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Autore: Defective Queen    31/12/2010    2 recensioni
Due ragazze, con diverse personalità e passato, si incontrano e diventano amiche, anche se sono entrambe due bugiarde e il loro rapporto non è mai quello che sembra.
Kate è straordinariamente bella, viziata, popolare con il sesso opposto e la reginetta (solo apparentemente) superficiale della scuola. Si dimostra gentile e amichevole con tutti, ma in realtà cova dentro di sè rancore verso gran parte delle persone e una glaciale freddezza nei rapporti umani. Roxanne ama disegnare ed essere eccentrica. Imbranata, testarda e sensibile, appena trasferitasi dalla Florida conquista al primo colpo tutti gli amici di Kate, e quest'ultima non può fare a meno di sentirsi minacciata dalla sua crescente popolarità.
Una volta che Roxanne entra nella sua vita, però, Kate cerca più di ogni altra cosa di continuare ad odiarla, ma i suoi sforzi ben presto si rivelano vani.
Questo, e molto altro, è "Beauty is the Beast".
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo infinito tempo sono ritornata, lo so, lo so, il mio ritardo è stato imperdonabile, ma il lato positivo è che così posso augurare a tutti un buon anno! Ringrazio infinitamente Ninfea Blu e nikoletta89 che avevano commentato lo scorso capitolo (adesso per rispondere ai commenti c’è un metodo più pratico e conto di usarlo!)
Il mio intento in questo capitolo è stato essere il più realistica possibile e spero di esserci riuscita.
Sul volo e i suoi tempi, l’albergo, i locali visitati da Kate e dalle sue amiche mi sono informata il più possibile, ma ci sono comunque delle piccole libertà che mi sono dovuta prendere per forza di cose.

(*)Sparkle Motion è un riferimento al film Donnie Darko, siete curiosi di capire a cosa mi riferisco potete vedere l’inizio di questo video. Il vestito "Sparkle Motion" di Kate è ispirato a questa immagine di Taylor Swift. Buona lettura e alla prossima!


Se non vi ricordate dove eravamo arrivati…

Kate è straordinariamente bella, popolare con il sesso opposto e la reginetta (solo apparentemente) superficiale della scuola. Si dimostra gentile e amichevole con tutti, ma in realtà cova dentro di sé rancore verso gran parte delle persone e una glaciale freddezza nei rapporti umani. Roxanne ama disegnare ed essere eccentrica. Imbranata, testarda e sensibile, appena trasferitasi dalla Florida conquista al primo colpo tutti gli amici di Kate, e quest'ultima non può fare a meno di sentirsi minacciata dalla sua crescente popolarità.
Una volta che Roxanne entra nella sua vita, però, Kate cerca più di ogni altra cosa di continuare ad odiarla, ma i suoi sforzi ben presto si rivelano vani.


Kate e Roxanne si sono appena diplomate e sono dirette alla stessa università, Princeton, in pochi mesi. Andando a Princeton, Kate si separerà dalle Gallinelle, quattro ragazze molto superficiali e sue “amiche” (se solo Kate avesse meno ritrosie ad usare questa parola) da una vita.
Assieme alle Gallinelle e Roxanne, Kate parte per una vacanza in Europa, forse ultima meta di sballo e divertimenti della sua adolescenza…

***

Essere circondati da mucchi di persone e rendersi conto di contare solo sullo sguardo di una di queste, perché tutti gli altri potrebbero anche esserti contro, ma è solo lei a fare la differenza.

Roxanne sa cosa vuol dire.

Roxanne lo ricorda.




19 giugno (mercoledì – primo giorno)

Sono quasi le sei e mezzo di pomeriggio. Siamo arrivate da poco in albergo dall’aeroporto e Roxanne si sta facendo una doccia. Mi ha detto che ci metterà parecchio, perciò piuttosto che gridarle dietro di sbrigarsi, utilizzerò questo ritaglio di tempo per scrivere ciò che è accaduto dal momento della partenza.
Stamattina, mercoledì, come previsto, io, Roxanne e le Gallinelle ci siamo incontrate all’aeroporto General Mitchell alle 06.00 circa, e dopo aver sostato per un po’ senza alcun particolare proposito, alle 06.30 ci siamo dirette al check-in.
Temevo il momento in cui il mio bagaglio sarebbe stato pesato. Il limite di peso era 18 kg, com’era scritto in neretto sul depliant che avevo in mano, e sì, l’avevo pesato un migliaio di volte il giorno precedente, riducendo fino all’osso il mio guardaroba (devo ammettere di aver esagerato inizialmente, visto che il viaggio durerà poco più di una settimana) e il suo peso esatto era di fatti di 18kg, ma continuavo ad esser preoccupata.
Tutta colpa di Roxanne.
«Il mio è appena 16 kg», mi ha risposto lei senza che le avessi chiesto nulla, «Ho pensato di evitare di raggiungere il limite, nel caso in cui trovassi qualche souvenir.»
Io l’ho fissata per diversi secondi senza dire nulla. Anche io avevo in mente di portare a casa dei souvenir, ma non avevo affatto pensato che avrebbero alterato il peso della mia valigia al ritorno.
«Il mio è 17,23 kg», ha dichiarato Sally con aria orgogliosa, «L’ho misurato con una bilancia digitale!»
«Attenta a comprare solo pensierini molto piccoli, allora», le ha fatto presente Rita, il cui bagaglio pesava, come quello di Nancy, 16,5 kg precisi.
Dannazione.
«Il tuo quanto pesa?», mi sono voltata verso Ashley con un’intonazione quasi isterica.
«Ah-uhm. Sedici, credo», mi ha risposto, «O diciassette. La mia bilancia era indecisa», ha aggiunto con una risatina.
Perfetto. Ero un’idiota più di Sally.
Pur non avendo assolutamente aperto bocca, Roxanne mi ha rassicurata dopo avermi scrutata per un momento: «Se non si tratta di liquidi o oggetti metallici potrai metterli nel bagaglio a mano.»
Peccato che anche il mio bagaglio a mano fosse strapieno, occupando del tutto i 5 kg disponibili.
«Non preoccuparti», Roxanne mi ha risposto, e di nuovo io ero certissima di non aver dato voce a nessuno dei miei pensieri, «Se hai bisogno, posso prestarti un po’ di spazio nella mia valigia.»
«Anche nella mia!», si è accodata Nancy.
«Puoi usare anche la mia!», ha detto Sally nonostante i suoi 17 chili pieni, «Pensiamo solo a goderci questa vacanza. Non serve preoccuparsi di queste sciocchezze!»
«Non sono sciocchezze, Sal! Potrebbero ritirarvi la valigia e lasciarvi solo con il bagaglio a mano!», ha fatto presente Rita, la quale sembrava essere meno eccitata delle altre a proposito del viaggio, «E poi c’è sempre il pericolo che perdano i bagagli! Oddio, cosa farei se dovessi perderlo?»
«Perdere i bagagli?», ha chiesto Roxanne, chiaramente sorpresa.
«È possibile», le ho spiegato. L’eventuale perdita dei bagagli era anche il motivo per cui avevo intasato il mio bagaglio a mano. «Ma è molto raro che succeda. Chiaramente non sappiamo quale sarà la situazione all’arrivo, ma sarebbe stato di certo peggio se fossimo partite ad agosto. Ci sarebbe stata molta più gente e più rischio di perdita o scambio dei bagagli allora.»
Roxanne ha solo annuito.
Io ho aggrottato le sopracciglia. «Non hai mai preso l’aereo?»
«Solo una volta, per arrivare in Wisconsin da Miami, ma il volo non era certo così lungo», ha detto lei, sforzandosi di sorridere, anche se un pizzico di preoccupazione era ben visibile nell’incerta curva delle sue labbra.
«Dav-vero?», ha domandato Nancy, allungando sulla lingua le prime due sillabe della parola.
Sapevo che tutte le Gallinelle erano già state diverse volte in Europa o in America Latina, e Nancy addirittura in Africa l’anno precedente.
«Mhm», ha annuito Roxanne, spostando il peso da una gamba all’altra e trasferendolo infine sulla mano poggiata sul manico allungato del trolley.
«Nervosa?», Sally le ha dato un colpetto per attirare la sua attenzione, «Tranquilla, ti terrò la mano alla partenza!»
«Ehi!», ha protestato Rita, «Non avevi detto che saresti stata vicino a me?»
Io ho roteato gli occhi. Ci risiamo. La tortura del ‘dobbiamo decidere assolutamente i posti come se non fossimo consapevoli di trovarci tutte a pochi metri di distanza l’una dall’altra’ era iniziata.
«Non decidete nulla finché non torno! Devo andare a comprare una bottiglia d’acqua!», ha gridato Ashley, iniziando a correre nella direzione opposta del check-in mentre noi continuavamo ad aspettare in fila.
Aspettando che un ragazzo con un accento strano lasciasse il proprio bagaglio, Roxanne, prossima in fila, ha consegnato il suo trolley rosso di 15 chili e 700 grammi – così diceva la bilancia - e dopo che le è stato restituito il passaporto e il biglietto aereo, è stato il mio turno.
Ho appoggiato cautamente la valigia sulla bilancia, controllando ansiosamente i numeri che essa segnava, i quali dopo un primo picco si sono stabilizzati a 17 chili e 950 grammi. Cazzo. Passata con un margine di appena 50 grammi!
Tranquillizzata, ho rilasciato un sospiro di sollievo e ho ritirato il mio biglietto, guardando scomparire il mio trolley blu, comprato assieme a quello di Roxanne, su una piattaforma mobile assieme agli altri carichi da stiva.
Dopo di me le Gallinelle hanno tutte effettuato il check-in senza problemi e abbiamo cercato il più possibile di tener il posto ad Ashley, ma purtroppo, quand’è arrivata ha dovuto fare la fila daccapo. Noi abbiamo atteso che finisse l’operazione, prima di dirigerci al Gate, e lei ha avuto persino la faccia tosta di protestare, perché secondo lei non l’avevamo aspettata abbastanza.
Abbiamo effettuato tutta la procedura di sicurezza, liberandoci di oggetti metallici per poi passare sotto un metal detector, e finalmente ci siamo ritrovate nella sala d’attesa del Gate. Ripensando all’esperienza, non ho potuto fare a meno di notare quanto la sicurezza all’arrivo in America sia molto più aggressiva di quella per la partenza verso l’estero.
Dopo l’11 settembre, è praticamente diventata una delle procedure più fastidiose dei viaggi in aereo. Ma adesso è meglio non pensarci, mancano ancora otto giorni al nostro ritorno a casa e al fastidioso controllo droga-armi-bombe che ci aspetta.
Sally e Nancy si sono sorbite le lamentele di Ashley finché Rita non l’ha sgridata a sua volta, costringendola ad azzittirsi. Io ho assaporato con soddisfazione qualche minuto di silenzio, sedendomi accanto a Roxanne su una delle sedie nella sala d’attesa.
Mancava ancora più di un’ora all’imbarco.
Roxanne non riusciva a stare ferma. Non nel solito modo, però. Non era la sua naturale iperattività a renderla così irrequieta stavolta, era chiaramente il nervosismo del suo primo viaggio transatlantico in aereo.
«Non avevi detto di aver viaggiato molto da piccola?», le ho chiesto, senza nemmeno ricordare di preciso da dove avessi preso quell’informazione. Lo sapevo e basta.
Roxanne si è voltata verso di me sorpresa, come se non si aspettasse che io fossi stata seduta accanto a lei per tutto quel tempo: «Beh. Sì. Quando c’era--da piccola, sì.»
«E non hai mai preso l’aereo?»
«No. Viaggiavamo in camper», ha risposto lei, incurvando la bocca in un breve sorriso, «Era molto divertente. Io e Madison adoravamo nasconderci dentro i compartimenti della cabina o negli armadi ad incastro e sentire la strada scorrere sotto di noi.»
«Oh», ho risposto eloquentemente. Ero certa che un simile stile di vita non sarebbe mai potuto piacere a me.
Io sono una fan della comodità e della velocità e quale mezzo migliore dell’aereo? Ma Roxanne sembrava ormai persa nei suoi ricordi e sorrideva pensando a chissà cosa. Per lo meno non sembrava più ansiosa per il volo.
«Ora mia madre vuole venderlo. Il ricavato dovrebbe servire a finanziare i miei studi a Princeton», ha detto Roxanne, scuotendo la testa come se non volesse accettare quell’idea, «In fondo non lo guiderà più nessuno…adesso che papà se n’è andato.»
«Oh», ho ripetuto.
Il padre di Roxanne. Ricordavo che Roxanne aveva menzionato la sua scomparsa. Ma l’ultima volta lei era sembrata così fiduciosa che lui avesse trovato un posto migliore, dopo la separazione con sua madre, che io non credevo affatto che la situazione la tormentasse ancora così tanto.
Il modo in cui lei si è richiusa subito in sé stessa e a cercato di cambiare discorso mi ha fatto intendere che mi sbagliavo.
«Allora!», ha detto lei, trasformandosi nella sua solita versione pimpante ed entusiasta, nonostante fosse palese che la sua fosse solo una finta, «Ti siederai accanto a me?»
Io l’ho scrutata per qualche secondo, confusa.
Ero convinta che Roxanne fosse superiore alle chiacchiere tipiche delle Gallinelle.
«Kate!», si è avvicinata nuovamente Ashley, «Non avevamo deciso che saresti stata vicino a me?»
Io mi sono voltata verso di lei, aggrottando le sopracciglia. «Deciso? Deciso quando?»
«Non possiamo decidere noi», è intervenuta Rita, «L’aereo sarà pieno di persone. Dobbiamo rispettare i posti assegnati dai biglietti!»
Nancy ha abbassato prima lo sguardo sul suo biglietto e poi ha dato una sbirciatina al numero e alla lettera impressi su quelli di Sally e Rita.
«Noi tre siamo insieme», ha detto, «fila F.»
Io ho guardato il mio.
«18 E», ho letto, voltandomi verso Roxanne che ha risposto: «17 E.»
«E perché diavolo io sarei al 43 P?», ha esclamato Ashley, attirando l’attenzione della maggior parte delle persone sedute nella sala d’attesa del Gate.
«Perchè molto intelligentemente hai fatto il check-in venti minuti dopo di noi», non ho potuto evitare di rispondere con un sospiro esasperato.
La giornata era iniziata da poco ed ero già stanca di sentire Ashley lagnarsi.
Ashley mi ha guardato affrontata, ma non ha osato aprir bocca, forse per una volta consapevole di aver sbagliato.
«Potresti provare a metterti d’accordo con qualcuno e sederti con Anne e Kate. Loro sono solo in due e dovrebbero essere sedute accanto a un’altra persona. Puoi provare a contrattare il tuo posto per il suo», ha suggerito Rita.
«Esatto», l’ha appoggiata Roxanne, mettendole una mano sulla spalla in un gesto di incoraggiamento, «Non avevamo detto che non ci saremmo rovinate la vacanza sin dall’inizio? Non ti preoccupare, troveremo una soluzione.»
Roxanne aveva di nuovo indosso la sua maschera. La maschera della brava bambina sempre pronta ad aiutare gli altri, speranzosa, ottimista e sicura di sé. Io ho avuto l’urgenza di strappargliela di dosso con tutta la forza possibile. Poi lei si è voltata di nuovo verso di me e mi ha sorriso.
Io sono rimasta congelata sul mio posto. Non potevo.
«Tu e Kate dovrete cercare di rassicurarmi, ok?», Roxanne ha continuato in modo determinato ed era assurdo pensare che qualcuno come lei potesse cercare una rassicurazione da un’Ashley ancora visibilmente agitata, «Ho bisogno di qualcuno che mi convinca che l’aereo non si schianterà proprio oggi o non sarà vittima di un attacco terroristico.»
«Gli attacchi terroristici non dovrebbero essere orientati verso l’America?», Sally ha fatto un’osservazione stranamente acuta, «A Ibiza ucciderebbero solo turisti.»
Esatto. Ibiza, isola delle Baleari, era la nostra destinazione. Destinazione che le Gallinelle avrebbero preferito mantenere misteriosa e che io avevo scoperto solo il giorno precedente dopo aver lusingato Nancy per un tempo più lungo di quello che avrei ritenuto necessario, vista la sua tendenza ad aprir bocca a sproposito.
«Anche questo è vero», ha risposto Roxanne, «ma non credo che una simile logica fermerebbe un terrorista. Vittime sono sempre vittime.»
«Oddio», ho interrotto il dibattito, «ma vi siete sentite? Vi siete per caso trasformate in uno di quei catastrofisti che si sentono in tv e prevedono la fine del mondo non appena si tira fuori una vecchia profezia?»
«Giusto», mi ha sostenuta Nancy, guardandole come se fossero pazze, «Non so voi, ma io personalmente me ne frego di terroristi, alieni o annunci di morte vari. Voglio godermi la mia vacanza e basta. Possiamo farlo?»
«Wow, Nance. É la cosa più sensata che hai detto in tutta la mattinata», le ha risposto Rita. Nancy ha alzato solo il dito medio in risposta, risollevando così il tono della conversazione.
Quaranta minuti dopo eravamo in fila al Gate, pronte a consegnare il nostro biglietto e a mostrare il passaporto. Dopo l’ok dell’assistente di volo, abbiamo preso una navetta che ci ha condotto fino alle scale dall’aereo.
Nonostante la disposizione dei posti indicata dai biglietti, ho lasciato sedere Roxanne vicino al finestrino, io ero al centro, mentre all’altro misterioso occupante spettava il posto accanto al corridoio attraversabile. Nancy, Rita e Sally erano disposte lungo la nostra stessa fila, ma nella parte sinistra dell’aereo.
Ashley, determinata a non trascorrere le 10 ore di viaggio lontana da noi e relegata nella fila P, si è accomodata accanto a me, pronta ad aspettare il legittimo proprietario/a del posto per scambiare il suo posto con lui/lei.
Roxanne fissava ansiosamente la pista d’atterraggio dal finestrino che aveva alla sua destra e io le ho dato un colpo con la spalla, indicando un aereo che stava decollando proprio in quel momento a quasi 50 metri da noi.
«Quelli saremo noi tra poco», l’ho informata con un sogghigno. In un viaggio lungo 10 ore avrei dovuto far di tutto per non annoiarmi e se il mio unico intrattenimento prevedeva prendere un po’ in giro Roxanne, perché non farlo?
«Mhm», ha mormorato semplicemente lei in risposta, senza concedermi alcuna soddisfazione.
«Perché non arriva ancora?», ha mormorato Ashley al mio fianco opposto, «Probabilmente ha annullato il volo?»
«Lo dubito», ho risposto, valutando la situazione, «Ci sono un sacco di persone che stanno ancora occupando i posti e magari la persona è stata trattenuta solo per un momento…»
«Scusi», è intervenuto un ragazzo che non era chiaramente americano e arrancava a fatica sull’inglese di base con cui stava comunicando, «Questo…è mio», ha detto, mostrando il numero sul suo biglietto che indicava chiaramente il posto “16 E” occupato clandestinamente da Ashley.
Ashley è letteralmente saltata dalla sua sedia, rivolgendosi a lui immediatamente e parlando a raffica: «Sì, ecco. Vede il mio posto è quattro file dietro di questo…e queste sono due mie amiche e volevo sapere se potevamo scambiare i nostri posti. Cioè io le do il mio posto al 43 P», ha mostrato il suo biglietto con mani nervose, «E io prendo questo qui per star vicino a loro. Il mio posto è anche di fianco al finestrino, sono sicura che le piacerà!»
Il ragazzo, o uomo, ero ancora incerta su come definirlo, ha aggrottato le sopracciglia, avendo colto poco della spiegazione di Ashley. Probabilmente solo l’offerta gesticolata del biglietto 43 P di Ashley doveva avergli dato un’idea di cosa lei stesse tentando di fare.
Ha scosso la testa. «No.»
«Ma le ho detto che è vicino al finestrino!», ha insistito Ashley, indicando l’oblò attraverso il quale Roxanne stava guardando la pista, «Tutti vogliono il posto vicino al finestrino!»
«No. Questo è mio», ha ripetuto l’uomo, chiaramente spazientito dalla situazione.
Io ho cercato di placare Ashley, poggiandole una mano sul braccio: «Forse dovresti lasciar perdere…»
«No! Voglio stare qui!»
«Scusi», l’uomo ha riportato la nostra attenzione su di sé, gesticolando ad Ashley di accomodarsi al suo posto con un gesto piuttosto eloquente e al tempo stesso rude.
Visibilmente demoralizzata e con gli occhi un tantino lucidi, Ashley si è finalmente alzata e ha preso il suo bagaglio a mano dallo scompartimento superiore su cui anche io e Roxanne avevamo poggiato i nostri oggetti personali.
Le restanti Gallinelle, dalla fila accanto alla nostra, hanno protestato ad alta voce, ma al ragazzo nulla di questo sembrava interessare.
Incurvando le spalle, Ashley si è fatta strada verso il suo posto, senza guardare nessuna di noi.
«Ashley!», l’ha chiamata Roxanne, la quale per tutto lo scambio di battute era rimasta zitta ad ascoltare, «Puoi passare qui dopo, no? Quando ci fanno slacciare le cinture?»
Ashley ha annuito brevemente e si è allontanata. Mi è quasi dispiaciuto vederla così. Di solito sono sempre io a sgridarla per qualcosa.
Ecco come il mio vicino di posto si è guadagnato la prima occhiata ostile da parte mia.
Lui è piombato senza troppe cerimonie accanto a me, appropriandosi arbitrariamente di tutti e due i manici del sedile (di cui uno avrebbe dovuto condividere a metà con me) per poi lanciarmi uno sguardo di apprezzamento piuttosto mal celato dalle lenti degli occhiali da sole che indossava. In un altro momento avrei trovato l’occorrenza piuttosto normale, ma in quella situazione non potevo fare a meno di sentirmi infastidita. Avrei preferito vivamente non dover passare quasi un giorno intero di volo in compagnia ravvicinata di un pervertito.
Roxanne ha attirato la mia attenzione con un colpetto sul braccio e ha roteato gli occhi in modo drammatico. A me è scappata una breve risatina che subito lei ha condiviso alzando le sopracciglia in direzione dello strano tizio.
Lui non s’è accorto di niente. Certo, ha continuato a lanciarmi occhiate in modo poco discreto, ma non appena tutti i posti dell’aereo sono stati occupati e le assistenti di volo hanno iniziato a dare istruzioni sulle misure di sicurezza dagli speaker, si è irrigidito in tensione.
Anche Roxanne al mio fianco non sembrava stare molto meglio.
Sbuffando, le ho mostrato il mio palmo.
«Cosa?», ha chiesto lei con un’intonazione di voce piuttosto alta.
«Sally è seduta dall’altra parte, quindi tocca a me darti la mano.»
«Oh», ha detto Roxanne e per un momento è sembrata quasi commossa. Fortunatamente per me, non si è lasciata andare ad altri patetismi e ha accettato la mia offerta, stringendo le mie dita e restituendomi un sorriso di ringraziamento.
L’aereo ha iniziato a muoversi e il sorriso di Roxanne si è fatto immediatamente più nervoso. Cercando di sdrammatizzare il momento, ci ha riso su come meglio poteva.
Le hostess hanno iniziato ad elencare i sistemi di sicurezza e io ho fatto in modo che Roxanne ascoltasse dov’era riposto il sacchetto per il vomito, per evitarmi spiacevoli sorprese.
Il tizio accanto a me era rigido come un blocco di ghiaccio in Antartide e ha afferrato ancora con più forza il bracciolo che lo separava da me.
L’aereo ha iniziato la sua ascesa, schiacciando i nostri corpi contro i sedili per l’aumento di pressione, e Roxanne ha rafforzato la sua presa fino ad immobilizzare completamente la circolazione del mio polso.
Tornati in una posizione orizzontale, l’ho guardata tirare un sospiro esitante, che è stato soffocato dalla fragorosa esclamazione di sollievo del nostro vicino.
«Come va?», ho chiesto in tono colloquiale.
Roxanne ha riso e mi ha solo annuito, ma dopo un po’ le sue sopracciglia si sono aggrottate.
«Mi sento le orecchie tappate più di quanto ricordassi», ha commentato, come se quella fosse l’ultima cosa che si fosse aspettata.
«E’ normale. Prova ad ingoiare un paio di volte, aiuta.»
Roxanne ha deglutito, ma è restata zitta, fissando insistentemente lo schienale del sedile del passeggero che ci precedeva.
«Sei sicura di stare bene?», ho insistito.
«Sì. Boh. Credo», ha replicato in tutta fretta, «Prova a richiedermelo tra un po’.»
Ho riso di nuovo. «Cosa c’è di tanto difficile nel rispondere a una domanda del genere?»
«Non lo so», si è limitata a dire Roxanne, storcendo il viso in una smorfia che ha increspato buffamente il suo naso, «Penso di stare bene, se tralasciamo la pressione che sento sulla testa. È più forte dell’altra volta.»
«Ti ci abituerai», ho risposto, rilasciando un po’ la stretta in cui Roxanne mi aveva intrappolata. I nostri palmi erano entrambi sudati e Roxanne ha lasciato andare completamente per ripulirsi la sua mano contro la stoffa dei suoi jeans.
«Sì, ma che faremo in dieci ore?»
«Innanzitutto le hostess porteranno del cibo, anche se nella maggior parte dei casi fa schifo», ho spiegato sentendomi una maestrina in presenza di Roxanne, la quale sapeva poco o niente dei viaggi in aereo, «Credo che serviranno il pranzo tra circa due ore. Dopodiché presumo che nel pomeriggio guarderemo un film e faremo merenda.»
Roxanne, tuttavia, sembrava non avermi affatto ascoltata.
Dimentica del suo disagio iniziale, aveva il naso spiaccicato contro il finestrino, quasi si fosse accorta solo ora di sedere in un posto che le garantiva una vista privilegiata del panorama che stavamo attraversando in questo momento. Il ragazzo che sedeva accanto a me ha sbuffato fragorosamente, interrotto dalla sua contemplazione del paesaggio dalla folta capigliatura mogano di Roxanne, che ormai occupava l’intero oblò.
«Oddio! Guarda le case! Sono così piccole! Come una città di bambole!», ha esclamato puntando all’infinita distesa dei laghi al di fuori di Milwaukee su cui stavamo volando.
«Io avevo una casa di bambole enorme da piccola», le ho detto senza alcun particolare motivo, «Era decorata e arredata con accessori costruiti artigianalmente. Presumo me l’avesse regalata la mia nonna materna.»
Roxanne finalmente si è scostata dal finestrino, lasciando al mio vicino nuovamente la possibilità di guardare al di là del vetro.
«Presumi?»
«Beh sì», ho risposto, «Insomma, avevo sei anni, credi che dopo aver ricevuto un regalo del genere mi importasse qualcosa di chi me l’avesse comprato? Non vedevo l’ora di riempire gli armadietti con tutti i vestitini per bambole che avevo e far rotolare le mie Barbie sulla moquette di velluto.»
Roxanne ha sorriso alle mie parole e poi ha aggiunto: «I tuoi giochi erano più innocenti dei miei almeno.»
«In che senso?»
«Il mio hobby era staccare parti anatomiche dalle mie Barbie. Ovviamente c’erano quelle che avevano delle braccia o gambe fissate troppo bene e non riuscivo a smontare, ma non ho mai fallito nella decapitazione!»
Io mi stavo tenendo la pancia dalle risate, letteralmente piegata in due sul sedile, mentre Roxanne mi guardava compiaciuta della mia ilarità.
Più tardi, Roxanne ha tirato fuori dal suo bagaglio a mano un lettore mp3 a pile e ha fatto un gesto nella mia direzione.
«Ti va di ascoltare un po’ di musica?»
Dato che non avevo niente di meglio da fare, tranne che sentire il pesante respiro del passeggero addormentato alla mia sinistra, ho accettato la cuffietta che Roxanne mi ha offerto e io mi sono avvicinata di più a lei, vista la limitata lunghezza del filo.
Roxanne ha acceso il lettore, senza controllare la canzone su cui era posizionato dopo l’ultima accensione, l’ha lasciato cadere sul suo grembo e ha chiuso gli occhi, rilassandosi. Io ho cercato di fare lo stesso.
La canzone era lenta, fin troppo lenta. Continuavo ad aspettare un ritornello che segnasse che fossimo arrivati almeno a metà canzone, ma questo non arrivava. Ai tre minuti, durata media di una canzone normale, è arrivato e io mi stavo annoiando più di prima.
Più che un ritornello era una lamentela.
«Quando finisce?», ho chiesto, incapace di trattenermi.
«Eh? Cosa?», ha risposto Roxanne, la quale sembrava appena essersi risvegliata da una trance.
«La canzone! Sono quasi cinque minuti che è ferma sempre allo stesso punto e mi sto annoiando. Per quanto ancora va avanti?»
Roxanne ha roteato gli occhi e mi ha informata che la canzone era Transqualcosa dei Deathqualcosa. Come se ciò facesse differenza.
«Io non ascolto roba emo», le ho detto, «la musica per me deve essere movimentata…ballabile!»
Roxanne non ha detto nulla e ha scelto un’altra canzone, dopo aver mormorato qualcosa di simile ad un: “La cosa non mi stupisce”. Io le ho dato una spintarella nel fianco, giusto per avvertirla di non esagerare con l’ironia.
Nella nuova traccia, il cantante ci pregava disperatamente di ucciderlo, ma il ritmo era sicuramente meno smorto della precedente e ho cercato di adattarmi il più possibile.
Avevo lasciato il mio mp3 nella valigia riposta nella stiva e non c’era modo di recuperarlo mentre ero ancora sull’aereo.
Il pranzo è arrivato poco dopo, servito dalle hostess che trascinavano un carrello nel corridoio.
«Il panino e l’insalata dovrebbero essere le cose più commestibili», ho detto a Roxanne, esaminando il contenuto del mio piatto che conteneva anche una fettina di pollo anemico, cubetti semi congelati di patate al forno e carote lesse altrettanto pallide, come contorno.
Il mio vicino non sembrava essere della stessa idea: stava ingurgitando con entusiasmo il panino e tagliando a pezzetti il suo pollo, senza lasciarsi abbattere dall’assoluta inefficienza delle posate. Aveva già inalato le patate e l’insalata ed ero quasi certa che avrebbe chiesto anche un bis se fosse stato possibile.
Roxanne, decidendo di andare deliberatamente contro i miei consigli, ha assaggiato il pollo, per poi fare una smorfia e lasciare quasi all’istante la sua forchetta.
«È insipido.»
«Siamo a più di 10.000 metri di quota e ti stupisci di questo?»
Sotto sforzo, alla fine l’ho convinta a mangiare come me l’insalata e il panino, evitando gli altri condimenti disponibili. Si è solo animata al prospetto della merendina al cioccolato che era prevista come dessert. Le ho dato anche la mia, sperando che un po’ di zucchero placasse i suoi ho fame, ho fame, ho fame.
Quando persino la merendina si è rilevata solo un pezzo rigido di pan di spagna, contenente all’interno un sottilissimo strato di crema al cioccolato, il quale sapeva più di aromi chimici al cioccolato che di vero e proprio cioccolato, Roxanne sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
Dato che non ne potevo più di stare seduta ad ascoltare Roxanne affamata e insoddisfatta, mi sono alzata dal mio posto. Per passare sono saltata oltre la sedia del mio vicino, (che logicamente non si è preso la briga di scostare le gambe) e ho attraversato il minuscolo corridoio che ci separava dai sedili occupati dalle Gallinelle (esclusa Ashley, la quale stava masticando chissà cosa imbronciata nella fila P).
Sally e Nancy si stavano contendendo una busta di M&M’s, mentre Rita stava districando tra i suoi denti una rotella di liquirizia.
«Ehi Kate!», ha esclamato Sally, accorgendosi troppo tardi di aver lasciato le M&M’s completamente nelle grinfie di Nancy.
«Ehi ragazze», ho sospirato, cercando di non storcere il naso al campo di battaglia formato da involucri e cartine di caramelle colorate cadute sui piatti serviti dalle hostess, i quali invece risultavano assolutamente intatti, «Ho una piccola emergenza», ho iniziato, indicando nella generale direzione di Roxanne, che era ritornata a spiaccicarsi contro il finestrino per fare foto con la mia macchina fotografica, costringendo il nostro vicino di posto a cercare di vedere le nuvole dall’oblò dei passeggeri seduti davanti a noi, «Vi è avanzato qualche snack?»
Rita ha iniziato a rovistare nella sua borsa, «Allora, ho due Mars…»
«Sono miei!», ha esclamato Sally, «perché Nancy s’è fregata tutti gli M&M’s!»
«Ehi, non è colpa mia se sei una stupida!», ha replicato Nancy, la quale sembrava esserlo più di tutti mentre stava facendo a Sally una linguaccia con una lingua policroma a causa dei coloranti nei cioccolatini.
«Due buste di Twizzlers, una barretta di cioccolato-», ha continuato Rita, ignorando gli sproloqui delle due, ma io l’ho interrotta prima che potesse andare oltre e elencarmi tutte le schifezze di cui avevano fatto scorta.
«Va bene la barretta, grazie», ho detto, aspettando che me la passasse, «Ripasso più tardi, o venite voi da noi, ok?»
«Tra un po’ andiamo da Ashley», ha annuito Rita, «Mi dispiace che sia lì tutta sola.»
«È colpa sua però», ho risposto, incapace di frenare la lingua, anche se ho visto il volto di Rita farsi costernato, «Adesso vado.»
Roxanne ha lasciato perdere la sua missione di fotografa e si è gettata sulla barretta di cioccolato come una tigre inferocita. Io ho controllato le foto che aveva fatto con la mia macchina fotografica alle nuvole e, nonostante fossero praticamente identiche l’una all’altra, ho deciso di non cancellarle. Avevo fatto di tutto per rimediare al problema del suo stomaco mormorante e non intendevo essere sottoposta ad un’altra serie di lamentele.
A dire il vero, non si trattava di lamentele verbali. Più che esternare apertamente il suo disappunto, ho notato che Roxanne si fa più quieta, e il silenzio che segue è talmente imbarazzante da farmi desiderare le sue costanti chiacchiere.
Ma anche dopo la barretta di cioccolato, l’umore di Roxanne non è migliorato. È ritornata ad ascoltare il suo mp3, con gli occhi chiusi e il respiro forzatamente calmo, questa volta senza offrirmi una cuffia, insinuandosi di più nello spazio tra il sedile e oblò, e premendo la sua tempia destra contro il vetro.
Platealmente ignorata, ho deciso di fare altrettanto con lei. Per distrarmi ho cercato di completare il cruciverba sul retro del New York Times che avevo comprato quella stessa mattina.
Il mio vicino stava guardando il cruciverba insieme a me e un paio di volte l’ho visto aprir bocca senza emettere suono, probabilmente indeciso tra il suggerirmi qualche parola oppure astenersi dal farlo, vista la maniera decisa con cui stavo scribacchiando le lettere trovate. Per di più non mi sembrava nemmeno che conoscesse poi tanto l’inglese, quindi forse il suo comportamento da pesce ritardato era dovuto ad un tentativo di approccio nei miei confronti, che per mia fortuna non è andato in porto.
Roxanne ad un certo punto si è liberata astiosamente delle cuffie. Ha gettato il lettore mp3 nello spazio tra le nostre cosce ed è ritornata a raggomitolarsi in un angolo.
Io ho alzato un sopracciglio, senza commentare ulteriormente.
Mezz’ora dopo, la sua testa è rotolata contro la mia spalla. Roxanne sembrava essersi persa beatamente in un sogno, respirando con la bocca spalancata a breve distanza dal mio collo.
Io mi sono assicurata che non stesse sbavando contro il colletto della mia camicia e sono tornata a lanciare insulti agli spazi incompleti delle parole crociate che avevo in mano (insulti sotto voce, eh. Mi sentivo talmente buona che non mi andava di disturbare il suo risposo, se si escludono gli “accidentali” colpi di gomito che dirigevo alle sue costole ogni volta che il mio braccio si addormentava sotto il peso della sua testa).
Ero decisa a non controllare i risultati stampati sul retro della pagina, finché non avessi terminato tutto il gioco.
Dopo aver sfidato il foglio di giornale ad una gara di sguardi intensi, visto che avevo ormai esaurito tutte le definizioni che avevo saputo riconoscere, anche il mio vicino mi ha abbandonata, iniziando a russare in maniera se non troppo esagerata, sicuramente insistente.
Alla fine mi sono arresa anche io e ho abbandonato il gioco, decidendo di recuperare invece l’mp3 di Roxanne, il quale si era infiltrato assurdamente in profondità, considerando il minimo spazio che ci divideva.
Qualsiasi melodia emo sarebbe stata sicuramente superiore al tutt’altro tipo di sinfonia che adesso avevo in una delle mie orecchie. Fortunatamente scrollando il menù e i vari album disponibili, ho trovato dei pezzi strumentali piuttosto rilassanti al ritmo dei quali mi sono addormentata poggiando a mia volta la testa sul capo di Roxanne, alleviando così almeno di un po’ la pressione sulla mia clavicola.
Non so per quanto devo aver chiuso gli occhi, so solo che sono riemersa al suono di brevi soffocate risate e un: «No, stanno dormendo», che per quanto volesse passare per sussurro, proveniva da una voce troppo squillante e familiare perché potessi ignorarla.
Roxanne ancora visibilmente addormentata, sentendomi muovere, ha aggiustato la sua posizione, allontanandosi verso il centro del suo sedile. Io ho aperto gli occhi, sbattendo diverse volte le palpebre per elaborare la situazione davanti a me: le Gallinelle erano tutte in piedi, rumorose come al solito e ammassate nel minuscolo corridoio dell’aereo.
Fortunatamente non erano le uniche tra i passeggeri ad intralciarlo.
«Buon giorno, bella addormentata!», ha scherzato Sally, facendo ridacchiare le altre, tutte tranne Ashley, la quale mi stava fissando con un’espressione indecifrabile.
«Ehi», le ho salutate io, pronunciando le parole con qualche difficoltà a causa della bocca pastosa che mi ritrovavo, «sei tornata tra noi?»
«Sì», ha risposto Ashley. Mi ha fissata ancora per qualche secondo, come se non mi avesse mai vista prima d’allora, e poi ha fatto una smorfia teatrale: «Mi sono annoiata da morire senza di voi! Non sapete cosa è successo prima! È stato terribile! La signora seduta dietro di me ha seri problemi di flatulenza!»
Io sono scoppiata a ridere, sorpresa soprattutto dal fatto che Ashley conoscesse la parola flatulenza. D’altra parte se non l’avesse conosciuta, la sua spiegazione dell’avvenimento sarebbe stata sicuramente più dettagliata e imbarazzante per tutte.
«Flatu…che?»
Nancy, ovviamente.
Rita l’ha guardata interdetta, Sally ha iniziato a lanciare occhiate curiose in lungo e in largo, probabilmente altrettanto ignorante sull’argomento, Ashley, invece, si è subito azzittita, interrompendo il suo aneddoto.
«Puzzette dal culo», è intervenuta Roxanne, con voce rauca di sonno, stropicciandosi gli occhi con un pugno.
Ed è stato così che il potenziale momento imbarazzante è stato evitato grazie all’inappropriatezza di Roxanne e alle numerose risate che sono seguite.
Nonostante tutto, il nostro vicino di posto ha continuato a russare come se fosse circondato da cori angelici, anziché dallo squillante vociare di sei diciottenni.
Abbiamo continuato a parlare per qualche minuto, durante il quale il breve sonno che avevo m’è passato del tutto, mentre Roxanne continuava a chiudere gli occhi persino nel bel mezzo della conversazione per poi riaprirli in apparenza più stanca di prima.
Ashley è tornata al suo posto quando le hostess hanno annunciato la visione del film, per cui tutti dovevano essere seduti. Noi le abbiamo augurato buona fortuna, nella speranza che la signora flatulente le concedesse una tregua almeno durante la riproduzione della pellicola.
Il film trasmesso era il seguito del “Diario di Bridget Jones”, proiettato meno di un anno fa nelle sale, o almeno così stava spiegando Rita a Sally, dal fianco dell’aereo opposto al nostro.
Io non avevo visto nemmeno il primo film e ho detto altrettanto a Roxanne.
«Mia sorella ha letto il romanzo quando ancora andava alle superiori», mi ha risposto lei.
Ora che ci penso, in effetti Madison sembra il tipo di persona a cui piacciono le commedie romantiche.
La storia si incentrava su una donna inglese, Bridget Jones, che parla di tutte le sue (dis)avventure in un diario, ma non un diario come il mio.
Sicuramente se avessi fatto io un libro e film intitolato “Il diario di Kate Hudson”, sarebbe stato molto meglio, dato che Bridget, nonostante sia una trentenne, ha una voce narrante peggiore di quella di una teenager lagnosa.
All’inizio del film, Bridget sembra euforica del suo nuovo fidanzato, un pover uomo costretto a subire gli sguardi maniaci di Bridget mentre dorme e obbrobriosi maglioni in coordinato a quelli della sua fidanzata.
«Guarda quanto sono carini e in sincronia», ho detto a Roxanne, la quale ha sorriso flebilmente, senza però staccare gli occhi dallo schermo.
La scena è cambiata e tutto ad un tratto sono apparsi Bridget e il suo fidanzato, che stavano correndo l’uno verso l’altra con due sorrisi idioti stampati in faccia.
«Okay. Hanno superato il mio limite per i patetismi a nemmeno tre minuti dall’inizio del film», ho informato chissà chi, visto che il mio vicino di posto stava ancora ronfando in sottofondo e Roxanne sembrava trovare tutto troppo interessante per rivolgermi uno sguardo.
Bridget è una giornalista, una giornalista un po’ sfigata e incompetente, sulla quale ammassano ogni tipo di compito che altre persone sane di mente rifiuterebbero. Come il paracadutismo in diretta.
In risposta alla scena durante la quale Bridget si getta dall’aereo, Roxanne ha esclamato: «Sembra divertente!»
Io ho sorriso, inspiegabilmente eccitata dalla partecipazione di Roxanne ai commenti in diretta.
«Soprattutto se ti dimeni come lei a 1000 metri di altezza», ho replicato.
Bridget, chiaramente mai immune a ondate di sfiga pura, apre il paracadute quando ormai sembra troppo tardi e tutto ciò porta ad un arrivo a terra a dir poco disastroso.
«Quale punto di arrivo migliore di un ammasso di merda suina?»
Roxanne ha ridacchiato sottovoce, «Almeno è atterrata sul morbido.»
«Io avrei preferito spezzarmi l'osso del collo, piuttosto che dover sopportare per giorni quella puzza addosso», ho detto, rabbrividendo al solo pensiero.
Bridget conclude il suo servizio televisivo con i maiali in sottofondo e…
«Oddio, tra quei maiali ci sono due che stanno scopando!», ho commentato schifata a bocca spalancata.
«Potresti far finta di non aver visto quella scena perchè era troppo veloce», ha suggerito Roxanne, ridacchiando a mie spese.
Io le ho lanciato un’occhiataccia, «È quello che ho intenzione di fare!»
Il servizio sul paracadutismo di Bridget, anche se letteralmente merdoso, è accolto con successo dai produttori televisivi, solo perché la telecamera riesce a riprendere il suo gigante sedere alla perfezione.
«Ma perché sono tutti fissati col suo culo?», ho domandato, incapace di trattenermi, «è grosso e grasso!»
Roxanne storce la bocca con altrettanto disgusto: «Appunto.»
Bridget parla nel suo diario della storia tra lei e il suo ragazzo…il cui cognome è Darcy, interpretato da Colin Firth.
«Aspetta, aspetta, ma Colin Firth non era Darcy pure in “Orgoglio e Pregiudizio”?», ho chiesto, aggrottando le sopracciglia.
«Hai visto la miniserie BBC?», Roxanne si è finalmente voltata verso di me con un sopracciglio alzato.
Io ho cercato di non mostrarmi offesa dalla sua diffidenza. «Per rinfrescarmi la mente sulla trama, prima di un compito di letteratura sulla Austen», mi sono giustificata, «perché l’hai visto pure tu?»
Roxanne ha scrollato le spalle con nonchalance: «Mi piace il periodo della Reggenza inglese.»
Parlando c’eravamo perse un paio di battute, ma la cosa non sembrava importare poi molto ad entrambe.
Siamo ritornate al film appena in tempo per sentire Bridget vantarsi del suo record di 71 scopate acrobatiche in appena sei settimane.
Io ho dovuto chiudere a forza la mia bocca spalancata: «Wow, non l’avrei mai detto vista la sua faccia.»
«Mi chiedo cosa rientri esattamente nella sua definizione di “scopate acrobatiche”», ha detto Roxanne.
Qualche minuto dopo, Bridget parla in vivavoce con il suo fidanzato di ciò che avevano fatto sera precedente, mentre quest’ultimo è in un meeting di fronte ad una decina di altri presenti.
Mi è scappata una risata spontanea: «Adesso non sei più la sola che si sta domandando in cosa consista il loro sesso estremo
Roxanne mi si è accodata e il suono della sua risata è finalmente riuscito a interrompere il sonno profondissimo del mio vicino, il quale sembrava sorpreso che stessero proiettando un film.
Dopo aver consultato il suo gruppo di migliori amici ultrastereotipati (consistente di amiche rumorose e insolenti + un gay supereffemminato), abbiamo guardato Bridget rendersi ridicola in preda alla gelosia per il suo adorato fidanzato.
«Seriamente», sono sbottata, «questa tipa qui dovrebbe essere una rappresentante di noi donne, simbolizzare i sacrifici che sopportiamo e bla, bla, bla, ma a me sembra giusto patetica. Mi chiedo come diamine abbia fatto a diventare una giornalista!»
Roxanne ha sospirato al mio fianco. «È una commedia romantica, Kate, puro intrattenimento senza secondi fini. Non prenderla troppo seriamente.»
Ciò mi ha un po’ offesa. «Io non sono abituata a decidere cosa o no prendere seriamente», ho insistito, «Tratto qualsiasi cosa allo stesso modo.»
«Guarda e basta», ha detto Roxanne, sprofondando di più nel suo sedile e portandosi una mano alla tempia.
Io sono rimasta interdetta, perché avevo pensato che anche a Roxanne piacesse scambiare opinioni, e solo dopo qualche minuto mi sono resa conto con irritazione che ero stata zittita e non avevo nemmeno protestato.
Bridget decide di indossare per una serata di gala con il suo fidanzato un orrendo vestito giallo oro. Io avrei voluto commentare che il giallo di per sé non sta bene a nessuno, escludendo solo me, probabilmente. Ma questa non è qualcosa che ho intenzione di testare nell’immediato futuro.
Io e Roxanne siamo restate in silenzio in seguito, anche se abbiamo riso quando Bridget ha cercato di spiegare in modo fallimentare ad un farmacista tedesco che voleva un test di gravidanza.
Dopo il falso allarme della gravidanza, Bridget lascia il fidanzato, perché lo ritiene incapace di far funzionare le cose tra loro.
«Dovremmo dispiacerci per lei?», ho domandato, incerta se avrei ricevuto o meno una risposta.
«La musica malinconica suggerisce di sì», ha detto Roxanne e non sembrava nemmeno troppo infastidita dalla mia interruzione.
Bridget si ritrova a lavorare con un tizio con cui era andata a letto in passato, storia spiegata probabilmente meglio nel primo film, e sotto la scusa del lavoro inizia a passare sempre più tempo con lui.
Ho indicato il personaggio di cui non ricordo il nome, interpretato da Hugh Grant, e ho commentato: «Lui mi piace più del suo ex-fidanzato. Quello era troppo rigido.»
«Non è il suo vero amore», ha replicato Roxanne, riferendosi a Colin Firth.
Io ho roteato solo gli occhi e ho deciso che non valeva la pena di risponderle, visto che neanche Roxanne s’era poi sforzata molto a trovare una motivazione decente.
Vero amore. Sì, certo.
Bridget viene arrestata per un malinteso alla dogana e va in contro ad una serie di incomprensioni e casini che la portano a dover sostare in un carcere comune femminile.
Il suo ex-fidanzato - Colin Firth per capirci - accusa Hugh Grant di aver abbandonato Bridget quando era stata arrestata e i due finiscono per prendersi per capelli.
«Mi piace come litigano, sono molto virili», ho detto, guardandoli inzupparsi in una fontana.
Roxanne ha soffocato una specie di risata-singhiozzo dietro una mano e mi ha lanciato con la coda dell’occhio un’occhiata complice, chiaramente divertita più dalla mia osservazione che dallo stupido teatrino che stavamo guardando.
Bridget viene liberata, torna in Inghilterra, pronta a confessare il suo amore per Colin Firth e passa prima da casa dell’uomo, dove incontra la collega di lui, di cui era stata gelosa per tutto il film…che ammette di essere lesbica e innamorata di Bridget!
Non ci stavo capendo più niente.
«Allora era…»
La collega di Colin Firth bacia Bridget e io ho azzardato un’occhiata verso Roxanne, la quale sembrava così sorpresa che persino la sua frangetta aveva assorbito le sue sopracciglia impossibilmente alzate.
«Questo non me l’aspettavo», ha detto lei dopo qualche secondo di silenzio.
Io ho riso, sentendo il brusio del resto dei passeggeri in aereo e ho commentato: «Non c’è niente che sciocchi di più l’audience di un bacio lesbico in una prevedibilissima commedia romantica.»
Roxanne ha mormorato un «Già» ironico e io ho continuato la mia tiritera precedente.
«Ma io continuo a non capire come facciano Colin Firth, Hugh Grant e anche questa tizia ad essere tutti pazzi di Bridget! È un’idiota!»
Roxanne ha replicato in modo condiscendente: «È una brava persona, in fondo.»
«È tutto qui? Se una donna con un'intelligenza sotto la media e chiappe enormi ha un buon cuore, troverà un fidanzato che la ami nonostante i difetti sopramenzionati?», ho domandato, incredula.
Roxanne ha riportato lo sguardo verso lo schermo, dove Colin Firth, o meglio il suo personaggio, stava chiedendo a Bridget di sposarla.
«A quanto pare sì», ha sospirato.
Mancava poco meno di un’ora e mezza all’arrivo, e io ho provato di nuovo a terminare il cruciverba. Roxanne mi ha offerto a tratti il suo ausilio, continuando, però, a strofinarsi la fronte e le tempie con una smorfia in volto.
«Che c’è?», le ho domandato, perché vedere i suoi movimenti costanti con la coda dell’occhio mi stava distraendo.
«Non ti dà fastidio la pressione? Mi sento la testa ristretta in una morsa e le orecchie scoppiare. Sento a malapena la tua voce.»
Io l’ho guardata stupita. Era questo il motivo per cui Roxanne sembrava assente a tratti e presente in altri?
«No…non ho questo problema», ho risposto sinceramente, «Siamo quasi arrivati. Scommetto che appena scendiamo ti passerà tutto.»
Roxanne mi sembrava poco convinta, ma ha annuito sospirando un flebile «Speriamo» ed è tornata a reggersi la testa, rivolgendo lo sguardo alle nuvole al di là del vetro.
Alla fine del cruciverba mancavano altre due soluzioni quando ho deciso di lasciarlo del tutto. Non volevo arrivare a soffrire di un mal di testa come quello di Roxanne.
Ashley è venuta a trovarci un’altra volta più tardi, mentre il nostro vicino era andato in bagno, e si è appropriata del suo sedile per qualche minuto, fino a che lui non è ritornato e lei è scattata in piedi così velocemente da sembrar impazientissima di ritornare dalla signora flatulente.
Durante l’inizio della discesa dell’aereo, in previsione dell’atterraggio, Roxanne ha chiuso gli occhi, stringendoli in una smorfia di dolore che è durata fino a che non siamo giunti a terra, con solo un minuscolo sobbalzo all’apertura del carrello. Non mi ha preso più la mano, ma sembrava stare peggio rispetto a quando siamo partite.
Il nostro vicino si è rimesso gli occhiali da sole, nonostante fosse ormai scesa la sera, e prima di lasciare la sua sedia ha stupito me e Roxanne con un «Arrivederci», che noi abbiamo restituito dopo una breve esitazione.
All’uscita dell’aereo, Ashley è tornata ad accodarsi a noi e le chiacchiere eccitate sono iniziate. Roxanne appariva ancora un po’ confusa, ma meno letargica di prima, e ha cercato di mostrarsi entusiasta quanto le altre, anche se era palese lo sforzo che stava facendo per ascoltarle.
Recuperati fortunatamente con successo tutti i bagagli, all’uscita dell’aeroporto il sole era appena tramontato e il cielo stava perdendo gli ultimi sprazzi color rosa-arancio, per far posto al blu intenso quanto il mare che si vedeva all’orizzonte.
Vivendo a Milwaukee, le uniche distese d’acqua visibili sono quelle del lago Michigan, e riuscire finalmente a dare un’occhiata al Mediterraneo mi sembrava surreale.
Sono stata sulle coste della Florida, della Louisiana, della California e anche per una breve tappa su quelle del Messico, quindi non è che non abbia mai visto l’Atlantico o il Pacifico, ma la mia unica tappa europea prima d’ora era stata Parigi ed ero stata ben lontana dalla Costa Azzurra allora.
«Wow!», ha esclamato Nancy e io mi sono accodata in quieta contemplazione.
«Ci siamo davvero, eh?», ha riso Sally, osservando i turisti per le strade e quelli che si affrettavano a portare i bagagli nell’aeroporto.
«Dovremmo chiamare un taxi per raggiungere l’albergo», è intervenuta Rita, «O meglio due. Siamo in sei e abbiamo tutti questi bagagli, sarebbe impossibile entrare in uno.»
Fatto sta che al momento non sembrava essercene nemmeno uno disponibile.
«Qual è il nome dell’hotel?», ho chiesto, avvicinandomi verso la strada nella speranza di attirare l’attenzione di qualche tassista.
«Palmyra», ha risposto Roxanne, leggendo dal bigliettino che le aveva appena passato Ashley, «è vicinissimo a San Antoni de Portmany.»
«Non siamo ad Ibiza?», ho chiesto io, rivolgendomi ad Ashley, la quale aveva supervisionato la prenotazione.
«L’isola è la stessa, le città sono diverse, ma vicine», s’è difesa Ashley, «È solo che all’agenzia mi hanno detto che la costa nord-ovest di Sant Antonio è quella con più turisti americani, in più è facilmente collegata e piena di locali.»
«È molto lontano di qui?», ho domandato.
«Non troppo, ma di sicuro riempiremo le tasche dei tassisti, perciò controllate se avete abbastanza contanti.»
Io ho storto il naso pensando al cambio valuta e agli euro multi colorati che avevo avuto in cambio dei miei dollari. Menomale che non avevo portato con me solo carte di credito.
Fortunatamente un taxi si è fatto vivo abbastanza presto e io ho alzato automaticamente il braccio per fargli segno. Con me sono entrate Nancy e Roxanne, Ashley, Sally e Rita salite in un taxi vicino.
Il nostro tassista si è presentato come Pierre, francese ormai trasferitosi ad Ibiza, che grazie alla sua multi nazionalità sapeva parlare altrettanto bene l’inglese e ci ha pure fornito indicazioni sui locali che avremmo potuto visitare quella stessa sera.
Dopo poco più di venti minuti di macchina siamo arrivate all’hotel. Dopo aver raccolto i miei due bagagli, mi sono fermata meglio a guardare l’edificio bianco di quattro piani che era il nostro Hotel Palmyra e la folta vegetazione mediterranea che lo circondava.
Nancy ha cercato il mio sguardo, visibilmente eccitata dal lusso dell’albergo e io le ho risposto con un sorriso. Anche Roxanne sembrava piacevolmente sorpresa, ma in una maniera più pacata di quanto lo sarebbe stata se il volo non l’avesse provata.
Le ragazze nell’altro taxi ci hanno raggiunto dopo pochi minuti di ritardo e hanno espresso il loro consenso molto più rumorosamente di noi.
L’entrata dell’hotel si apriva con un pavimento di marmo lucido che conduceva fino alla reception, dove una ragazza, senza che aprissimo bocca per darle indicazioni sulla nostra nazionalità, ha iniziato immediatamente a parlare inglese.
«Posso aiutarvi?»
Ad occuparsi dei nostri nominativi è stata Ashley. Lei aveva prenotato tre suites, le più spaziose, nelle quali ci saremmo divise a gruppi di due.
Sally si è immediatamente ancorata al braccio di Rita, rendendo ben chiaro con chi volesse dividere la stanza e lasciando noi quattro confuse su come deciderci.
Io ho guardato Roxanne e Roxanne ha guardato me, anche se nel frattempo sapevo di aver addosso gli occhi di Ashley, la quale per forza di abitudine si aspettava che io avrei scelto lei.
«Allora Kate, che hai deciso? Per me va bene qualsiasi opzione», ha risposto Nancy, anche se sembrava un po’ offesa dal gesto categorico di Sally.
«Anche per me è lo stesso», ha detto Roxanne, immediatamente, nonostante continuasse a fissarmi eloquentemente.
Ashley non ha detto nulla, e io ho capito benissimo che la sua reticenza era da attribuire al fatto che a lei invece la mia scelta sembrava importare eccome.
Io ho fatto un cenno a Roxanne, la quale mi ha risposto alzando le sopracciglia in un segno di quindi? e poi ho guardato Ashley, la quale aveva fissato il nostro scambio silenzioso con un broncio in viso.
«La 102 è mia e di Roxanne, ragazze», ho annunciato, voltandomi verso la receptionist per prendere la mia chiave e firmare il possesso della camera.
Roxanne si è voltata solo un attimo verso Ashley, ma mi ha seguita senza commentare verso l’ascensore, trascinando il suo trolley dietro di sé.
Solo quando ho richiuso la porta della 102 alle nostre spalle ha dato voce ai suoi pensieri.
«Perché non hai scelto Ashley?», ha domandato, trascinando i suoi bagagli verso la parte sinistra del letto, dato che io mi ero già appropriata della destra.
Impostata su colori pastello, la stanza ha luminose finestre e balconcino con vista sul mare, che occupa interamente il lato sud, e un letto matrimoniale, sormontato da una testiera in legno sulla quale sono collocate le luci. In un angolo ci sono delle graziose poltroncine e un tavolino a comporre un minisalotto piuttosto raffinato. L’arredamento è semplice quanto sobrio.
«Tu volevi che io scegliessi te», ho risposto a Roxanne, senza guardarla e dirigendomi verso il bagno.
Anche questo è altrettanto di buon gusto. La ceramica dei sanitari splende, come se fosse stata appena lucidata, e offre la doppia possibilità di utilizzare il box doccia e la Jacuzzi incastrata nel marmo rosato che riveste il pavimento e arriva a metà delle pareti.
«Sì, ma Ashley sembrava piuttosto arrabbiata», ha ragionato Roxanne, raggiungendomi per ammirare gli interni.
«Wow», ha sospirato e io ho ridacchiato, ritornando in camera da letto.
«Le passerà», ho detto sicura, «Domani non si ricorderà nemmeno più di avercela con me e con te.»
«Odierà me», ha replicato Roxanne, apparendo turbata da una simile idea, «E comunque perché non hai scelto lei? Non lo fai sempre? Io sarei stata bene anche con Nancy e nessuno si sarebbe offeso.»
«Prima di tutto, non sono io che la scelgo sempre come compagna di stanza», ho chiarito, «nei casi rari in cui c’è capitato di andar da qualche parte, è stata lei ad autoinvitarsi, e quando siamo in 5 le cose sono più complicate. Secondo, Ashley russa. E oggi ho già sopportato abbastanza soavi melodie per colpa del nostro vicino in aereo.»
Roxanne non ha potuto fare a meno di ridere e io ho continuato: «Invece quando tu hai dormito a casa mia o in aereo, non hai emesso suono. In più Ashley tende a rubarsi le lenzuola, mentre so di poter stare tranquilla con te, a condizione che tu rimanga sobria.»
Roxanne ha riso ancora ed è un po’ arrossita, probabilmente pensando a quanto fosse affettuosa da ubriaca.
Poi tutto ad un tratto la sua espressione si è fatta più rigida ed è corsa a recuperare il cellulare dalla borsa. «Oddio. Ho scordato di avvisare Madison che sono arrivata.»
«Giusto», ho risposto, scrivendo il più velocemente possibile un SMS a mia madre che le comunicava sinteticamente che ero arrivata, il posto era bello e stavo bene. Poi ho chiamato mio padre, certa di trovare la segreteria, e gli ho lasciato un messaggio contenente praticamente le stesse parole.
Tutto ad un tratto dai muri è emersa una voce spaventosamente simile a quella di Sally, la quale ha gridato «Amore, mi sei mancato tantissimo!», rendendoci immancabilmente partecipi della sua telefonata romantica.
Io ho ridacchiato, disfacendo la valigia e iniziando a preparare quello che avrei indossato quella sera.
Roxanne è sprofondata sulla sua parte di letto e ha chiuso gli occhi, emettendo un grosso sospiro.
«Come ti senti?», le ho chiesto, continuando a muovere capi d’abbigliamento fuori dalla mia valigia e lei ha emesso un verso che poteva essere interpretato sia positivamente che negativamente.
Io ho alzato le sopracciglia irritata, «Beh?»
«Va un po’ meglio», ha sbuffato Roxanne, stiracchiandosi meglio sul materasso, «Ma sento tutto ancora molto ovattato.»
Visto che al momento non c’era altro da ascoltare, oltre i rumorosi squittii della voce di Sally nell’altra stanza, le ho detto: «Ritieniti fortunata.»
«Riesco comunque a sentire Sally», ha risposto, aggrottando le sopracciglia, «e Ashley.»
Io ho prestato attenzione e non mi è risultato difficile sentire le lamentele di Ashley nella stanza alla nostra sinistra.
«Ma ti sembra possibile?», stava domandando Ashley a Nancy in tono accusatorio dall’altra parte di questi muri che apparentemente hanno una pessima insonorizzazione, «Prima non la poteva sopportare e adesso le sta sempre appiccicata!»
La sua voce si è poi abbassata, probabilmente sotto richiesta di Nancy, e il resto delle sue parole sono diventate più difficili da distinguere, ma non ci voleva poi molto per capire a cosa si stesse riferendo.
Io ho azzardato uno sguardo a dove Roxanne era ancora distesa. Quest’ultima stava fissando il soffitto, mordendosi le labbra.
«Visto? Mi odia», s’è lagnata.
«Và a farti una doccia», le ho detto io invece, «La cena è tra un’ora e mezza e non abbiamo molto tempo.»
Roxanne ha sbuffato ancora. Si è trascinata in piedi di malavoglia, ha recuperato il suo beauty case e il ricambio di vestiti che le serviva e si è chiusa in bagno, lasciandomi appena il tempo per scrivere queste pagine.
Il getto dell’acqua è terminato da un paio di minuti, perciò per non rischiare che mi sorprenda scrivere, sarebbe meglio terminare qui.
Al più presto l’aggiornamento sulla nostra serata.


20 giugno (giovedì – secondo giorno)

Come promesso ecco il mio resoconto della nottata precedente. Adesso sono in spiaggia, in una deliziosa insenatura coperta da sabbia e palme di fronte al nostro hotel, e sono riuscita finalmente ad avere accesso al mio diario.
Le Gallinelle e Roxanne sono in acqua in questo momento. Roxanne ha corso con entusiasmo fino alla riva, trascinando sotto braccio il suo materassino verde mezzo-sgonfio, e si è immersa non appena siamo arrivate, mentre ho dovuto faticare di più per far allontanare le Gallinelle.
Apparentemente restie a lasciare i loro cellulari, ho promesso loro che avrei inviato qualsiasi tipo di segnali di fumo nel caso in cui fosse arrivata una chiamata dai loro amori.
Sono ancora un po’ stanca dopo ieri sera, ma l’aria e il profumo di mare che si sentiva dalla finestra del nostro albergo è ancora più piacevole da questa minima distanza.
Meglio raccontare prima cosa mi sia successo, però.
Ieri sera, dopo esserci lavate ed essere scese a cena, sotto consiglio dello staff alberghiero, abbiamo scelto di visitare come primo locale l’Es Paradis, perché era situato come il nostro hotel a San Antoni e sarebbe stato il più vicino da raggiungere, visto che eravamo già stanche dopo il viaggio.
Quando ci siamo sedute con le altre a cena, la situazione è rimasta tesa per qualche minuto tra me, Roxanne e Ashley.
Io, nonostante le occhiate allarmate che Nancy mi stava lanciando, ho preso posto accanto ad Ashley e mi sono sforzata di trattarla normalmente, persino con più considerazione del solito. Lei c’è abboccata come un pesce all’amo.
Dopo dieci minuti in cui ho fatto in modo di dedicarle la maggior parte delle mie attenzioni, Ashley è tornata a parlare a Roxanne.
Roxanne sembrava ancora incerta dal repentino cambio d’umore, ricordando chiaramente le parole astiose di mezz’ora prima, ma io le ho dato un colpo al ginocchio con il mio e lei ha capito che avrebbe fatto meglio a comportarsi come se non avesse mai sentito le accuse precedenti.
Fingere è l’imperativo a questo mondo e lo sappiamo bene entrambe.
Dopo cena siamo subito tornate in stanza per cambiarci. O meglio, Roxanne ha asserito di voler rimanere con la sua canotta bianca e la gonnellina fiorata da hippy, mentre io mi sono cambiata.
Ho rovistato per un po’ nella mia valigia, cercando di non stropicciare troppo ciò che vi avevo messo e poi ho deciso di indossare il vestitino più peculiare che avevo. Di materiale satinato, appare essenzialmente scuro ma se toccato dalla luce si colora di riflessi blu, viola scuro, verdi e gialli. Aderentissimo sul torso per evidenziare le mie curve, a livello del bacino si apre in una gonnellina a pieghe dalla quale per qualche centimetro sbuca la sottoveste di voile interna.
Se Roxanne appariva un icona dei primi anni ‘60, io apparivo più un membro delle Sparkle Motion(*), arrivata direttamente dagli anni ‘80.
In ogni caso il look mi piaceva e, senza girarci troppo intorno, stavo da Dio. Gli ultimi tocchi finali sono stati raccogliere i capelli in una coda ad un lato e scegliere due grossi orecchini pendenti, luminosi addirittura più dello stesso vestito, assieme ad un bracciale colorato.
Le Gallinelle, lungi dall’essere originali, hanno optato per minigonne aderentissime, come Nancy e Rita, o per vestiti a tubino con pois in contrasto, come invece hanno fatto Ashley e Sally.
Mi inquietava pensare che ogni pezzo del loro guardaroba fosse in coordinato con quello delle altre.
Per arrivare all’Es Paradis, abbiamo preso come al solito due taxi e abbiamo acquistato i biglietti sul posto, visto che non avevamo potuto farlo prima.
Dato che per entrare era necessario essere accompagnate, ci siamo accodate ad un gruppo di ragazzi britannici, con cui abbiamo fatto finta di essere insieme.
Ci siamo salutati e separati dopo aver varcato l’entrata, e io e le altre ci siamo guardate intorno per ammirare l’ambiente. La discoteca si articolava su più livelli, collegati da scalinate che conducevano a balconcini che occupavano tutto il piano superiore e alla pista enorme centrale.
La discoteca era già in pieno movimento alle 22.30 passate, ma la gran parte delle persone stavano ancora arrivando.
Approfittando di quanto siano permissivi per gli alcolici in Europa, dove non si rispetta l’obbligo legale di non bere fino a 21 anni come in America, abbiamo passato quasi tutta l’ora successiva ad ordinare drink alla frutta al bar, tra cui i più buoni erano le “Puta Bolas”, nonostante il nome offensivo. Io ho costretto Roxanne a limitarsi a della soda e lei ha accettato, sbuffando.
Abbiamo ritrovato il gruppo dei quattro ragazzi inglesi di prima e abbiamo chiacchierato con loro del più e del meno per il resto del tempo. Il loro albergo si trovava a San Rafael e si stavano muovendo in lungo in largo per l’isola grazie a dei motorini che avevano affittato per la settimana. Due di loro, Alec e Clay, dopo essere stati rifiutati da me, che piuttosto preferivo parlare con il barman, hanno virato il loro interesse su Ashley e sorprendentemente su Roxanne. Non che Roxanne sia deturpata o incapace di ricevere attenzione, solo che c’è qualcosa dentro di lei che sembra attirare quasi esclusivamente potenziali amici, e non pretendenti.
Respinto anche da Ashley, che gli ha mostrato l’anellino che il suo ragazzo le aveva regalato dopo il loro primo anniversario insieme, Clay ha finito col trovarsi a parlare con una biondina tedesca ferma accanto a lui al bancone. Lei sembrava capire appena il suo pesante accento di Liverpool, ma il suo sorriso sembrava averla convinta a restare e ad annuire anche senza comprendere il discorso.
Alec, invece…beh, raramente ho visto qualcuno flirtare così palesemente con un’altra persona. Roxanne sembrava stare alla conversazione, senza però apparire mai presa quanto lui. Per qualche minuto ho pensato che lei non si fosse nemmeno accorta che la conversazione stesse sviando da temi amichevoli, ma poi l’ho vista rivolgermi uno sguardo colmo di panico e nascondendo un sorriso mi sono finta interessata da quello che Rita stava dicendo agli altri due ragazzi che abbiamo conosciuto, Jimmy e Frank.
A mezzanotte il locale si era quasi completamente riempito e il DJ ha aumentato il volume della musica e sostituito il colloquiale hip hop iniziale, con pezzi house e techno.
In pista e sui balconcini tra le luci stroboscopiche hanno iniziato a muoversi anche delle cubiste mezze-nude, una delle quali era sospesa sulla palla a specchi centrale e stava compiendo acrobazie degne dei trapezisti da circo.
Ashley ha suggerito di scendere in pista a ballare e Roxanne è stata la prima ad accodarsi a lei, cercando di sfuggire ad Alec in modo più evidente di prima.
Notando la sua espressione sconsolata ho messo una mano sulla spalla di Alec e gli detto: «Mi dispiace, amico!»
Quando lui ha rivolto verso di me uno sguardo più che speranzoso, gli ho dato un'altra pacca più forte del dovuto e ho seguito l’esempio di Roxanne, comprendendo tutto ad un tratto la sua fretta.
Nella folla abbiamo perso gli inglesi e cercando di farmi spazio nell’enorme puzzle di persone per essere più vicina alle altre, ho trovato…lui.
Lui mi stava fissando, appoggiato ad una delle colonne a bordo pista, e non cercava affatto di camuffare il suo palese interesse.
Quando anche io l’ho restituito, mi si è avvicinato, allungando la sua mano verso di me.
«Jorge», mi ha detto, pronunciando la g del suo nome in q. Vista la grande comunità inglese e americana che sembrava circondarci sia qui che al nostro hotel sono stata stupita dall’aver davanti finalmente uno spagnolo purosangue.
In poco più di un’ora, allontanandoci dal caos della pista, Jorge, 23 anni, mi ha raccontato gran parte della sua vita a Valencia, dove abita in un piccolo appartamento con altri tre amici, anche loro qui ad Ibiza, lavorando in un club notturno e cercando di risparmiare il più possibile per poter registrare un disco musicale e tentare di portare la sua band in un tour per la Spagna. Io l’ho lasciato parlare, evitando di commentare che probabilmente il mio spagnolo era più sciolto del suo inglese. Il tono sensuale della voce compensava per la saltuaria orrenda pronuncia.
Jorge mi ha raccontato che Ibiza è stata per lui e i suoi amici una brevissima gita fuori porta, vista la vicinanza con Valencia. Si sarebbero fermati solo per una notte e poi sarebbero tornati a casa la sera seguente, ovvero oggi, con l’ultimo traghetto.
Non so perché sia andata con lui alla fine. Forse era il fascino del musicista sfigato, forse era l’ombra fumosa che si creava sulle sue palpebre quando lui le apriva, forse le sue labbra incredibilmente soffici e carnose, o forse più semplicemente il fatto che non avrei mai avuto più l’occasione di andare a letto con qualcuno chiamato Jorge.
Lungo la strada verso il suo albergo, percorribile a piedi dall’Es Paradis, ho inviato un messaggio al cellulare di Roxanne, dicendole che ero andata a fare una cosa e le avrei riviste direttamente in albergo più tardi.
La camera tripla che Jorge condivideva con i suoi amici in un minuscolo Bed&Breakfast a 2 stelle, era naturalmente vuota e noi due siamo capitombolati sul primo letto che abbiamo trovato, di chiunque esso fosse.
L’ombra misteriosa sui suoi occhi era ancora più intrigante da vicino e le sue labbra tanto soffici al tocco quanto erano apparse alla vista, ma entro pochi secondi passati a baciarci e a spogliarci, ho subito scoperto quanto lui fosse…vocale.
Cercando di azzittirlo, ho invertito le nostre posizioni e gli sono salita a cavalcioni.
Io ho ripetuto nella mia testa tutto ciò che sapevo su di lui e ho represso forzatamente la voce dentro di me che ripeteva che era uno sconosciuto. Non che non pratichi quasi esclusivamente sesso casuale, ma tendo a farlo con persone con cui ho già avuto sesso casuale. In alcuni casi diventa una cosa quasi abitudinaria.
Ma Jorge era sotto di me, ansante. Farneticava oscenità e incoraggiamenti assieme al mio nome ad ogni spinta. Io ho represso un grugnito poco elegante. Odio quando le persone parlano durante il sesso.
L'orgasmo si stava avvicinando per entrambi, ma io non riuscivo a concentrarmi sul piacere che si andava diramando dall'interno delle mie cosce, perchè lui continuava insistentemente a parlare e gemere a voce estremamente alta, come se fossimo in un porno di pessima qualità.
Ho usato l'altra mano che avevo posato per mantenere il mio equilibrio su di lui per tappargli la bocca.
Lui ha subito iniziato a protestare, muovendosi a scatti e cercando di allontanarsi, bloccato però dal peso del mio corpo contro il suo addome.
Ha tentato di urlare, ma le parole soffocate sotto il mio palmo si sono dissolte del tutto in brevissimo tempo.
Raggiunto l'orgasmo, i suoi occhi sono roteati all'indietro e il suo corpo, sopraffatto dal piacere e dalla mancanza d'aria nei polmoni, si è rilassato completamente sotto di me.
Io ho subito rimosso la mano che bloccava le sue vie d'aria, scioccata. Volevo che stesse solo un po' zitto, non che morisse mentre stavamo facendo sesso.
L'ho seguito anche io qualche secondo dopo e, senza nemmeno godere del tutto del momento d'ebbrezza successivo, mi sono subito staccata di lui, alzandomi in piedi e iniziando a raccattare le mie cose.
Ripresosi, sebbene stesse ancora cercando di recuperare il respiro, ha cercato di fermarmi, circondando il mio polso con una mano.
«Wow», ha mormorato con voce rauca, «È stato…intenso.»
«Mhm», è stata la mia unica risposta.
«Perchè non rimani? Domani mattina possiamo fare colazione insieme…»
«Mi dispiace. Devo andare.»
«Oh andiamo! Lasciami almeno il tuo numero.»
Io l'ho squadrato, aggiustando meglio la posizione della pochette sotto il mio braccio.
Jorge giaceva disteso sul letto, preservativo ancora indosso, braccia e gambe distese lungo tutto il perimetro del materasso, polpacci parzialmente celati dalle lenzuola. Il suo petto continuava a muoversi velocemente in su e in giù e lui mi stava guardando con un'espressione di genuina meraviglia in volto.
Se fossi stata io al suo posto, avrei preso a calci in culo chiunque avesse osato soffocarmi. Durante un orgasmo addirittura. A lui, invece, sembrava esser piaciuto. Figurati con chi ero andata a capitare. Che fosse un masochista? O più semplicemente un individuo particolarmente perverso?
Mah. D'altronde avevo visto di peggio.
«No, grazie», gli ho risposto senza prendere nemmeno per un momento in considerazione la sua proposta. Non valeva nemmeno la pena di fingere un qualsiasi attaccamento. «È stato un piacere. Credo.»
E sono andata via.
Nonostante fossi stata via solo per un’ora, le Gallinelle e Roxanne erano già tornate in albergo al mio ritorno. Non erano ancora tornate in camera, però, ed erano sedute al bar, chiacchierando con un ragazzo che stava pulendo il bancone e asciugando un paio di boccali di birra.
«Oh, sei tornata!», ha esclamato Rita, la prima a vedermi.
Le altre e il barista compreso, si sono girati verso di me.
«Già», ho risposto, tentando di mostrarmi casuale, nonostante i loro occhi mi stessero supplicando per dettagli.
«Beh, non so voi, ma io sono piuttosto stanca», ho detto invece, notando il modo in cui le palpebre di Roxanne erano già scese a metà del suo occhio e sembravano riaprirsi di scatto al minimo rumore nella hall.
«Hai ragione», si è accodata Sally, sbadigliando senza coprirsi la bocca e scendendo con un saltello dallo sgabello sul quale era appollaiata, senza riguardo per mantenere la decenza del suo mini tubino.
Una dopo l’altra, anche le altre si sono accodate alla nostra decisione e ci siamo dirette verso gli ascensori, la cui massima capacità era fortunatamente di 8 persone.
«Allora, dove sei andata?», mi ha chiesto Ashley, non appena la porta automatica si è richiusa alle nostre spalle e l’ascensore ha iniziato la sua salita.
«A prendere una boccata d’aria», e visto che ciò non sembrava aver placato la loro curiosità ho aggiunto, «Con un ragazzo che ho conosciuto al Paradis. Mi ha portato a vedere dov’era il suo hotel e siamo rimasti un altro po’ a parlare.»
Visti i miei precedenti, mi rendeva orgogliosa pensare di aver detto una mezza verità per una volta. E poi a loro non interessava certo cosa io intendessi per “parlare”.
Tornate nella nostra stanza, Roxanne si è trascinata con eccessive moine in bagno per spazzolarsi i denti, mentre io mi stavo sfilando molto lentamente le Christian Louboutin. (Le adoro sul serio, sono fantastiche e super sexy, però devo ammettere che in quel momento se i miei piedi avessero avuto libero arbitrio, le mie povere scarpine sarebbero state gettate nella spazzatura senza doppi ripensamenti.)
Roxanne è ritornata in stanza e si è spaparanzata sul letto, rilasciando una sorta di fischio come un palloncino bucato.
«Che avete fatto dopo che me ne sono andata?»
«Non siamo rimaste molto in discoteca, c'era troppo casino e un sacco di idioti. Siamo tornate in albergo e ci siamo fermate un po’ al bar, sai…», ha detto Roxanne, facendo un vago gesto con la mano che doveva servire a chiarirmi le idee, ma non l’ha fatto.
L’ho scrutata per qualche altro secondo e poi le ho chiesto: «Hai bevuto?»
«No!», ha sbuffato Roxanne, riuscendo a dimostrarsi convincente nell’imitazione di una bambina di otto anni più di una bambina di quell’età.
«Ho bevuto solo una birra», ha continuato, notando il mio sguardo accusatorio, «E nemmeno per intero. L’ho divisa con Nancy.»
«Se tenti di nuovo di saltarmi addosso con le tue braccia da polipo come l’altra volta, ti mostrerò quant’è comodo il parquet», l’ho avvisata, serissima nelle mie minacce.
Roxanne ha iniziato a ridacchiare e l’intensità delle sue risatine scattose non ha fatto altro che dare una seria conferma ai miei dubbi.
Mi sono distesa sulle lenzuola fresche, troppo accaldata per infilarmici dentro, e prima di poter spegnere le luci sulla testiera ho notato che Roxanne si era girata sul suo fianco, raggomitolata sul bordo del materasso e in serio pericolo di capitombolare da un momento all’altro. C’era così tanto spazio che tra noi due avrebbe benissimo potuto dormire un’altra persona.
Ho afferrato tra due dita il bordo del top del pigiama di Roxanne e ho tirato la stoffa verso di me.
«Vieni qui», ho detto, «Non ho voglia di svegliarmi durante la notte perché sei caduta sul pavimento.»
«No», ha protestato lei, «Non voglio fare come Ashley…non voglio…non voglio farti pentire di aver scelto me.»
Io ho fissato interdetta la sua schiena nella fioca luce della lampadina che ci sormontava.
«Smettila di fare la stupida e vieni qui», ho ripetuto, tirando più insistentemente la sua maglietta.
Roxanne si è lasciata guidare senza più proteste e quando io ho spento la luce ha mormorato semplicemente «Notte», prima che il suo respiro si rilassasse, fino ad essere quasi indistinguibile.
Che bel silenzio. Perfetto.
Il mio ultimo pensiero prima di scivolare nelle braccia di Morfeo è stato questo: “Spero almeno che questi muri dall’insonorizzazione schifosa mi evitino il russare di Ashley”.
Quando mi sono svegliata, stamattina, ho visto che Roxanne aveva mantenuto la promessa di starmi lontana e infatti stava abbracciando il suo cuscino come forma sostitutiva d’affetto.
Se fossi stata avvezza alle smancerie quanto le Gallinelle, l'avrei definita adorabile - aggettivo che solitamente riservo a Susie quando fa qualcosa di particolarmente carino. Però dubito che a qualsiasi altro essere umano faccia piacere essere paragonato ad un gatto.
Ho evitato di esternare i miei pensieri e invece ho svegliato Roxanne colpendola con il mio cuscino. Roxanne ha alzato a rallentatore un braccio per fermarmi e io ho riso quando mi sono trovata faccia a faccia con la sua faccia segnata dalle pieghe della federa.
Il tempo di rifocillarci e vestirci e siamo scese a colazione.
Io, Nancy e Sally abbiamo scelto latte e cereali, croissant per Rita e Roxanne, e uova strapazzate per Ashley, la quale, a sua detta, voleva accumulare più energie possibili per farsi una bella nuotata.
Nemmeno due ore dopo, non rispettando completamente la procedura delle 3 ore di digiuno, siamo giunte nella spiaggia privata del nostro hotel, decidendo invece di visitare l’enorme piscina interna questo pomeriggio.
Ed ecco tutto.
In questo momento Roxanne è sul suo materassino, unita finalmente con le acque che ha lasciato in Florida, mentre le Gallinelle, nonostante i piani olimpici di Ashley, sono rimaste attaccate per tutto il tempo a degli scogli, quasi volessero diventare dei coralli e…no, un momento.
Le Gallinelle hanno appena ribaltato il materassino verde di Roxanne e lei…lei si è gettata su di loro, scompigliando le loro perfette acconciature per tener lontana l’acqua salata.
Se avessi ancora dubitato che lei si fosse ripresa dopo il volo di ieri, ho smesso di farlo proprio in questo momento.
Forse è il caso che le raggiunga. I loro urletti si sentono fino a qui.
A differenza loro, io non temo gli assalti di Roxanne.

Ritornerò sicuramente vincitrice.

   
 
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