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Autore: schwarzlight    17/01/2011    4 recensioni
*Terza classificata al contest [Original Concorso 9]L'harem e... il pagliaccio indetto da Eylis*
Una piccola principessa sola, un piccolo pagliaccio girovago, una bambola che cade.
E il ritorno di un cavaliere, un re geloso, una regina che non sogna più.
L’azzardo di un giovane e il dolore di una ragazza.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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l'ultimo sorriso, l'ultima lacrima

L’ultimo sorriso, l’ultima lacrima

 

 

 




Chi aveva detto che le principesse erano sempre felici?
La piccola Jildel non lo capiva. Non capiva perché era dovuta andare ad abitare al palazzo reale, tantomeno il perché i suoi genitori non potevano stare con lei.
La piccola Jildel era triste, sola e annoiata. Non c’era nessuno che giocasse con lei, nemmeno il principe, che sebbene fosse la sua promessa sposa, non la degnava mai di uno sguardo, preferendo la compagnia di altri adolescenti come lui.
E la piccola Jildel era solo una bambina.

Spesso sgattaiolava fino al balcone della torre est, quella in cui non si poteva andare, perché riservata alla regina e alle sue dame. Ma la regina era buona con lei, e pur sapendo delle sue scappatelle non la sgridava mai.
E così, Jildel, piccola principessa sola, passava lunghissimi minuti a osservare i bambini della piazza giocare, quelli che la invidiavano.
Quelli invidiati da lei.

Un giorno, la piazza era diversa dal solito. Più chiassosa, più gioiosa e colorata.
In città era arrivata una compagnia di girovaghi: cantastorie, giocolieri, maghi e attori, che con i loro canti, i loro trucchi e i loro scherzi divertivano la folla in cambio di poche monete.
L’allegra fiera conquistò il cuore della bambina, che si sporse più del solito, arrampicandosi sulla balaustra di pietra. Ma era un’azione pericolosa, e subito la badante che la seguiva intervenne, tirandola dentro per la vita.
La principessina cominciò a dimenarsi, non volendo abbandonare quello spettacolo, e nell’agitazione della lotta, la sua bambola di pezza preferita, quella con l’abito di seta azzurro, i boccoli biondi  e il cappellino con la retina, cadde giù, in mezzo alla gente, sulla strada.
Jildel si disperò, pianse e pianse in direzione del giocattolo, finché, prima di esser riportata nelle sue stanze, non vide avvicinarvisi un bambino.
Era un bambino molto strano, a dire il vero. Indossava dei pantaloni grandi, enormi, così larghi che di lui potevano starcene in tre, là dentro. Una camiciona blu a quadri e un fazzoletto rosso legato al collo completavano il suo abbigliamento inusuale.
Ma la cosa più strana era il viso.
La faccia era tutta bianca. Solo un grande sorriso rosso, e una lacrima e una stella blu disegnate sulle guance spezzavano quel candore.
Fu questo bambino strano a raccogliere la bambola e a guardarsi attorno in cerca della proprietaria. Poi, sentendo i pianti di Jildel, alzò la testa, e per un attimo la piccola principessa poté guardarne il volto per bene.
Sembrava quasi che la stesse prendendo in giro, con quel suo sorriso beffardo, mentre si allontanava con il giocattolo.

Per la piccola Jildel era crollato il mondo.

L’unico suo tesoro, l’unica sua compagna di giochi era stata portata via da uno sconosciuto.
Ovviamente una principessa poteva avere tutte le bambole che desiderava, ma quella era speciale. Quella era l’ultimo regalo della mamma, e ora che non l’aveva più, era come se davvero non fosse più parte della propria famiglia.

La piccola Jildel pianse, pianse e pianse.
La badante si sentì in colpa per averla trascinata via così brutalmente, e ne parlò con la regina, che ebbe un’idea. Perché non invitare la compagnia a palazzo, per deliziare i nobili della corte e far tornare il buonumore alla principessina?
E così fecero.

L’indomani, nella grande sala del banchetto, le musiche esotiche e vivaci dei menestrelli allietarono i commensali, mentre le acrobazie dei saltimbanchi li stupirono e meravigliarono. All’aperto vennero intrattenuti con le evoluzioni degli equilibristi e l’abilità dimostrata nell’uso del fuoco, mentre i maghi suscitarono stupore e dubbio facendo scomparire oggetti, indovinando i pensieri degli spettatori e incantandoli con i loro giochi di destrezza.

La piccola Jildel finalmente sorrise.
Vedere tutte quelle meraviglie da vicino aveva allontanato la sua malinconia, e per un po’ si dimenticò totalmente della perdita subita.
Poi arrivarono i pagliacci. Buffi ometti vestiti con abiti sformati dai colori sgargianti, con il viso dipinto e i modi allegri. Invasero la scena, cominciando a lanciarsi palline, corde, clavette, facendole girare, volteggiare, rotolare, senza mai tenerle in mano più di un paio di secondi, e senza lasciare che toccassero terra nemmeno una volta.
Entrò nel gruppo un altro piccolo pagliaccio, e Jildel sentì un groppo formarsi alla gola.
Eccolo lì il ladro.
Eccolo lì colui che l’aveva derisa mentre la derubava di ciò che aveva di più prezioso.
Voleva mettersi a gridare, dire alle guardie di arrestarlo, svelare il suo misfatto. Ma non riusciva.
Era difficile parlare, ora che il suo nemico era a portata di mano. E poi i grandi non prendevano mai sul serio i problemi dei più piccoli, difficilmente avrebbero acconsentito ai suoi capricci vendicativi.
Quindi si costrinse a osservare in silenzio.
Il bambino, nonostante la giovane età, era davvero molto bravo e agile. Non perdeva mai un pezzo, e si divertiva a mettere in difficoltà i colleghi adulti, combinando scherzi e marachelle che suscitavano l’ilarità del ricco pubblico.
All’improvviso si tolse l’ampio fazzoletto rosso dal collo e lo lanciò in aria, catturando una palla colorata. Prese al volo l’involto e si avvicinò alla piccola principessa.
Inchinandosi teatralmente, tolse la copertura all’oggetto e lo offrì a Jildel.
La bambina non poteva credere ai suoi occhi. Dalle mani del piccolo pagliaccio, ecco comparire un abitino azzurro, un cappellino con la retina e una cascata di boccoli biondi.
La sua bambola era tornata da lei per mano di un cavaliere in miniatura vestito a festa.

Nei giorni seguenti, i teatranti tornarono spesso per delle rappresentazioni a corte, così la piccola Jildel ebbe finalmente un compagno di giochi.
Ogni pomeriggio, infatti, il cavaliere-pagliaccio rimaneva a farle compagnia, e i due correvano, saltavano, si rotolavano sull’erba morbida del giardino.
Ogni giorno un nuovo gioco, ogni giorno un nuovo mondo da esplorare e nuovi eroi da interpretare. Quelli furono i momenti più gioiosi da quando la principessina era arrivata a corte: non si sentiva più ignorata, non più in trappola.
La piccola Jildel non era più sola.

Anche quando la compagnia girovaga aveva concluso la sua permanenza alla capitale del regno, non pianse all’idea di non poter più passare il tempo con il suo nuovo amico.
Perché lei aveva letto tante favole, e sapeva. Sapeva che il cavaliere tornava sempre dalla sua principessa.

E lei avrebbe aspettato il ritorno del suo.





Passarono quattro estati.
Il re, ormai anziano, spirò in una notte d’autunno, lasciando il trono al principe, di appena diciannove anni.

Passarono cinque autunni.
La regina raggiunse il consorte nel regno della seconda vita, non molto tempo prima del matrimonio tra la giovane principessa Jildel e il nuovo sovrano.

Passarono sei inverni.
La principessa compiva sedici anni, e finalmente poteva essere incoronata come nuova regina.

Passarono sette primavere.
Una compagnia di artisti girovaghi arrivò in città.





Un giovane alto e snello, dai pantaloni larghi e marroni, un fazzoletto rosso al collo e una camicia a quadri blu, si ritrovò a gironzolare per il mercato, senza avere idea di come ci fosse finito. Sentendo parlare due mercanti a proposito della famiglia reale, si avvicinò a loro, intromettendosi nel discorso.

- Perdonate il disturbo, ma sono almeno sette anni che manco da qui, e vorrei sapere se foste così gentili da aggiornarmi sulla situazione.

I due uomini si scambiarono un’occhiata perplessa di fronte al viso dipinto del ragazzo.

- Di’, ma non leggi i proclami? – rispose l’uomo barbuto – Tre anni fa il re è passato a miglior vita, e il principe ha preso la corona.

- Oh, ehm… e la regina?

Questa volta fu l’altro a rispondere, quello con una pelata così lustra che si poteva usare come specchio ustore… o almeno questa era stata la prima impressione del ragazzo.

- Se n’è andata l’anno dopo. Ora c’è la nobile Jildel a prendere il suo posto… anche se devo dire che un po’ la compatisco, poveretta.

- Eh, già… non deve essere molto felice in una situazione simile.

- Cosa vuol dire questo? – a dispetto dell’enorme sorriso disegnato sulla sua bocca, ora l’espressione del giovane era tutt’altro che gioviale. La preoccupazione che traspariva dai suoi occhi era sincera, e i due mercanti gli spiegarono la situazione.
Il re non era affatto fedele alla bella consorte, e più o meno tutti, in città, erano a conoscenza delle sue relazioni con altre dame della corte. Si raccontava addirittura che non ce ne fosse una che non fosse passata dal suo letto, almeno una volta.
Mentre la povera Jildel, raramente veniva addirittura considerata. Sarà perché la vedeva ancora come una bambina, o perché non l’amava affatto… ma certo era che lei doveva soffrirne molto.
Il suo carattere mite, però, la tratteneva dal protestare in qualsiasi modo, e perciò era divenuta una sorta di beniamina del popolo, uno stoico simbolo di forza interiore.

- Tutte le dame… quella corte è come una sorta di harem!

- Un che? – i due commercianti non avevano mai sentito una parola simile. Il ragazzo si trovò in difficoltà a dover spiegare il significato di qualcosa di cui lui, avendo viaggiato in molti regni, anche totalmente differenti per usanze e tradizioni, dava quasi per scontato la conoscenza.
Si grattò la testa incerto.

- Bè, un harem è… mah, lasciate stare, è meglio. Grazie per le informazioni!

Si allontanò dalla bancarella avviandosi verso la piazza centrale. Una volta arrivato alzò gli occhi verso la torre est, quella in cui abitava la regina, e tentò di intravederne la figura, senza risultato.
Poi tirò fuori dalla manica la mela che aveva sottratto ai suoi informatori, le diede un morso e si riunì ai suoi compagni.





Quella sera il palazzo era in fermento. Non solo si sarebbe festeggiato il ventiduesimo compleanno del re, ma per l’occasione era stata programmata l’esibizione degli stessi artisti che sette anni prima avevano lasciato a bocca aperta tutta la corte.
L’unica che forse non attendeva con ansia quel momento, era proprio la giovane Jildel, che dello spettacolo di quel tempo aveva continuato a custodire gelosamente il ricordo. Ma col passare dei mesi, quel ricordo era divenuto doloroso: ogni anno attendeva il ritorno di quel piccolo pagliaccio che le aveva donato così tanta gioia e serenità.
E ogni anno era rimasta delusa dal non vedere arrivare nessuno a riempire quella piazza così… grigia e normale.
Crescendo si era data della sciocca per quella frenesia, per quell’eccitazione che ad ogni musica proveniente dal balcone la coglieva. Cosa sperava? Di poter continuare a comportarsi come una bambina? Di poter di nuovo giocare con un ragazzino di strada?
Lei era una principessa, lei non poteva.

E ora era una regina, lei non doveva.

Dopo il banchetto, prima dei balli, all’ora dell’esibizione la regina uscì.
Uscì nel giardino, suo mondo incantato, che all’occorrenza era divenuto un’isola deserta, una caverna cristallina, un bosco magico, un labirinto inestricabile.
Ora era solo un giardino.
Vasto, pieno di fiori, di piante, di luoghi di riposo e fontane. Ma pur sempre un giardino.
Dov’era finita quella fantasia che le permetteva di sognare? Dove quell’entusiasmo che la spingeva a inventare vicende sempre più strane e intricate? Non c’erano più.
Non c’erano più, e allora l’acqua che si raccoglieva nella vasca in marmo rosa non le sembrava più un mare abitato da sirene e serpenti marini, ma semplice liquido.
Le panchine non erano più le selle di un drago, e gli alberi non erano le torri di un altissimo castello fatato.
Si sedette sulla superficie liscia delle rive del suo mare in miniatura, sospirando ai giorni perduti.

- E’ una magnifica serata per osservare le stelle, non trovate, mia regina?

Non si ricordava il nome di quel nobile. Erano tutti uguali, con lo stesso tipo di abito, la stessa quantità di gioielli, gli stessi modi esageratamente adulatori.

- Indubbiamente.

- Ma ditemi, non avete interesse nello spettacolo? Eppure ricordo che l’ultima volta vi divertiste assai.

- …non mi piacciono i pagliacci.

- Certo, crescendo i gusti cambiano. – Jildel si fece guardinga, quando il nobile si sedette vicino a lei. Troppo vicino.

- Devo ammettere che eravate una bambina deliziosa. E ora siete una giovane donna molto affascinante…

Jildel si alzò rabbiosa e schifata al tocco della mano dell’uomo che le sfiorava la spalla.

- Come vi permettete?! State al vostro posto, sono pur sempre la vostra regina!

- Suvvia, vostra maestà. Il re ha già tante amanti, perché per una volta non siete voi a divertirvi? - le afferrò il polso, stringendoglielo dietro la schiena e avvicinandola a sé. La giovane regina tentava di allontanarlo con la mano libera, ma inutilmente. Era troppo debole per riuscirci.

- Non osate… non azzardatevi… - sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, e il nobile si stava avvicinando sempre più alle sue labbra, quando all’improvviso si staccò allarmato.

Il suo copricapo era volato via, sbalzato da una forza sconosciuta. Si guardò attorno e impallidì quando lo vide conficcato al tronco di un albero da un pugnale.
Nello stesso istante una voce profonda, ma che rivelava la giovane età del proprietario, irruppe minacciosa nel silenzio.

- Questo era solo un avvertimento, la prossima volta mirerò più basso.

- C-come osi tu, lurido vagabondo! Ti farò incatenare nelle segrete del castello, non uscirai mai più!

- Sparisca subito dalla mia vista e non osi tornare a corte, o sarà lei a finire i propri giorni in una cella! – esclamò la ragazza in preda all’ira e allo spavento. Ora non era più la principessina i cui capricci non sarebbero stati ascoltati, ora era la regina, e aveva il potere di fare ciò che desiderava.
Il nobile accolse la frase come la minaccia che era, e si affrettò ad andarsene.

Lei si girò verso il suo salvatore: pantaloni troppo larghi, una camicia non più tanto grande a quadrettoni blu, fazzoletto rosso al collo; il viso non era più bianco, ma rimanevano la bocca rossa, la lacrima e la stella blu sulle guance. Sorrise.

Il cavaliere-pagliaccio era tornato dalla sua principessa.





Da quella sera era tutto cambiato.
La giovane Jildel sorrideva più spesso ora, era più spensierata. Non mostrava più quello sguardo lontano e malinconico con cui era stata sorpresa a volte.
Perché ora tutto era tornato come doveva essere.
Ogni pomeriggio si recava in giardino, dove il suo cavaliere colorato le narrava di reami lontani, di animali strani e religioni arcane. Le raccontava dei pericoli che avevano dovuto affrontare in viaggio, come quando avevano incontrato i banditi nella foresta, o erano stati assaliti dai pirati durante un viaggio in mare.
Le raccontò di quando aveva imparato a lanciare i coltelli da un guerriero dalla pelle scura come la notte, ed era salito su una specie di capra senza corna, dal mantello giallo a macchie marroni e dal collo lungo come una casa.
La giovane regina, dal canto suo, ascoltava rapita i suoi racconti, sobbalzando quando imitava i versi di belve feroci e ridendo alle imitazioni dei regnanti.
Passarono così dei giorni felici.

Una sera, al momento della separazione, il ragazzo raccolse il proprio coraggio, esibendosi in un baciamano alla regina.
Jildel si sentì avvampare al lieve contatto con le labbra di lui. Non si spiegava quella sensazione mai provata fino a quell’istante. Forse si sentiva male? Però non le sembrava di avere la febbre e, anzi, si sentiva la testa leggera leggera, come se potesse fare un salto e toccare le nuvole, come nei suoi sogni di bambina.
Era il pensiero del suo cavaliere che le scaldava così tanto il cuore?
Si strinse la mano al petto.
Sì, era il suo cavaliere.





Ma la ragazza non era mai veramente sola durante quegli incontri. Dall’alto delle finestre del salone, la figura del re la osservava sempre, controllando il suo comportamento. Era la sua corte, decideva lui come andavano le cose. Anche lei faceva parte del suo harem personale, lei era sua.
Anche quella volta lui era là, a vedere la sua sposa arrossire per un altro uomo.
A vedere la sua sconfitta.

Ma lui era il re, e il re non perdeva mai.





Il mattino seguente, il giovane pagliaccio non si esibì nel suo numero con i coltelli.
Un drappello di guardie andò a prelevarlo all’alba, adducendo il crimine di aver oltraggiato la regina e minacciato un esponente della nobiltà.
La condanna era la morte.

Quando Jildel venne a saperlo, corse subito dal suo re, per chiedere spiegazioni e scagionare il ragazzo.
Ma lui fu irremovibile. Non volle ascoltare nessuna delle ragioni di lei, e la ricacciò nei suoi appartamenti con malagrazia.

Per la giovane Jildel era crollato il mondo. Di nuovo. Definitivamente.

Era disperata, si sentiva impotente e colpevole.
Solo per aver dato confidenza all’amico di un tempo, solo per aver… solo per aver amato l’amico di un tempo, anche se solo per un istante. Solo per questi futili motivi, ora una vita innocente sarebbe stata cancellata.
La sua vita innocente.

Pianse. Pianse come non mai, più di quando aveva dovuto lasciare i genitori, più di quando aveva perso la bambola in piazza.
Ogni cosa era perduta, grigia, ammuffita. Ogni cosa non valeva più nulla.
Si rinchiuse nelle proprie stanze, e non uscì più.





Era giunto il momento.
Non aveva il coraggio di scendere in piazza sul palco reale. L’avrebbe uccisa.
Eppure non poteva abbandonare così il suo cavaliere. Seppur nel momento ultimo, lei doveva esserci.
Fece uscire tutte le cameriere e le dame di compagnia pettegole. Si portò di fronte al balcone, quel famoso balcone della sua infanzia, e, dopo un respiro profondo, spalancò le imposte, uscendo sulla terrazza.
La piazza era piena, gremita di tutta quella gente che solo il giorno prima acclamava le acrobazie del ragazzo, mentre ora attendeva ansiosa l’ora della sua morte.
Il banditore proclamò il giudizio e il condannato fece il suo ingresso, diretto al patibolo.
Niente trucco sul suo viso, niente abiti sgargianti. Quello che camminava verso la morte era solo un ragazzo come tanti. Magari più interessante, con più avventure sulle spalle.
Ma un ragazzo, con l’unica colpa di aver osato troppo.

Salì sul palchetto di legno al centro della piazza.
Dopo essersi inginocchiato di fronte al ceppo, alzò un’ultima volta lo sguardo, diretto verso la torre est del castello.
Dal balcone una figura tormentata lo osservava trattenendo il proprio dolore.
Delle parole mormorate al vento.
Un sorriso mesto, una lacrima lungo la guancia.
Il boia calò l’ascia.

La regina si accasciò al suolo sconvolta, reggendosi alla balaustra.
L’orrore dipinto sul volto, le lacrime che scorrevano.
Un’immagine nella mente.

L’ultimo sorriso del pagliaccio. L’ultima lacrima del pagliaccio.





Da giorni non mangiava più, non dormiva più.
Le dame erano preoccupate, i signori erano preoccupati, il popolo era preoccupato.
Il re si stufò.

Spalancò la porta delle stanze di Jildel con un impeto che spaventarono la ragazza, e la costrinse a seguirlo nella loro sala da pranzo privata.
Le ordinò di mangiare, la implorò di mangiare.
Ma lei non ascoltava. Non aveva più occhi per vedere il mondo, non aveva più orecchie per sentirne i rumori.
Vedeva solo un volto colorato, che sorrideva anche quand’era triste.
Sentiva solo storie di paesi lontani, risate e scherzi.
Vide un coltello.

Non seppe nemmeno lei con che forza riuscì a sollevarsi e spingere in là il sovrano, allontanandosi di qualche passo.
Lo vide agitarsi quando prese la lama e se la puntò alla gola.
Lo vide pregarla di non fare pazzie, dirle che l’amava. Finalmente.
Ma non era questo che voleva.
Sorrise dolcemente al ricordo di una bambola che compariva da un fazzoletto rosso.
Una lacrima le solcò il viso al ricordo di una risata.
La lama affondò nel collo sottile.
E il re non dimenticò mai quell’immagine.

L’ultimo sorriso della regina. L’ultima lacrima della regina.













Salve a tutti! Grazie per esservi fermati a leggere!^^
Questa storia si è classificata terza al contest [Original Concorso 9] L'harem e... il pagliaccio indetto da Eylis, in cui era richiesto l'inserimento nella storia di un luogo (l'harem) e di un personaggio (il pagliaccio) a cui potevamo dare l'interpretazione desiderata purché ne mantenessimo intatta l'idea di fondo.
...ecco, l'harem che ho rappresentato è...piuttosto...anomalo direi XD 
in realtà l'idea iniziale era di ambientare la storia in un mondo fantasy che avesse le caratteristiche dei regni arabi, e quindi considerava la presenza di un vero harem.
Ma poi l'idea di un uomo (il pagliaccio) che poteva entrarci liberamente era decisamente...forzata, se non altro, visto che l'unica presenza maschile autorizzata era quella del sultano e degli eunuchi.
Quindi ecco cosa è diventato *w*
Per il resto invece, non è cambiato granché XD

Bene, non ho altro da dire se non...spero di piazzarmi bene 8°D (nonostante non abbia avuto il tempo di ricontrollare e di conseguenza ho scoperto già due errori di battitura, più....mi son dimenticata di segnare la lunghezza della storia in parole, ahah 8°D)
EDIT: mi sono piazzata bene. WOOH!!8°°°D

Grazie di nuovo per aver letto!<3
Se vorrete lasciare una recensione mi renderete felice ai limiti della stupidità 8°D

   
 
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