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Autore: ethelincabbages    29/01/2011    9 recensioni
Questa è la storia di quello che sarebbe successo se Harry e Hermione non fossero stati quei retti e leali eroi che noi conosciamo. Questa è la storia di quello che sarebbe potuto succedere in una tenda nascosta nel nulla inglese, una notte di dicembre, tra due ragazzi soli, spaventati e alla ricerca di un po' di calore. Questa è la storia di un errore.
Chi sei, Chris? Chi sei?
Un’incrinatura sul percorso lineare del destino. Sei un pensiero scritto frettolosamente nella stesura di una lettera altrimenti perfetta, una frase sbagliata che hanno cercato con sollecitudine di cancellare, sistemare, riordinare in qualche modo. E non ci sono riusciti.

Avvertimenti: Questa storia contiene una buona dose di drammaticità postmoderna, qualche triangolo amoroso, diversi cliché, personaggi che potrebbero essere considerati Out of Character e personaggi non presenti nella saga originale.
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Hermione
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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Capitolo 9
Lacrime mentre piove
 
All'età di quindici anni, durante il suo quinto alla Scuola di Stregoneria e Magia di Hogwarts, Harry James Potter aveva deciso che, se fosse sopravvissuto a Lord Voldemort, sarebbe diventato un membro del Corpo Speciale Auror. Nel corso del tempo gli era anche capitato di fantasticare su diversi sogni a occhi aperti – si era immaginato giocatore professionista di Quidditch, giornalista sportivo, allevatore di specie strampalate insieme a Rubeus Hagrid, braccio destro di Hermione Granger in una immaginaria agenzia investigativa – ma mai, in nessuna delle sue fantasie, avrebbe pensato di diventare il Professor Potter. Si era sempre considerato troppo impulsivo, poco paziente e per nulla organizzato, per ritenersi capace di preparare una lezione o gestire una classe di adolescenti in maniera adeguata.
A diciotto anni era entrato in Accademia, a ventuno era diventato matricola e aveva iniziato a lavorare in coppia con vari senior, a ventitré era già la punta di diamante del Dipartimento, a ventisette era stato promosso a Capodipartimento Auror. Nessuno poteva fermare la brillante carriera del Salvatore del Mondo Magico. A trentun anni, il colpo di bacchetta di un certo Harvey, novello Mangiamorte, gli rinnovò vecchie ferite e vecchie paure, e la concreta possibilità che i suoi bambini potessero perdere il loro papà per le sue manie di eroismo convinse Harry a cambiare mestiere.
Dare a quattro ragazzini delle dritte su come affrontare un Avvincino gli sembrò allora molto più interessante che chiudersi in un ufficio al Ministero. La preside McGranitt non aspettava altro che un suo cenno del capo per averlo tra le file del corpo insegnanti della sua scuola.
Un mese, due, tre e Harry aveva piacevolmente scoperto i vantaggi del suo posto a Hogwarts: era gratificante riuscire a condividere la sua esperienza e conoscenza con i ragazzi della scuola, poteva tenere sotto controllo Chriseys e Ted senza invadere i loro spazi e, infine, poteva nuovamente sentire il profumo di casa. Perché Hogwarts era la sua casa.
Non che non amasse da morire il cottage a Godric’s Hollow che divideva con Ginny e i suoi bambini, ma le mura di Hogwarts possedevano quel calore che gli avrebbe ricordato per sempre quale era stata la sua prima casa. Quando vedeva i bambini e i ragazzi correre nei corridoi verso i dormitori, gli sembrava di risentire le battute bofonchiate di Ron e la risata cristallina di Hermione. Hogwarts lo completava.
Quel pomeriggio il professor Potter era impegnato nel valutare i miglioramenti dei ragazzi del sesto anno negli incantesimi non verbali. Erano una ventina di giovani maghi, tra Grifondoro e Corvonero, che avevano superato brillantemente i G.U.F.O.; effettivamente la classe del sesto quell’anno era davvero eccellente. Harry iniziava a stuzzicare l’idea di avvicinarli all’evocazione di un Patronus.
Erano tutti molto concentrati ad attaccare o a parare i colpi dell’avversario; Harry prendeva appunti mentalmente, così come gli aveva insegnato Hermione, focalizzando i punti chiave.
La prima bacchetta a saltare fu quella di Susy Sprite. Nessuna sorpresa. La signorina Sprite gli ricordava così tanto Lavanda Brown che scoprirla presa ad ammirare il ciuffo biondo di Daniel Bentley anziché concentrarsi sull’incantesimo di difesa non gli parve affatto una novità. “10 punti a Corvonero.” Regalare punti alle altre case non gli piaceva per niente, esattamente come vent’anni prima, ma perlomeno non erano Serpeverde.
Tra uno studente e l’altro ebbe anche il tempo di arrossire come un quattordicenne qualsiasi a un apprezzamento scappato alla bocca sincera di Sybil Joyce – “Sa, professore, la barbetta le dona.” – e di dare uno scappellotto a William MacDonald per la risatina che si era lasciato sfuggire.
Una coppia di duellanti davvero brillante erano Chris e la sua compagna di stanza, Elise Thomas: aveva visto incantesimi e protezioni volare da una parte e dall’altra senza che nessuna delle due dicesse una singola parola. E sapeva benissimo che Chris non solo stava combattendo con la compagna, ma anche col desiderio di leggerle la mente e chiudere immediatamente la partita. Dedicò alle due ragazze un sorriso compiaciuto. Per fortuna niente e nessuno gli poteva impedire di provare quell’istinto di soddisfazione dovuto al suo orgoglio paterno. La sua Chrissie non era niente male con gli incantesimi.
Quando Chris intercettò il suo sguardo giubilante con un’occhiata interrogativa, perse il contatto visivo con la sua avversaria che la disarmò immediatamente con un Expelliarmus muto. “Bel lavoro, Thomas!” esclamò Harry, sorpreso. Concentrazione: cardine primo di un buon duello.
Quel che accadde subito dopo, però, costrinse Harry a sostituire l’orgoglio con lo sgomento. Una piccola lingua di fuoco partì dalle dita di Chris verso la compagna. Per fortuna, come se persino lei fosse stata colta alla sprovvista dalla propria reazione, pronunciò frettolosamente un “Finite Incantatem” prima che la fiamma si allontanasse troppo dalla sua mano.
“Chris, cosa accidenti fai?” fu la legittima domanda stupita di Elise. Chris aveva appena compiuto due rapidi incantesimi senza la sua bacchetta, di cui uno non verbale e altamente pericoloso, che di certo non si insegnava nei corsi pre-M.A.G.O.
“Non lo so,” borbottò, abbassando lo sguardo.
Harry non perse tempo, congedò la classe, e prese Chriseys di parte. “Chris, il Reparto Proibito è … proibito.” L’Inflamate non era un incantesimo da mago qualsiasi, era roba di un’altra categoria. E l’aveva eseguito senza bacchetta, per Merlino! Erano trucchetti che riuscivano solo ai migliori maghi del mondo, gente della pasta di Silente. Harry stesso non c’era mai riuscito, e non aveva battuto pochi maghi a duello.
“Ti giuro, Harry, non so come sia potuto succedere…”
“Non mentirmi.”
“È la prima volta che succede. Ho reagito d’istinto, ero senza bacchetta e ho sentito l’esigenza di difen-, attaccare?” Fermò la sua apologia balbuziente colpita da un qualche pensiero nascosto. Per un attimo a Harry parve che fosse sul punto di dirgli qualcosa, qualcosa d’importante. “Non lascerò che accada mai più,” si limitò a concludere.
“Lo spero.” Contro ogni logica, Harry decise di fidarsi. “Questa era la tua ultima lezione per oggi, vero?” Chris annuì. “Bene, sono sicuro che Gazza apprezzerà il tuo aiuto nella pulizia dei bagni femminili del secondo piano.”
“Stai scherzando, vero? Dai! L’ho fermato, non ho colpito nessuno!” Harry iniziò a raccogliere il suo libro ignorando Chris. “Sai benissimo chi c’è nei bagni al secondo piano,” continuò lei, sospirando, con una buffa faccia tra il rassegnato e l’infastidito.
“L’entrata per la Camera dei Segreti?” Harry le diede un buffetto sulla guancia. “Mirtilla adorerà la tua compagnia. Sta sempre sola, poverina.”
 
*
 
7 Gennaio 1998 – Foresta di Dean, Glouchestershire
Osservare impotenti Hermione lasciare la tenda con un bel botto di rabbia stava quasi diventando una routine quotidiana. Ce l’aveva con Ron perché era andato via, ce l’aveva con Harry perché l’aveva lasciato tornare e, come pareva da quelle mattinate in giro per i boschi, non sopportava la compagnia di nessuno dei due.
“Okay. Basta.” Harry posò con calma la tazza di latte che tanto non era riuscito a toccare. “Cosa le hai detto questa volta?” domandò a Ron che se ne stava mogio, mogio, accovacciato sul letto.
“Ehm, beh …”
“Lascia stare. Provo a parlarle.” Uscì all’esterno, nella foresta. Aveva una vaga idea che ad attenderlo ci fosse una Hermione furiosa, ma si sbagliava. La ragazza era in piedi davanti un albero, indecisa se tagliarne i rami o meno, e piangeva.
“Harry Potter non ci provare,” lo avvisò di non avvicinarsi, lui se ne infischiò altamente: Hermione stava piangendo. Vederla piangere, ancora, era una tortura bella e buona. Harry non sapeva mai cosa fare quando vedeva Hermione piangere, non sapeva mai fin dove sarebbe riuscito a trattenersi pur di farla smettere. Perché Hermione non doveva piangere. Le si parò davanti. Le alzò il viso. Lei si rifiutava di guardarlo negli occhi. Ponderò con calma quali parole usare.
“Qualsiasi cosa abbia detto sono sicuro che…”
Finalmente Hermione alzò lo sguardo: i suoi occhi erano infuocati. Fuor di metafora.
“Tua sorella, Harry? Sul serio?” Non si fermò a riflettere su quanto un incantesimo avrebbe raggiunto meglio e prima l’effetto desiderato. Lo schiaffeggiò. “Credevo che almeno tu avessi una più alta opinione del mio intelletto. Non sono la bambolina che tu e il tuo amichetto Ron potete gestire a vostro piacimento. Non sono la tua Firebolt che puoi decidere a chi, come e quando prestare o regalare per farci un giro. Quindi non ci provare neppure ad avvicinarti a me.” Quel che più spaventò Harry era il tono basso della sua voce. Troppo basso.
“Hermione,” mormorò mortificato, cercando di formulare un pensiero coerente. Tutto quello che sentiva era il bruciore sulla guancia destra, tutto quello che vedeva erano gli occhi marroni di Hermione lucidi e arrabbiati con lui, con la sua presunzione. E il medaglione. E Ron. Si odiò per le parole che pronunciò. “Ron ti ama. E tu ami lui.” Ma sapeva che non erano lontane dalla verità.
“Oh, Harry, non fare supposizioni su quello che non conosci.”
“Non sono supposizioni. È un’analisi accurata su anni di dati di fatto.” Stronzo. Era una risposta che sarebbe potuta uscire dalla bocca di Hermione, non da quella di Harry. Era una risposta studiata a tavolino per mostrarle la perfezione del suo ragionamento. Stronzo. Non è in questi casi che bisogna ragionare.
“E quello che è successo la settimana di Natale non contraddice i tuoi dati di fatto?” Evidentemente variabili e condizioni non facevano parte dello schema perfetto di Harry Potter. Quanto? Quanto si stava odiando in quel momento?
“Non necessariamente. Potrebbe essere stato …”, Harry si morse le parole e il labbro, ingoiando amaro. “Debolezza.”
Hermione indietreggiò per appoggiarsi all’albero dietro di lei, come se stesse perdendo i punti di riferimento in quella grigia foresta. Vertigine? Calo di zuccheri? “Non sarebbe stato più semplice ammettere fin dall’inizio di aver fatto un errore, Harry? L’avrei …” fu il suo turno di inghiottire la verità, “l’avrei accettato.”
“Tu non l’hai visto.” Harry trovò il coraggio di ammettere. “Tu non lo sai. Siamo noi. Siamo noi la sua più grande paura. Io e te. Non un branco di ragni incontrollabili, non la morte di uno dei suoi fratelli, nessun Lestrange, Grindelwald o Tom Riddle, nessun drago o mostro. Io e te. Non possiamo. Non se lo merita, mi ha salvato la vita. È la persona più cara che ho, insieme a te. E tu… lo ami.”
 
*
 
E se amassi di più te? Avrebbe voluto dirlo, ma per lui era stata solo debolezza. Avrebbe potuto dirlo, ma non lo fece mai. Svenne.
 

Note: Il titolo del capitolo è ripreso dal brano L'ultimo bacio di Carmen Consoli: "L'ultimo bacio, mia dolce bambina, brucia sul viso come gocce di limone, l'eroico coraggio di un feroce addio, ma sono lacrime mentre piove, piove..."
   
 
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