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Autore: ethelincabbages    17/01/2011    8 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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Capitolo 8
All my childish fears
Parte I
These wounds won't seem to heal 
This pain is just too real 
There's just too much that 
time cannot erase 

“Mamma, ma perché restiamo qui?” Era la quinta benedetta volta che Hugo glielo chiedeva. Era in momenti come questo che Hermione capiva l’esigenza di Rose di chiudere la bocca al fratellino. Sorrise della sua stessa esasperazione: se sua madre fosse stata lì adesso l’avrebbe osservata ridendo e le avrebbe ricordato tutte quelle mattine e quei pomeriggi in cui la voce squillante della piccola Hermione era il solo suono che vibrava nell’aria.
“Perché l’abbiamo promesso a Chris,” rispose con una pazienza che neppure sapeva di possedere. Ogni promessa è debito e, in fondo, a questa promessa ci teneva anche lei. Aveva assicurato a Chris che non avrebbe lasciato che il loro vecchio appartamento finisse in mano altrui o venisse distrutto dai tarli, avevano quindi deciso che ogni tanto avrebbero passato qualche week-end a Kensington Park.
In quel momento, Hermione stava cercando di concentrarsi sul lavaggio delle stoviglie, mentre Hugo non sapeva proprio cosa fare e la assillava di domande. Nell’appartamento a Kensington Park Garden non aveva né giochi, né fumetti, né la collezione di figurine delle Cioccorane, né gli ologrammi dei suoi giocatori di Quidditch preferiti.
“Ma zia Chris è a ‘owars. Non lo sa mica. Noi stavamo a casa, e facevamo finta…”
“Hogwarts, amore. Vuoi che dica una bugia a tu-, mia sorella?” Doveva essere davvero stanca se commetteva questi lapsus. Per fortuna, un bimbo di sei anni completamente impegnato nei suoi ragionamenti personali non fa caso a dei miseri aggettivi possessivi.
“No, no,” rispose il piccolino di casa scuotendo i riccioli rossi, preoccupato dallo sguardo ‘non-si-fa-così’ della mamma. “Fare finta non è come dire una bugia. È come… come… un gioco!” Si stupì per primo della sua trovata geniale.
“Ah sì, amore?” Scoppiò a ridere. E gli bagnò la punta del naso con un pizzico di sapone incantato, giusto per occupargli la mente per un po’. Le bollicine crescevano sul nasino del bimbo e, quando ne scoppiava una, ne nasceva subito un’altra.
“Mamma!” Rose entrò in cucina alla velocità della luce, stringendo qualcosa di veramente importante in mano.  “Mamma, guarda cosa abbiamo trovato! Si è rotta, ma se l’aggiusti la mandiamo a zia Chris.”
“Attenta al vetro, Rosie.” Ron la seguiva, molto più tranquillo. Tornavano entrambi da una piccola esplorazione dello scantinato. Cercavano, per soddisfare la curiosità di Rose, una copia di Alice nel paese delle meraviglie che Hermione ricordava di possedere, senza sapere bene che fine avesse fatto. Evidentemente quello che avevano trovato era molto più interessante di un libro Babbano per ragazzi.
L’oggetto tra le mani di Rose era un vecchio portafoto, con il vetro frantumato. I soggetti della foto erano corsi via oltre la cornice ma Hermione ne riconobbe subito lo sfondo, così come, probabilmente, avevano fatto anche Ron e Rose; ne avevano una copia in bella mostra nel salotto di casa a Porter Street.
“E non poteva sistemarla papà?” Hermione si rivolse a Rose, ma ovviamente la domanda era per il marito.
“Ha detto che nessuno è bravo come te a fare gli incantesimi.” Rose sembrava sinceramente convinta della veridicità dell’affermazione del padre. Quando gli fa comodo… sogghignò Hermione, lanciando un’occhiata scettica a Ron che se la rideva sotto i baffi; si era defilato dalla conversazione tra mamma e figlia, preferendo giocare con Hugo e le sue bolle di sapone svolazzanti.
“Finalmente lo ha capito anche lui.” L’occhiolino che Hermione fece a Rose provocò nella bimba uno scoppio di risa altamente contagioso. Rosie aveva una risata così cristallina e onesta che non si poteva non amarla.
Una famiglia felice. Come era facile essere felici con i suoi bambini, riuscivano a farle dimenticare quasi tutto. Una famiglia felice. Esattamente come quella che si nascondeva dietro le cornici di quella foto, scattata nemmeno troppi anni addietro, nel cottage che i Granger affittavano ogni tanto a Füssen, in Baviera.
Quando i soggetti avevano l’accortezza di mostrarsi, si potevano vedere le braccia forti di Edward Granger abbracciare le sue tre donne: una Helen rilassata e felice che alternava occhiate amorevoli a suo marito e alle sue due bambine, una Chris di tre anni, prima imbronciata e poi sorridente, stretta in braccio a una Hermione particolarmente allegra.
Era un autoritratto di famiglia scattato l’ultima volta che erano andati a Füssen tutti e quattro insieme. Edward e Helen, oltre che Hermione stessa, amavano andare spesso in quella cittadina per le loro vacanze invernali, c’era tutto quello di cui avevano bisogno, e col castello di Neuschwanstein così vicino si respirava sempre un’aria da favola.
La volta successiva, quella che poi sarebbe diventata l’ultima vera volta in cui avrebbero messo piede in città, quando lo scoppio della brace nel caminetto mise fine alla vita di Edward, Hermione non c’era. Era rimasta in Inghilterra poiché era appena stata trasferita dal Dipartimento della Regolazione e Controllo delle Creature Magiche a quello sulla Regolazione della Legge Magica, era un momento d’oro per la sua carriera. E a causa di ciò, quando era morto suo padre, lei non c’era.  Non era mai riuscita a perdonarselo, aveva da sempre la sensazione che se ci fosse stata, forse, avrebbe potuto evitarlo. Anche con un misero tocco di bacchetta. Avrebbe fatto qualcosa, qualsiasi cosa. Ormai era diventato un altro incubo ricorrente da aggiungere agli altri: il pugnale di Bellatrix Lestrange, il muro crollato di Hogwarts, i volti spenti di Remus, Tonks e Fred, il corpicino addormentato di Chriseys nell’incubatrice prima della partenza per il suo settimo anno, e quel cottage distrutto dal fuoco. Eccoli: rimpianti, rimorsi, angosce della vita di Hermione Granger.
La cornice d’argento era quella che Chris teneva in camera fino a qualche mese prima. Finché un giorno era semplicemente scomparsa. Dallo stato in cui si trovava adesso, Hermione dedusse che fosse stata proprio la ragazza a disfarsene, con buona probabilità, neanche tanto delicatamente. Hermione riusciva a immaginare la scena con dovizia di dettagli: Chris in lacrime dopo un’altra seduta di terapia della mamma, che rivedeva la foto fin troppo felice per i suoi gusti, e perdendo la pazienza la scaraventava a terra, o sul muro.
Era assurdo. Tutto così assurdo. Aveva ceduto i propri diritti e doveri su Chris ai suoi genitori per poterle dare una famiglia unita e solida, e la morte gliel’aveva portata via un pezzo alla volta. Chris era rimasta orfana di padre a quattro anni e mezzo e di madre a sedici appena compiuti. Non era così che aveva visto il suo futuro. Non era così che doveva andare.
Riparò quel vetro incrinato con un semplice movimento di bacchetta e un “Reparo” rapido. Non si decideva però a chiamare quel vecchio rimbambito gufo di Leo per spedirla alla sua proprietaria. Rose, prima di correre a giocare (o a fingere di giocare) a scacchi magici col fratellino (non che Hugo sapesse farlo comunque), le aveva strappato la promessa che avrebbe mandato la foto a Chris. Sapeva essere davvero decisa quella bambina quando voleva qualcosa.
 “Non la mandi?” le chiese Ron, intercettando il suo sguardo concentrato sull’immagine.
“Credi che sia pronta? Sai perché hai trovato questa foto in uno scatolone di sotto, no? L’avrà lanciata contro il muro, o vi avrà scagliato contro qualche incantesimo per farle fare questa fine. Insomma, qualcosa degno di lei.” Hermione sospirò ansiosa.
“Penso che ne abbia bisogno.” Bisogno di ricordare, di sorridere al pensiero che una volta erano insieme, e si poteva sentire il profumo di casa e felicità. Bisogno di sapere che non era un sogno, ma la realtà. Che l’amavano, l’amavano più di ogni altra cosa. “E anche tu,” sussurrò lui.
Hermione percepì tutta l’apprensione di Ron in quel sussurro. Talvolta, era incredibilmente complicato far entrare anche lui in quell’angolo privato che era il dolore per la perdita dei suoi genitori. “Anche se fa piangere?” chiese, infine, con la voce ormai spezzata.
“Anche se fa piangere,” annuì lui, stringendole la mano. I polpastrelli ruvidi che le accarezzavano il palmo sembravano pregarla di liberarsi di quel dolore nascosto. Perché ognuna di quelle lacrime andata versata. Finalmente.

 
*
 
Note: Titolo e citazione in epigrafe sono ripresi dal brano My Immortal interpretato dagli Evanescence. Le traduzioni dei passaggi citati sono, in ordine: “Tutte le mie paure di bambino” “Queste paure non sembrano finire, il dolore è fin troppo reale; troppe cose il tempo non può cancellare.”
   
 
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