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Autore: nevaeh    18/01/2011    2 recensioni
4x07, come sarebbe dovuta andare secondo me.
“Sono Freddie” biascicò meccanicamente con la lingua impastata. Il numero da cui era stato chiamato era privato e il ragazzo dovette attendere qualche secondo prima di ricevere una risposta.
“Pronto, sono il dottor Forrest” rispose la voce al di là della cornetta. Gli occhi di Freddie diventarono istantaneamente più vigili “vorrei parlare con te. Potresti raggiungermi al 25 di Road Drive questa sera?” chiese il medico, mentre Freddie cominciava a sudare freddo. Per un istante fu tentato dalla eventualità di rifiutare l’invito e tornare in clinica da Effy, ma al pensiero della ragazza svenuta sul divano del suo salotto, mentre lui impazziva per chiamare i medici lo fece desistere.
“Va bene”
Spero possa piacervi (:
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Elizabeth Stonem, Freddie Mclair
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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I Don’t Wanna Miss A Thing

 

 

A Chiara,

a quelli sbagliati,

a chi è riuscito a trovare quello giusto.

 

I could stay awake just to hear you breathing
Watch you smile while you are sleeping
While you’re far away and dreaming
I could spend my life in this sweet surrender
I could stay lost in this moment forever
Every moment spent with you is a moment I treasure

 

 

Freddie continuava a sbattere la porta sperando che questa si aprisse. Il dottore intanto saliva le scale imperterrito, un sorriso da folle che oscurava il volto e gli occhi chiari iniettati di sangue.

“Mi dispiace, ragazzo” sentenziò alla fine, prendendo la mira e preparandosi a colpire. Freddie provò per un istante una folle paura: era chiuso in un sottoscala con un pazzo omicida che era lì lì a colpirlo, e il furore negli occhi di John non assicurava al ragazzo di poter pensare lucidamente. Intanto il dottore aveva abbassato di colpo la mazza puntando alla testa; Freddie parò in fretta il colpo, che si accontentò di vibrare sulla spalla del giovane. Il secondo colpo invece arrivò preciso ma prevedibile e Freddie scartò di lato in fretta, riuscendo a portarsi dietro al dottore. Spinto dalla paura e dal puro istinto di conservazione cercò con lo sguardo la porta, guadagnò lo studio in poche e veloci falcate. John, che aveva ricevuto uno spintone, si riprese in fretta e si diede all’inseguimento del giovane e corse a sua volta nello studio. Freddie era però sparito: la scrivania era ordinata, le poltrone giacevano immobili come erano state lasciate poco prima e le ombre create dal sole che stava tramontando creavano strani giochi di luce che sembravano volersi prendere gioco dell’uomo. Stringendo la mazza tra le mani, l’uomo si avventurò nello studio e con pochi passi ben calibrati percorse quello che era il perimetro della stanza, assicurandosi dell’assenza del suo nemico.

Freddie non appena era arrivato nella stanza aveva preso a respirare e a pensare più lucidamente. In pochi secondi, mentre sentiva i passi di John che si avvicinavano, era sgusciato in uno strettissimo spazio tra il caminetto e la parete, dove ci entrava appena. Con una minima parte del cervello si complimentò con se stesso per essere tanto magro, ma prettamente cercò di frenare il cuore, con l’infondata paura che il pazzo che lo cercava potesse sentirne il pulsare furioso. In corpo era un fascio di nervi e l’adrenalina lo faceva sentire vivo e agitato. Con una veloce occhiata si accertò del fatto che John fosse di spalle e si prese un istante per riordinare le idee. Non amava la violenza, ma questa volta lo avrebbe fatto per lui … per lei.

Uscì dal suo nascondiglio e senza far rumore giunse alle spalle del medico.

“Mi dispiace, dottore” mormorò, prima di avventarsi su di lui.

Effy si svegliò di colpo nella sua stanza nella clinica psichiatrica. Sua madre, scattata in piedi burrascosamente spaventata a causa del movimento inaspettato, si avvicinò preoccupata alla ragazza.

“Tesoro è successo qualcosa?” chiese la donna.

“Non lo so, mamma” rispose Effy guardandosi attorno “dov’è Freddie?” chiese poi allarmata, scostando le coperte dal letto.

“Non preoccuparti, è andato a farsi una doccia e a recuperare un paio d’ore di sonno, vedrai che tornerà presto”tentò di rassicurarla la madre, accarezzandole una guancia. Effy era strana e la madre ne era alquanto spaventata; aveva preso il cardigan di Freddie poggiato alla spalliera del letto e lo aveva indossato sopra al pigiama, le maniche troppo lunghe nascondevano le manine e le spalle cadevano afflociate lungo le braccia della giovane.

“Prima di sera” mormorò la ragazza più a se stessa che alla madre mentre spiava fuori dalla finestra, scostando le tendine con la punta delle dita che uscivano a fatica dalla giacca. Fuori il sole stava tramontando in fretta “me lo ha promesso”

Il colpo aveva prodotto un suono secco, che continuava a rimbombare nelle orecchie di Freddie. Per colpirlo aveva usato tutta la forza che aveva nelle braccia, e ora non riusciva a far altro che guardava il corpo agonizzante di John, steso al suolo in una chiazza di sangue. La mazza da baseball che aveva sottratto all’uomo per colpirlo cadde a terra in un colpo sordo, rotolando fino a una sedia, che bloccò la sua strada. D’un tratto la consapevolezza investì Freddie. Aveva rischiato di morire. Probabilmente aveva ucciso un uomo. Probabilmente avrebbe passato i prossimi trent’anni in galera. Doveva andare da Effy. Doveva andare a casa e avvisare suo padre e sua sorella. E la polizia, certo. Frettolosamente lasciò la cantina rompendo il vetro della porta con il gomito del braccio sano. Il dolore alla spalla destra, che fino a quel momento era rimasto relegato in un angolino del suo cervello tornò ferocemente in prima posizione. La spalla pulsava e faceva venire al giovane un profondo mal di testa. L’aria fuori era assurdamente buona e fresca. Freddie si impose come ultimo sforzo di correre fino a casa,mentre con il cellulare componeva velocemente il numero della polizia.

Non durò molto. Dopo che gli agenti avevano portato via John a Freddie non era rimasto che dare appuntamento all’investigatore per un colloquio la mattina dopo. Una infermiera gli aveva saggiamente visto la spalla e aveva applicato una fasciatura elastica, strappandogli la promessa di andare in ospedale il prima possibile. Adesso Freddie era davanti alla casa di cura, il sole era ormai basso e presto la luna avrebbe preso il sopravvento su Bristol. Il cancello si aprì permettendo al ragazzo di entrare e raggiungere la stanza 421, dove sapeva fosse Effy. La sua ragazza aveva lasciato la porta finestra della camera aperta, Freddie non fece fatica a individuare il profilo esile della ragazza attraverso la porta. Stava con le gambe incrociate, indossava il pigiama e il cardigan grigio di Freddie con le maniche arrotolate, i capelli stretti in na coda disordinata e il viso pulito dal trucco. Dopo essersi fermato un attimo a contemplarla Freddie si decise ad uscire e sedersi accanto a lei, che non distolse lo sguardo dal tramonto.

“Sei uno che mantiene le promesse” disse la giovane tranquilla, sorridendo appena “sei tornato prima di sera, mi hai resa felice” spiegò poi. Freddie scosse la testa e allungò la mano a sfiorare quella di Effy.

“Non potevo starti lontano … lo siamo stati già abbastanza” rispose con lo stesso sorriso il ragazzo, mentre Effy stringeva la presa delle mani “non voglio che accada mai più” aggiunse poi.

“Nemmeno io” rispose Effy. Rimasero entrambi in silenzio beandosi di quella calma. Effy aveva gli occhi azzurri lucidi e il suo ragazzo si ritrovò a pensare a quanto fosse fortunato ad averla.

“Prometti” disse ad un tratto Effy, voltandosi per la prima volta verso di lui “prometti di non lasciarmi mai” chiarì poi, di fronte allo sguardo confuso del ragazzo.

“Lo prometto” rispose lui “prometti di non lasciarmi mai” ripetè poi, rivolto alla ragazza.

“Lo prometto” rispose subito lei, sorridendo. Freddie la guardò in viso, prima di aprire nuovamente bocca.

“Anche quando sembra che tutto sia contro di noi, quando sembra che non possiamo stare insieme, quando staremo male e ci sembrerà che il mondo ci stia crollando addosso … sempre insieme” mormorò d’un fiato il ragazzo, poggiando teneramente la fronte contro quella della ragazza.

“Te lo prometto” sussurrò Effy mentre una lacrima scorreva giù per la guancia. E a Freddie quello bastò; aveva rischiato tanto quel giorno, avrebbe dovuto affrontare tanto dopo,ma sapere che lei ci sarebbe stata rendeva tutto più semplice, più naturale. Le labbra di Freddie sfiorarono quell’unica lacrima con dolcezza, prima di appropriarsi della labbra di Effy, per un solo istante.

“Che cosa faremo ora?” chiese la ragazza stringendo a sé Freddie, che sorrise istantaneamente.

“P>rima di tutto esci da questo manicomio” esclamò con una risata che presto contagiò anche Effy, che gli buttò le braccia al collo. Freddie si lasciò sfuggire un gemito di dolore e Effy si ritrasse come scottata.

“Oh mio dio, che cosa hai fatto alla spalla?” chiese spaventata notando la fascia per la prima volta. La mano corse ad accarezzare lievemente la stoffa, cercando di non pesare troppo sulla ferita. E lui cosa doveva fare? Avrebbe dovuto raccontargli tutto, avrebbe dovuto metterla a parte dell’intera faccenda, era giusto così …

“Ho sbattuto al comodino della mia camera” disse invece, contento di sentirla però ridacchiare a quelle parole. Viveva per quelle risate.

“E non ridere!” aggiunse poi fingendosi offeso “è già stato abbastanza imbarazzante di per sé” esclamò, accogliendo però Effy tra le braccia.

“ok, ok scusa!” rispose la ragazza allegramente cercando con scarsi risultati di frenare gli eccessi di risa. Il silenzio che seguì fu naturale e per nulla imbarazzante.

“Grazie” disse dopo un po’ Effy, spezzando il silenzio.

“Perché?” chiese stranito il ragazzo, voltandosi ad incontrare i suoi occhi.

“Perché mi ami” rispose semplicemente lei. Freddie sorrise e le posò un bacio sulle labbra, stringendola forte e tornando a contemplare la notte.

L’avrebbe fatto. Avrebbe affrontato tutto questo … per lui, per lei … per loro.

 

 

The End.

 

   
 
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