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Autore: RoseScorpius    29/01/2011    73 recensioni
Hermione Granger, nonostante i suoi quarant’anni, era ancora una bella donna. E per quanto schifo potesse farmi l’idea di mia madre che si rotolava su un letto con un uomo che non fosse mio padre (bhe, anche con lui… insomma, credo che a tutti i figli farebbe piacere credere alla storia della cicogna), avrei dovuto immaginare che dopo il divorzio non avrebbe preso un voto di castità. A volte capitava addirittura che mi parlasse dei tizi con cui usciva, e generalmente sopportavo l’idea di lei e un altro piuttosto bene, a patto che non portasse nessuno dei suoi ammiratori a casa. Dio, magari li portava comunque, ma come si dice, occhio non vede, cuore non duole. E figlia non s’incazza.
Di una cosa, comunque, ero sempre stata sicura: mia madre non si sarebbe mai risposata.
… E quando mai io avevo avuto ragione su qualcosa?

STORIA IN REVISIONE
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita è un biscotto ma se piove si scioglie' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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16

Chi ha detto che l'alcool fa male? 

 

Nel mondo c'è decisamente troppo pessimismo: sembra che la gente sia solo capace di vedere il bicchiere mezzo vuoto. E se è mezzo pieno deve per forza contenere alcool, cosa che in tal caso ti distruggerà il fegato, portandoti ad una morte precoce. O se non il fegato, potrà benissimo distruggerti la reputazione in una sera, se alzi un po' troppo il gomito. 

<< Non cercare di affogare i tuoi problemi nell'alcool: >> mi aveva detto Domi una sera, sollevando appena il capo dal tavolo su cui giaceva una bottiglia vuota di Whisky << fidati che sanno nuotare benissimo, mentre tu dimenticherai il salvagente e affogherai. >>

… Evidentemente sbagliare è una prerogativa di noi Weasley.

 

***

 

Lunedì 2 agosto, quando mamma e Draco ebbero finito il loro turno al Ministero, ci smaterializzammo nella piazzetta di una graziosa cittadina del Sussex. La villetta dei nonni era a qualche isolato di distanza, ma mamma aveva insistito per percorrere gli ultimi metri a piedi: il nonno era debole di cuore e per dirla tutta era anche parecchio paranoico. Ogni volta che sentiva il rumore di una materializzazione era convinto che dei ladri si fossero introdotti in casa dei vicini ed avessero sparato al signor Morlow. Di solito la cosa lo metteva di buon umore, ma poi cominciava ad agitarsi, dichiarava di non voler restare un secondo di più a rischiare la vita in un quartiere così pericoloso e correva in camera a fare le valige.

Mamma si lisciò le pieghe del vestito, con quella pignoleria quasi maniacale che assumeva quando era nervosa, e stritolò la mano di Draco nella sua.

<< Da questa parte. >> disse, tirandolo verso un'ampia strada, in leggera pendenza, che saliva verso il fianco di una collina. 

Forse sperava di camuffare l'uso improprio che stava facendo della mano di Draco, trattandola come se fosse una pallina antistress, con la scusa di guidarlo nella direzione giusta. In ogni caso feci del mio meglio per ignorare quel gesto e li seguii a debita distanza, affiancata da Scorpius. 

Draco metteva un piede dopo l'altro con una sorta di depressa rassegnazione, nella sua personale interpretazione di un innocente agnellino che si è spontaneamente offerto come vittima sacrificale. Mamma, al suo fianco, camminava nervosamente sui tacchi sottili, producendo un irritante suono da orologio spastico, ma allo stesso tempo si vedeva da come si stringeva all'ossigenato (c'è bisogno che dica “bleah”?) che era eccitata, forse addirittura felice, all'idea che lui avesse accettato di conoscere i suoi genitori. Sembrava credesse che Draco avrebbe potuto risponderle di no, quando, sbattendo le ciglia, gli aveva chiesto “amore, ci terrei tanto a presentarti ai miei, per te va bene?”.

È divertente vedere come il cervello della gente se ne vada a dare la caccia ai Ricciocorni Schiattosi, quando c'è di mezzo l'amore.” osservò Calvin. 

Se tu sei un prodotto della mia mente, sinceramente avrei preferito che anche il mio cervello se ne fosse andato a caccia di Ricciocorni Schiattosi.” lo zittii, irritata. Già in condizioni normali, sempre che vivere con due Malfoy e con un padre fantasma potesse essere definita una condizione “normale”, la mia sanità mentale era costantemente in pericolo. Se mi mettevo pure a dialogare con il mio cervello, potevo direttamente prenotare una stanza nel reparto psichiatrico del San Mungo.

O anche se Scorpius aveva intenzione di continuare a guardarmi con quei suoi stramaledetti, bellissimi occhi verdi. << Ci sarà anche tuo fratello? >> chiese, quando i nostri sguardi si incrociarono. 

Chissà da quanto mi stava guardando...

Chissà perché me ne importava tanto, visto che a lui piaceva mia cugina.

Scacciai quei pensieri e lasciai che le mie labbra si aprissero in un ghigno crudele al pensiero di quello che aspettava Draco a casa dei nonni. << È già là... a prepararci un'adeguata accoglienza... >>

Scorpius inarcò un sopracciglio. << Devo preoccuparmi? >>

Il mio ghignò si allargò a dismisura, e feci scorrere uno sguardo molto eloquente sulla schiena di Draco. << Tu no. >> 

Cinque minuti dopo ci trovavamo davanti alla porta di una tranquilla villetta a due piani, sul cui citofono spiccava un'etichetta un po' storta, attaccata alla meno peggio con del nastro adesivo, su cui era stato scritto in pennarello “Wilkins”. 

Draco lanciò un'occhiata speranzosa a mamma. << Sei sicura che sia la casa giusta? >> chiese << Potrebbero aver traslocato... >> 

Mamma sorrise, e scosse la testa. << È la casa giusta, ne sono sicura. >> poi, mordendosi le labbra con aria vagamente imbarazzata, aggiunse << Ehm... a proposito... se mio padre dice di chiamarsi Wendell... non farci caso... >> 

L'espressione di Draco parlava da sola: “Babbano e pure pazzo... ditemi che è un incubo...”

Sogghignai, e premetti il dito sul tasto del citofono. Il nonno non si era mai ripreso completamente dall'incantesimo di memoria che mamma gli aveva lanciato durante la guerra: ogni tanto si convinceva di essere Wendell Wilkins e metteva su un dramma perché non sopportava il clima inglese ed il signor Morlow, e voleva tornare in Australia. Doveva aver attaccato l'etichetta al citofono in uno dei suoi momenti “Wilkins” – come li chiamava la nonna – che ormai, a ottant'anni, erano molto più frequenti dei momenti Granger. 

Avevo sempre avuto un legame speciale con il nonno: era stato lui a proporre ai miei genitori di mandarmi a fare Karate per sfogare la mia esuberanza, e per i primi anni era sempre stato lui ad accompagnarmi e venirmi a prendere in palestra. Ricordo che dopo ogni allenamento mi prendeva in disparte e mi chiedeva che progressi avessi fatto, e poi diceva “bene, bene, presto diventerai una vera guerriera ninja, e potrò affidarti una missione super segreta: smascherare il signor Morlow e farlo arrestare”. Da quando lo raccontai a mamma, il nonno non mi accompagnò mai più agli allenamenti.

La porta della villetta si spalancò di scatto e la faccia di Hugo fece capolino dalla soglia, con un sorriso zuccheroso che probabilmente avrebbe fatto venire una paralisi facciale a lui, e il diabete agli altri presenti.

<< Ciao. >> disse, con una vocina infantile assolutamente irritante. 

Dovetti mordermi la lingua per non scoppiare a ridere. Draco invece non ebbe l'autocontrollo necessario a fare lo stesso con la sua, e sbottò. << Cosa ci fai tu qua? >>

Il sorriso di Hugo non s'incrinò minimamente, anzi, se possibile si fece ancora più inquietante. << Bhe, mi sembra ovvio: volevo conoscerti. Rose mi ha parlato tanto bene di te... >>

Il naso di Draco si arricciò a tal punto che arrivò quasi a sfiorargli le labbra contratte in una smorfia. << Mi risulta difficile crederci. >> 

Anche a me.” 

Mamma seguiva la scena in silenzio e, a giudicare dalla sua espressione, sembrava intenzionata a trascinare papà in tribunale e ritrattare sull'affidamento dei figli, portando la pazzia di Hugo come prova della sua inadeguatezza a fare il padre.

Hugo dal canto suo diede un'ulteriore prova della sua malattia mentale annuendo con vigore. << Sul serio! E poi... bhe, in pratica adesso sono tuo figlio anch'io, e pensavo che ti facesse piacere conoscermi... >>

Gli occhi di Draco saettarono velocemente verso mia madre, per poi tornare a posarsi su mio fratello, più freddi di una lastra di ghiaccio. << Naturalmente... >> sibilò, masticando ogni lettera con disgusto.

Gli occhi di Hugo si animarono di pura gioia. O perlomeno, di pura e convincentissima finta gioia. << Ti dispiace se ti chiamo zio? >> chiese. Draco, più che dispiaciuto, sembrava semplicemente orripilato, ma Hugo non gli diede il tempo di rispondere e continuò. << Perché sai, papà mi sembra un po' eccessivo: in fondo tu non potresti mai essere figo come mio padre, senza offesa naturalmente... e patrigno è davvero brutto: insomma, dopo sembrerebbe che tu sia un bastardo che odia i figliastri e vuole solo portarsi a letto la madre... >> 

Ovvero: come dire a uno stronzo che è uno stronzo facendolo passare per un complimento – capitolo primo. 

Il volto allungato dell'ossigenato si storse in una smorfia schifata da manuale. << Non potresti semplicemente chiamarmi Draco? >> propose. 

Hugo gli rivolse un sorrisino innocente, e scosse la testa. << Oh, no, Draco è un nome davvero troppo tetro... sa, non so, da Mangiamorte... >> la faccia di Draco, a quel punto, era semplicemente impagabile: sembrava che qualcuno gli avesse appena gettato una palata di cacca di drago in testa. 

<< Che ne dici di signor Malfoy, allora? >> sibilò, con un'espressione feroce che se non da Mangiamorte, era sicuramente da assassino. 

<< Oh, no, zio. >> rispose il mio geniale fratellino, affabile << Dopo sembra che tu mi sia superiore, invece in famiglia si è tutti pari. Zio invece è proprio perfetto. >>

Decisi che a quel punto era arrivato il momento di prendere parte attivamente alla conversazione, e presi Draco a braccetto, pronta a sferrare il colpo fatale al suo orgoglio. << Allora andiamo, zio? >> chiesi, sfoderando la mia migliore vocetta da bambina rompipalle << Perché non ti dà fastidio se ti chiamo zio anch'io, vero? È che mi piace tanto l'idea che tu sia mio zio, come lo zio Harry, o lo zio George... >> Gli addominali di Draco si contrassero di scatto, come se sentirsi paragonato a Harry e George gli avesse provocato un improvviso bisogno di vomitare. Sorrisi, angelica, e lo trascinai con forza dentro casa. << Avanti, zio, non fare il timido: i nonni sono felicissimi di conoscerti! >> 

Qualcosa nel modo in cui Draco serrò la mascella suggerì che lui non era altrettanto felice di conoscere loro, ma se anche aveva intenzione di mandarmi a farmi friggere e fuggire in un paese del terzo mondo non ne ebbe il tempo, perché in quel momento nonna Jean comparve in corridoio, con un sorriso cortese. 

<< Ciao, Rose. >> disse. Poi, posando gli occhi sull'ossigenato, aggiunse. << Benvenuto... Draco. Scusate se non vi ho accolti come si deve, ma siete arrivati proprio mentre stavo togliendo il pasticcio dal forno. >> la sua voce, gentile come al solito, era caratterizzata da una cadenza quasi musicale che la rendeva piacevole, ma non sciocca. I suoi occhi castani ci stavano squadrando attentamente, con quell'intelligenza un po' imbarazzante, che mi faceva sempre sentire nuda. 

Anche Draco doveva sentirsi parecchio a disagio, perché la sua smorfia schifata scomparve all'istante, per lasciare il posto ad un'espressione vagamente sorpresa, e quasi intimorita. Non doveva essersi aspettato che Jean assomigliasse così tanto a mia madre: si vedeva che le due donne erano parenti, anche se i lineamenti della nonna erano più austeri. Eppure la cosa che le rendeva davvero simili era la luce intelligente che animava i loro occhi. 

Draco si schiarì la voce, nervosamente. << Ehm... signora Granger... >>

<< Jean. >> rispose lei, con un tono asciutto, ma non scortese. Gli tese la mano e la strinse tra le sue per un paio di brevi secondi, studiandolo in silenzio. Non sapevo fino a che punto nonna approvasse la relazione tra mamma e Draco: quel poco che sapeva del nuovo uomo di sua figlia risaliva a quando mamma era una ragazzina, e si lamentava della sua prepotenza durante le vacanze estive.

Mi ritrovai a sperare ardentemente che picchiasse Draco con un mattarello, e gli intimasse di stare lontano da sua figlia. Ma nonna Jean si limitò a sorridergli con una cortesia un po' fredda, e ci fece strada verso la sala da pranzo. 

<< Venite. >> 

Draco si liberò piuttosto bruscamente dalla mia presa, e seguì la nonna con uno stitico sorriso di circostanza. Sentirsi valutato da una donna che avrebbe avuto tutti i motivi per detestarlo non doveva piacergli molto, soprattutto se la suddetta donna era la madre della strega con sui faceva cose che non volevo sapere. 

Mi voltai, chiedendomi dove diavolo avesse deciso di cacciarsi Hugo quando avevamo una relazione da mandare a monte, ma poi scorsi la sagoma di due figure abbracciate oltre i vetri smerigliati della porta d'ingresso, rimasta socchiusa, e decisi che il nostro diabolico piano poteva aspettare. 

 

***

 

Mezz'ora dopo, comunque, io e Hugo ci stavamo dando dentro per recuperare il tempo perso. 

<< Zio, mi verseresti l'acqua, per favore? >> trillai, porgendogli il bicchiere vuoto con la mano che non era impegnata a stringergli il braccio. 

La mascella di Draco si contrasse così tanto che potei sentire i suoi denti stridere gli uni sugli altri, ma incredibilmente l'uomo Barbie riuscì a mantenere una convincente parvenza di autocontrollo. << Certo, Rose. >> rispose, sputando ogni sillaba fuori dalle labbra serrate come se fosse stata un sorso di puzzalinfa, mentre mi riempiva il bicchiere. 

Sbattei le ciglia, scoccandogli uno sguardo da dodicenne in overdose di ormoni davanti al poster del suo cantante preferito. << Grazie, zietto. >>

<< Zio, verseresti l'acqua anche a me, per piacere? >> intervenne Hugo, sventolandogli sotto il naso il bicchiere che, contenendo già una discreta dose di liquido, ne schizzò gran parte sul naso arricciato di Draco. 

L'ossigenato inspirò profondamente, e potei quasi sentirlo sibilare “niente omicidi, Draco, niente omicidi” attraverso le labbra serrate. << Il tuo bicchiere è già mezzo pieno, Hugo. >> gli fece notare, con il sorriso di uno che non va in bagno da tre giorni costretto a fare “cheese” davanti a una macchina fotografica.

<< O anche mezzo vuoto. >> lo corresse Hugo. Poi, mettendo su una faccina tremendamente avvilita, aggiunse. << Ecco, vedi, zio? Tu vuoi più bene a Rose. Di me non te ne importa niente: a lei l'acqua l'hai versata, e a me no. Perché? Sono così antipatico? >>

Lo sguardo che nonna Jean lanciò a Draco fu abbastanza eloquente da convincerlo a riempire il bicchiere di Hugo fino all'orlo. Ovviamente nonna Jean aveva capito cosa avessimo in mente io e il mio adorato fratellino (e a giudicare dalla sua espressione da “dopo facciamo i conti” lo aveva capito anche mamma), e sembrava che ci stesse appoggiando, seppure nel suo modo discreto e mai apertamente schierato. Nonno Wendell invece era troppo impegnato a sezionare il suo pasticcio ed inveire a mezza voce contro il signor Morlow per accorgersi di quello che succedeva attorno alla tavola.

Sorrisi sotto i baffi e appoggiai la testa alla spalla di Draco, sebbene lui non fosse l'unico ad essere estremamente schifato da quel gesto. << Zio, ma comunque vuoi più bene a me che a Hugo, vero? >> chiesi, sbattendo languidamente le ciglia. 

Il corpo di Draco era duro come un pezzo di roccia. Con la differenza che probabilmente un pezzo di roccia non mi avrebbe guardata con aria così palesemente orripilata. 

<< Ehm... io... >>

<< Vero, zio? >> insistetti, appendendomi al suo braccio con più forza. 

La faccia di Draco, a quel punto, era qualcosa di assolutamente stupendo: sembrava che, dopo essersi lasciato convincere dal suo migliore amico a mettersi a novanta, senza sospettare nulla, avesse finalmente scoperto dove stava la fregatura, e anche su quale sponda stava il suo amico. 

E in effetti c'era da dire che lo avevo fregato egregiamente: da un lato avevo l'impressione che detestasse Hugo ancora più di me, ma naturalmente da qui a dire che mi voleva più bene che a mio fratello ne passava, e d'altro canto anche i figli unici sanno che fare favoritismi tra fratelli, soprattutto da parte di genitori o pseudo tali, è assolutamente vietato. Ma se non avesse risposto, o se la sua risposta non mi avesse soddisfatta (cosa alquanto probabile, visti i punti precedentemente spiegati) gli avrei trapanato palle e timpani per tutto il pranzo. E nella remota eventualità che rispondesse che sì, voleva più bene a me che a Hugo, ci avrebbe ben pensato lui a farlo pentire di quella risposta.

Draco lanciò uno sguardo disperato a mamma, ma lei, impegnata com'era a bestemmiarmi dietro con gli occhi, non se ne accorse nemmeno. Rassegnato alla prospettiva della sua morte precoce, Draco balbettò << Ehm... io... io voglio bene a tutti e due, Rose. >>

Perché non l'ho registrato?” 

Avrei potuto ricattarlo per mesi con una prova del genere.

<< Ma devi volere più bene a uno di noi. >> intervenne Hugo, strattonandogli il braccio come un bambino che cerca di convincere il padre a fargli aprire i regali di Natale alla vigila << Anche solo un pochino... allora, chi ti sta più simpatico? >>

Se Draco fosse stato un cadavere sarebbe stato meno pallido. << No, io davvero... >>

<< Dai, ziooo! >> piagnucolai.

<< Se non rispondi vuol dire che non vuoi bene a nessuno dei due. >> incalzò Hugo.

<< Avanti, devi volere più bene a uno di... >>

<< VADO IN BAGNO. >> ruggì Draco e si alzò di scatto, liberandosi dalle nostre prese con uno strattone secco. 

Uscì dalla sala da pranzo con un invidiabile contegno aristocratico, e la sua sarebbe stata davvero un'uscita trionfale, se, quando ebbe imboccato il corridoio, la nonna non avesse detto << Il bagno è dall'altra parte. >>

Il conseguente, improbabile attacco di tosse che colse me e Hugo ci impedì di sentire la risposta borbottata di Draco, che cambiò direzione con il naso in aria e sparì in bagno sbattendosi la porta alle spalle. Nonno Wendell sobbalzò, e fece cadere a terra la forchetta. 

<< Cos'è stato?! >> esclamò, guardandosi attorno freneticamente. Poi, realizzato che la casa non gli era ancora crollata in testa, afferrò il cucchiaio e prese a sezionare il pasticcio con quello, brontolando << Spero che sia stato uno dei maledetti gerani di Morlow... spero che sia caduto dal terrazzo e gli abbia spaccato quella maledetta testa calva in due. >> 

Scorpius mi lanciò un'occhiata dubbiosa, con l'aria di chi vorrebbe credere che ciò che ha appena sentito è una battuta, ma non ne è così convinto. Nonna Jean e mamma si scambiarono uno sguardo vagamente esasperato, poi ripresero a mangiare i loro pasticci facendo finta di niente. Nonno Wendell però non aveva bisogno di un'audience attenta per continuare a sparlare del signor Morlow: di solito si accontentava di avere una tazzina da caffé come spettatrice. 

<< Ogni mattina alle sette e mezza, quando vado in bagno per fare pipì, è sempre in terrazzo ad innaffiare i maledetti gerani con quel suo maledetto innaffiatoio verde... e mi fa sempre ciao con la mano, vecchio idiota... >>

Mi morsi le labbra per non ridacchiare: avevo incontrato il signor Morlow in un paio di occasioni, e mi era sembrato una persona cortese e di buone maniere. Dal giorno in cui ci aveva regalato una crostata alle more di sua moglie, poi, avevo cominciato a trovarlo decisamente simpatico. Ma il nonno era sempre stato convinto che nascondesse cadaveri sciolti in acido muriatico in cantina, e più il signor Morlow era gentile con lui, più il nonno lo odiava. Una volta, una decina di anni prima, nonno Wendell aveva passato un paio di notti in prigione per essere strisciato nel suo giardino ed aver tentato di aggredirlo con una mazza da cricket.

<< Se non ci fossimo trasferiti, non avremmo come vicino un vecchio criminale... >> grugnì il nonno, spiaccicando un pezzo di carne particolarmente grosso con il dorso del cucchiaio << L'ho sempre detto io che dovevamo restare in Australia... Monica, mi potresti versare del vino? >>

Nonna Jean alzò gli occhi al cielo e gli riempì il bicchiere. << Jean, caro. >>

Il nonno annuì, con aria distratta. << Sì, certo, Monica. >>

 

***

 

Martedì pomeriggio, dopo aver sorriso ed annuito per tutta la durata dell'edificante ramanzina di mamma, decisi che ero stufa di lei e delle occhiate assassine di Draco, e me ne andai a trovare James al negozio di elettronica. Quando arrivai alla cassa, però, una commessa bruna mi disse che non si era sentito molto bene ed era dovuto andare in bagno. Mi feci indicare la porta che dava sul bagno e vi entrai, chiedendomi quale Merendina Marinara avesse ingerito il genio. Qualunque cosa fosse – conclusi – doveva essere roba forte, perché James se ne stava in piedi davanti allo specchio, con il bottone dei jeans aperto e una mano appoggiata sulla cerniera, come se non si decidesse a tirarla giù. Ma, sorvolando sulle sue scoperte anatomiche tardo-adolescenziali del tipo “ehi, ma le ragazze questo non ce l'hanno!”, quello che mi stupì di più fu il suo abbigliamento: James era sempre stato un simpatizzante rapper troppo pigro per fare il rapper sul serio, figurarsi per mettersi addosso qualcosa di anche solo vagamente decente, mentre adesso portava un vistoso brillante all'orecchio sinistro e indossava una camicia rosa pallido a maniche corte sopra ad un paio di jeans blu scuro, stretti e dall'aria decisamente costosa. Il tutto completato da un piccolo crocifisso d'oro che spiccava tra i primi bottoni aperti della camicia e che, assieme ai capelli neri tirati su con il gel e alla pelle olivastra, dava il tocco finale alla sua immagine da fighetto.

Questo non può essere mio cugino...

<< Ehm... James, stai... bene? >> chiesi, assai poco convinta.

James sobbalzò e si affrettò ad allontanare la mano dalla lampo dei jeans. << Oh... ehm... Rose... sì, certo che sto bene. >> borbottò, voltandosi verso lo specchio per sistemarsi una ciocca di capelli sulla fronte.

Ok, non sta bene.” 

Mio cugino non sapeva nemmeno cosa fosse uno specchio.

<< Comunque >> aggiunse l'alieno nel corpo di mio cugino << domani sera c'è una festa in un locale molto esclusivo di Londra e sono riuscito a... cioè, Dominique è riuscita ad avere dei biglietti. Quindi passeremo a prendere te e Scorpius verso le otto, cerca di vestirti in modo adatto... sai, è una cosa molto chic... >>

Il modo in cui accompagnò le ultime parole con un gesto molto poco virile della mano mi convinse definitivamente che quel bizzarro essere in camicia rosa non poteva essere mio cugino. Forse James era stato posseduto da Lorcan Scamandro: questo avrebbe spiegato la camicia rosa e le movenze tendenti al gay, ma non il tono autoritario né tantomeno il fatto che non mi avesse ancora chiamata tesoro e non mi avesse carezzato i capelli. 

<< James, sei sicuro di stare be... >>

<< Si, sto benissimo. >> mi interruppe, con fare brusco << Ora vai, devo lavorare. >> e mi cacciò senza tanti complimenti. 

Decisamente, quello non era James. E se era James, si era fumato i pochi neuroni che aveva conditi con qualche strana erba.

 

***

 

Mercoledì sera io, Scorpius, James e Domi eravamo in fila davanti ad un locale sulla cui facciata campeggiava l'inquietante insegna “Vuolez vous coucher avec moi?”. James sembrava essersi ravuto dall'effetto delle droghe che aveva assunto, e indossava il solito paio di jeans larghi e la solita maglietta sbiadita dei Cannoni di Chudley. Domi non aveva particolarmente apprezzato la sua scelta di vestiario, ed aveva passato gli ultimi venti minuti a metterci al corrente dei suoi pensieri riguardo “quella maglia inguardabile”. Io, invece, con un vestitino nero al ginocchio sottratto al guardaroba di mamma e un paio di decolletté nere che avevano come dichiarato proposito uccidermi, avevo passato l'esame. Anche Scorpius era stato promosso, e avrei ben voluto vedere con che coraggio Domi lo avrebbe bocciato, se indossava quei pantaloni bianchi che gli ricalcavano il sedere alla perfezione.

<< James, sei un cretino, lasciatelo dire. >> la voce irritata di Domi interruppe bruscamente le mie riflessioni sul lato B di un certo biondino a me fin troppo noto, riportandomi nella strada buia in cui si snodava la fila.

<< Sì, sono diciassette anni che me lo lascio dire. >> borbottò lui, poi come al solito tacque e se lo lasciò dire per la milionesima volta.

Domi roteò gli occhi e lo prese a braccetto per trascinarlo nello spazio che si era creato fra noi ed il resto della fila. << E fra un anno saranno diciotto. >>

Io e Scorpius ci ritrovammo soli, fianco a fianco, e ci scambiammo un'occhiata vagamente imbarazzata. Arrossii sotto i chili di fondotinta che mi ero spalmata in faccia nel tentativo di nascondere un brufolo che spiccava beffardo sul mento, e distolsi lo sguardo.

Sembrava tanto un'uscita a coppie, se non fosse stato che io e Scorpius (e per quanto la cosa mi ripugni credo che aggiungerò un “purtroppo”) non eravamo una coppia, e nemmeno Domi e James (e qui mi sento in dovere di mettere un “grazie al cielo”) lo erano.

Mi affrettai a scacciare quei pensieri dalla mente, prima che potessero aizzare Calvin, e lanciai uno sguardo annoiato all'orologio del cellulare: erano da poco passate le nove, e ciò significava che eravamo in fila dalla bellezza di quarantacinque minuti.

Maledetta Dominique e il suo locale esclusivo.

<< Domi, credi che ci faranno entrare prima di mezzanotte? >> chiesi, irritata: quarantacinque minuti su dei tacchi otto non avevano giovato particolarmente al mio umore, né tantomeno al benessere dei miei piedi. 

Domi sbuffò, e mi lanciò un'occhiata di rimprovero. << Ringrazia che sono riuscita ad avere i biglietti, Rose. Entrare qua dentro è praticamente impo... >>

Improvvisamente le sue labbra smisero di collaborare e si spalancarono, interrompendo la frase, mentre tutti e quattro voltavamo il capo per seguire con lo sguardo un tappetto dai disordinati capelli neri, che superava la fila con invidiabile nonchalance, esibendo un tesserino rosso. 

<< A-Albus? >> balbettò Domi, sbattendo le ciglia. 

Il tappetto in questione si voltò, concedendoci la vista di due brillanti occhi verde smeraldo, accompagnati da un ghigno alquanto serpentesco. << Ave, cugini. >>

Domi dovette aprire e richiudere le labbra un paio di volte prima riuscire a mettere assieme una frase di senso compiuto. << Dove stai andando? >>

<< Nello stesso posto in cui state andando voi, suppongo. >> rispose, accennando con il capo all'insegna luminosa del locale. 

Domi non sembrò prenderla bene. << E perché non sei in fila come tutti? >> indagò, stringendo gli occhi come se lo stesse accusando di omicidio. 

Il sorrisetto soddisfatto che comparve sul viso di Al mi fece supporre che per tutta la conversazione non avesse aspettato altro che quella domanda. Il modo in cui ci passò sotto il naso il tesserino rosso, facendolo roteare tra le dita, poi, non mi lasciò più dubbi. << Perché si dà il caso che non tutti conoscano la figlia del proprietario del locale. >> rispose, con una vena di perfidia. Poi si posò una mano sul mento, fingendosi pensoso, e mormorò tra sé e sé. << In effetti potrei anche farvi saltare la fila... ma se non avete pensato di invitare anche me evidentemente vi divertite di più da soli... >> ci rivolse il sorriso di scuse più falso che avessi mai visto, e si avviò verso un buttafuori che aveva aperto una porta laterale per farlo entrare << Bhe, ci si vede dentro, gente... sempre che riusciate a entrare prima dell'ora di chiusura. >> soggiunse, indirizzandoci un occhiolino beffardo. 

Ora ricordo perché lo hanno smistato a Serpeverde.” pensai, mentre decidevo che se fossimo rimasti impalati là fuori ancora per molto lo avrei preso a calci nel sedere da lì fino a casa per riattivarmi la circolazione nei piedi. 

James digrignò i denti. << Stronzetto... >> 

Scorpius si passò una mano tra i capelli nervosamente, con l'aria di chi sta seriamente chiedendo come diavolo si è fatto certe amicizie, e borbottò qualcosa che assomigliava molto a un “perché devo sempre finire in mezzo alle vostre faide familiari?”.

Domi era semplicemente troppo offesa ed incavolata per far uscire un qualsivoglia suono dalle sue labbra rosso fuoco. 

Quando, mezz'ora dopo, riuscimmo finalmente ad entrare nel locale, scorgemmo Al su uno dei divanetti della zona VIP, con il braccio avvolto attorno alle spalle di una ragazzina che poteva avere si e no tredici anni. 

<< Al sta diventando sempre più pedofilo. >> commentai, schifata. 

James scrollò le spalle. << Dimostra dieci anni e mezzo, è già fortunato che le dodicenni se lo filino. >>

Scossi la testa e mi avviai verso il bancone del bar, cercando di non pensare troppo a cosa avrebbe combinato mio cugino con la bimbetta: Al era sempre stato un tipo tutto “peace and love”, ma non aveva mai inteso l'amore in senso particolarmente platonico. A volte pareva che avesse rubato anche la parte di “savoir faire” con l'altro sesso che sarebbe spettata a suo fratello.

Mi sedetti su uno sgabello davanti all'affollato bancone del bar, e presto gli altri mi raggiunsero. Scorpius mi si sedette accanto con l'aria comprensibilmente frastornata di chi è passato da Beethoven alla più infima musica house, e si sta chiedendo cosa può mai aver fatto per meritarlo. In effetti non mi era del tutto chiaro l'arcano motivo per cui aveva accettato di accompagnarmi in discoteca, astenendosi anche dal farmi notare che un postaccio del genere non era nemmeno lontanamente all'altezza del suo illustre cognome. E a ben pensarci non mi era neppure chiaro come mai io avessi deciso di andarci: non avevo mai avuto un gran rapporto con le feste di quel genere. 

James, accanto a me, ordinò una Guinness e Domi gli fece prontamente eco con il nome di un cocktail tanto lungo quanto doveva essere alto il suo tasso alcolico. Io non avevo una gran voglia di riempirmi il fegato di alcool, onestamente, ma l'esperienza che avevo in materia mi evitò la figuraccia che invece toccò a Scorpius, quando tentò di ordinare un bicchiere di acqua naturale. Il barista dovette girarsi dall'altra parte per non ridergli in faccia, e quando tornò a voltarsi verso di noi gli stava porgendo un bicchiere colmo di un liquido trasparente. 

<< Ecco la tua acqua, piccolo. >> sghignazzò. 

Scorpius ringraziò e prese il bicchiere senza scomporsi, ignorando l'ilarità del barista con invidiabile freddezza. L'uomo, però, rimase impalato a fissarlo: forse voleva fotografarlo mentre beveva la sua acqua naturale in discoteca. Scorpius fece finta di niente e si portò il bicchiere alle labbra, tracannando un lungo sorso. Avrebbe avuto una classe davvero sopraffina, se a metà del sorso non si fosse staccato dal bicchiere tossendo e sputacchiando.

<< Questa... non è... acqua... >> boccheggiò, e dovette asciugarsi le lacrime che la bevanda gli aveva fatto salire agli occhi, scatenando un attacco di risate sguaiate del barista.

Ero indecisa se deprimermi per l'assoluta sfigataggine del ragazzo che mi piaceva o se prendere a calci il barista. Calvin propose di prendere a calci il barista e poi rimediare alla sfigataggine di Scorp facendogli mandare a memoria tutto il kamasutra... e offrendomi come cavia, naturalmente. La prospettiva mi allettava parecchio, ma mi costrinsi a metterlo a tacere, mentre Domi assaggiava il contenuto del bicchiere di Scorpius, lasciando un'impronta di rossetto sul vetro. 

<< Certo che non è acqua >> sentenziò, a metà tra l'esasperato e il divertito << è Vodka. >>

Scorpius parve sul punto di replicare, ma all'arrivo del barista decise di chiudersi in un silenzio ostile. L'uomo lo ignorò e ci posò davanti le nostre bibite. Presi il cocktail rosato che avevo ordinato tanto per non fare la figura dell'astemia, come Scorpius, e lo assaggiai con la prudenza consigliabile nei confronti di qualsiasi cosa ti venga offerta in una discoteca. James invece si attaccò al collo della sua bottiglia senza farsi problemi, mentre Domi buttò giù il suo cocktail come se fosse stato un bicchiere di tè freddo. 

A quel punto Scorpius dovette ritenere la sua posizione alquanto imbarazzante, perché decise di buttare giù la sua Vodka in piccoli sorsi, facendo del suo meglio per nascondere l'espressione schifata che gli si dipingeva sul volto ogni volta che deglutiva. 

Avrei dovuto trovarlo terribilmente sfigato, lo so. Ma non ci riuscivo. O forse la situazione era ancora peggiore di quanto pensassi, e mi piaceva perché era uno sfigatello bibliofilo pianista. 

Mi affrettai a ordinare un secondo cocktail: almeno avrei potuto attribuire le mie idee balzane all'alcool. 

<< Uno anche per me, grazie. >> si aggiunse Domi, sventolando la mano in direzione del barista << E uno per lui. >> completò indicando Scorpius. 

Il biondastro provò a protestare, ma Domi non gli lasciò nemmeno il tempo di aprir bocca. << La tua dignità non è l'unica che metteresti in imbarazzo, facendo l'astemio. >> sibilò. 

James roteò gli occhi e lanciò uno sguardo di compassione a Scorpius. << Ignorala, se non rompe a qualcuno non è contenta. >>

<< Senti da qual pulpito viene la predica. >> soffiò lei, irritata. << Potresti almeno invitarmi a ballare, no? >> soggiunse. Per un attimo mi parve che sotto il suo tono autoritario avesse fatto capolino una vena di timorosa speranza, ma attribuii quella sensazione al cocktail ambrato: Domi non sperava che la gente ballasse con lei. Domi concedeva, rifiutava o al massimo incoraggiava un pretendente troppo timido con un occhiolino seducente. 

James posò la bottiglia vuota sul bancone, e lanciò un'occhiata vagamente schifata alla pista da ballo, gremita di gente che strillava, si dimenava, amoreggiava in modo più o meno spinto e vomitava. << Non so ballare. >> grugnì, e si voltò per ordinare una seconda birra. 

Domi sembrò seriamente sul punto di ucciderlo, ma fu interrotta da un ragazzo muscoloso, che le chiese di ballare. Non era particolarmente carino per i suoi standard, ma Domi si alzò di scatto, quasi saltando, e si affrettò a salutarci con un sorrisino vendicativo che le increspava le labbra. 

<< Io vado con qualcuno che sappia ballare. >> lanciò uno sguardo astioso a James << A dopo. >>

E con quelle parole se ne andò, lasciandoci in un silenzio imbarazzato. James, tanto per cambiare, si attaccò alla bottiglia. Scorpius si rigirò il bicchiere vuoto del cocktail tra le mani, sbattendo le ciglia come se stesse cercando di mettere a fuoco un oggetto molto lontano. Io ordinai il terzo cocktail. Scorpius parve punto nel vivo del suo orgoglio di “maschio dominante” e chiese ad un incredulo barista la bibita dagli ingredienti più inquietanti che comparisse sulla lista, aggiungendo che avrebbe gradito che raddoppiasse la dose di rum.

Evitai di commentare mentre Scorpius tracannava il suo rum corretto con altro alcool, fingeva di chinarsi ad allacciare le scarpe per nascondere le furiose proteste della sua gola e batteva la testa sul bancone nel tentativo di rialzarsi. 

Sorseggiai il mio cocktail, mentre Scorpius ne ordinava un quarto biascicando una considerevole quantità di cazzate, e decisi che a quel punto avevo più possibilità di avere una conversazione intelligente con James. Ragion per cui lo costrinsi a scollarsi dalla sua birra, e chiesi. << Si può sapere cosa avevi ieri pomeriggio? >>

James mi rivolse uno sguardo talmente confuso che mi chiesi se anche lui non fosse mezzo ubriaco. << Ieri pomeriggio quando? >>

Gli effetti delle droghe che aveva assunto non erano ancora del tutto spariti, evidentemente. Alzai gli occhi al cielo, e presi un sorso dal mio bicchiere. << Quando sono venuta a trovarti in negozio, non ti ricordi? >>

James si grattò la nuca, lanciando un'occhiata nervosa alla pista da ballo, dove Domi si stava strusciando senza ritegno addosso al ragazzo. << Ieri pomeriggio ero a casa a guardare una partita del Bayern Monaco. >> grugnì << Era il turno di Domi per sostituirmi al negozio. >>

E perché non mi ha detto niente?

L'immagine di James/Dominique immobile davanti allo specchio, con una mano appoggiata con indecisione sulla lampo dei pantaloni, mi attraversò nuovamente il cervello. 

Forse doveva andare in bagno ma non se la sentiva di calarsi le mutande...” mi dissi. 

Tua cugina ha un uccello tra le gambe quasi per più tempo di quanto ce lo abbiano i maschi.” mi fece notare Calvin.

Aprii e richiusi la bocca come un simpatico pesce rosso in una simpatica boccia, ma James mi sollevò dall'imbarazzo di trovare qualcosa da dire prendendo la parola. << Dovevo portarla a ballare? >> chiese, scrutando la pista da ballo con aria accigliata. 

Mi strinsi nelle spalle. << Avrebbe trovato una scusa per offendersi in ogni caso. >>

James annuì, e si alzò. << Vado a vedere che fine ha fatto Sev. >>

Stranamente per raggiungere la zona VIP non seguì il muro che correva parallelamente al bancone, ma fece un improbabile giro attorno alla pista da ballo, guadagnandosi una serie di occhiate ostili direttamente proporzionale al numero di piedi che pestò.

Mi voltai verso Scorpius, trovandolo accasciato sul bancone, con lo sguardo fisso Merlino solo sapeva su cosa e le guance sudaticce ed arrossate. Mi sentii un po' in colpa per non avergli spaccato il bicchiere in testa prima che si ubriacasse, perciò decisi di portarlo a prendere una boccata d'aria. Cosa che in ogni caso non avrebbe fatto male neppure a me – constatai quando, alzandomi, invece di reggerlo in piedi fui io ad appoggiarmi a lui per non cadere. 

Colpa dei tacchi.”

Calvin inarcò un sopracciglio. “Anche i giramenti di testa?

Feci finta di non averlo sentito e trascinai Scorpius verso l'uscita. << Andiamo un po' fuori? >>

Scorpius emise una specie di mugolio di assenso, e mi seguì senza opporre resistenza.

 

***

 

Mezz'ora dopo ci trovavamo seduti sul gradino di un portone, a una cinquantina di metri dall'ingresso della discoteca. O forse erano di più, non avrei saputo dirlo con certezza visto che al momento la mia concezione dello spazio si limitava a quello che separava me da Scorpius, o al massimo dalla bottiglia di birra che non ricordavo come mi fosse finita in mano. Non potendo baciare il primo, mi accontentai di circondare con le labbra il collo della bottiglia e bere un lungo sorso. Da sobria non avrei mai bevuto birra – nemmeno mi piaceva – ma d'altro canto da sobria non avrei neanche detto a Scorpius che aveva un bel culo. Cosa che invece ero abbastanza sicura di aver appena fatto.

Ed evidentemente Scorpius si sentì in dovere di ricambiare l'imbarazzante complimento, perché gracchiò. << Anche tu hai un sedere che... >> si bloccò, fissando il fondo della sua bottiglia in cerca d'ispirazione << bhe, sia benedetto il Karate. >> concluse, e bevve un paio di sorsi. 

E sia benedetta la Vodka, se su di te ha questo effetto...

Calvin, che dopo il terzo o forse quarto bicchiere di non-volevo-sapere-cosa aveva abbandonato la mia testa per comparire direttamente sul marciapiede di fronte a noi, mi fece l'occhiolino e sollevò il pollice della mano destra. “Se ti togli le mutande magari gli piace ancora di p...

<< Sta' zitto! >> sbottai. Avevo già abbastanza voci nella testa senza che ci si mettesse anche lui.

Troppo tardi realizzai che la mia voce, invece, non era stata solo nella mia testa.

Scorpius sbatté le palpebre sugli occhi innaturalmente lucidi, perplesso. << Guarda che è vero che hai un bel fisico: non sono l'unico che lo pensa. >> biascicò, incespicando sulla sua stessa voce << Però hai troppi muscoli. >> soggiunse, come se si sentisse in dovere di bilanciare il complimento che mi aveva appena rivolto con un commento antipatico. << Non sopporto quando giri per casa con le magliette corte: ti si vede tutta la riga degli addominali in mezzo alla pancia. >>

Cominciai seriamente a considerare l'idea di bruciare tutte le mie magliette corte e comprarmi un burqa. Magari con un buco sul sedere.

<< Ti fa tanto schifo? >> chiesi, senza riuscire a trattenere una vena di delusione, che affiorò piuttosto chiaramente dalla mia voce. Ma tanto di che mi preoccupavo? Scorpius era troppo ubriaco anche per accorgersi di essersi versato mezza bottiglia di birra sulla maglietta.

Scorpius tacque per un paio di istanti, fissandosi i piedi. << No. >> disse, alla fine << Più che altro fa venire voglia di mettere il dito in mezzo alla riga... >> “Bhe, per essere ubriaco è ubriaco...” << Però mi dà fastidio. >> concluse, con un'alzata di spalle. 

Gli rivolsi uno sguardo interrogativo, in un tacito invito a spiegarsi meglio: forse più tardi mi sarei sentita una persona disgustosa per avergli cavato di bocca tutte quelle cose che da sobrio non avrebbe confessato nemmeno sotto tortura, ma – uno – ero ubriaca anch'io e – due – sentirlo parlare di me, capire finalmente come apparivo attraverso quei magnifici occhi che si ritrovava era una cosa troppo rara e che agognavo da troppo tempo perché potessi lasciarmi sfuggire l'occasione.

Scorpius si mordicchiò l'unghia del pollice. << Non mi fa schifo. >> disse infine, con esasperante lentezza << Sono solo invidioso. >>

Ah.”

Davvero al momento i miei neuroni non riuscivano a produrre niente di meglio: forse era colpa dell'alcool, forse di quel bizzarro pensiero che Scorpius aveva espresso ad alta voce. In ogni caso la figuraccia della scena muta mi fu risparmiata, visto che Scorpius quella sera non sembrava proprio capace di stare in silenzio.

<< Hai anche delle belle gambe >> commentò, interrompendosi per soffocare un piccolo singhiozzo << solo che sono corte... cioè, non corte sul serio... >> si corresse, corrugando le sopracciglia << insomma, sì... >> “ora è tutto molto chiaro...” << però tu sei tutta corta, quindi... quanto sarai alta? Un metro e cinquanta? >>

<< Un metro e cinquantanove, per tua informazione. >> replicai, piccata. 

Si, bhe, un metro e cinquantanove meno cinque centimetri...

<< In punta di piedi. >> sbuffò Scorpius, che evidentemente non era ancora così ubriaco da lasciarsi convincere da una balla così grossa << E comunque è meglio che tu sia bassa. >> aggiunse, con la voce impastata dai vari cocktail che mi ricordò tanto quella di un orsetto assonnato << Insomma, già così sei terribile... se fossi una stanga di un metro e ottanta poi faresti davvero paura... >> s'interruppe il tempo necessario per bere alcuni sorsi dalla sua bottiglia << Cioè... picchi come un maschio, ma comunque ogni tanto dai l'impressione di... di qualcosa che può essere protetta, credo. >> se non avesse già avuto le guance rosse a causa dell'alcool avrei detto che era arrossito. << Comunque sei troppo bassa. >> ripeté. << Insomma, non potresti essere alta un metro e sessantacinque, come tutte le persone normali? Non voglio che i miei figli siano dei tappi... >>

Se la sua intenzione era farmi strozzare con la mia stessa saliva ci riuscì alla grande. << Co-cosa c'entrano i tuoi figli? >>

Scorpius distolse lo sguardo dal mio. << Niente. >>

Quella volta fui certa di averlo visto arrossire. 

Ingoiai un paio di sorsi di birra, pensando freneticamente ad un modo per evitare che piombassimo in un imbarazzante silenzio post-conversazione troppo intima. Dopo cinque minuti passati a rimirare i lacci delle sue scarpe (le mie non li avevano), durante i quali sembrò che la lingua di Scorpius fosse tornata incollata al palato come al solito, mi decisi a parlare. 

<< Posso farti una domanda? >> chiesi, incerta.

Scorpius dondolò il capo in avanti. << Mh-mh. >>

<< Ma io ti sto tanto antipatica? >>

Scorpius si passò la lingua sul labbro superiore, inumidendolo appena, e puntò lo sguardo dall'altra parte della strada, rigirandosi nervosamente la bottiglia vuota tra le mani.

Ok, a conti fatti forse sarebbe stato meglio che avesse risposto di no alla prima domanda, soprattutto se aveva intenzione di rispondere sì alla seconda. Stavo per dirgli di lasciar perdere, o in alternativa mettermi a cantare a squarciagola una canzone da ubriacona di strada per coprire la sua risposta, ma lui scosse la testa. 

<< No, di solito mi stai simpatica. Però mi dà fastidio. >>

Forse l'alcool mi aveva obnubilato la mente, ma non riuscivo davvero a trovare un senso a quella frase. << Cosa ti dà fastidio? >>

<< Che tu mi stia simpatica. >> rispose lui, con ovvietà. 

A me la cosa non risultava poi tanto ovvia. << E... perché? >>

<< Perché io non volevo essere tuo amico. >> grugnì, contrariato << Io me li scelgo sempre, gli amici. Invece tu... >> levò la mano sinistra davanti al viso, aprendo le dita di scatto << puff... di punto in bianco hai deciso di prenderti il mio affetto, senza neanche chiedermi il permesso. È... è snervante non avere la situazione sotto controllo... >> appoggiò la schiena al portone e si passò una mano sul viso, che aveva perso tutto il suo rossore ed ora, sotto la debole luce dei lampioni, appariva mortalmente pallido << Non avresti mai potuto essere una buona amica per me... non è così che vanno le cose... >> sussurrò. << È come seguire alla lettera la ricetta di una pozione scritta su un libro, e poi accorgersi di avere sbagliato tutto... ecco, tu sei la ricetta sbagliata, scarabocchiata su un bigliettino sporco d'inchiostro. Però il risultato è... Oltre Ogni Previsione. >>

Una vocina nella mia testa mi fece notare che era ubriaco e quelle che stava sparando, con ogni probabilità, erano cazzate una più grossa dell'altra. Eppure volevo credere che quelle parole non fossero il semplice delirio di un astemio dopo quattro cocktail alcolici. 

Oltre Ogni Previsione...

Il fatto che stessimo parlando civilmente, senza mandarci a quel paese dopo cinque anni di sincero e reciproco odio, era Oltre Ogni Previsione. Il fatto che lui, Scorpius Malfoy, il secchione più antipatico di tutta Hogwarts potesse all'improvviso apparirmi così dannatamente bello, anche in quella strada buia, anche distrutto dall'alcool, era decisamente Oltre Ogni Previsione. 

Quello che sentivo agitarsi in fondo al mio cuore, per lui, era assolutamente Oltre Ogni Previsione. 

Quando rialzai lo sguardo su di lui scoprii che mi stava fissando e per un istante, forse perché avevo bevuto troppo, mi sembrò che mi avessero fatto evanescere lo stomaco dal ventre e provai la vertiginosa sensazione di precipitare nel verde di quegli occhi. Rimasi immobile, quasi spaventata da quell'improvvisa vicinanza, con il cuore che martellava nel petto. 

Mi era sempre riuscito difficile immaginare che la forza di gravità fosse esercitata da qualcosa di diverso dalla Terra sotto i miei piedi, ma in quel momento, per la prima volta, realizzai che la forza che mi stava lentamente spingendo verso di lui non veniva da me: veniva da lui, dai suoi occhi sgranati, dalle sue labbra socchiuse... 

Ed ebbi paura. Sì, dovevo essere stupida sul serio, ma tra tutte le sensazioni che avrei potuto provare nell'istante prima che le nostre labbra si toccassero – perché era quello che stava per succedere, anche James l'avrebbe capito – riuscii solo a provare un dannata paura. 

Perché quel momento era troppo bello, semplicemente troppo bello. Perché la perfezione di un'istante è formata da una precaria concomitanza di botte di culo, e in quel momento qualunque cosa avrebbe potuto andare storta e rovinare tutto. Perché la felicità, quando ci sbatti contro, fa paura, e forse alla fine preferiresti non averla e non rischiare di fartela togliere.

Perché io, fondamentalmente, ero stupida. E ubriaca.

Mi alzai di scatto, barcollando sui tacchi. << Forse dovremmo andare a vedere che fine hanno fatto gli altri... >> sussurrai.

Scorpius si mise faticosamente in piedi, appoggiandosi al portone. << Forse no. >> replicò. 

E prima che avessi il tempo di ricominciare con le mie seghe mentali sulla felicità, mi era letteralmente crollato addosso. E le sue labbra erano sulle mie, e mi stavano baciando come se non avessero fatto altro per tutta la vita.

   
 
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