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Autore: YuXiaoLong    03/01/2011    1 recensioni
Capita di rado, ma le storie di due mondi possono intrecciarsi.
Yulannath dell'Accademia dei Due Draghi (salvo in casi formali, Yu) è un giovane bizzarro: sognatore, distante, distratto, irrilevante per i Terrestri, che lo conoscono con un altro nome. Ma egli è un Viaggiatore, capace di attraversare il Confine, la barriera che separa la Terra dall'Inframondo: il mondo gemello che alberga ogni sorta di creatura fantastica. Ma ben presto il suo destino lo porterà al di là di entrambi, fra rancori e ambizioni senza tempo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ars Arcana, Capitolo V

Eidrath



Rangrin si sentì come se l’abisso attorno al pilastro l’avesse inghiottito nelle sue viscere gelide e umide: Yu si era volatilizzato, davanti ai suoi occhi!

Un istante prima, stava toccando, come lui, la superficie del bassorilievo. Un attimo dopo, lo smeraldo sulla fronte del Drago della Valle si era trasformato in un piccolo globo di luce verde, che aveva attraversato, fulmineo, il corpo del mago, all’altezza del cuore. Il giovane era scomparso in un nugolo di lucine bianche, che erano volate verso il cielo, assieme alla luce della gemma, lasciandolo solo, nel santuario gelido.

D’istinto, aveva fatto un passo indietro e staccato la mano dalla pietra: qualunque cosa fosse accaduta all’ingenuo Demone, voleva evitarla. Rimase ritto in piedi, i pugni serrati, per diversi minuti, aspettando un qualche sviluppo, magari che quel cretino riapparisse in una nuvola di fumo, dicendogli “Sorpresa!” o qualcosa del genere. Ma i secondi scivolarono via, il mago non si fece vivo. Svanito nel nulla.

Che fosse andato nell’altro mondo? No, che sciocchezza, li aveva visti, i Demoni, e tutti facevano la stessa cosa, quando si spostavano da un mondo all’altro: non svanivano in quel modo.

Imprecando, si picchiò una mano callosa sulla fronte e se la passò sul viso.

In realtà, la scomparsa di Yu non era poi cosa tanto grave: sembrava un tipo a posto, ma si erano appena conosciuti; ovvio, un pochino gli dispiaceva, ma in circostanze normali avrebbe solo significato una seccatura in meno a cui pensare. Il vero problema, era che il ragazzo era sparito nel nulla, lasciandolo chiuso in quella specie di tomba senza una via d’uscita: il passaggio da cui erano venuti si era sigillato dietro di loro, e lui non possedeva la magia necessaria a riaprirlo.

Alzò lo sguardo verso l’apertura da cui filtrava la luce, così lontana, lassù, sopra la sua testa. Arrampicarsi era fuori questione: le pareti curvavano a formare una sorta di cupola, e comunque erano maledettamente scivolose per via del muschio e dell’umidità. L’acqua, ovviamente, da qualche parte doveva uscire, ma quell’abisso scuro sembrava senza fondo, e in ogni caso, Rangrin non amava nuotare. Inoltre, non era affatto detto che le vie percorse dall’acqua fossero adatte ad un nano.

“Che tu sia maledetto, svitato di un Demone!” ringhiò a denti stretti, scendendo le scale per tornare all’ingresso. Si sarebbe trovato in un vicolo cieco alla fine, ma era sempre meglio che rimanere lì ad aspettare chissà cosa.

Tuttavia, non riuscì a trovare il passaggio da cui era entrato. Ne vide un altro, che, era sicuro, prima non c’era, e che l’avrebbe condotto in tutt’altra direzione.

Aggrottò le sopracciglia folte e tirò su col naso, burbero. Che fosse opera del mago?

Scrollò le spalle e si mise in cammino: era irrilevante, dopo tutto; era comunque l’unica strada da percorrere.

Non avendo alcuna fonte di luce, si trovò a percorrere il tunnel nella più totale oscurità dopo la prima svolta… ma fu un viaggio sorprendentemente agevole: al contrario dell’angusto e irregolare passaggio che avevano usato per entrare nel santuario, questo era ampio abbastanza da consentirgli di camminare normalmente, le infiltrazioni d’acqua e le macchie di muschio erano in quantità inferiore, ed era, nel complesso, più agevole, benché decisamente più lungo.

Camminò per più di un’ora e mezza nel buio, sempre con la bizzarra sensazione addosso che la montagna stesse chiedendosi dove poteva lasciarlo.

Quando, finalmente, si ritrovò all’aperto, vedendo le mura chiare dell’Accademia a poche centinaia di metri ad est, nell’intrico di rami e neve del bosco, si sentì quasi oltraggiato: tutto quel tempo per fare così poca strada? Non era più semplice farlo tornare da dov’era venuto?

Rinnovando le maledizioni al piccolo Demone reietto, si preparò ad una lunga, fredda marcia verso Sulfuracque, pensando che, con un po’ di fortuna, avrebbe trovato un tetto da mettere sopra la testa, un bagno caldo e magari un ufficiale euxeliano per fare rapporto e mettere la parola fine a quella storia assurda.

Pochi passi e, con un soffice tonfo, un blocco di neve si staccò dai rami di un albero e gli cadde proprio in testa.

Si scrollò e rabbrividì, sentendo gocce glaciali colargli giù per la schiena, imprecando fra i denti stretti contro quello stupido mondo che si divertiva a infliggergli ogni genere di pena solo perché era un nano. Stizzito, si alzò il cappuccio e fece per rimettersi in cammino, quando qualcosa lo sfiorò sulla testa e glielo abbassò.

“Oh, ACCIDENTI!” tuonò, tirandolo su di nuovo, solo per sentirlo di nuovo scivolare indietro e beccarsi un’altra salva di neve sul capo. “Albero della malora! Se avessi un’accetta ti sentiresti meno spiritoso!” ringhiò, agitando un pugno, senza ben sapere quale fosse l’albero temerario.

“In realtà, l’albero non ne ha colpa” commentò una voce maschile, all’improvviso.

Rangrin trasalì, temendo che potesse essere un altro Demone, ed estratto uno dei pugnali, se lo puntò attorno, con aria spiritata.

“No, no, non hai capito” seguitò l’estraneo, preoccupato. “Non ti faccio niente, ho solo bisogno di una mano” spiegò. Poi, come ripensandoci, aggiunse, circospetto: “Non sei uno di quelli, vero?”

Il nano continuò a guardarsi attorno, ma si sentì un po’ meno teso. Dal tono in cui aveva pronunciato la parola quelli, lo sconosciuto alludeva o agli Euxeliani o, più probabilmente, ai Demoni Evanescenti.

“Non direi, sono un onesto nano, io. Tu, piuttosto? Fatti vedere” rispose, cauto.

“Sopra di te, malfidente di un nano” fu la risposta.

L’aviatore alzò lentamente lo sguardo… e ciò che vide gli fece cadere l’arma di mano.

“Venerandi antenati!” esclamò, balzando indietro quel poco che le sue corte gambe gli permettevano. Sospeso fra i rami sopra di lui, si trovava un Drago del Gelo!

Il suo corpo muscoloso era coperto di scaglie bianche, e i suoi stessi occhi erano del colore del ghiaccio; era giovane, lo si capiva dal fatto che fosse ancora relativamente piccolo: non fosse stato per la potente coda e il lungo collo, sarebbe stato visibilmente più piccolo di un cavallo.

Rangrin stava per chiedersi cosa ci facesse un drago del genere proprio , ma gli bastò un’occhiata alla creatura per convincersi che il mistero era un altro: chi l’aveva ridotto così?

La sua pelle bianca era costellata di piccole ferite, per lo più solo scalfitture, ma il suo intero corpo era avvolto da robuste liane nere che lo tenevano appeso alle piante per le zampe, con la schiena rivolta a terra, cosicché si era ritrovato a fissare un nano a testa in giù.

“Mi tiri giù?” chiese, semplicemente. “Prometto che farò quello che vuoi, dopo: parola di drago. Ma ho bisogno che tagli questa roba. Più cerco di liberarmi e più si stringe, e già faccio fatica a respirare” spiegò.

Il nano recuperò il pugnale dal suolo innevato, ma non rispose subito.

“Per favore? Sono appeso qui da ore, e ho male dappertutto” insistette il drago, allungando appena il collo. “Se qualcuno non mi libera entro il calare del sole, mi soffocheranno, non scherzo” aggiunse, più spaventato.

Rangrin squadrò la creatura.

“E se fosse una trappola?”

Come previsto, il drago si offese subito e scoprì i denti.

“Trappola? Una trappola? Cosa pensi, che me la sia messa addosso da solo, questa robaccia malefica?” sibilò, stizzito. “Se avessi voluto papparmi un nano sarei sceso in picchiata, o mi sarei appostato da qualche parte, e comunque avete un saporaccio, o così mi dicono. E comunque, ti ho dato la mia parola, per gli Antichi! Non ti basta?”

Il nano non si scompose. “Magari tu non vuoi farmi la pelle, magari sei solo un’esca…”

Indignata, la creatura si contorse tutta e sibilò.

Esca? Esca per cosa? Quante sono le probabilità che un imbecille passi per questo tratto di bosco e sia pure nella disposizione d’animo di soccorrere un drago in pericolo? Quale idiota potrebbe mai mettere in piedi una cosa tanto ridicola?” brontolò. “Se ti preoccupano tanto gli Euxeliani, ho buone notizie: sono troppo impegnati con quel castello. Il che è un peccato, perché i tizi là dentro magari mi avrebbero aiutato. E comunque, farci una chiacchierata mi avrebbe fatto comodo. Oooh, se solo avessi ascoltato i miei genitori e mi fossi trasformato in un qualche rapace, a quest’ora non sarei qui…” sospirò. “Ero qui per il mio rito di passaggio… non voglio morire” disse, infine, abbandonandosi sulle liane come una bambola di pezza.

Rangrin fece una smorfia di disgusto.

“Va bene, va bene, non aggiungere altro, seccatore. Ti tirerò giù di lì, contento? Basta che la smetti di piagnucolare” fece, agitando le mani con ribrezzo.

“La prospettiva di morire tende a toglierti il buonumore” replicò il drago, caustico.

“Come ti pare, drago, adesso stai fermo, che provo a tirarti giù da lì. Ma ti avverto, ci vorrà un po’…” rispose il nano, gesticolando verso la creatura con fare assertivo. “E che non ti passi per la testa di mettermi fretta, o ti lascio lì. Sono un nano, non uno scoiattolo, gli alberi non fanno per me. Ma se te ne stai buono buono, prometto che ti tirerò giù, parola di nano” sentenziò, altezzoso.

“Non ho fretta… purché tu finisca prima del tramonto” commentò il drago. “E, ti prego, cerca di non staccarmi dei pezzi, se puoi. Oh, e se ti dico di allontanarti e restare immobile, fallo e basta, d’accordo?”

Il nano non rispose: aveva riposto il pugnale e preso una delle sue piccole asce, e se l’era messa fra i denti onde avere le mani libere per scalare uno degli alberi. Ma al drago parve che avesse grugnito qualcosa in tono interrogativo, perciò spiego: “Tu aiuti me, io proteggo te, per quanto posso da quassù. Mi sembra un buon piano, no?”

Rangrin mugugnò il suo assenso, studiando la pianta con fare dubbioso. In realtà, era un po’ più agile degli altri nani, quando si trattava di arrampicarsi: con tutte le volte che si era trovato a dover fare manutenzione al suo pallone, era inevitabile che imparasse. Ovviamente, gli alberi restavano ostici, ma era ragionevolmente convinto di farcela.

E, una volta capito come muoversi (la qual cosa richiese un po’), arrivare fino al drago fu relativamente semplice, posto che le piante, tutto sommato, fornivano abbastanza appigli. Rimuovere i vincoli lo fu meno: avevano una consistenza diversa dal legno, e non somigliavano nemmeno a delle corde; erano più elastiche, e reciderle con un colpo secco era difficile. La creatura finì per trovarsi con diversi tagli in più, ma non si lamentò mai, anche se diverse volte rabbrividì per i colpi subiti.

Non appena fu libera, si alzò in piedi e si scrollò tutta, ringhiando, infine cacciò fuori dal suo campo visivo ciò che restava delle liane con un rabbioso colpo di zampa.

“Ah, me la sono vista proprio brutta, Barbalunga” commentò. “Ora sarà meglio andarsene, però. Se quello torna, saranno guai seri”.

“Ho un nome, drago” brontolò Rangrin, cercando di non perdere l’equilibrio mentre scendeva dall’albero. “Mi chiamo- ooops!”

Mise un piede in fallo, e il ramo sotto di lui si spezzò, facendolo cadere con un gran tonfo sulla neve sottostante.

Il drago inarcò le sopracciglia, ma lo aiutò a rialzarsi senza commentare.

“Rangrin” mugugnò il nano, sputacchiando. “Rangrin di Arcoroccia. E tu invece chi sei?”

“Sithrim Adrathir Eidrath Rithlennithim, della Genia del Saggio Ethelos” rispose la creatura, seria. “Ma Eidrath basterà, quindi non serve che impari tutto quanto” aggiunse, notando l’espressione sgomenta del suo interlocutore. “Allora, conosci qualche buon posto dove nascondersi?”

Rangrin incrociò le braccia sul petto, burbero. “Veramente, speravo che tu potessi aiutarmi ad andarmene da qui” rispose. “Non sai volare?”

“Certo che so volare!” ribatté Eidrath, stizzito. “Ma mi sono ferito alle ali, vedi?” disse, spiegando le ali; le membrane, assai più fragili delle scaglie che coprivano il resto del suo corpo, erano bucate in diversi punti e presentavano varie lacerazioni alle estremità. “Per qualche giorno di volare non se ne parla” stimò, con una smorfia. “Odio essere bloccato a terra, ma non ha senso cercare di spiccare il volo solo per ficcarmi nel primo mucchio di neve come una freccetta, ti pare?”

“Hmm…” il nano sporse le labbra in fuori e aggrottò le sopracciglia, carezzandosi la barba fulva. “Non riesci proprio a staccarti da terra?” domandò.

Il drago sbuffò due nuvolette di vapore gelido dalle narici.

“Immagino di poter svolazzare per qualche breve tratto, se proprio devo. Ma non mi voglio ridurre a saltellare qua e là come un pollo. Sono un signore dei cieli, non un pennuto dal cervello piccolo” rispose, disgustato. “Oh, maledetto quel pazzo e i suoi sortilegi!” ringhiò subito dopo. “Mi ha fatto fallire la prova!”

“Che ti importa, di quello stupido oracolo, scusa? Almeno hai portato a casa la pelle” brontolò Rangrin, stringendosi nelle spalle. “Alla fine, è quello l’importante”.

“Tu non capisci! Nessuno mi prenderà sul serio, finché non avrò superato la prova, continueranno a trattarmi da cucciolo! E le dragonesse non mi degneranno di uno sguardo” lamentò l’altro, accorato. “Devo raggiungere l’oracolo” concluse.

“Devi essere vivo per raggiungerlo, zuccone!” sbottò il nano, sbracciandosi. Mancare di rispetto ad un drago, anche se giovane, era una mossa azzardata, e lo sapeva perfettamente; ma quel drago gli doveva la vita, ed era sicuro che avrebbe mantenuto la parola data, anche se controvoglia. “Se ti perdi questo giro, che importa? Puoi sempre riprovarci. Ma se ti fai acchiappare come un fagiano, il gioco è finito. Mi capisci?” lo rimproverò, senza ben sapere perché gli importasse cosa quel bestione faceva della sua vita.

Eidrath lo guardò storto, ma non protestò, né fece alcunché per minacciarlo.

“Bene” brontolò Rangrin, abbassando la voce e tornando ad incrociare le braccia sul petto. “Ora che questo punto è chiarito, vediamo cosa possiamo fare” stabilì, in tono pratico. “Tu non puoi volare, se non per tratti molto brevi, quindi non possiamo allontanarci troppo… e, a ben pensarci, gli Euxeliani ti vedrebbero subito. Hmmm… come te la cavi, a sputare fuoco?”

Il drago sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Ti sembro un Drago del Fuoco? Non sarai mica uno di quelli che credono che siamo di colori diversi solo per bellezza, spero. Più lontano sto dal fuoco, meglio è; se sputassi fuoco, sarei rosso. Ma sono bianco, come vedi: il freddo è la mia natura, sono un figlio del Vento e del Gelo, il mio soffio è quello dell’inverno” spiegò.

“Cioè sai solo sputare aria fredda? Devastante…” commentò il nano, per nulla impressionato.

Eidrath si accigliò. “Se avessi provato il mio soffio sulla tua pelle, non faresti lo spiritoso: quanto il fuoco di un altro drago è caldo, il mio soffio è freddo. Se servirà, lo userò, e cambierai idea. Perché me lo chiedi?”

Rangrin alzò le spalle. “Se potessi togliere di mezzo i soldati Euxeliani, potremmo rifugiarci nell’Accademia. Lì c’è un sacco di spazio, ed è sicura. Potremmo stare lì, finché le tue ali non saranno a posto” rispose.

“Sono troppi per me da solo” protestò il drago, distogliendo lo sguardo, tentando di ostentare un atteggiamento altezzoso. Era evidente che ammettere la propria impotenza lo repelleva.

“Non importa. Aspetteremo che si stanchino, allora. Poi scavalcheremo le mura e ci troveremo un angolino tranquillo dove aspettare che le tue ali guariscano”.

“E poi?” domandò la creatura, inarcando le sopracciglia con fare scettico.

“E poi…” iniziò, con l’intenzione di chiedergli di trovare un modo di riportarlo a casa. Ma, stranamente, cambiò idea; nella sua mente emerse con prepotenza l’immagine di Yu, il viso stanco illuminato da un sorriso, che gli diceva che l’avrebbe aiutato a salvare la sua gente. “E poi…” esitò. “E poi, mi dovrai un favore. Perciò, mi aiuterai a scoprire tutto quello che la tua gente può sapere sul Drago della Valle e sul Drago del Fiume” sancì, pensando che certamente era impazzito.

Eidrath inclinò il capo lateralmente. “Solo quei due? E del Drago del Cielo non vuoi sapere nulla?” domandò, non capendo perché al nano interessassero informazioni incomplete.

“C’è un terzo drago?”

“Certo che c’è. I due che hai menzionato sono figli suoi. Loro tre assieme hanno creato la valle, tutti i draghi lo sanno” spiegò la creatura, orgogliosa. “Ma i mammiferi si sono dimenticati del vecchio Drago del Cielo, perché lui non si fa vedere da tanto, tantissimo tempo. Si addormentò dopo aver generato gli altri due, e non si svegliò più da allora. Solo i suoi figli si fanno vivi, di tanto in tanto” raccontò. “E’ curioso che un nano si interessi alla saggezza della mia gente” commentò subito dopo.

Rangrin arrossì, mugugnando in sua difesa che uno stolto l’aveva incastrato in una questione arzigogolata e poi si era vaporizzato senza lasciar traccia si sé.

“Ha a che vedere con gli Euxeliani e quei bizzarri Viaggiatori, vero?” lo interrogò Eidrath, indovinando la fonte delle sue preoccupazioni.

“Viaggiatori, Demoni Evanescenti… non ho idea di come si chiamino. Occhi di uno strano azzurro-violetto, vanno e vengono da un altro mondo e ne combinano di tutti i colori. Sì, sono loro il problema. Ne sai qualcosa?” fece l’aviatore.

Ma la creatura scosse il capo. “So cosa siano i Viaggiatori, ma di Demoni Evanescenti non ho mai sentito parlare. Ho solo sentito gli anziani dire che da qualche tempo ne sono apparsi tanti, di Viaggiatori, e che è un fenomeno inusuale. Ma noi ci curiamo poco delle questioni dei mammiferi, quindi sono pochi a saperne qualcosa” rispose. “Ma va bene, Rangrin il nano. Se mi aiuti a rimettermi in sesto, ti porterò dalla mia gente e farò in modo che tu sia accolto come ospite puro e degno. Parola di drago” aggiunse poi, solenne.

“Ottimo” bofonchiò il nano, annuendo. “Allora, per prima cosa credo che dovremmo…”

Ma le sue parole furono coperte da un forte rombo, simile ad un tuono. Confuso, Rangrin alzò lo sguardo al cielo grigio di nubi, chiedendosi come potesse scoppiare un temporale in pieno inverno, ma si accorse che aveva guardato nella direzione sbagliata quando la terra tremò.

Un’improvvisa scossa squassò il bosco, facendo tremare le piante e cadere la neve che si era posata sui rami.

“Per gli Antenati! Il monte è arrabbiato” esclamò, cadendo seduto per terra, lo sguardo sgomento fisso sulla montagna. Eidrath gli fu subito sopra, riparandolo dai blocchi di neve cadente con il suo corpo. “Gli Euxeliani non mi avevano mai detto che questa fosse zona di terremoti” gridò, per sovrastare il fragore della terra.

“Non lo è, infatti” rispose il drago, avvolgendosi attorno al nano per impedire che la neve lo seppellisse.

“Ti pare il momento per gli abbracci?” sbottò quello, indignato, spingendo via la testa allungata della creatura.

“Tu pensa solo a prendere un bel respiro, zuccone” replicò Eidrath, senza stizza, guardando con occhi sgranati l’enorme massa di neve che si era staccata dalla parete della montagna. “Tieniti stretto a me e non prendere iniziative” lo ammonì.

“Pensi che abbia paura di qualche scossone e un po’ di neve?” si offese Rangrin, che non aveva visto la valanga in arrivo. Ma il drago non rispose: aveva chiuso gli occhi, e una fievole luce bianca l’aveva avvolto in un tiepido alone. Le parole che stava mormorando nella sua lingua antica furono inghiottite dal fragore della neve.


Il plotone Euxeliano agli ordini del Maresciallo Turm avvertì la scossa di terremoto, vi diede scarsa importanza. Era stata rumorosa, e quello era bizzarro, ma dalla forza sembrava solo un assestamento del terreno, niente di serio.

Turm li osservava montare l’ariete accigliato, cercando di accendere la sua pipa, il naso arrossato dal freddo. La spia che avevano mandato in ricognizione non era ancora tornata, e aveva il sospetto che la tormenta l’avesse colta di sorpresa. Avrebbe voluto sentire un suo rapporto, prima di tentare nuovamente un’irruzione nell’Accademia, ma dal Quartier Generale pretendevano fatti, non scuse, perciò avrebbe dovuto affrettarsi a chiudere la partita con quei quattro prestigiatori da strapazzo.

La valanga piombò su di loro come un falco in picchiata, cogliendoli completamente di sorpresa. La ruggente ondata bianca si riversò sui soldati prima da un lato, e poi da davanti, esplodendo da dietro le mura dell’Accademia come uno tsunami ghiacciato.

La pipa accesa con tanta fatica, gli cadde di mano e fu inghiottita nel bianco.



Note finali: rieccomi qui dopo i bagordi delle feste. Spero che ve le siate godute, e che il nuovo anno sia iniziato nel migliore dei modi! =D

Un nuovo personaggio fa il suo ingresso, e altre new entries popoleranno i prossimi capitoli; mica possono fare tutto Yu e Rangrin. =P

E a proposito di Yu, di lui si parlerà nel capitolo successivo. Spero di riuscire a pubblicarlo presto, anche se il nuovo anno significa dover ricominciare a studiare per l’università. Q.Q

Comunque sia, grazie ancora a chi segue questo mio delirio, a chi si è lasciato incuriosire e gli ha dato un’occhiata, e a quanti hanno avuto la bontà d’animo di lasciare una recensione. Fatemi sapere cosa pensate, non siate timidi, non mordo. Quasi mai. >X3

Un abbraccio a tutti, e al prossimo capitolo!

   
 
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