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Autore: Niglia    31/12/2010    18 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XXIV

 

 















 

 

 

 

 

Scesi lentamente dalla macchina, cercando di recuperare un paio di minuti per riprendere il controllo e per capire che genere di comportamento avrei dovuto sfoggiare una volta sola con lui a cena. C’era una fastidiosa vocina, nella mia mente, che mi stava spingendo a mettere da parte ogni traccia di lucidità per poter saltare addosso ad Enrico senza alcuna remora, ma grazie al Cielo il mio autocontrollo poteva reggere ancora abbastanza a lungo per evitarmi una così misera figura. Dio, il suo bacio mi aveva destabilizzato sin troppo.

Approfittai del fatto che mi stava dando le spalle per armeggiare con la chiave nella serratura della porta d’ingresso per farmi scivolare discretamente la lingua sulle labbra alla ricerca del suo sapore, e mi coprii la bocca con la mano, sconvolta, quando compresi ciò che stavo davvero facendo. Mio Dio. Bastava così poco per farmi capitolare? Mi ero venduta per un bacio? E – maledizione – che cosa stavo pensando? Mi aveva baciato, mi era piaciuto: punto. Non aveva senso rimuginarci ancora, in fondo un bacio non sanciva proprio niente, e il fatto che mi fosse piaciuto il sapore della sua lingua, della sua bocca, non voleva significare che mi sarebbe piaciuto baciarlo in eterno, fino a perdere la sensibilità delle mie labbra, fino a gemere e…

“Giulia? Non vuoi entrare?”

La sua voce gentile e vagamente maliziosa mi riscosse da quell’odioso torpore nel quale sembravo cadere ogni volta che Enrico mi era troppo vicino. Ritornai bruscamente alla realtà, fissandolo come se gli fosse spuntata improvvisamente una seconda testa e arrossendo violentemente nell’associarlo ai pensieri poco ortodossi che stavo avendo su di lui. Dannazione a me e ai miei maledetti ormoni impazziti!

“Ah, ehm, sì, certo”, balbettai confusa, raggiungendolo e sforzandomi di non guardarlo direttamente negli occhi. Lo superai ed entrai in casa, facendo qualche passo in avanti al buio per non sentire il suo bel profumo troppo intorno a me. Non stavo bene, no, non stavo per niente bene, e la prospettiva di dover trascorrere l’intera serata, da sola, con lui, non contribuiva minimamente a rendere stabile la mia già precaria sanità mentale. Chissà, forse aveva ragione Alessandra: se ci fossi andata a letto da subito, togliendomi il pensiero, non mi avrebbe fatto tutto quell’effetto il rimanere con lui – sarebbe stato come togliere un dente troppo fastidioso, no?… Oh diavolo, Giulia, ritorna in te!

“C’è qualcosa che non va?” Chiese Enrico con aria preoccupata, raggiungendomi e passandomi un braccio intorno alle spalle. “Ti vedo strana…”

Troppo vicino, troppo vicino, era decisamente troppo vicino…

Cercando di non sembrare maleducata mi costrinsi a sorridere condiscendente, sgusciando via con eleganza dalla sua stretta improvvisa. “No, tranquillo”, riuscii a rispondere, sembrando normale ma senza riuscire a celare l’imbarazzo. “Ecco, non vorrei che… Stessimo correndo un po’ troppo, sai…”

“Uhm”. Si portò pensieroso un dito sul mento, tamburellandolo con finta perplessità senza mai smettere di fissarmi. “Hai paura di desiderarmi troppo, forse?”

Se non ero arrossita prima, ora ero certa di aver assunto il colore di un bel pomodoro maturo – volendo tralasciare la spiacevole sensazione di essere finita con le proverbiali spalle al muro. Comunque, non potevo di certo dirgli “No, sai, ho solo paura di frequentare una specie di mafioso, cosa vuoi che sia!”, sarebbe stato poco carino da parte mia e a dir poco fuori luogo. Senza contare che io non ero certa che Enrico fosse a conoscenza di tutto quello che io sapevo di lui – Cielo, è piuttosto complicato – voglio dire, non credevo che sapesse che la sua vita privata e criminale non mi era per niente estranea, e di conseguenza avevo abbastanza paura di espormi troppo. Potevo anche affezionarmi al ragazzo, certo, ma chi diceva che potevo anche accettare l’Occhi Belli?

“Sarebbe meglio se adesso ci occupassimo solo della cena”, mormorai, senza rispondere alla sua domanda e distogliendo lo sguardo da lui, troppo pensierosa e preoccupata per poter stare al passo con le sue allusioni maliziose.

Lo sentii sospirare e poi annuì, accendendo finalmente le luci del corridoio e facendomi strada verso la cucina: benché ci fossi già stata non mi ricordavo minimamente dell’interno della casa, forse perché l’ultima volta ero troppo impegnata a far sì che Riccardo ed Enrico non si uccidessero con me e la mia migliore amica presenti. Ad ogni modo ora che potevo osservarla meglio mi accorsi che doveva essere piuttosto vecchia come casa, sia a giudicare dagli arredamenti che dal modo in cui erano disposte le varie stanze: beh certo, non potevo davvero credere che fosse proprio casa sua, sicuramente apparteneva ai genitori o ai nonni e lui la sfruttava durante l’estate con i suoi amici o quando voleva stare da solo. O, per stare al racconto di Riccardo, per quando organizzava i suoi ‘incontri d’affari’…

Cercai di seppellire quegli spiacevoli pensieri in un angolino della mia mente, perché non contribuivano minimamente a mettermi a mio agio e, al contrario, non facevano che farmi venire ansia. Okay, non credevo davvero che Enrico mi avesse portato fin lì per violentarmi e poi uccidermi, però il fatto di essere a conoscenza di determinati fatti non mi tranquillizzava per niente. Gli avrei dovuto chiedere di farmi vedere la pistola, forse?

Finalmente Enrico si fermò davanti ad una porta e la aprì, accendendo le luci prima di farmi cenno di entrare per prima, da vero gentiluomo. Accennai un sorriso e varcai la soglia, riconoscendo subito la cucina dove avevamo fatto colazione la mattina dopo il mio ‘famoso’ rapimento: il fatto di trovare familiare quella stanza mi fece riprendere a respirare normalmente, e ostentando una calma che non avevo posai la borsa sulla sedia e mi guardai intorno come per abituarmi all’ambiente.

“Sei silenziosa”, ripeté Enrico, per la seconda volta nella stessa sera. Mi voltai per vedere che si stava avvicinando ai fornelli per preparare la cena – non credevo che l’avesse fatto davvero, chissà perché mi ero convinta che avesse uno stuolo di cuochi e camerieri – e mi morsi leggermente il labbro, imbarazzata.

“Mi dispiace”, ribattei sinceramente, avvicinandomi e sedendomi su uno degli sgabelli che circondavano la penisola di quella che era una cucina estremamente moderna. “È solo che non so come comportarmi…” Mormorai subito dopo, decidendo di essere onesta fino in fondo.

Lo vidi voltarsi e inarcare perplesso un sopracciglio, come se non avesse capito a cosa mi stavo riferendo – e, se davvero credeva che io fossi all’oscuro dei suoi traffici criminali, allora non potevo biasimarlo: forse pensava che io non volessi frequentarlo solo per sentito dire, perché il nome della sua famiglia aveva una certa fama, e non che dietro la mia ostinazione ci fosse il racconto dettagliato di Riccardo. Così decisi una volta per tutte di smetterla di fingere che fosse un ragazzo normale e di rivelargli davvero ciò che temevo, convinta così di riuscire a spiegargli le mie reticenze.

“Cosa vuol dire che non sai come comportarti?” Domandò, senza smettere di trafficare con alcune pentole che stava tirando fuori da uno sportello. “È solo una cena, Giulia, non mi sembra di averti chiesto chissà che cosa…”

Con un sospiro trattenuto a stento mi alzai e lo raggiunsi, prendendogli una pentola dalle mani e, probabilmente, sorprendendolo per la mia spontanea decisione di avvicinarmi a lui; in realtà era un modo come un altro per prendere tempo e riflettere su quello che avrei dovuto dirgli senza rischiare di farlo arrabbiare. “Dobbiamo fare la pasta?” Chiesi, senza guardarlo.

“Sì”, disse soltanto, aspettando sicuramente che io dicessi qualcosa di più interessante. Mi avvicinai al lavandino e riempii la pentola con l’acqua del rubinetto, dopodiché la misi sul fornello e accesi il gas, il tutto senza dire una sola parola ma continuando a sentire il suo sguardo bruciante sulla schiena. Non sapevo da dove iniziare, ma ero certa che avrei parlato di più senza osare guardarlo in faccia. Così, continuando a fissare la pentola come se il mio sguardo avesse potuto accelerare il processo di ebollizione dell’acqua, lo dissi.

“So di che cosa ti occupi, Enrico”, mormorai, stringendo le mani al bordo di marmo della cucina. “Ed è per questo che non ho la più pallida idea di come comportarmi. È per questo che ho paura”.

Bene, il danno era fatto – o, per essere più poetici, il dado è stato tratto. Adesso che quelle parole erano riuscite a prendere il volo – adesso che sembravano gravitare, pesanti come macigni, nell’aria intorno a noi – mi sentivo improvvisamente meglio, più leggera, come se da quel momento in poi sarebbe stato tutto più facile. Dovevo soltanto aspettare che la bomba esplodesse – oh, pardon, che Enrico dicesse qualcosa. Perché si presumeva che qualcosa la dovesse dire, no? Non poteva rimanere in silenzio, vero?

Il punto era che neppure io sapevo che cosa volevo o non volevo sentirmi dire.

“Da quanto tempo lo sai?” Eccole le prime parole dopo il lancio del missile, venute fuori con un tono all’apparenza piatto e neutro. Mi stava tendendo qualche trappola?

“Non avrei dovuto saperlo?” Replicai invece con un’altra domanda, cercando di mantenere un tono pacato.

“Rispondi, Giulia. Da quanto tempo lo sai?” E quella fu probabilmente l’inflessione che non avrei mai voluto sentire da lui, perlomeno non rivolta a me; un brivido mi corse lungo la schiena – ansia? paura? – e socchiusi gli occhi, cercando di ignorare quello che sembrava soltanto un’intimazione velata dalla rabbia.

Sospirai, continuando a dargli le spalle. “Da quando Riccardo è venuto a prendermi qui, il giorno dopo che mi hai fatto… beh, rapire.” Era strano dirlo ad alta voce, sembrava quasi di parlare di un sogno talmente vecchio e strano da non poter far parte in nessun modo della vita reale.

Enrico comunque non rispose subito, come se stesse soppesando la mia ammissione. Avevo detto qualcosa di sbagliato? Adesso sarebbe risalito a Riccardo, avrebbe scoperto che è stato lui a raccontare ogni cosa a me e ad Alessandra, avrebbe cercato di fargliela pagare? O forse era solo la mia fantasia che galoppava più in fretta di quanto fosse possibile starle al passo? Quasi non mi accorsi che le dita delle mie mani erano diventate bianche e insensibili a furia di stringere il bordo di marmo.

Quando riprese la parola, la sua voce mi fece sobbalzare dalla sorpresa, per quanto il suo cambiamento fu drastico e improvviso. “Quindi sapevi ogni cosa ieri sera, quando ci siamo baciati per la prima volta”, decretò con un tono basso e suo malgrado sensuale, facendomi arrossire. Possibile che si finisse sempre a parlare della stessa cosa? Non gli importava che io fossi a conoscenza di tutti i suoi affari illegali?

Mi voltai per fronteggiarlo, decidendo che, se aveva tirato fuori quell’argomento, allora non avevo poi molto da temere. “Che cosa significa questo, adesso?” Sbottai, incrociando le braccia. Preferivo volgere l’imbarazzo in irritazione, era senza dubbio una reazione migliore.

Mi sorprese ancora di più il fatto di vederlo sorridere in un modo quasi compiaciuto e soddisfatto, come se avesse appena realizzato di avermi in pugno e ne fosse assolutamente contento. Non si avvicinò, rimanendo nel suo lato della cucina, ma questa mi sembrò improvvisamente troppo piccola.

“Significa che, se mi hai baciato malgrado conoscessi questi… retroscena… Vuol dire che ho ancora qualche speranza, e che probabilmente ti piaccio almeno un po’”, dichiarò con quella voce provocante, incatenandomi con il suo sguardo intenso.

Mi ritrovai a schiarirmi la voce e a scuotere il capo, cercando di scacciare  quell’odioso senso di imbarazzo – che diavolo, perché il mio corpo non mi dava retta e si comportava in modo più maturo? “È questa l’unica cosa importante, per te?” Sbottai, muovendo stizzita una mano per aria. “Il fatto che ti abbia baciato – no, aspetta, che tu mi abbia baciato? Non ti importa che io sia a conoscenza dei tuoi loschi traffici?”

Scrollò le spalle in un modo che poteva significare tutto o niente, sempre senza smettere di fissarmi. “Certo che mi importa, ma avevo già fatto i conti al riguardo. Avrei voluto essere io a dirtelo, in modo da poterti tranquillizzare, ma visto che già lo sai possiamo direttamente passare oltre e non perdere troppo tempo a rimuginarci su…”

Forse stavamo parlando di due cose diverse, mi ritrovai a pensare, allibita. Come faceva a stare così tranquillo? Si trattava di cose che facevano parte della sua quotidianità al punto da non ritenerle neppure abbastanza importanti da parlarne con me? Non so perché la cosa mi stava dando tutto quel fastidio – forse perché ritenevo di dover come minimo essere informata di quello che faceva, visto che voleva anche me nella sua vita – la cosa certa, comunque, era che volevo saperne di più in modo da poter dormire sonni tranquilli. Non mi sembrava di chiedere molto in fondo, no?

“Non ci stiamo capendo, Enrico”, replicai infatti, aggrottando le sopracciglia. “Okay, ci siamo baciati, ma questo non vuol dire che io non sia terrorizzata da quello che fai tu quando sei da solo o con i tuoi amici. Anzi. Ieri sera è stato inevitabile e sono d’accordo, anche io lo volevo, ma… Accidenti, non puoi davvero pensare che un misero bacio mi possa far dimenticare con chi ho a che fare! In qualsiasi modo si evolverà questa storia, sappi che io non posso stare insieme ad un delinquente”, dissi infine, riuscendo a chiamarlo con l’aggettivo che gli competeva.

Il sorriso era finalmente scomparso dal suo volto, e adesso mi guardava con serietà e senza più molta voglia di scherzare. Per un attimo temetti di aver detto troppo, ma alla fine mi sentivo meglio per essere riuscita a sfogarmi e dirgli ciò che pensavo, quindi qualunque fosse la sua reazione non avrei avuto nessun rammarico, se non altro. Magra consolazione.

“Quello che faccio non ha niente a che vedere con noi”, replicò con calma a voce bassa, come se stesse tentando di convincermi.

“Oh sì, invece!” Ribattei, interrompendolo. “Rischi costantemente la vita, credi che non lo sappia? Come potrei frequentarti sapendo che domani potresti essere in prigione o in cimitero?”

Forse la stavo facendo troppo drastica, ma se lui non capiva la gravità della situazione allora gliel’avrei mostrata io. Doveva esserci dentro da molto – forse da più tempo di quanto aveva detto Riccardo – se per lui tutto ciò non rappresentava quel grosso problema.

Lo vidi inarcare un sopracciglio e per un attimo le sue labbra si piegarono nell’accenno di un sorriso. “Sei preoccupata per me?” Chiese, sicuramente con l’intento di provocarmi.

Per tutta risposta roteai gli occhi, spazientita. “Mi sembra evidente!” Replicai, sorprendendolo. Beh, era ovvio che mi preoccupassi, in quegli ultimi due mesi avevo trascorso più tempo con lui che con la mia amica, e anche se il nostro rapporto non fosse mai andato più oltre di così – cosa di cui ero fermamente convinta – io mi ero affezionata, perlomeno come amico.

Scosse leggermente il capo e sospirò, come se non sapesse bene che cosa dire. “Senti, non hai nessun motivo di preoccuparti: è la mia vita, ci sono abituato, e so come gestire determinate situazioni”, esordì, parlando con un tono pacato e tranquillo. “Non devi temere per la mia vita, né tantomeno per la tua: ti terrò fuori da quello che di pericoloso c’è nei miei… affari, come li hai definiti, e noi potremo continuare a frequentarci come due persone normali. Davvero, non c’è niente di cui aver paura.”

“Questo lo dici tu”, ribattei a bassa voce, per niente convinta. Poi sospirai, decidendo che era meglio se per il momento cambiavamo argomento. “Dov’è la pasta?”

Sembrò preso alla sprovvista, ma durò solo un attimo. “Nello sportello in alto a destra”, disse, indicando un punto della cucina al mio fianco. Mi voltai e lo aprii, iniziando a frugare: se mi dedicavo a piccole azioni normali come cucinare, forse sarei riuscita a gestire meglio l’intera serata. Dovevo incrociare le dita.

Presi un pacco di spaghetti e richiusi lo sportello, mettendo il sale nell’acqua che ormai bolliva e attendendo un altro minuto prima di gettare la pasta; dietro di me sentivo il rumore di un coltello che tamburellava sul tagliere, e osai voltarmi leggermente per vedere che cosa stesse facendo. Sembrava strano vederlo tagliare l’insalata, ma alla fine dovetti ricordare che, malgrado tutto, era pur sempre un essere umano come tutti gli altri poveri mortali, e non aveva senso metterlo in chissà quale piedistallo solo perché io ne ero spaventata e attratta allo stesso tempo in modo piuttosto folle.

Potevo accettare di desiderarlo fisicamente, era una cosa alquanto normale visto che sembrava emanare sensualità come una lampadina emanava luce; ma perché la mia parte razionale non prendeva a schiaffi l’istinto, rimandandolo nella tana da dove era uscito? Enrico era pericoloso, questo era un dato di fatto: e non perché avrebbe potuto farmi del male – a quel punto questa era un’eventualità che non prendevo neanche in considerazione – ma perché se mi ci fossi legata troppo, così come avrebbe voluto lui, avrei rischiato di soffrire immensamente. Non sarebbe stato un rapporto sano, ecco, e non ero certa di volerlo.

“Parlami, Giulia, non chiuderti nei tuoi pensieri.” La sua voce mi giunse da un punto indefinito accanto al mio collo, facendomi sobbalzare, e quando mi voltai mi accorsi che mi era alle spalle, decisamente troppo vicino.

Ed era anche decisamente troppo bello. Anzi, era decisamente troppo tutto, e io continuavo a non capire perché si fosse fissato così tanto su di me; ma quello, a quanto pareva, era destinato a rimanere un mistero, e visto che risolverlo non avrebbe cambiato la situazione attuale, decisi di sorvolare.

“Dovresti avvisare prima di spuntarmi all’improvviso da dietro le spalle”, replicai senza rispondergli, sgusciando via da quella posizione e raggiungendo il frigorifero. “Dov’è il sugo?” Chiesi, controllando tra gli scaffali del frigo: c’era davvero parecchia roba, sicuramente lui e i suoi amici ci trascorrevano più tempo di quanto avessi immaginato in quella casa… Ah, già, dimenticavo: doveva essere il loro quartier generale.

“Non cambiare discorso”, ribatté lui, incrociando le braccia e poggiandosi alla credenza.

Scrollai le spalle con disinteresse. “Credevo che il discorso fosse finito”, risposi, prendendo il vasetto del ragù e richiudendo il frigorifero.

“Il discorso sarà finito quando non ci sarà più nulla da dire, e non mi sembra sia questo il caso”, replicò deciso, seguendo i miei movimenti con lo sguardo senza distrarsi nemmeno per un istante.

Sospirai, aprendo un altro sportello a caso e trovando un recipiente per la pasta. Iniziai a preparare il condimento senza rispondergli – visto che comunque non sapevo cos’altro dirgli – ma dato che lui sembrava non voler cedere alla fine decisi di accontentarlo. “Senti, non roviniamo la serata, va bene? Facciamo finta di niente, non abbiamo detto nulla, tutto come prima. Okay?” Provai, continuando a non guardarlo malgrado la sua presenza accanto a me non fosse per niente facile da ignorare.

“Voglio solo sapere che cosa stai pensando.”

Oh, mio caro, mettiti in fila. Lo voglio sapere io per prima…

“Non sto pensando niente”, replicai decisa, sperando che quel discorso finisse lì. “Apparecchiamo?”

In silenzio, tirò fuori da un cassetto una tovaglia e me la porse, continuando a fissarmi con quegli occhi verdi e terribilmente penetranti. Gliela presi dalle mani e andai verso il tavolo, sistemandola per bene e cercando di perdere del tempo per sistemarla con precisione negli angoli e ai bordi: lui continuava a guardarmi senza dire una parola, e non sapevo se questo era un buon segno o no.

“I piatti?” Chiesi, raggiungendolo nuovamente.

“Lascia, faccio io”, disse con un tono leggermente rassegnato, voltandosi e prendendoli dallo sportello sopra al lavandino. Forse ero riuscita a scamparla.

“Però non finisce qui.”

Forse no.

“Cosa vuoi dire? Non c’è nient’altro da aggiungere…” Replicai, avvicinandomi e prendendo i piatti dalle sue mani ostentando indifferenza. Li sistemai sulla tavola e mi voltai per prendere i bicchieri, ritrovandomi invece Enrico ad un passo da me che me li porgeva con uno strano sguardo sul viso. “Cosa ti ho detto sull’apparire così all’improvviso?” Borbottai, incrociando le braccia.

“Hai un talento magistrale nel riuscire a cambiare discorso, ma con me non attacca.” Ribatté prontamente, avanzando e costringendo me ad indietreggiare fino a farmi incontrare il bordo del tavolo e bloccarmi contro di esso. Le sue mani si allungarono per posare i bicchieri sul tavolo alle mie spalle e le lasciò poi ai lati del mio corpo, intrappolandomi e aderendo troppo con le sue gambe alle mie.

“Devo… Devo scolare la pasta”, tentai, cercando di non guardarlo troppo a lungo.

Emise uno sbuffo tra l’esasperato e il divertito che mi fece alzare gli occhi su di lui, perplessa. “Può aspettare, l’hai messa solo cinque minuti fa”, disse, chinando il capo verso di me e sussurrando a pochi centimetri dal mio viso. Oh, santo Cielo.

“Beh, però devo finire di apparecchiare”, continuai imperterrita, vedendolo roteare impaziente gli occhi.

“Non ammetterai mai di provare qualcosa per me, vero? Neanche se lo vedessi per iscritto.”

Stranamente riuscii ad emettere una risata abbastanza sarcastica, scuotendo la testa. “Questo perché non provo niente, per te”, mentii spudoratamente, puntandogli un dito sul petto e allontanandolo da me.

“Certo”, sorrise lui, seguendo il mio dito e indietreggiando. “E che mi dici del tuo bacio?”

Mi sforzai di non arrossire ma, senza uno specchio davanti, non potevo dire di esserci riuscita. “Punto primo, sei stato tu a baciarmi, e punto secondo… Di questi tempi un bacio non ha grandi significati.”

“Perché non ci credo?” Chiese retorico, permettendomi di muovermi. Scrollai le spalle e lo superai, raggiungendo nuovamente i fornelli e controllando la pasta.

“Non è un mio problema”, decretai decisa. Che cosa voleva, che ammettessi di essere attratta da lui? Ma neanche morta!

Lo sentii ridere e fu solo con un enorme sforzo di volontà che non mi voltai per guardarlo. “Oh, questo è davvero tutto da vedere!” Esclamò, e a giudicare dal rumore dei suoi passi doveva essersi avvicinato. Come al solito sobbalzai nel sentire il suo respiro sul collo, ma mi sforzai di ignorarlo.

“Uhm, che buon profumo…” Sussurrò a un centimetro dalla mia pelle.

“Non l’ho fatto io il sugo, non è merito mio”, risposi, mescolando la pasta.

La sua debole risatina mi fece venire i brividi. “Ma io non parlavo del sugo…”

Il mestolo cadde sui fornelli accanto alla pentola e nella furia di riprenderlo mi scottai con il metallo di quest’ultima. “Accidenti!” Sibilai, maledicendo lui, il mestolo e di nuovo lui. Si allontanò da me proprio quando mi voltai con l’intenzione di incenerirlo con lo sguardo, malgrado il rossore che doveva imporporarmi le guance non fosse proprio quel che si dice spaventoso. “Stammi lontano mentre cucino!”

Continuando a ridere sotto i baffi Enrico sollevò le mani in segno di resa, prima di finire di apparecchiare con quel sorrisetto idiota e beffardo sulle labbra. Dio, quelle labbra. Sbuffai, aggiungendo anche me stessa alla lista di cose da maledire.

Non avrei mai e poi mai dovuto accettare di venire a casa sua per cena.

 

 





























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AA - Angolo Autrice:
Ed eccomi ritornata per pubblicare l'ultimo capitolo del 2010! Spero che apprezziate il gesto, è il mio modo per concludere quest'anno in bellezza, per augurarvi in ritardo Buon Natale e in anticipo un Felice Anno Nuovo - insomma, per catturare parecchi piccioni con una fava xD
Ringrazio come sempre tutte coloro che mi seguono, sia silenziosamente, sia su facebook, sia recensendo pazientemente i vari capitoli! Siete dei tesori ragazze mie, non c'è che dire :) Dal prossimo capitolo (cioè, da questo) voglio inaugurare la nuova 'applicazione' di Efp che permette di rispondere direttamente alle recensioni, così vi ringrazierò in tempo reale *__*
Di nuovo, un bacio, un abbraccio e un Felice Anno Nuovo dalla vostra Giulia! :D Divertitevi e bevete responsabilmente, mi raccomando ;)
Ci sentiamo alla prossima! :* Vostra,
GiulyRedRose.

 

   
 
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