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Autore: Onigiri    02/01/2011    3 recensioni
Ci sono mostri che non stanno sotto, ma sopra i letti, e i giochi pericolosi delle farfalle, e re piccolissimi, e stelle marine carnivore, e alberi che piangono, e maschere di carne, e bambole che si vedono solo ad occhi chiusi, e mongolfiere nell'acqua con pesci di carta, e donne che piangono con forza negli angoli più bui degli incubi peggiori.
E c'è una bambina. E favole da raccontare. E legami pericolosi.
Genere: Dark, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(Le pietre blu) 











Capitolo 7








Farfalla bruna dolce e definitiva

come il campo di grano e il sole, il papavero e l'acqua.

"Bimba bruna e flessuosa"- Pablo Neruda















 


 




E annusò quell'odore ancora, e ancora, e ancora.

Era un po' come quando  le veniva in mente quella filastrocca imparata a scuola  (Bianca o marrone, o con le nocciole, mangiam cioccolata in stecca e crostata), e nel recitarla, chissà perché, le sembrava sempre di avere veramente un pezzetto di cioccolato in mano o in bocca, tanto a volte da riuscire a sentirne il gusto o il profumo pizzicarle il naso dalla punta delle dita. Quel buffo effetto non cambiava neanche se metteva parole al posto di altre, o aggiungeva interi pezzi di sua invenzione  -"mangiam cioccolata e la marmellata ma quella non ci piace quindi solo cioccolato e latte!".  Se poi, qualche volta, si azzardava a ripeterla a scuola con tutte le sue aggiunte, faceva piano, e si guardava sempre attorno per paura che maestra Cristina la stesse ascoltando da qualche parte. Era lei che le aveva insegnato quella filastrocca: ne leggeva spesso e molte durante l'ora di italiano, passeggiando tra i banchi aggrappata con le dita alla copertina azzurra del suo libro per bambini, con quella voce chiara e ferma che quasi pareva una calamita per le orecchie tanto ogni bambino le prestava attenzione senza emettere un fiato. Dopo si spostava sempre davanti alla cattedra, univa le sopraciglia e, gettando un'occhiata quasi sbieca a tutta la classe, chiamava qualcuno per nome e cognome facendogli ripetere a memoria cosa aveva appena finito di leggere. Maestra Cristina, a tratti, le faceva paura: la guardava sempre dritto negli occhi quando doveva pronunciare il suo nome, e lo faceva con quel Massimilana dalle esse lunghissime che rendeva la sua voce simile al soffio di un serpente.

 

Ma le erano sempre piaciute quelle filastrocche che leggeva alla classe, anche quella sul cioccolato che però non riusciva più a ricordare tutta. Non le poesie, invece: quelle erano lunghe e spesso noiose, a volte anche con parole difficili, e maestra Cristina, insieme al libro delle vacanze, ne aveva assegnato due da imparare a memoria entro settembre. Al pensiero Mila arricciò le labbra in una smorfia nel suo ansioso dormiveglia. Si girò sulla schiena e strinse gli occhi con più forza, scalciando in avanti un piede, sentendosi inquieta senza saperne il perché.

C'era un suono strano che solo appena riusciva a sentire: leggero, leggerissimo, e dolce, come sabbia che scricchiola sotto la spuma del mare. E prudeva, quel suono: prudeva così tanto che Mila si grattò subito un orecchio con l'unghia del pollice come se avesse un pizzico di zanzara.

Decise di voler sua madre, e allora mugolò con forza da dietro le labbra chiuse e scalciò in avanti per farla subito accorrere da lei. Mila si accorse solo in quel momento che Daniela aveva smesso di parlare.

Forse era uscita fuori  -piano, così piano da poter alzarsi senza smuovere neanche una molla del materasso, così piano da non far sentire il rumore gommoso delle ciabatte sul pavimento, e da non lasciare che la porta cigolasse anche solo di un poco. Il pensiero di trovarsi sola in camera le fece aprire gli occhi di scatto, ma li richiuse subito e mugolò di fastidio nel sentirseli graffiare da una luce troppo forte. Girò la testa da un'altra parte, strofinando la mano e la guancia contro il terreno, guardando caldi triangoli rossi cambiare forma da sotto le sue palpebre abbassate.

Qualcuno rise, ma Mila non lo sentì nemmeno. 

Incrociò le ginocchia verso la pancia e stringendo un labbro con l’altro riprovò ancora ad aprire gli occhi.

Li richiuse, li riaprì più piano. Forse era quel filo d’erba che le stava dondolando davanti al naso a profumare tanto di panna e cioccolata.

Mila lo osservò con le palpebre mezzo chiuse, ritto e immobile, dall'aria liscia come un filo di vetro. Non le venne neanche da chiedersi come fosse finito uno sul letto, ma fece quello che le piaceva fare quando trovava anche solo un ciuffo d’erba spuntato fuori da una crepa del marciapiede: alzò una mano e lo prese col pollice e l’indice, lo tirò, e quando si accorse che due dita non bastavano le usò tutte e cinque della stessa mano. Quando poi Mila staccò il filo d’erba dalla terra (con un rumore strano, una sorta di Priiiitz che col suono di uno strappo non aveva nulla a che fare), quel filo le sfuggì dalle dita, ci si attorcigliò sopra in una gobba che le parve a forma di vaso, e con un altro e più lamentoso Priiiitz strisciò velocemente da qualche parte per scappare.

E allora Mila, sveglissima, sobbalzò, e scattò seduta scivolando coi piedi sul terreno molliccio fin quasi a cadere all’indietro, e strinse e stracciò altra erba  senza volerlo, e tutta quell’erba ingabbiata nei suoi pugni semichiusi scappò dalle sue dita emettendo un Priiiitz per ogni filo strappato.

E quando qualcuno rise di nuovo, Mila alzò lo sguardo verso quella buffa risata, piombando in un turbine pazzesco bluarancioverdegiallorossoviolarosabianco che le fece sentire mancare la terra da sotto le mani. Allora urlò e si coprì la testa con le braccia, e scivolando su un lato si raggomitolo sull’erba, e urlò ancora, ancora, ancora. Mila strinse gli occhi umidi di terrore e se li coprì coi palmi delle mani, ascoltando l’eco del grido che aveva appena lanciato, ma con un tono canzonatorio che sembrava volerla prendere in giro.

Ha urlato!
E’ viva!
E’ Vivavivavivaviavivaviva!
Potrà giocare?
Giochiamo?
Giochiamo?
A cosa giochiamo?

Quelle voci, dolci come miele nel latte caldo, erano così sfuggevoli da sembrare pensieri, sussurri o bisbigli simili a morbide soffiate di zucchero.
Mila ne ebbe una folle paura, e cercò di sfuggire a quelle voci quasi mormorate scalciando in basso e in avanti e rifugiandosi ancora sotto le braccia, rifiutando di aprire gli occhi per paura di scorgere occhi brucianti e cattivi tagliarla con lo sguardo o bocche e denti pronte a sogghignare e a mangiarla in un boccone.

Diversi pensieri, per un momento, le sfilarono da sotto le palpebre come una folata di fazzoletti: il letto, la febbre, il termometro troppo freddo, l’odore amaro di banana dello sciroppo, l’aranciata, un abbraccio, la favola del dio del drago e della spada nella coda. Poi svanirono, e nella testa nella pancia e nelle ossa ci fu solo un gelidissimo terrore. Volle sua madre, volle suo padre, e le sfuggì un singhiozzo disperato nel sentire di nuovo e di nuovo quei Giochiamo?Giochiamo?Acosagiochiamo? infilzarsi dentro le orecchie come aghi sottilissimi.

Ma erano anche così soffici, quelle voci, così dolci e soavi e tanto rassicuranti che Mila pian piano, come immersa in una vasca d’acqua calda, smise persino di tremare. I mostri hanno sempre una voce spaventosa: glielo aveva detto Roberto con i suoi racconti, era scritto chiaramente in tutte quelle favole che aveva letto o ascoltato. Questa flebile considerazione non le fece passare la paura, ma un poco, solo un pochino, la tranquillizzò. Mila socchiuse gli occhi, rabbrividì, e rimase immobile nella sua posizione fino a sentire il respiro iniziare a calmarsi nel petto; solo allora, presa da un barlume di coraggio, provò a dare un’incerta sbirciata da sotto il suo braccio. E quello che scorse, lasciandola senza fiato dalla meraviglia, fu un filo d’erba incurvato docilmente in avanti sotto il peso di una grande farfalla dalle ali gialle come spicchi di sole e come mai Mila aveva visto in vita sua. La farfalla, come accorgendosi del suo sguardo puntato addosso, curvò il muso peloso verso di lei: alzò le antenne, rise, puntò le ali verso il cielo e volò via dondolando su sé stessa come un sonaglio, e quello che Mila vide quando si mise seduta per cercarla con lo sguardo furono altre mille farfalle di altri mille colori diversi che la salutarono spalancando ali magnifiche e svolazzandole attorno avvolgendola in un turbine sgargiante e nella loro incantevole risatina angelica.

Mila aprì così tanto la bocca che se Daniela l’avesse vista le avrebbe detto di tenerla chiusa, “o rischi di ingoiare qualche mosca”.

Giochiamo?
Giochiamo?
GiochiamoGiochiamoGiochiaaaaamo?!

 Non rispose, sentendo la voce congelata dentro la gola per lo stupore, aggrappandosi al suolo per paura che tutto quel meraviglioso sbatter d’ali finisse col farla volare via a sua volta. Le farfalle si muovevano in cerchio, di lato, in alto, in basso, o solo dondolavano a mezz’aria senza mai stare veramente ferme nemmeno quando si fermavano, e se si scontravano tra loro rotolavano lontano e ridevano sempre più forte prima di lanciarsi in volo ancora una volta. Mila allungò il collo fino a farsi male per vedere meglio quei pazzi movimenti pieni di colore, e ne rimase tanto incantata da non riuscire più a distogliere lo sguardo.

 Perché non parla?
Magari è stupida
Prova a tirarle la lingua!
Prova ad aprirle la testa per vedere se è vuota!

 “…chi siete?”  riuscì a mormorare, senza sapere come avesse fatto, mordendosi subito le labbra tra i denti quasi per paura che la sua voce potesse spezzare quel momento, che i colori si sciogliessero e le ali si sbriciolassero in polvere sottile. Nel parlare, poi, Mila scoprì anche che la gola aveva smesso di bruciare e far male  –come la testa, e la pancia, e perfino il naso aveva smesso di prudere e colare o di darle un qualche minimo fastidio.
Le farfalle si fermarono, volando a mezz’aria sopra la sua testa o davanti al suo volto. Per un momento (pochi secondi, sicuramente, ma per Mila parve quasi un tempo infinito) le loro ali si fecero immobili, spalancate in storti cerchi coloratissimi, tremando a contatto con l’aria come stropicciata carta velina. Quando poi parlarono con Mila, una si mosse come per rivolgersi ai suoi occhi, un’altra alle sue orecchie, un’altra alla sua schiena, un’altra ai suoi piedi. 

 Chi siamo?

Chi siamo!
Non hai mai visto una farfalla?
Mai?
Maimaimaiiiii?

 Di nuovo, risero, agitando eccitatissime le ali, così tanto che uno sbuffo d’aria più forte colpì la fronte di Mila portandole qualche ciuffo di capelli all’indietro. Era difficile riconoscere il punto esatto in quella nuvola variopinta dal quale proveniva la loro voce zuccherina.
'Sì che le ho viste!', avrebbe voluto ribattere, sentendosi ancora presa in giro; ma di nuovo non riuscì a dir nulla, e le parole si bloccarono dentro la bocca fino a spezzarsi in balbettii senza senso.
Si limitò ad allungare ancora il collo, e a portare tanto la testa all'indietro si sentì come scivolare e dovette aggrapparsi a terra con le mani per non rischiare di cadere. Ma invece di quell’erba che al tatto sembrava fatta di solletico due delle sue dita incontrarono qualcosa di ruvido e tiepido che le fece subito abbassare lo sguardo per vedere cosa avesse trovato.
Quando scorse Kala Nag e il suo baldacchino rosso rivolto al cielo, i suoi occhi si allargarono di nuovo e le sue braccia lo accorsero subito e lo strinsero al petto, rincuorata da quell’odore di pelo e stoffa che tanto bene conosceva. Alzò il suo muso verso l’alto per specchiarsi nelle biglie nere dei suoi occhi alla ricerca di una spiegazione a tutto quello che le stava capitando  -Dov'erano, e come c’erano finiti, e le farfalle allora potevano parlare...?
Forse in realtà stava solo sognando, e quello era il sogno più realistico che avesse mai fatto: ma questa idea non sembrò neppure sfiorarla di un poco.
Provò a guardare in alto, dove a fare da sfondo a quel mulinello di colori c’era un cielo profondo e tristemente bianco, con nuvole scure che sembravano ombre, pennellate di vernice nera, strappi deformi in un foglio di carta. Si voltò da una parte e provò a sollevarsi sulle ginocchia, osservando una distesa d’erba senza fiori, una valle verde e immensa fino a vederla inghiottita dall’orizzonte, dove sorgevano montagne azzurre a forma di piramidi che sembravano disegni ad acquerello. Guardò avanti e poi si girò all’indietro, e vide cumoli di nebbia lontani, spessi come fumo, di un colore grigiastro che solo a tratti sfumava di un verde che le diede subito una strana sensazione di ruvido. Voleva chiedere che cosa fosse, ma finì col non farlo. Fissò ancora quel punto e smise solo quando la voce dolce delle farfalle ricatturò la sua attenzione.

E’ un po’ stupida però.
E’ un po’ brutta però.
Magari sa giocare!
Giochiamo insieme?

Giochiamo?

Giochiamo?
Se giochi con noi ti regaliamo delle ali come le nostre.

Gli occhi di Mila si accesero d’emozione “Davvero?”
Cercò subito di alzarsi in piedi, inciampando una volta sulle ginocchia, provocando ancora il riso dolcissimo delle farfalle.
“E posso scegliere il colore?”

Ma certo Bruttina!
Il colore che vuoi Bruttina!
Ti regaliamo anche delle antenne, eh Bruttina?
Magari così diventi più carina, Bruttina!

 “Io mi chiamo Mila!” protestò: Massimiliana Capitta, avrebbe voluto aggiungere  -e nel pensare al suo nome completo, le venne da pronunciarlo come lo come faceva maestra Cristina, con le esse lunghissime e le t appena pezzate-,  ma non disse nulla.

Tutte risero, e la loro risata somigliava al suono di una danza di campanellini.

 Ci piace Mila

 Una farfalla color latte le si avvicinò al naso, così improvvisamente che lei d’istinto arretrò e chiuse gli occhi coprendoseli con un braccio. Ma la farfalla non fece nulla se non ridacchiare, candida come il paradiso, e volare vibrando docilmente a poca distanza dal gomito. A Mila, sebbene le facesse impressione, bastò poco per abituarsi a quello sbatter d’ali tanto vicino al suo viso: rimase, anzi, così ipnotizzata da quel movimento che piano allungò una mano per toccare la farfalla, e quella subito si poggiò sul suo dorso, lanciando un sospiro tanto flebile che Mila non riuscì nemmeno a sentire. Lasciò quasi cadere Kala Nag dalla sua pancia quando la farfalla iniziò a camminare fino alla punta del dito. Il suo tocco era come il morso di una formica, ma non le importò.
Decise, col cuore in gola per l'emozione, che quella sarebbe stata la sua preferita.

MilaMilaMilaMilaMilaMilaMilaMilaMilaMilaMilaMilaMila!

 Tutte le altre farfalle si lanciarono in alto in un comune movimento, e poi precipitarono fino a fermarsi appena poco sopra la sua testa e si dispersero ridendo di gioia e sbattendo il muso e le ali tra loro. Anche la farfalla bianca lasciò l’indice di Mila per volare via e unirsi a quella strana festa burrascosa.

 Giochiamo con Mila!

Giochiamo con Mila!
A cosa giochiamo?
Giochiamo al vecchio!
Giochiamo al vecchio con Mila!
GiochiamoGiochiamoGiochiamoalvecchioconmila!
 

 “Al vecchio?”
Le farfalle le girarono attorno, risero più forte, e poi, seguendo tutte una sola direzione, si lanciarono in alto e l’esplosione di colori che scaturì dalle loro capriole ebbe l’effetto di un temporale di fuochi d’artificio; alcune  –una gialla, una azzurra, una forse rossa o forse rosa-  si aggrapparono ai lembi del suo pigiama come per invitarla ad alzarsi, e quando anche quelle volarono via da qualche parte Mila, stringendo Kala Nag per la proboscide con una mano sola, le seguì subito senza fare altre domande, incantata dalla loro voce simile a tanti piccoli sonagli, attirata da quei colori come una mosca dal profumo del miele.

 

La prima volta che fermò la sua corsa fu quando inciampò in uno degli specchi sul terreno.

Ci aveva messo dentro un piede per sbaglio, e il freddo e l’umido che aveva subito provato le avevano fatto credere d’aver preso una pozzanghera. Ma quando, dondolando a fatica su un piede soltanto, si era allontanata e aveva alzato la gamba cercando di ritornare sull’erba asciutta, non aveva avvertito alcuna sensazione di bagnato, e non una goccia le era scivolata giù dalla pelle del polpaccio o aveva macchiato il tessuto delle calze già sporche di terriccio.

Mila aveva stretto Kala Nag al petto e aveva abbassato lo sguardo, studiando quella pozza senza una vera forma e dal color di specchio (perché quello era: color specchio): la vide tremare, e incrinarsi in profonde rughe circolari, e poi sbuffare e stendersi senza più un suono in una lastra liscissima.

Mila la guardò tra lo stupito, il curioso e il timoroso, e quando poi provò ad affacciarsi per guardarla meglio il riflesso che vi vide sopra fu assolutamente perfetto in ogni ciliegia del pigiama, ogni sua più piccola lentiggine, ogni cucitura del sorriso sereno di Kala Nag: fu talmente reale che Mila, per un momento, quasi cacciò un verso di spaventò nel tentare d'indietreggiare di un passo. La Mila nello specchio sdraiato scomparve nello stesso istante in cui quella vera si allontanò, muovendo anch'essa la bocca come per cacciare un urlo, ma senza pronunciare il più flebile dei rumori. Mila, strinse a sé Kala Nag con più forza, sbatté le palpebre e trattenne per un attimo il fiato. Poi, piano, allungò il collo in avanti per provare a guardare ancora: il suo riflesso si affacciò adagio a sua volta, ricambiando alla perfezione la sua identica smorfia timorosa.

“Cos’è?”

Mila alzò lo sguardo e indicò quell’altra sé stessa in basso che le stava puntando l’indice contro senza guardarla. “Che cos’è?”, richiese ad alta voce, ma le farfalle continuarono ad allontanarsi canticchiando il loro AlvecchioAlvecchioAlvecchio senza rallentare o risponderle o sembrare ricordarsi della sua sola presenza con loro.

Mila guardò le farfalle, poi la pozza, e il suo riflesso perfetto ricambiò con la sua identica espressione dubbiosa e ogni identico filo di capelli spettinato sulla sua fronte; quando le farfalle continuarono ad allontanarsi e lei ebbe paura di rimanere da sola, aggirò il grosso specchio e si rimise a correre, e correndo incappò in altri specchi riuscendo a schivarli con sempre più facilità, ed erano grandi, medi, piccoli, giganti, rotondi quadrati o senza forma, ancora e ancora: quando le farfalle volavano basso, Mila correndo riusciva a vedere i riflessi dei loro colori, e sembravano raddoppiare, triplicare, e l’effetto meraviglioso le faceva scappare risate senza fiato e saltava e correva più forte pensando di riuscire a volare anche lei, colma di meraviglia e di una grande, innata gioia che la fece ridere sempre più forte.

 

La seconda volta che Mila si fermò fu poggiandosi a una qualche roccia marrone, con le guance bollenti, una mano sulla pancia dolorante e il respiro brutalmente spezzato nella bocca.

L'erba era diversa da quella di prima: più corta, più secca, e non si lamentava in alcun Priiitz se lei camminando la schiacciava ad ogni suo più leggero passo. Persino l'aria (ma questo lo notò molto dopo) aveva un odore e un sapore diverso, qualcosa che le ricordava il legno e il metallo  -forse un poco più denso, forse più speziato ma di certo molto meno dolce rispetto a prima. Ed era calda: un caldo che Mila sentiva appiccicato alla pelle come uno strato di colla e che non aveva nulla a che fare con la sua corsa affannosa.

Quando alzò il capo per cercare le farfalle le vide volare a poca distanza dal terreno, e avanzare adagio, ridacchiando, senza mai ricambiare il suo sguardo. Mila, ancora senza fiato, si girò indietro, e guardò l'erba lunga e verdissima e dall'aria morbida come fosse un letto di piume, il cielo chiaro e una strana e lontana nuvola rosa per sfondo, proprio sul dorso dell'orizzonte, che le ricordava la pancia o la schiena di una balena e da lontano sembrava quasi invitarla a cavalcarla. Si voltò di nuovo, e quello che vide fu il profilo scuro e durissimo di pietre e rocce, l'erba sottile come se fosse rimasto solo lo scheletro del prato, e sassi enormi, forse sparsi a caso, lisci e gonfi nella loro buffa e inquietate forma di uova. Le unghie di Mila si conficcarono sulle zampe di Kala Nag quando notò il profilo di una roccia che dall'alto sembrava come scrutarla con furia.

Quando poi si accorse che le farfalle se ne stavano andando di nuovo, azzardò subito qualche passo, ondeggiando appena sui suoi pieni nel sentire una fredda sensazione di vertigine che la costrinse a fermarsi e a poggiarsi sulle ginocchia. Ma fu un malore che le passò subito, e appena si accorse che nessuno la stava aspettando ricominciò a correre, pur barcollante e senza più respiro. Rischiò quasi di perdersi in quello strano labirinto color rosso morto, inciampando sui sassolini sporgenti e iniziando a lamentarsi un poco dei suoi piedi sempre più doloranti: ma ad ogni angolo girato le bastava seguire le voci sempre alte delle farfalle per indovinare dove dovesse andare.

Quando poi, dopo tanto cercare, riuscì a raggiungerle, le trovò di fronte a un'immensa parete di roccia, a rotolare e ridere eccitatissime per qualcosa che Mila non riuscì a comprendere. Si piegò in avanti e respirò a fondo, rialzò lo sguardo per chiedere dove fossero e perché nessuno la voleva aspettare, e spalancò gli occhi e strinse Kala Nag fino a farsi male alle braccia quando si accorse di dove l'avevano portata.

L'entrata della grotta davanti a lei era grande, grande e nera come la tetra gola di un pozzo, senza una luce, senza un solo fiato. Le parve la bocca di un mostro, così scura, muta, ma come se stesse per ruggire da un momento all'altro, dai denti di pietra lucidi o spezzati oppure affilati come sciabole, e dall'alito che, se Mila provava a respirare più fondo, puzzava di cenere e brace.

L'aria sembrò farsi d'un tratto più fredda, tanto ghiacciata da farle tremare le ginocchia, e se non ci fosse stato il riso dolce e rassicurante delle farfalle avrebbe avuto così paura da mettersi a piangere.

 Giochiamo?

A chi tocca?

Prima io!

PrimaIoPrimaIoPrimaIo!

 Un gruppo di farfalle si fece più avanti rispetto alle altre, e Mila le guardò entrare in disordine proprio nella grotta fino a quando i lucentissimi colori delle loro ali non si sciolsero nel buio fino a sparire del tutto. Imitando quelle rimaste si nascose dietro a un masso, un po' curiosa, un po' impaurita, un po' emozionata.

"Che devono fare?" provo a chiedere a bassa voce, ricevendo per risposta un unico divertito Sssth! che la convinse a star zitta e che la divertì a sua volta. Alzò Kala Nag in alto, fino alla sua spalla, in modo da far vedere anche a lui, e gli portò un dito alla sua bocca chiusa per fargli capire che doveva star zitto.

Le voci delle farfalle che erano entrare risultavano lontane, come riunchiuse sotto un coperchio, ma Mila riuscì lo stesso a distinguere le loro parole.

 Vecchio! Vecchio!

Perché sei vecchio?

Perché fai vecchio?

Ci fai giocare, vecchio?

Giochiamo? Giochiamo? Giochiamo?

Giochiamogiochiamogiochiaaaaaaaaamo?

 "SPARITE!"

Mila urlò, mentre la bocca della grotta sputava una vampata di fuoco che nel quasi sfiorarle i piedi la fece subito arretrare: le fiamme dorate si alzarono minacciose e ruggirono come belve fino a consumarsi sul terreno e ridusse l'erba in granelli di carbone, e delle farfalle che stavano uscendo di corsa non rimasero che sottili, misere briciole scure. Mila guardò le loro ali consumarsi in stiscie rosse simili a morsi, poi nere, fino a ridursi e cadere in brandelli di polvere. Inciampò all'indietro, si sbucciò le mani, gli occhi si spalancarono un un'espressione di pura sorpresa mentre attorno a lei scoppiavano fragorose risate.

 Ho vinto!

 Una farfalla viola svolazzò malamente verso di loro, forse senza accorgersi che una delle sue ali era già mezzo consumata dal fuoco.

HovintoHovintoHovin-

 Bruciò come un pezzo di carta e cadde al suolo sporcando l’erba di altra cenere nera.

Le farfalle che erano dietro di lei risero più forte con le loro voci zuccherine, e volteggiarono leggiadre e sbatterono le ali tra loro come se stessero applaudendo.

 Ha perso!

Ha perso!
Giochiamo?

Giochiamo ancora?
Facciamo giocare Mila!
Tocca a Mila!

Gioca Mila!

 Mila tremava, guardando i resti di farfalle che sembravano continuare a ridacchiare tra quelle briciole che puzzavano di carne troppo cotta. Tutto ciò a cui riuscì a pensare, nella sua testa assolutamente sconvolta, fu a un drago, di quelli cattivi con gli occhi rossi che brillano nell’ombra e il respiro di fuoco che brucia le sue prede prima di mangiarle.
La gola si seccò, un gelido e terribile terrore tornò a ghiacciarle le ossa fino a farle tremare violentemente sotto la carne, e le dita delle mani tremarono mentre cercava di poggiare i palmi a terra per alzarsi e per scappare; scivolò ancora, e ancora, e poi si mise in piedi e prima di riuscire a fare un solo passo in avanti un ronzio troppo forte le perforò le orecchio e tutto iniziò a girare, la terra si rovesciò con violenza e la sua fronte sfiorò fili d’erba piegati verso il basso dalle sue grida.

Se perdi bruci! Se perdi bruci!
Vediamo come diventa nera!
Vediamo quanto puzza la carne!
Giochiamo con Mila!
GiochiamoGiochiamoGiochiamo!

 Scombussolata e inorridita da quel mondo capovolto che vedeva a testa in giù, Mila tentò d'istinto di aggrapparsi al suolo e tese le mani in avanti per farlo, ma tanti, tantissimi, innumerevoli piccoli morsi di formica la ressero più forte e le impedirono di muoversi, e le facevano un male terribile se solo provava a farlo; avrebbe voluto scalciare per liberarsi da quelle strette così simili a pinze, ma più ci provava più le farfalle le portavano le gambe sopra la testa, dandole ancora dolore e facendola piangere sempre più forte.
Provò a cercare quella bianca, quella che le piaceva più di tutte le altre, mentre osservava un frullio appannato di grigiogialloverdeblurossoarancio fare le giravolte e ridere a crepapelle, ma fu come cercare una goccia nel mare.
Due farfalle di diverse sfumature di verde raccolsero Kala Nag per la coda e lo gettarono subito dentro la grotta, e poi raggiunsero mila, la morsero per un orecchio ciascuna, la alzarono da terra divertite dalle sue urla.

 Vecchio!
Vecchio!
Guarda che ti abbiamo portato!
Guardaguardaguardaquichetiabbiamoportatovecchio!

 “…Vi ho detto si sparire!”
Mila riconobbe una voce, una voce umana e severa che le sembrava dura e graffiata come il guscio di una tartaruga.
Avrebbe voluto parlare anche lei, avrebbe voluto chiedere aiuto, ma prima di riuscire ad aprir bocca le farfalle le lasciarono, e lei sbatté il mento a terra e rotolò nella polvere gemendo di dolore.
Si portò in ginocchio e pianse più forte, stringendo il viso con una mano mentre le risate sopra di lei si facevano più forti, più veloci, più lente e più quiete e infine sempre più lontane -HoVintoHoVintoHoVinto…!

Quando sembrava che se ne fossero andate, un tetro silenzio cadde addosso a Mila come un muro di mattoni, ma lei neanche ci fece caso: invece riprese a piangere stringendo con forza con le mani il punto che le faceva più male, pensando che avrebbe voluto correre dalla mamma e lasciarsi coccolare tra le sue braccia, che avrebbe voluto stringerla e cullarsi nel suo petto fino a quando tutto non fosse passato.
Allora pianse ancora, abbassò la faccia verso terra e continuò a piangere fino a consumarsi tutto il fiato in gola. Quando poi, continuando a singhiozzare, si ricordò del drago, Mila sussultò e spalancò gli occhi lucidi di lacrime e febbre e li rivolse al punto più scuro e profondo della grotta.
Afferrò Kala Nag e lo strinse al petto, cercando disperatamente di rimettersi in piedi, e quando si fu alzata e quando si guardò attorno, abituandosi subito alla penombra e alla roccia bollente che le stava bruciacchiando i piedi, una sporgente bocca vuota e due occhi di bottone si puntarono subito su di lei. L'aria, in quel momento, tornò subito a farsi di ghiaccio.

 "Chi saresti tu?"

 

 

 

 
















Onigiri






note autrice:





*La filastrocca di cui si parla a inizio capitolo è inventata di sana pianta: ma probabilmente l'avrete già capito tutti XD.


Orgl... questo capitolo non è uscito assolutamente come volevo -.-" ... ma ci tenevo ad aggiornare oggi, perché fra poco parto per seguire un lungo corso di lingua ebraica biblica e se tutto va bene tornerò sapendo leggere da destra verso sinistra *_*!
no be'..volevo dire che ci tenevo ad aggiornare prima di partire... *tossicchia*
 
Quidi chiedo scusa se stavolta con i ringraziamenti  -a lettori e commentatori-  sarò più frettolosa del solito, ma sappiate che vi ringrazio tutti davvero tantissimo!


Grazie a:



 darllenwr  :Grazie! Davvero, davvero, davvero! Sei sempre gentile, sempre attento, e questo mi riempie di gioia! La storia è all'inizio, ma anche se ci volessero altri cento capitoli (spero di no °-°) tutte le cose che sembrano(?) senza senso di quello che sto scrivendo verranno spiegate. Grazie infinite ancora =D

Lion of darkness : (Poi, scusa, mi sono accorta da poco che in realtà il tuo nickname è  S a r s a: hai cambiato tu il nome o sono io talmente rimbecillita da non essermene accorta?! Se è la seconda chiedo davvero scusa, ma sono tonta di natura! >>) non hai proprio nulla da scusarti, e sei sempre così gentile che appena leggo un tuo commento mi metto a saltellare sulla sedia facendo preoccupare non poco i miei genitori ^^". Ci sono tantissimi autori in questo sito che hanno davvero la stoffa degli scrittori, e al cui solo confronto io sono meno di una cacchettina di mosca, ma ti ringrazio: sei, lo ripeto, gentilissima *//*! Grazie!


Ovviamente, come sempre, grazie anche a tutti i lettori =). Con due giorni di ritardo, auguro un felicissimo 2011 a tutti ^_^ , (e una buona epifania, ovviamente)
Saluti,
*onigiri





   
 
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