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Autore: bluemary    23/01/2011    2 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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-Capitolo 10: Solitudine-

- Sei ancora qui?
Kilik balzò in piedi di scatto, estraendo i pugnali per poi riporli con una smorfia non appena riconobbe il volto di Rafi. Non sapeva quante ore fosse rimasto seduto a terra in attesa del suo ritorno, maledicendola ad ogni secondo. In un primo momento il suo orgoglio ferito lo aveva spronato ad andarsene, preferendo il rischio di imbattersi nei soldati all’umiliazione di obbedirle, tuttavia, privo di equipaggiamento e di qualunque indicazione su dove si trovasse, aveva dovuto rassegnarsi e aspettare che quella ragazza priva di umanità tornasse da lui.
Le lanciò un’occhiata carica di risentimento, notando appena che adesso, oltre ad un capiente zaino sulle spalle, portava anche una pesante spada alla cintura.
- Ringrazia di non essere un maschio, o ti avrei restituito il pugno con gli interessi. - sibilò a denti stretti.
Gli occhi verdi di Rafi si socchiusero in due fessure minacciose.
- Non sopravvalutare le tue capacità.
Per un attimo l’Etereo pensò seriamente di concretizzare le sue minacce, ignorando i suoi principi più profondi. Non era solo l’idea di colpire una donna a disgustarlo, ma anche la possibilità di infrangere una promessa risalente a tanti anni prima, quando si era reso conto che i pugni potevano essere più pericolosi della magia.
Non ricordava molto di quegli avvenimenti che avevano segnato la sua infanzia e ancora adesso gli causavano uno spiacevole senso di colpa, stranamente era tutto avvolto dalla nebbia, come se fosse il suo stesso inconscio a negarsi quelle spiacevoli memorie.
Le uniche immagini impresse nella sua mente erano quei ragazzini umani che avevano cominciato a schernire lui e Kohori, una rabbia intensa e travolgente, più forte di ogni razionalità, la sensazione nauseante del sangue sulle proprie mani mentre i suoi aggressori giacevano a terra, ed il suo stesso fratello che lo tratteneva, piangendo. Poi, il buio.
Quando si era risvegliato, ogni suo ricordo di ciò che era successo aveva assunto le tinte nebulose e inconsistenti di un incubo, solo lo sguardo turbato dei suoi parenti rimaneva come un’accusa a dimostrazione dell’accaduto. Più tardi sua madre gli aveva detto che per poco non aveva ucciso uno di quei ragazzi umani. Non gli aveva mai spiegato in quale modo, evitando i dettagli e vietando perfino di menzionare quell’episodio, nemmeno Kohori ne aveva più voluto parlare e, vista la difficoltà con cui a stento riusciva a ricostruire quel giorno nella sua mente, Kilik era arrivato a sospettare che alcuni ricordi gli fossero stati alterati con la magia; tuttavia non aveva bisogno di recuperare la memoria per sapere che aveva quasi ucciso qualcuno a mani nude. Il sangue che gli aveva imbrattato le dita e la scarsa magia di cui era dotato, all’epoca troppo debole per poter uccidere qualcuno, erano delle prove sufficienti a convalidare questa teoria, così aveva preferito tacere e non chiedere nulla.
Da allora si era ripromesso di non perdere più il controllo e lasciarsi trascinare dalla rabbia, a meno di non trovarsi di fronte ad un nemico. Lanciò uno sguardo alla giovane donna dagli occhi verdi, ancora incerto se rinunciare a considerarla come tale.
Aveva già notato quanto potesse risultare letale la sua compagna, più simile ad una spietata macchina di morte che ad un essere umano, e l’irritazione con cui fino a quel momento l’aveva fissata cominciò ad attenuarsi, in favore di un forte senso di diffidenza e pericolo, non scevro da una piccola punta di curiosità.
La studiò attentamente, attraverso il forte rancore che ancora provava nei suoi confronti, inseguendo invano la persona nascosta dietro quel volto freddo e impassibile, su cui ogni emozione pareva scivolare via senza scalfire in alcun modo l’indifferenza che si era resa padrona dei suoi lineamenti.
Irritata da quell’esame prolungato a cui l’Etereo la stava sottoponendo, Rafi appoggiò a terra lo zaino, facendo poi un passo verso di lui.
- Mi hai aspettato solo per farmi sentire le tue stupide provocazioni o c’è dell’altro?
- Visto che abbiamo gli stessi obiettivi viaggerò con te. Ma non aspettarti che rischi la mia vita per salvare la tua.
L’alta ragazza bionda gli lanciò uno sguardo sprezzante, prima di oltrepassarlo senza replicare.
Ricordando cos’era successo poche ore prima, Kilik si astenne dal prenderla per il braccio, preferendo invece comparirle di fronte, con le mani sui fianchi ed un’espressione dura.
- Sei davvero intenzionata ad uccidere gli Oscuri?
Rafi lo guardò in silenzio per qualche secondo, ma non fu la sua voce a rispondere. Lentamente la sua maschera impassibile, che più volte Kilik aveva cercato di penetrare, si dissolse in tanti frammenti d’indifferenza, rivelando la terribile oscurità che fino a quel momento aveva celato. Le sue labbra sottili si piegarono in un sorriso crudele, da assassina, mentre i suoi lineamenti si contraevano come in preda alla rabbia e gli occhi verdi venivano attraversati da un lampo di follia che fece indietreggiare di un passo l’Etereo, sconvolto da questa trasformazione repentina.
- E tu? - chiese Rafi con ironia, ricomponendo la sua solita espressione distaccata in maniera tanto rapida che Kilik si chiese se quello sguardo pieno d’odio e ferocia non fosse stato frutto unicamente della sua immaginazione.
Irritato per la facilità con cui si era fatto impressionare, il ragazzo cancellò dal suo volto ogni traccia di timore o incertezza, mentre l’immagine di Kohori tornava a tormentarlo con un’ondata di rabbia e dolore.
- Uno di loro ha ucciso mio fratello. - socchiuse gli occhi, nella sua prima, vera espressione di minaccia - Desidero vendetta.
La guerriera accolse quell’informazione senza mostrare il minimo rammarico o anche solo un accenno di compassione, si limitò ad incrociare le braccia al petto, studiando forse per la prima volta il giovane che aveva di fronte. Lo sguardo determinato di Kilik sembrò piacerle, visto che fece un lieve cenno di approvazione, prima di incurvare le labbra nel suo perenne sorrisino sarcastico.
- E sai chi è stato?
- Ghedan. - ringhiò l’Etereo, pronunciando quel nome come fosse una maledizione.
- Allora la nostra destinazione ti piacerà.
- Dove andiamo?
- Quando si va a caccia di prede pericolose è sempre meglio cominciare da quella più debole. - la ragazza fece una pausa, caricandosi in spalla il pesante zaino con cui era arrivata, senza risparmiargli un’occhiataccia per il suo tentativo di aiutarla - Se ti sbrighi tra un paio di giorni saremo a Northlear.

Daygon stava riflettendo, seduto sull’austera poltrona tanto simile ad un trono che soddisfaceva in pieno i suoi gusti semplici eppure raffinati.
Ormai padrone incontrastato di quasi tutta Sylune, l’Oscuro amava trascorrere le prime ore del pomeriggio nella più totale solitudine, lasciando vagare la mente tra i mille pensieri che gli affollavano la testa.
Era da diversi giorni che non aveva più contatti con gli altri re e, nonostante questo silenzio non fosse affatto insolito, sapeva anche che avrebbe potuto rappresentare un segnale della loro ribellione. Non si illudeva sulla fedeltà che gli dimostravano, era pienamente consapevole di come essi stessero solo attendendo un suo momento di debolezza per attaccarlo e prenderne il posto, tuttavia non li temeva; conscio della propria superiorità, si dedicava alla conquista delle poche città ancora indipendenti, utilizzando poi il tempo rimanente per affinare i suoi poteri.
Per un qualche secondo si divertì ad immaginare gli ipotetici piani con cui avrebbero cercato di sconfiggerlo.
Ghedan era troppo codardo per attaccarlo apertamente, sicuramente avrebbe agito nell’ombra, ricercando un subdolo assassinio che rispecchiava la sua personalità, ma la sua scarsa forza magica, unita ad una mediocre intelligenza, non lo rendeva degno di venire considerato un vero e proprio avversario.
Lotar e Sawhanna sarebbero stati più difficili da sconfiggere: la donna era dotata di un grande potere e la sua indole impulsiva la rendeva un’antagonista imprevedibile, capace di sorprendere chiunque, tuttavia la sua mancanza di prudenza avrebbe potuto esserle fatale; il mago, invece, era sempre stato un ottimo stratega con un perfetto autocontrollo, probabilmente avrebbe rappresentato lui il pericolo più grande tra i tre.
E poi c’era Kyzler.
Una piccola ruga increspò per un attimo la fronte dell’uomo, mentre quel nome si faceva strada tra i suoi pensieri, etereo ma pungente come il suo possessore.
Il più giovane degli Oscuri era forse l’unico che non si sarebbe mai ribellato a lui, eppure ancora rappresentava un insopportabile enigma ai suoi occhi.
Kyzler era sempre stato un essere incomprensibile, all’apparenza privo di emozioni, ma in grado di nascondere dentro di sé un odio sconfinato per chi aveva intessuto le fila del suo destino; nonostante fosse l’unico dei Cinque Re ancora capace di un raro gesto di pietà, non si sarebbe fermato di fronte a nulla e a nessuno pur di riuscire a compiere la sua vendetta.
E, Daygon ne era certo, ancora non l’aveva perdonato.
Un piccolo cambiamento nell’aura magica del suo castello lo spinse ad aprire gli occhi, mostrando al mondo le sue iridi blu scheggiate di sangue.
L’Oscuro rivolse lo sguardo alla porta, sorpreso di percepire la presenza di Mizar che si avvicinava alla sua stanza: era raro che il suo comandante lo cercasse senza essere stato chiamato, per ragioni che esulavano dai rapporti sulle ultime battaglie.
- Entra. - ordinò, prima ancora che il soldato bussasse.
Devil avanzò fino a qualche metro da lui, alzando gli occhi gelidi fino a raggiungere le bianche pupille del mago, mentre gli rivolgeva un inchino appena accennato.
Daygon represse un sorriso per quel gesto che ad osservatori esterni avrebbe potuto apparire irriverente ed invece per lui era più gratificante delle lusinghe e della falsa fedeltà ostentate dai suoi servi. Al contrario di Ghedan non amava circondarsi di cortigiani le cui parole sfociavano nella mera adulazione, inoltre sapeva che il suo guerriero prediletto non si sarebbe mai umiliato al punto da fingere rispetto per comprarsi la vita: non era stata la paura che aveva piegato le sue ginocchia la prima volta, e quell’inchino appena accennato che gli rivolgeva ad ogni loro incontro era di gran lunga più prezioso e sincero delle false lusinghe dei suoi servitori.
Un leggero sorriso prese forma per qualche attimo sul volto del mago.
A volte, durante le brevi visite in cui Devil gli riferiva l’esito delle missioni e riceveva gli ordini per quelle successive, l’Oscuro si chiedeva se quel soldato all’apparenza impassibile lo temesse davvero o, se negli anni in cui si era impegnato a cancellare ogni debolezza, era infine divenuto un essere privo di qualunque emozione, salvo quella sua spasmodica ricerca di potere che lo aveva spinto a tradire i suoi stessi simili.
Qualunque fosse la risposta, tuttavia, non provava alcuna preoccupazione: per quanto fosse consapevole di aver fondato il proprio potere sul terrore, preferiva che fossero gli obiettivi comuni ad intrecciare indissolubilmente a sé il destino di quel generale tanto leale e prezioso, un legame ben più forte e duraturo della paura.
Le sue pupille bianche vagarono sul volto giovane del soldato per qualche secondo, prima di soffermarsi sulle sue iridi azzurre.
- C’è qualche problema? - domandò con appena un’ombra di fastidio nella voce, unico segnale di come quell’interruzione lo avesse seccato.
Devil continuò a fissarlo negli occhi senza scomporsi.
- Hai forse dato ordine ad uno degli altri Re di distruggere Huan?
Le sopracciglia argentate dell’Oscuro si inarcarono per la sorpresa.
- Intendi quel piccolo villaggio vicino a Lorimar?
- Esattamente.
- Non ho alcun interesse in esso, l’ho lasciato indipendente proprio perché è troppo debole per potermi causare problemi ed averlo tra i miei possedimenti non mi sarebbe stato di alcuna utilità.
- Qualcuno deve pensarla diversamente, visto che di recente è stato raso al suolo. - replicò il generale.
Daygon gli lanciò uno sguardo penetrante, specchiandosi in quelle iridi azzurre che, come al solito, non riflettevano alcuna emozione.
- Predoni, suppongo.
Il soldato scosse la testa.
- Erano soldati della Fiamma Nera.
- Ne sei certo? - chiese l’Oscuro, sorpreso lui stesso della futilità della propria domanda: il suo più fedele subordinato non aveva mai commesso alcun errore e certo non gli avrebbe riferito una simile notizia senza sincerarsene prima di persona.
La replica di Devil giunse sciogliere ogni dubbio residuo.
- Ho controllato io stesso.
Forte dei suoi sospetti, quella mattina era arrivato fino a Huan, riuscendo a ricostruire parzialmente lo scontro che aveva causato la distruzione della cittadina e la morte di quasi tutti i suoi abitanti. Nonostante la maggior parte dei corpi fosse ormai irriconoscibile, era stato comunque in grado di ritrovare alcune armature con lo stemma della Fiamma Nera, prova incontestabile della loro provenienza, senza contare i civili che aveva interrogato e gli avevano dato un’ulteriore conferma alle sue ipotesi: tutti erano stati concordi nell’affermare che quei soldati agivano per ordine dell’impero e non erano semplici disertori.
Non appena il generale ebbe terminato il suo racconto, l’Oscuro gli lanciò un’occhiata d’approvazione, un raro riconoscimento che fino a quel momento ben pochi umani erano riusciti a guadagnarsi.
- Scopri chi è stato. E scopri anche il suo scopo.
Mizar s’inchinò brevemente, prima di dargli le spalle.
Lo sguardo del mago più potente di Sylune lo seguì fino alla porta, in un misto di assenso e orgoglio; se le pupille bianche non avessero risaltato così tanto sul suo volto magro, avrebbe potuto sembrare un padre compiaciuto per il comportamento del proprio figlio.
Per un attimo dal suo viso perennemente impassibile trapelò un’espressione curiosa, quasi un sarcastico sorriso di sfida nei confronti del destino, mentre il pensiero che avrebbe dovuto incontrare Mizar invece di Kyzler gli accarezzava la mente. L’attimo dopo i suoi lineamenti tornarono di marmo.

Kysa rifletteva sola, nell’ampia camera da letto che per lei rappresentava la più tetra delle prigioni.
Non sapeva per quale motivo il giorno prima Devil l’avesse graziata in quel modo, ma il terrore della sua prossima visita le aveva presto invaso il cuore, soffocando il momentaneo sollievo provato per quelle brevi ore di solitudine. Aveva trascorso la notte in preda alla paura più profonda, incapace di abbandonarsi ad un sonno che forse le avrebbe permesso di sfuggire per qualche istante da una realtà troppo crudele per diventare parte dei suoi incubi.
Così era rimasta sveglia, gli occhi spalancati nell’oscurità, ad ascoltare il proprio respiro che veniva inghiottito da quel buio silenzioso secondo dopo secondo, mentre il tempo scorreva tanto lentamente da farle credere che quella notte sarebbe durata in eterno.
La mattina aveva visto l’alba, fissando con un magone all’altezza del petto quel cielo che le era precluso divenire sempre più acceso e luminoso, fino a spegnersi in uno sconfinato mare d’azzurro. Lo aveva sfiorato con lo sguardo per ore, forse nel vano tentativo di assimilarsi a quello stesso colore che dimorava nei suoi occhi e abbandonare la tetra realtà a cui era condannata; con la mente tesa verso l’orizzonte si era illusa di poter lenire per un po’ quel sordo dolore che le torturava il petto, una stretta crudele sempre più pesante e insopportabile.
Presto la giovane serva che la accudiva era entrata con un vassoio pieno di cibo, ma Kysa non si era neanche voltata, troppo presa dalla sua sofferenza per avvertire i morsi della fame.
- Portalo via. - aveva mormorato senza nemmeno guardarlo.
Da un lato avrebbe voluto che quella ragazza rimanesse a farle compagnia, per distrarsi da quella nera disperazione a cui non riusciva più a sfuggire, ma, quando nei giorni scorsi aveva provato a parlarle, la serva si era limitata a sorridere e scuotere la testa, mostrandole che non le era permessa alcuna familiarità con lei.
Una volta uscita la giovane, il silenzio l’aveva avvolta di nuovo, tanto penetrante da insinuarsi in ogni angolo della sua mente, fino a quando quell’opprimente senso di isolamento era riuscito a soffocare ogni flebile speranza che ancora la sosteneva.
Aveva pianto in silenzio, lasciando che la sua disperazione prendesse il sopravvento su ogni altra emozione, mentre il familiare dolore al petto tornava a torturarla, ancora più insopportabile delle ore precedenti. E, una volta esaurite le lacrime, si era ritrovata distesa in quel letto dove presto avrebbe nuovamente lottato contro il suo carceriere, con un senso di vuoto tanto intenso da spingerla a desiderare la propria morte per porre fine alla sua paura e ricongiungersi infine a quella voce disperata che la chiamava da infiniti giorni.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi senza timori a quel senso di stordimento e torpore provocato dalla veglia e dal digiuno.
Forse, nei suoi sogni, avrebbe potuto per un breve attimo divenire parte di lei.
Ormai profondamente addormentata, non si svegliò quando un’alta presenza bionda entrò nella sua camera.
   
 
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