimo se tu potessi venire, ma tua madre non ti lascerà mai.

Se avessimo avuto diciott’anni….”

E per un attimo Bill si cullò nell’illusione che fosse possibile, faceva male.

Doveva essere risoluto anche e soprattutto per lei ricordandole la realtà.

 “E così mi molli qui…

Bhe bravo, hai imparato la prima regola del mondo degli adulti, calpesta chi non ti serve.”

“Jan…”

In quel nome c’era tutto il dolore, c’era tutto il se stesso fragile e sanguinante che si mostrava  a lei perché era troppo fottutamente debole per fare l’uomo risoluto.

Credeva forse di meritarsi il perdono così o di lenire il dolore della sua ragazza?

 “Janis ti amo. Non potremmo almeno rimanere amici?”

“Vaffanculo Bill, sei una testa di cazzo!”

Jan cose via piangendo e Bill si sentì morire.

Lei era persa. Andata. Per sempre.

Era la prima vittima  del suo successo.

 

Questa è la mia foto
per te che vado via
a cercare un mondo nuovo
per capire cosa sono
la nave parte presto
e non mi resta tempo
stringimi le mani
che quasi quasi svengo

 

Quel giorno Bill tornò a casa distrutto, si chiuse in camera e non volle parlare con nessuno ne scendere per la cena.

Non diede retta nemmeno a Tom che alle sette e mezza venne a bussare alla porta della sua camera e a supplicarlo di scendere. Bill semplicemente lo ignorò.

Si sentiva troppo male per poter affrontare una conversazione decente e non voleva sentire su di sé lo sguardo di Tom, lui di sicuro non avrebbe capito i motivi della sua sofferenza, era uno di quelli che non voleva affezionarsi a nessuno.

Già stava male, il biasimo del fratello era l’ultima cosa che volesse.

Si rannicchiò a letto e lasciò che le lacrime sgorgassero liberamente.

Negli anni il moro aveva imparato a piangere silenziosamente per non disturbare e al momento voleva solo piangere.

Piangere e ricordare.

Ricordare il primo bacio.

Ricordare l’ansia mista a gioia quando le aveva chiesto di essere la sua ragazza.

Ricordare quella volta in cui erano andati alle giostre insieme in estate e lei rideva come una bambina, il bel volto illuminato da un sorriso che raramente gli aveva visto.

Tutto questo faceva male.

Bill sapeva che non avrebbe visto ancora il sorriso di Jan, la sua figura esile e gli occhi color del cielo, eppure non poteva fare a meno di ripercorrere masochisticamente tutto per stamparselo bene in mente.

Il momento che aveva sempre desiderato stava per arrivare, avrebbe lasciato quel paese in cui si era sempre sentito di troppo, non pensava certo che ora avrebbe sofferto.

I momenti che aveva vissuto con lei sarebbero stati quelli che avrebbe sfogliato in futuro, quello che ora era il suo dolore sarebbe stato il suo conforto.

Ora faceva solo male, sangue grondava da quella ferita.

Lui stringeva i denti sapendo che lo faceva anche per proteggere lei, ma era dura.

Il moro non seppe quanto tempo rimase rannicchiato su stesso in posizione fetale, seppe solo che a un certo punto la porta della stanza  si aprì con un leggerò cigolio e un po’ di luce entrò.

Bill non aveva bisogno di voltarsi per sapere che era suo fratello la figura che stazionava sulla porta.

“Non ho voglia di parlare. Vattene!” biascicò.

Fu come se non avesse parlato, sentì dei passi dirigersi verso il suo letto e poi Tom che si sedeva accanto a lui.

“Stai bene?” azzardò il gemello.

Una meraviglia, stava giusto meditando di ballare una conga.

“No, sto una merda. L’ho appena lasciata, te ne rendi conto?”

“Ma l’hai lasciata tu!”

Bill si voltò di scatto per fronteggiarlo.

“Perché non capisci? Non l’ho mollata perché ero stanco di scoparci, io la amo e tu lo sai!

L’ho mollata per non farla soffrire andandomene e condannandola a una relazione a distanza disastrosa, ma la amo e ci sto male!

Non voglio sentire il tuo biasimo o le tue spiegazioni da playboy da strapazzo, quindi vattene!”

Sputò acido.

“Ma..” Tom provò timidamente a ribattere.

“Vattene o ti sbatto fuori a calci.” Bill alzò leggermente la voce.

Il fratello si alzò in piedi e si avviò verso la porta, poi si fermò.

“ Ero solo venuto a dirti che capisco il tuo dolore e che se volevi parlare io c’ero, ma vedo che non è aria. Buonanotte fratellino.”

Bill si sentì ancora peggio, suo fratello era venuto per consolarlo e lui l’aveva trattato a pesci in faccia! Idiota patentato che non era altro!

Domani si sarebbe scusato con lui, ora aveva un appuntamento improrogabile con il suo dolore.

Il giorno dopo effettivamente si scusò, ma rimase un’ameba assente che ciondolava in giro per casa, persino sua madre ebbe pietà di lui e lo lasciò a letto a vegetare, anche se fosse andato a scuola non sarebbe comunque riuscito a  seguire nulla.

Arrivato a sera il ragazzo si accorse di essere senza sigarette ed uscì a prendere un pacchetto al distributore automatico.

Il paese non era per niente animato,c’era solo un po’ di movimento nell’unico bar del paese, accanto alla tabaccheria e Bill decise di farci un salto.

Ci sarebbe stato giusto il tempo di un caffè, si disse.

Si stava raccontando una bugia, quando era passato davanti al locale aveva subito pensato che sbronzarsi poteva essere una soluzione per staccare un attimo la spina.

Lo sapeva che era sbagliato e che domani tutti i suoi problemi sarebbero stati li a fargli “ciao” con la manina, ma una sera se la poteva concedere.

Iniziò con un bicchiere di vodka, che poi diventarono due, tre, fino a perdere il conto, mentre il tempo passava e l’ora di chiusura si avvicinava.

Quando era arrivata se fosse stato cosciente avrebbe visto il proprietario guardarlo con disprezzo e poi chiamare a casa sua per far si che qualcuno lo venisse a prendere.

Si svegliò solo quando sentì il freddo avvolgerlo come un mantello gelido, aprì impacciato gli occhi e si accorse che era stretto alla schiena di qualcuno, Gustav per la precisione.

Provò a biascicare qualcosa, l’unico risultato che ottenne furono gli aspri rimproveri di Tom che gli perforarono in modo fastidioso il cranio.

Il moro decise che era meglio sprofondare nel buio che sentirli ancora e chiuse gli occhi. Si risparmiò così lo sguardo di biasimo della madre e la sua ramanzina.

Li riaprì solo la mattina dopo quando un mal di testa allucinante e un sapore acido in bocca lo costrinsero ad alzarsi, era in arrivo un po’ di vomito.

Barcollò verso il bagno ed arrivò appena in tempo al water, poco dopo la prima scarica di vomito lo colse.

Sentì che qualcuno era arrivato alle sue spalle e che gli teneva la fronte, doveva essere Tom.

“Sei un coglione Bill, ma sei anche mio fratello e mi tocca farti da balia.” Mugugnava.

“Vedi di non farmi più spaventare così o ti ammazzo, razza di idiota!”

Si, era suo fratello.

Quando ebbe finito, lo aiutò a ripulirsi e a tornare a letto. si sentì male solo un’altra volta e anche quel giorno rimase a casa, sebbene sua madre questa volta non fosse per nulla felice.

Trascorse tutta la giornata  a letto, verso sera Gustav venne a trovarlo e Tom uscì, aveva una faccia strana, ma Bill non ci fece caso.

Parlò con l’amico e lo ringraziò per averlo aiutato, Gustav si strinse nelle spalle.

“Ma figurati, siamo amici no? Oggi a te, domani a me.”

“Sei troppo intelligente per ubriacarti, Gustav.”

Il biondino aveva sorriso.

C’era stato un attimo di silenzio, poi era iniziato un discorso, infarcito di progetti e deliri sul loro futuro e su quello che avrebbero vissuto in futuro.

Piano piano stava tornando il colore sulle sue guance smunte, tanto che non si accorse che il tempo passava e che di sotto era arrivato qualcuno.

Sentì dei passi lungo le scale, pensò fosse Tom e non se ne preoccupò.

La porta si aprì ed entrò il fratello, dietro c’era la figura pallida, triste e stravolta di Janis.

Bill impallidì, la guardò per un tempo che gli parve infinito. Avrebbe voluto comunicarle tutto con quegli occhi, ma si

chiese se il messaggio sarebbe arrivato a destinazione. Gli occhi di Janis erano freddi come due lastre di ghiaccio.

Ormai per il ragazzo c’erano solo lui e Jan in quella stanza, non si era nemmeno accorto che Gustav se l’era filata lasciandoli soli.

Lei rimaneva ferma in mezzo alla stanza.

“Jan mi dispiace, ma era l’unica cosa a fare.

Mi potrai mai perdonare?”biascicò infine.

Solo questo sapeva dire? C’erano mille parole che avrebbe potuto usare e lui sceglieva le più banali? Idiota!

Questo sembrò sciogliere Jan perché camminò fino al letto, piano come una sonnambula, si sedette e lo guardò seria.

 “Ti amo.”

I suoi occhi erano freddi, ma vide una scintilla di sofferenza attraversarli.

“Anche io, ma questo non cambia le cose.”

La voce di lei era amara e faceva male.

“Hai ragione. Spero che un giorno mi perdonerai.”

“Chissà.”

La sua freddezza era un colpo al cuore, stava uscendo altro sangue da quella dannata ferita metaforica.

 “Ti chiedo solo un’ultima cosa, un bacio.”

Jan annuì, nei suoi occhi vide il dolore e il bisogno e lesse tutto l’amore che lei provava e che lui non era certo di meritarsi fino in fondo.

La ragazza si avvicinò piano alle sue labbra e le catturò in un lungo bacio.

Bill cercò di infonderci tutte le parole che il suo stupido cervello non aveva saputo tradurre in una frase sensata.

Voleva che capisse che lui l’amava, che non avrebbe mai voluto farla soffrire e che era la cosa più bella e preziosa che la vita gli avesse donato al di fuori della sua famiglia e che desiderava disperatamente il suo perdono.

Alla periferia della sua coscienza registrò che le lacrime erano li li per uscire.

Quando Jan si staccò i suoi occhi erano ancora tristi ma più dolci, rassegnati all’inevitabile, lei gli accarezzò piano una guancia e si alzò.

“Buona fortuna Bill. Impegnati al massimo con questa storia e sfonda, non ti perdonerei se tu mi avessi mollata per poi non farcela.”

“Grazie Jani” mormorò usando il nomignolo che le aveva dato affettuosamente la prima volta che si erano baciati.

Ora era davvero finita, altre lacrime uscirono dai suoi occhi.

 

se quando torno sarò livido
e i soldi avranno fatto i solchi sul mio viso
la foto ti dirà quello che sono stato
ma non devi piangere


Passarono sei anni da quel giorno.

Nella vita di Bill era cambiato tutto, non era più il quindicenne che aspettava buono buono la sua occasione per sfondare ed andarsene da un paese che gli andava stretto.

Ora aveva ventun’anni ed era il vocalist di una band di fama mondiale, lui, Tom, Gustav e Georg ne avevano fatta di strada.

Con un successo che non aveva avuto precedenti, avevano sbaragliato le classifiche delle Germania e poi dell’intera Europa e del mondo.

Era stato come salire su un treno lanciato in piena corsa, non c’era stato modo di fermarli.

Le ragazzine li idolatravano, altri li disprezzavano fino a tentare atti violenti contro di loro e tutti sparlavano.

All’inizio erano stati solo gli anti della sua band, c’era chi lo credeva una ragazza e chi lo credeva gay.

Nessuno sapeva chi fosse veramente.

Nessuno sapeva che a volte nel cuore della notte si riscopriva a pensare a quella ragazzina bionda che aveva lasciato al suo paese e che il suo cuore si stringeva spesso nella morsa conosciuta del dolore.

Era stato giusto sacrificare Janis per la sua ambizione?

Era giusto cantare d’amore se lui per primo l’aveva buttato via?

Non lo sapeva, sapeva solo che lei mancava.

Lui sorrideva, era felice, vedeva il suo sogno crescere e prendere forma  e portarli lontano lungo strade che nemmeno nei suoi sogni più megalomani aveva percorso.

Aveva tutto per essere felice e lo era, ma quel piccolo tassello fuori posto, quella nota stonata risuonava nelle ore tarde della notte.

Bill avrebbe potuto cercarla e  lo fece quando nel 2008 fu operato alla gola, durante la convalescenza un giorno si recò a Loitsche alla villetta dove Janis Keller abitava con sua madre.

Fu la donna ad aprirgli la porta e avrebbe riservato un sorriso più cordiale al demonio se mai se lo sarebbe trovato davanti.

“Mia figlia non è in casa.” Aveva scandito gelida.” Si è trovata un bravo ragazzo, vedi di lasciarla in pace, non ha bisogno che tu torni a sconvolgerle la vita.”

Se la donna gli avesse dato un calcio in pancia avrebbe fatto meno male, Bill era rimasto di ghiaccio su quella porta.

Cosa credeva? Che Janis lo avrebbe aspettato per sempre?

In fondo era stato lui ad andarsene! Da quel momento tutto era diventato un po’ più grigio e meno scintillante per lui.

Cercava di non darlo a vedere, ma era così.

Se lo si guardava in superficie era lo stesso Bill Kaulitz sorridente di qualche mese prima, forse anche più carico per lo scampato pericolo, ma dentro…

Dentro si sentiva a lutto.

Bill si buttò nel lavoro, i traguardi erano soddisfacenti, ma la fama aveva anche un aspetto negativo che non poteva trascurare.

Bastava un giro nei forum dedicati alla sua band per accorgersi che una piccola minoranza lo dava gay e persino incestuoso.

Faceva male che proprio loro che proclamavano di amarlo e si rispettarlo fraintendessero così il suo rapporto con Tom, ma lasciava correre, la carriera era più importante.

Anche se forse fermare l’isteria delle fan sarebbe stato auspicabile, visto che alcune di loro si erano messe a presidiare casa loro.

Afgane in tour…Dito al culo sarebbe stato più corretto come definizione e l’unico tour che avrebbe concesso loro sarebbe stato quello nel vero Afganistan possibilmente in un campo pieno di mine antiuomo.

Il calmo e paziente Bill aveva maturato questa rabbia sorda da quando quelle pazze furiose avevano portato Tom all’esasperazione e a un processo che non si meritava.

Suo fratello non era un violento! Era un ragazzo di vent’anni che aveva perso comprensibilmente la pazienza davanti a quell’intrusione insensata.

Per non parlare di quello che era successo a Gustav con quell’aggressione senza motivo che gli era costata un sacco di punti in testa.

Ma come stava andando il mondo?

Anti scatenati, fan scatenate e fanatiche!

Piano piano nelle interviste il suo disagio era fuoriuscito e anche sulla sua figura. Non era mai stato grasso, ma era dimagrito ancor di più, così le voci sulla sua anoressia avevano ripreso vigore.

Si era sentito come un animale in gabbia.

Il nuovo cd era andato bene ed anche il tour, questo lo aveva ripagato in parte( i concerti erano la sua vita), ma la solitudine non si placava.

Qualcosa gli mancava, era l’amore e lui non poteva fare a meno di chiedersi se non ci fosse ancora l’ombra di Janis nel suo vuoto.

Era la punizione per il suo egoismo probabilmente.

Se lo disse mentre preparava la valigia nella sua villa di Los Angeles.

Non gli era piaciuto trasferirsi in California, Bill amava profondamente la Germania, ma il clima era diventato invivibile, avevano chiesto un po’ di privacy per l’estate e le fan non erano riuscite ad accordare nemmeno quella.

Era troppo, da li l’America.

Ora stava preparando la valigie per un breve ritorno a Loitsche, dai suoi nonni, loro non potevano attraversare l’oceano per lui… E poi segretamente sperava di rivedere Janis, ma questa era una cosa che non avrebbe confessato nemmeno a Tom.

In ogni caso finì di preparare quella dannata valigia e poi si buttò a letto, decisamente stanco, stressato ed incredulo di non avere impegni fino all’epifania.

Che manna dal cielo trascorrere un capodanno  in santa pace! Anche se come al solito avrebbe dovuto litigare con il suo gemello per non avere la casa piena di smorfiose bionde.

Dettagli.

La mattina dopo partirono per la Germania e tornarono a Loitsche, fu decisamente strano per lui rimettere piede in quel paese.

Nulla era cambiato ma qualche traccia della loro notorietà persisteva, la buca delle lettere della loro vecchia casa traboccava di lettere delle fan ad esempio.

I suoi nonni furono estremamente cordiali, erano felici di avere attorno quei nipoti così strani e così famosi.

Loro li avevano sempre sostenuti e il loro successo li riempiva d’orgoglio. Bill li amava per questo.

L’antivigilia fu piacevole, la nonna li rimpinzò di cibo e lui contraccambiò con le chicchere. Descrisse i posti che aveva visto, le emozioni che aveva provato sul palco, Los Angeles.

Alla fine sulla tavolata era calato il silenzio e tutti come al solito ascoltavano solo lui.

Bill sorrise, si, era stata una bella idea venire a Loitsche.

Per la prima volta dopo tanto tempo quella sera si addormentò sereno e la mattina dopo si svegliò pieno di autentica voglia di fare.

Il moro decise che un giro per il paese non sarebbe stato male ed uscì di casa conciato come un terrorista.

Camminò per un po’ nelle strade, ricordando cose accadute anni prima e poi si diresse al parco.

Li c’era stato il suo penultimo incontro con Jan, forse sperava di incontrarla li, come nelle fiabe.

-Sveglia Bill, questa è la realtà.

Il tuo treno l’hai perso anni fa il giorno in cui hai deciso che non volevi una storia a distanza e hai imposto questa decisione a Janis.-

Bill sbuffò, che idiota che era! Si sarebbe preso a randellate da solo per tutti i casini che aveva fatto e per quella coscienza che non voleva mai tacere.

Se uno stava male di suo perché torturarlo sadicamente così?

Bill non lo sapeva ed era talmente immerso nelle sue riflessioni che sobbalzò quando una voce argentina trillò un:”Ciao” a pochi passi da lui.

Bill guardò a chi appartenesse, per un attimo gli era parso di cogliere l’eco di una voce conosciuta.

Davanti a lui c’era una bambina di tre anni circa, ma forse ancora più piccola, infagottata in un cappottino viola , con dei grandi occhi scuri e i capelli rossi che lo guardava incuriosita.

Bill sbatté la palpebre, quella bambina spuntata dal nulla sembrava un piccolo elfo.

“Ciao!” ripete lei.

“Ciao.” Rispose lui piano.

“Ti piace la neve?”

“Si.” Si guardò intorno.

In quel paesaggio bianco non c’era traccia di altri esseri umani a parte lui e la bambina.

“IO mi chiamo Tamara. Tu chi sei?”

“Io sono Bill.”

“Io ti conosco!” batté entusiasta le mani.”Sei uno che canta nella tele!”

Sgamato al primo colpo.

“Piccola dov’è la mamma?”

“Di là.” Indico vagamente verso destra e riprese a scrutarlo e a sorridere, Bill sorrise di rimando.

“Come mai sei qui da sola?”

La piccola non rispose, si accucciò a terra e fece una palla di neve che poi gli mostrò orgogliosa.

“Facciamo un pupazzo?”

Bill alzò un sopracciglio.

“E come lo vestiamo? Qui non abbiamo nulla!”

Stava decisamente regredendo all’infanzia se per un attimo aveva seriamente considerato di usare la sua costosissima giacca per il pupazzo.

Si stava ancora dando dell’idiota quando qualcosa di freddo lo colpì in piena faccia, facendogli sbattere gli occhi.

Si guardò attorno e vide Tamara accucciata che rideva.

Ecco svelato il mistero, la piccoletta voleva iniziare una battaglia di neve con lui e il piccolo Bill che era in lui non vedeva l’ora.

“Battaglia a palle di neve?”

“Se non si può fare un pupazzo..”

Il tono della rossa era annoiato, secondo la sua logica infantile doveva essere ovvio.

“D’accordo!”

Si chinò a terra e raccolse una manciata di neve che lanciò piano in  direzione di Tamara, la piccola rise e Bill si ritrovò coinvolto in una battaglia.

Erano anni che non succedeva e lui rideva felice.

Poi all’improvviso la piccola si imbronciò e incrociò le braccia.

“Però io volevo fare il pupazzo!”

“Bhe se vuoi puoi venire a casa mi oggi pomeriggio e ne costruiamo uno. Che ne dici?”

E da quando in qua lui invitava bambine sconosciute in casa sua?

Cosa aveva quel piccolo elfo di diverso dagli altri?

“Siiii!” la bambina battè le mani gioiosa e si illuminò.

“Spero che la mamma mi lasci.

All’improvviso sentì dei passi dietro di loro, passi affannati che rimbombavano lungo la neve, Bill per un riflesso condizionato si mise gli occhiali da sole. Ormai ogni estraneo poteva essere un potenziale pericolo.

Una figura si stava avvicinando, era sottile e con dei lunghi capelli che le ballavano intorno al corpo minuto.

“Quella è la mia mamma!” trillò Tamara felice.

Bill per un attimo si sentì sollevato e si tolse gli occhiali per poi pietrificarsi.

La figura minuta che avanzava preoccupata, la madre di Tamara era Janis. Il suo cuore fece un balzo di gioia e poi si ritrasse nelle profondità della cassa toracica. Se aveva una figlia, era davvero felice con il suo ragazzo come gli aveva detto la madre due anni prima

Cosa credeva?

Che una perla rara come Janis sarebbe rimasta da sola in eterno ad aspettarlo dopo che LUI l’aveva mollata?

Che coglione!

Janis sorrise stranita vedendoli, forse lui non era più una visione gradita nella sua vita….

“Jan” mormorò stupidamente.

 “Bill.” Rispose lei, in apparenza sicura.

 “Come stai?”

La voce di Bill suonava incerta alle sue stesse orecchie e si diede dell’idiota per l’ennesima volta.

Certi sogni dovevano morire all’alba, era la loro natura e forse il suo con Janis era uno di quelli.

“Bene, tu? Come mai qui?”

Lui scrollò le spalle per darsi un tono, al momento rimpiangeva di non essere rimasto a L.A., meglio le illusioni che quella cruda botta di realtà.

“Sono venuto a trovare mia nonna. In questi anni ho avuto poche occasioni per vederla.”

“Capisco.”

“Non sapevo avessi una figlia.”

Janis si sforzò di sorridergli, ma non le venne molto bene.

“Non è che siamo rimasti molto in contatto in questi anni.”

La capacità di sferzare la gente non era cambiata nella bionda, Bill rise imbarazzato, non sapeva cosa dire, lei non aveva tutti i torti.

“Bhe comunque è davvero una bambina simpatica ed intelligente, ti somiglia.”

Bill sorrise a Tamara sperando in un’alleata.

 “Prima ci siamo conosciuti, vero, piccola?”

“Si! E sei davvero simpatico” trillò la piccola.

“Come mai qui, Jan? Nonna mi ha detto che vivi ad Amburgo.”

“Sono venuta a trovare mia madre e miei nonni.”

“Da sola? Il padre di Tamara non c’è?”

“No.”

Tra di loro calò un silenzio gelido, Bill ebbe l’impressione di aver toccato un tasto sbagliato .

“Mamma, Bill mi ha invitato da lui questo pomeriggio! Ha detto che faremo un pupazzo di neve insieme!”

Tamara lo salvò dall’imbarazzo.

“Ma lui sarà impegnato!”

“No, tranquilla. Io e Tom non abbiamo nulla da fare.”

“Dai mamma, posso?”

 “D’accordo, piccola. Ora però andiamo a casa o nonna penserà male.”

La bambina annuì, ma Janis non sembrava entusiasta di quella decisione.

“Ciao Bill!”

“Ciao Tamara, Janis!”

“Ciao!”

Bill le guardò allontanarsi assente. Aveva il cuore che sanguinava.

Se avesse dovuto seguire il suo istinto avrebbe preso Tom, armi e bagagli e se la sarebbe filata a Los Angeles inventando un impegno improrogabile di lavoro per i nonni.

Ma non poteva. Non avrebbe voluto mentire a Tamara, gli occhi scuri della bambina era limpidi, ci sarebbe rimasta davvero male davanti a un suo comportamento scorretto.

Il moro arrivò a casa come una furia, spalancando la porta dell’ingresso e chiamando a gran voce il fratello.

Non appena se lo trovò davanti gli puntò un dito accusatore al petto.

“Tu! Oggi pomeriggio tieniti libero! Niente ragazze, niente porno, nulla che faccia  pensare al sesso!

Oggi viene da noi la figlia di Janis e non voglio traumatizzarla!”

“Janis ha avuto una figlia?” chiese sbigottito Tom.

“Si, si chiama Tamara, ha tre anni e non vorrai essere tu a spiegargli come nascono i bambini vero?

Ha un padre che non sono io, ti rendi conto?

Sai quanto brucia scoprire che il tuo primo e mai dimenticato amore ha procreato con un altro?

Tanto! Tantissimo! Peggio che stare sul rogo!

Ma tu cosa vuoi capire che non hai  mai avuto un rapporto serio!”

Sbraitò  senza soluzione di continuità ormai in preda alla paranoia, Tom lo guardò allibito.

“Sei sicuro che sia una buona soluzione farla venire qui?”

“Certo che lo è! Gliel’ho promesso e si deve mantenere le promesse con i bambini!

Tu limitati a fare quello che ti ho detto!”

“Bill io non ti capisco.” Commentò alla fine Tom, allargando le braccia e scuotendo la testa.

“L’importante è che mi capisca io!”

“Penso che, al momento, nemmeno tu ti capisca.”

“Vaffanculo!” Tuonò irato il vocalist  prima di chiudersi in camera.

In quel che restava della mattinata e del primo pomeriggio cercò di calmarsi e credette di esserci riuscito, non voleva che Tamara avesse una brutta impressione.

Alle due precise qualcuno suonò il campanello e Tom andò ad aprire, la voce argentina di Tamara fece irruzione nella casa portando una ventata di allegria.

Bill scese al piano di sotto, Tamara stava stordendo Tom di chiacchiere infantili e suo fratello sorrideva stoico.

“Ciao Tamara!”

La bambina gli rivolse un sorriso radioso.

“Sei pronto per il pupazzo di neve?”

Lui sorrise di rimando.

“Certo, adesso usciamo e lo facciamo e lo facciamo. Tom  ci darà una mano, vero?”

Il cantante rivolse un’occhiata significativa al fratello che sbuffò.

“Non ci penso nemmeno!

“E invece ci pensi! Andiamo!” Bill lo afferrò per un braccio e lo trascinò fuori, incurante delle sue proteste.

Bill  credeva che Tom avrebbe protestato di più, ma alla fine accettò di buon grado di trascorrere buona parte del pomeriggio a dare forma umana a un mucchio di neve.

Il moro persino l’impressione che il moro si stesse divertendo, di sicuro Tamara era felice.

La bambina chiacchierava incessantemente, raccontando molti aneddoti su lei e Janis, ma non nominava mai il padre.

Bill lo trovò strano, ma era poco delicato chiedere informazioni una bambina.

Tornarono dentro infreddoliti, ma contenti.

“Mi sono divertita.” Esclamò allegra Tamara.

“Sono contento!” trillò Bill.

“Tu nella tele sei truccato, mi insegni come si fa?”

Tom scoppiò a ridere, Bill non fece una piega, salì al piano superiore a recuperare la trousse e poi scese suscitando la curiosità di Tamara.

Lentamente spiegò alla bambina come truccarsi, la piccola non si perse un passaggio.

“Ehi Bill, potresti fare un tutorial e metterlo su you tube!”

Bill non rispose, forse sul tubo avrebbe potuto cercare un tutorial che spiegava come uccidere il fratello e farla franca nonostante si fosse una star internazionale.

No, questa era cattiva, si disse.

“Ehi Tamara ti va di vedere qualcosa di davvero bello?”

La rossina lo  guardò sorpresa.

Tom sparì un attimo e tornò con la chitarra. Bill sorrise, dopotutto il suo recalcitrante fratellino si stava divertendo.

L’ex rasta improvvisò un piccolo concerto per la piccola e fu quasi più dispiaciuto di lui ne le vederla andarsene.

“Domani mi insegni a suonare la chitarra?” chiese sulla porta la rossa.

“Sei troppo piccola.”

Lei si imbronciò.

“Lo vedremo domani.”

Bill la accompagnò alla porta, Jan fu di poche parole. Lui rimase impalato a guardarle andare via.

Faceva ancora male sapere che lei era di un altro, ma una speranza assurda si era accesa nel suo cuore. Forse visto che la piccola non parlava di un padre forse questo non c’era?

-No, Bill. Niente illusioni fanno male.-

Tornò in casa.

“Ma i nonni dove sono?”

“Dalla zia non so che cosa, quella che ti ritiene troppo tendente al gayo per farti entrare in casa. Torneranno dopodomani.

Simpatica Tamara.”

“Si.”

Tom lo guardò incredulo.

“Come mai così taciturno?”

“Devo riflettere…. Comunque domani Tamara viene ancora da noi.”

“Meglio, no?”

“Si, meglio.”

Bill si chiuse nel sua camera a pensare, saltò la cena e cadde in un sonno agitato.

Fece sogni confusi in cui Janis prima lo baciava e poi lo picchiava furiosamente, prima gli annunciava Tamara era sua figlia e poi si allontanava felice con un uomo senza volto.

Bill si svegliò con un gran mal di testa, vegetò fino a pranzo cercando di riprendersi.

Mangiò svogliatamente e aspettò l’arrivo di Tamara.

La piccola notò subito che qualcosa non andava in lui, era perspicace come la madre.

“Bill, stai bene?”

“Non ho dormito bene stanotte.”

“Hai avuto gli incubi? I grandi non li hanno!”

“Li hanno anche i grandi!” ribadì lui.

“Quando ho gli incubi dormo con la mamma.”

-Oh anche io vorrei dormire con tua madre, dato che è la causa dei miei incubi…. Ma tu questo non puoi saperlo piccola.-

Bill sorrise.

“Che facciamo oggi?!

“Tom mi insegnerà a suonare la chitarra.”

“Sei troppo piccola!”

La frase segnò l’inizio di una lite tra i due, Tamara, testarda come Janis non mollò, Tom faticava a starle dietro.

Il piccolo litigio si trasformò in una guerra quando la rossa affermò che se non sapeva suonare la chitarra non sapeva cucinare.

La logica dell’affermazione della bambina gli sfuggiva, ma questo bastò a far scatenare l’ego del suo gemello e a fargli dire che le avrebbe preparato una torta buonissima.

Tom se la cavava con i waffeln, ma per il resto…BHe non erano sempre commestibili le sue creazioni.

La cucina si trasformò presto in un campo di battaglia.

Bill era disperato, ci avrebbero messo ore a ridare un aspetto civile al locale!

Proprio in quel momento il campanello suonò, doveva essere Janis.

Bill accolse con autentico sollievo il suo arrivo, almeno non avrebbe pensato a quanto poteva essere infantile, idiota  e meritevole di essere picchiato suo fratello.

Aprì alla bionda con il suo miglior sorriso e con un discorso logorroico dei suoi sulle labbra.

 “Ciao Janis, ti va se ci prendiamo una cioccolata? Tamara e mio fratello stanno martirizzando la cucina.

Lei voleva che lui le insegnasse a suonare la chitarra, lui no e alla fine lei l’ha stuzzicato così tanto dicendogli che non sa fare nulla che per ripicca lui le ha detto che sa cucinare.

La cucina di nonna è un devasto!”

Disse tutto d’un fiato,allegro, senza badare alla faccia sconvolta della ragazza.

“Ok, va bene.”

Jan sembrava titubante, ma accetto di accomodarsi in salotto.

Bill scomparve in cucina, riuscì a malapena a preparare una cioccolata e a tornare da lei.

Janis aveva una postura rigida su quella sedia, a Bill non piacque.

 “Come stai Jan?”

In quel pomeriggio passato a fare da spettatore ai due uragani aveva elaborato un discorso e decise di snocciolarglielo subito.

Aveva l’impressione che lei avesse qualcosa da dirgli che non gli sarebbe piaciuta e lui voleva anticiparla.

“Sono contenta che tu ti sia fatta una famiglia. Tamara è davvero adorabile,anche se non parla mai di suo padre.

Devo ammettere che un po’ ci sono rimasto male vedendo che tu avevi avuto una figlia con un altro, ma poi mi sono detto che io non avevo alcun diritto su di te, li ho persi circa sei anni fa ,mollandoti.

Insomma, sono davvero felice che tu abbia voltato pagina e sia felice.

IO un po’ ti ho pensato in questi anni, ma non posso pretendere che tu abbia fatto lo stesso.”

Ok, forse aveva esagerato, si disse Bill.

Aveva parlato a velocità supersonica, come durante un’intervista e a Jan non doveva essere piaciuto.

La sua faccia si era oscurata mano a mano che il discorso proseguiva.

Bill era sulle spine.

Come un cretino si era lasciato trasportare dal discorso e ora ne pagava le conseguenze torturandosi sulla risposta di Janis.

L’avrebbe mandato al diavolo? Gli avrebbe detto che aveva un compagno e lo amava?

Che idiota era stato!

Piccole gocce di sudore freddo iniziarono a rotolare lungo la sua schiena.

 “In che termini hai pensato a me?”

La domanda di Jan gli giunse da molto lontano e fu come una secchiata d’acqua gelida.

Il tono era brutale, come se Jan trovasse molto difficile credergli.

“BHe diciamo che mi dispiaceva averti mollato così. Sono stato un’idiota, ho gettato la spugna prima di combattere e non me lo perdonerò mai. Forse il nostro rapporto avrebbe potuto funzionare, ma ormai è tardi per i forse, tu hai una famiglia.”

“NO.”

“Come?”

La negazione lo colse di sorpresa. Sbarrò gli occhi e la guardò incredulo.

Che significava?

“IO ho una figlia, non una famiglia. il padre di Tamara è uno stronzo che appena ha scoperto la mia gravidanza mi ha mollata. Ho dovuto crescerla da sola.

Mamma si è incazzata da morire, io sono andata a vivere da zia Meg ad Amburgo dopo il parto.

Li ho lavorato in un negozio di belle arti, ora lavoro come vignettista in un giornale.

Non ho avuto storie importanti e in questi anni ci sono stati momenti in cui avrei preso il primo aereo solo per massacrarti di botte e altri solo per coccolarti. Come vedi anche io ti ho pensato un po’.”

Nel salotto calò il silenzio. Bill si sentiva leggero e stupidamente felice, lei non era fidanzata, sposata, convivente o impegnata. Forse per lui c’era ancora una speranza….

“Dici che potremmo rimanere amici?”azzardò piano alla fine.

“Solo se mi inviti a cena, un'altra cena da mia madre non la reggo.”

Bill si sentì come quando lo avevano scritturato alla casa discografica.

Aveva voglia di spaccare il mondo e di dimostrare quanto valesse.

“Ma certo! Stasera tutti in pizzeria.Tom, Tamara!”

I due uscirono dalla cucina in uno stato pietoso, Bill soprassedette.

 “Stasera si va in pizzeria!”Comunicò felice.

“Bene!” esultò la bambina.

Tom non disse nulla, sembrava soppesare la proposta e i suoi effetti. Annuì poco dopo.

 “D’accordo! Vado a prepararmi, tu no, Bill?”

“Voglio una cosa scialla.”

“Va bene fratello.”

Poi lo afferrò per la spalla e lo guardò negli occhi.

“Credevi davvero che ti avrei lasciato cambiare tranquillamente con il casino che hai combinato in cucina?

Dobbiamo sistemarlo sennò nonna ci scuoia!”

Tom sbuffò, Janis si avviò verso la cucina.

“è un disastro!”Constatò Jan.”Dai, vi do una mano!”

Bill fulminò il gemello.

Lavorarono tutti e tre di buona lena e in un’ora riuscirono a sistemare almeno buona parte della cucina.

Arrivarono in pizzeria stanchi ed affamati.

Fu una serata divertente, per un attimo Bill ebbe l’impressione che gli anni non fossero passati e che loro non fossero famosi.

C’era complicità tra loro, Tamara si divertiva e tra lui e Janis c’era una sottile elettricità.

Il vocalist ebbe l’impressione che attraverso quelle chiacchiere tutto sommato futili si stesse riannodando quel rapporto troppo prematuramente troncato.

Quel feeling, quella sensazione di benessere che aveva sempre provato con lei gli scaldavano di nuovo il cuore.

Aveva l’impressione di avere ritrovato qualcosa di importante, che fosse l’amore?

Bill deglutì, se così fosse stato non l’avrebbe lasciato andare questa volta, non avrebbe compiuto due volte lo stesso errore.

Si congedarono allegramente, solo lui era vagamente restio a staccarsi da lei e triste.

Voleva dirle quello che provava e non aveva il coraggio.

Guidò fino a casa senza dire una parola, Tom lo guardava meditabondo, per un attimo i ruoli sembrava si fossero invertiti.

Arrivarono a casa ancora in silenzio.

“Ti piace vero?”

Tom aveva infine preso la parola.

“La amo ancora.”

“Ha un altro.”

“Il padre di Tamara non l’hai mai riconosciuta, lei è libera e io ho paura di incasinarle la vita.

Sono famoso, sono un peso, capisci?

Come proteggerebbe sua figlia da me?”

Tom lo afferrò per le spalle.

“Bill, noi possiamo proteggerle, hai la mia parola, ma tu non negarti la felicità.

Dai, a Janis la possibilità di scegliere. Non escluderla a priori, potresti pentirtene.”

Bill rimase in silenzio. Il discorso era insolito sulle labbra di suo fratello.

“L’hai sempre amata. Datti la possibilità di essere felice e concedi a lei la possibilità di scegliere.

Andrà come deve, ma almeno non avrete rimpianti.”

“Hai ragione. Sei davvero maturato, sai?”

Tom sorrise.

“Tutti devono farlo prima o poi e io voglio solo vederti felice.”

“Grazie Tom.”

Bill si allontanò a piedi, voleva godersi Loitsche di notte e quella sensazione piacevolmente strisciante di felicità che provava.

Dopo anni era vicino all’epilogo.

Dopo anni quel filo da lui tagliato anni prima forse si sarebbe riannodato.

Forse avrebbe trovato quello che mancava alla sua vita.

Il paese era poco frequentato come ricordava ed era gelido.

Bill rabbrividiva senza controllo quando arrivò davanti  alla casa dei genitori di Janis.

Voleva farle una sorpresa, una serenata, forse, così si incamminò a passi che credeva furtivi, ma che con tutta probabilità erano ridicoli, senza accorgersi della figura che lo guardava dal portico.

“Bill?”

La voce incerta di Janis lo colse di sorpresa, l’idea della serenata era da scartare.

“Si, sono io! Mi hai sgamato accidenti!”

“Ti muovi con la grazia di un dugongo! Impossibile non notarti.”

BIll si diede dell’idiota e si incamminò verso la veranda.

Senza trucco e vestiti di scena si sentiva stranamente vulnerabile.

L’ansia tornò a fargli visita. Cosa avrebbe detto la bionda?

Che forse era in ritardo di sei anni e non era accettabile?

“Come mai sei qui?” mormorò Jan.

Era sempre stranamente seria quando stava con lui, come se non sapesse cosa aspettarsi o che piega potesse prendere la situazione e questo la mandasse in confusione.

Lui aveva intenzione di chiarirle le idee questa volta.

“Per questo.”

La afferrò per le spalle, la baciò piano cercando di trasmetterle tutto l’amore che provava.

Lei non si staccava e ricambiava, Bill era sempre più confuso e felice.

Cosa significava?

Che lei provava ancora qualcosa per lui o che semplicemente non le faceva schifo?

Quando si staccò la guardò negli occhi, erano pieni di domande inespresse.

Quando si staccarono gli occhi di Bill brillavano, Jan lo guardava confusa.

“E adesso?”mormorò infine la bionda.

Piccola, fragile ed incerta Janis.

Non l’aveva mai vista così.

“Non lo so Jan. Sentivo che dovevo farlo. Quel filo tra noi due che io ho tagliato anni fa non si è mai davvero interrotto. Sono stato un coglione te l’ho già detto.”

“Come credi che potrà andare avanti questo rapporto?”

Ecco la domanda che più lo spaventava.

“Jan non voglio ripetere lo stesso errore di sei anni fa. Ti ho mollato e ho sbagliato. Ora so che non posso ripresentarmi qui come se niente fosse, ma mi piacerebbe riprovarci, anche solo come amici.”

“Gli amici non si baciano,noi non siamo amici.”

“Hai ragione, siamo sempre stati qualcosa di più.

Ti va di riannodare quel filo che c’è tra di noi?

Vuoi venire da noi a Los Angeles per l’ultimo dell’anno?”

E dopo quella domanda il cuore di Bill salì in gola.

Era stata una pazzia, una cosa totalmente azzardata e lei avrebbe potuto benissimo mandarlo al diavolo e non avrebbe avuto nessun torto.

Invece sul suo viso di porcellana passarono parecchie emozioni.

Sorpresa, gioia, indecisione e di nuovo gioia.

 “Perché no? Al massimo mia figlia si godrà il sole della California.”

Il cuore di Bill esplose.

Finalmente si sentiva completo, quel filo spezzato anni prima e ora provvisoriamente riannodato lo stava rendendo felice.

Così felice che aveva voglia di saltare e ballare ed era misto alla paura che tutto scomparisse piano piano.

A quindici anni aveva sbagliato, a ventuno sperò di essere riuscito a  rimediare.

Aveva voglia di vivere la sua favola, pensava di meritarselo e se lo meritava Janis.

Era arrivato il loro momento, non sarebbe stato facile viverlo, ma loro non avrebbero mollato.

Non sarebbe stato male raccontare a Tamara la loro storia come fiaba della buonanotte…

 


Mostrami la foto
di quando son partito
son passati molti anni
e quasi non mi riconosco
il viaggio è stato lungo
e il tempo si è divertito
a disegnare sul mio corpo
tutto quello che ho vissuto
questa è la mia foto

Angolo di Layla.


Eccoci con il secondo capitolo, che è dal punto di vista di Bill e conclude la storia.
Nello scorso capitolo ho dimenticato una cosa molto importante:questa shot è dedicata a Ra. La ringrazio per avere letto in anteprima tutto lo scorso capitolo e parte di questo.
Grazie per la pazienza e per avermi aiutato con il personaggio di Janis.
I corsivi sono strofe della canzone"La mia foto" dei Tre Allegri ragazzi Morti.
Quasi dimenticavo. Ho fatto un paio di diesegni di Janis se qualcuno volesse vederli mi contatti. Appena torno in possesso del mio portatile saranno di nuovo disponibili le scannerizzazioni che avevo fatto XD.
Passo alle recensioni:.

Nihal Tom 92:sono contenta che ti piaccia il personaggio di janis, anche io l'adoro.
Per i sentimenti di Bill penso o almeno spero che in questo capitolo siano stati chiariti^^.
In quanto a Tamara sono contenta che tu l'apprezzi e grazie dei consigli. IO e i bambini siamo un universo a parte XD!
Spero che questo capitolo ti piaccia.
Ciao^^

Jiada95: Grazie del commento e tranquilla^^.
Sono ocntenta che ti piaccia e sper che anche questo capitolo sia di tuo gradimento^^.

Grazie a tutte le persone che l'hanno messa nelle preferite, seguite, ricordate etc XD . Ovviamente se ce ne sono.
Alla prossima^^

Layla

   
 
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