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Autore: Angorian    29/01/2011    18 recensioni
[Sospesa]
Ginny è da sempre innamorata di Harry. Eppure, tra sogno e incubo, è un'altra la voce che riempie i suoi pensieri..
"Ti attrae solo perché mi è simile”. Continuò, respirandole piano sul collo.
Lei strinse le labbra.
“No”.
Il ragazzo sorrise, consapevole del battito accelerato di lei.
“Nessuno ti conosce meglio di me, Ginny”. Soffiò."
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Tom O. Riddle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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11.
 
Il suono ovattato dell’acqua la circondava, facendole dimenticare per un attimo ansie e preoccupazioni.
C’era solo lei in quel mondo sommerso, fatto d’acqua e oli profumati, e sapone e bolle e calore.
Le sarebbe piaciuto restare per sempre lì, galleggiando laddove non esisteva un male da sconfiggere, decisioni da prendere, persone da ferire.
Quando era piccola restava ore nella vasca da bagno della Tana, temendo il momento in cui sua madre le avrebbe ordinato di uscire; la nuvola di vapore si sarebbe dissolta, e la sua pelle avrebbe perso il materno contatto dell’acqua, arrossandosi invece per lo sfregare insistente di una tela ruvida e asciutta.
Ma non era quella la parte peggiore, no.
Era il pettine che odiava, e le mani implacabili di sua madre sui suoi capelli, decise a sciogliere i nodi della sua chioma arruffata, impietose verso la sua cute dolorante.
A nulla valevano pianti o suppliche.
I nodi andavano sciolti, sempre.
Riemerse dall’acqua, assaporando con foga l’ossigeno a lungo bramato dai suoi polmoni avidi.
“Pensavo che saresti morta affogata”.
Ginny si avvicinò al bordo della grande vasca e si strofinò gli occhi irritati dal lungo contatto con la schiuma, ignorando il commento ironico.
Tom sedeva su uno spazio tra i lavandini di porcellana, la testa poggiata arrendevole sul grande specchio che percorreva l’intera parete del bagno.
Incredibile quanto tempo fosse passato dalla sua prima apparizione, proprio in quello stesso luogo; da quando lei, avventata undicenne, aveva aperto senza riserve il suo cuore ad un diario stregato.
Tom non era cambiato affatto da allora; intrappolato nel suo aspetto adolescenziale, era ancora lo stesso ragazzo che aveva visto emergere dalle pagine ingiallite di un oggetto vecchio di cinquant’anni.
“Non ho intenzione di suicidarmi”. Rispose lei, issandosi sulle braccia per uscire dall’acqua.
Tom voltò con garbo lo sguardo, per concederle intimità nel vestirsi.
Erano cambiate molte, troppe cose.
Entrambi avevano imparato a convivere, scambiandosi qualche commento di tanto in tanto, quando Ginny era sola.
Assuefatta alla sua costante vicinanza, aveva cominciato ad accorgersi delle piccole gentilezze che lui le concedeva, lasciandole spazio per quanto la loro condizione lo permettesse.
“Possiamo parlare, adesso?”. Chiese lui, giocando distrattamente con il cravattino Serpeverde.
Ginny terminò di vestirsi, prendendo tempo nell’infilarsi il vecchio maglione bitorzoluto che sua madre le aveva confezionato il Natale passato.
 
I nodi andavano sciolti, sempre.
 
Aveva temuto quella conversazione, il pettine che avrebbe messo ordine nei suoi pensieri, nel suo piano pericoloso e folle.
Con un sospiro si voltò verso di lui, pronta ad affrontare il suo sguardo indagatore.
“Sì, adesso sì”.
Erano passato giorni dal loro ultimo, fatale colloquio; le continue intromissioni da parte dei suoi amici, le frequenti uscite con Dean e le lezioni non avevano permesso loro di affrontare la spinosa questione che li riguardava entrambi: il corpo di Tom.
Ginny ne era stata contenta. Aveva avuto modo di pensare, riflettere, e si convinceva ogni giorno di più che poteva esservi solo una soluzione.
Era per questo che aveva chiesto al fratello la parola d’ordine del Bagno dei Prefetti, asserendo come scusa il bisogno di un momento di tranquillità dopo gli sfibranti allenamenti di Quidditch, e lui l’aveva accontentata senza porsi troppe domande.
La parte migliore di Ron.
“Possiamo trovare un modo per tornare liberi, entrambi”. Cominciò lui, cauto.
Aspettava da molto quella conversazione, Ginny lo sentiva nella sua voce forzatamente pacata.
“Quale?”.
Ginny prese la bacchetta dal cumulo di asciugamani e con un incantesimo si asciugò i capelli, guardandosi allo specchio.
La vicinanza di Tom non la spaventava più, sebbene una parte di lei, oscura e profonda, avrebbe desiderato avvicinarsi di più.
“Devo riottenere un corpo. Esiste una pozione… E’ complessa, pericolosa. Ma con la mia guida sarai in grado di eseguirla correttamente”.
Le emozioni di Tom traboccavano dai suoi occhi scuri.
“E sei sicuro che funzionerà?”. Chiese Ginny, sentendo la morsa della paura all’altezza dello stomaco.
“Ha già funzionato una volta”. La sua bocca si distese in un sorriso.
La morsa si fece più serrata.
“Non sono una brava pozionista”. Dichiarò, schietta.
Non che avesse bisogno di ricordarglielo; lui stesso non aveva mancato di farglielo notare, mentre ripuliva il calderone da una disgustosa poltiglia che avrebbe dovuto invece somigliare all’acqua.
“Non sarà un problema. Seguirai i miei ordini, e starai attenta a non sbagliare”. Rispose, serio.
“A proposito di questo, volevo aggiungere qualcosa”, ribatté lei, “non ci saranno trucchi questa volta. Avrai il mio aiuto perché io ho deciso di liberarmi di te. Niente controllo mentale, niente incubi”.
L’espressione di Tom si fece prima stupita, poi irritata.
“La tua insolenza è fuori luogo. Ti ho già assicurato che non esercito alcun controllo mentale su di te. Eseguirai i miei ordini, perché la tua incapacità non dev’essere un ostacolo”.
Sibilò le ultime parole con veemenza, e Ginny non osò controbattere.
Si era ficcata in un grosso guaio.
Ma poteva uscirne. Doveva.
Il nodo andava sciolto.
 
*
 
La prima questione da affrontare, furono gli ingredienti.
La lista che Tom aveva stilato era da capogiro, e nulla di quanto  serviva faceva parte della scorta privata di una studentessa del quinto anno.
Ma Tom non aveva battuto ciglio davanti ai suoi dubbi, e con impassibile tranquillità le aveva accennato alle scorte private di Lumacorno.
“E’ un vecchio sciocco, ma un abile pozionista”. Era stato il suo lapidario commento.
Penetrare nello studio del professore era stato terribilmente semplice; Ginny non aveva dovuto far altro che attendere una serata del Lumaclub.
Era stato sciocco temere di sbagliare l’ingrediente da trafugare, o di essere scoperta.
Tom l’aveva guidata per tutto il tempo, suggerendole persino alcune risposte alle domande del professore, che soddisfatto si era allontanato per rivolgere le sue attenzioni agli altri ospiti.
Con un sospiro di sollievo Ginny aveva seguito Tom, che con sicurezza le indicava le ampolle e i barattoli necessari.
Il secondo problema, riguardava il luogo dove Ginny avrebbe dovuto creare la pozione.
“La Stanza delle Necessità?”. Aveva chiesto, ma lui aveva scosso la testa con decisione.
“I tuoi amici entrano ed escono da quella Stanza come se fosse la loro Sala Comune. Serve un posto più discreto”. Replicò, senza nascondere la propria disapprovazione per l’uso che i Grifondoro avevano fatto della Stanza l’anno passato.
 “Ma allora, dove?”.
 
*
 
Il bagno del secondo piano era silenzioso e solitario, come sempre.
Lame di luce penetravano dalle alte vetrate delle finestre, riflesse dalla porcellana bianca dei lavandini.
Ginny stringeva a sé il calderone, mentre gli altri ingredienti erano stati frettolosamente riposti nella sua cartella.
Tom si fermò davanti ad un lavandino, identico agli altri nelle manopole d’ottone e nel rubinetto ossidato.
“Dovrai essere tu ad aprirla”. Disse, invitandola ad avvicinarsi.
La porta della Camera dei Segreti poteva essere aperta solo dall’ordine dell’Erede.
Ginny lo guardò spaventata.
“Non so parlare il serpentese”.
Ma lui la zittì con un gesto della mano.
“Ripeti quello che faccio. Cerca di essere convincente”.
Un lampo rosso brillò nelle sue iridi scure, mentre le belle labbra lasciavano sgorgare dalla gola un suono che Ginny avrebbe voluto non ricordare così bene.
Non aveva mai avuto occasione di ascoltare niente di più bello o di più terribile; il serpente che era in Tom, il crudele predatore, diveniva reale, tangibile in quel sibilo sinistro.
Ginny guardò il proprio riflesso nello specchio.
Erano passati quattro anni, ma si trovava di nuovo lì, come se in realtà non fosse passato nemmeno un giorno.
L’ennesimo errore, la stessa debole Ginny che aveva ceduto al fascino del suo nemico.
Non questa volta.
Aveva deciso di non essere la pedina di Tom Riddle.
Sarebbe stata coraggiosa, come Harry.
Un corpo puo’ essere colpito.
La pressione della bacchetta contro la sua tasca era rassicurante; Poteva farcela.
Imitò Tom, dapprima con scarsi risultati, me migliorando tentativo alla volta.
“Devi sentirlo sulle labbra. Il tuo respiro fra i denti”.
Si muoveva vicino a lei, fremente.
Le posò le dita sulle labbra, e anche se lei non poteva sentirne il peso, la sua vicinanza le mozzò il respiro.
“Riprova”, Ordinò, perentorio.
E lei riprovò.
 
*
 
Quando la Camera si aprì davanti a loro, Ginny ebbe un fremito.
Impressionante quanto i dettagli della Camera si fossero marchiati a fuoco nella sua memoria, indelebili all’azione corrosiva del tempo.
La galleria, le umide pareti di pietra, il pavimento ricoperto di pozzanghere d’acqua dai riflessi di smeraldo; L’imponente statua di Serpeverde che troneggiava nel silenzio interrotto solo da stille d’acqua che cadevano dal soffitto per infrangersi contro il pavimento di pietra.
Re indiscusso di quelle ombre.
Tom avanzò nella penombra, così come aveva fatto la prima volta che vi erano entrati insieme.
Sembrava che ogni cosa stesse tornando dalle polveri della memoria; ogni gesto, ogni sguardo di Tom era come lo era stato allora, trionfante.
E nel terrore che le intorpidiva la mente, Ginny pensò che questa volta non sarebbe sopravvissuta.
Il cereo volto di Tom si fece scuro, quando la sagoma della carcassa del basilisco fu davanti ai suoi occhi.
Un vecchio ricordo, una vecchia sconfitta.
“Avanti Ginny, qui andrà bene”.
Non c’era più tempo per rimuginare.
Ginny sistemò il caldeone sul pavimento, e con una bacchetta accese un fuoco per riscaldarlo.
Estrasse con cura gli ingredienti, prendendo tempo mentre la sua mente lavorava febbrile.
Vincere su Tom.
“Prendi la fiala alla tua destra. Versa il contenuto nel calderone, poi aggiungi le erbe che abbiamo preso a Lumacorno. Con delicatezza”.
Gli ordini di Tom erano chiari, le sue indicazioni precise.
Seguiva ogni movimento con occhi attenti, euforici; incredibile come riuscisse a controllare il suo entusiasmo, come modulasse la voce per non spaventarla.
Ginny eseguiva con attenzione, cercando di non far tremare la mano mentre mescolava la pozione.
“Adesso, Ginny, devi prendere un osso dal basilisco. Avanti”.
Fu disgustoso.
Il fetore del basilisco lo rendeva inavvicinabile, ma Ginny vinse la repulsione.
Con un incantesimo spezzò un osso al gigantesco serpente.
“Questa pozione  è una variante, ma funzionerà comunque”. Affermò, sicuro.
Ginny non aveva dubbi in proposito.
Tom riusciva maledettamente bene in ogni cosa che faceva; quella pozione avrebbe funzionato, lo sentiva nel ribollire placido del calderone.
“La carne di drago. Fa' attenzione, adesso dovrebbe cambiare colore”.
Ed il colore cambiò.
Il liquido ambrato era diventato grigiastro, lucente.
Ginny alzò lo sguardo verso di lui, in attesa.
Gli ingredienti erano terminati; le fiale erano vuote, riverse accanto a lei, rilucendo dei bagliori del fuoco sotto il calderone.
“Manca l’ultimo ingrediente”. Calda, carezzevole. La sua voce non aveva eguali.
“Ma non è rimasto più nulla”.
Tom la osservava.
“Ho pensato a lungo a quale usare. Quello di Potter è stato quello che mi ha tentato di più”, disse meditabondo, “ ma alla fine ho deciso che il tuo sarebbe andato bene”.
“Il mio cosa?”.
“Sangue. Il sangue di una settima figlia di una famiglia purosangue. La tua magia è forte, l’hai sentita scorrere tu stessa. Il sette non è il numero magico più potente?”.
Ginny si sentì sbiancare.
Tom le fu vicino, e le sfiorò con le dita immateriali il volto.
“Poche gocce. Basterà un coltello”.
Con dita tremanti Ginny afferrò il coltello.
Non sarebbe più potuta tornare indietro. Era andata troppo oltre.
Strinse la lama del coltello nel palmo della mano, e una ferità si aprì sulla sua pelle, mentre un lamento le sfuggiva dalle labbra strette.
Le lacrime calde di sangue gocciolarono sulla pozione, che immediatamente ne prese il colore: un rosso cupo, denso.
“Avanti Ginny. Finisci il lavoro”.
Con un singhiozzo sommesso immerse le mani nella pozione, inspiegabilmente tiepida.
Avvicinò le dita zuppe di quel liquido color sangue alla pelle di Tom, e la magia della mistura si compì.
Sotto le dita tremanti di Ginny il viso di Tom prendeva consistenza, e laddove lo sfiorava vi lasciava tracce di sangue, che spiccava tetro sulla sua carnagione chiara.
Con delicatezza Ginny percorse il corpo di Tom, fino a che la magia fu compiuta.
Tom Riddle aveva di nuovo un corpo.
La risata del mago si levò in una eco, sconvolgendo l’innaturale calma della Camera, i lineamenti stravolti in un’espressione estatica.
 
***
   
 
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