Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Laura Sparrow    10/02/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
Cattive compagnie



Stranamente quella sera non c'era molta gente all'Albatro, e mi chiesi come mai.
Bill Night, il locandiere, stava conversando animatamente con tre uomini che bevevano al bancone, mentre qualcuno seduto ai tavoli beveva in silenzio o giocava a dadi; nell'angolo più lontano della locanda cinque uomini armanti fino ai denti stavano giocando a carte attorno ad un tavolo. In ogni caso, me ne dimenticai alla svelta, perché appena entrammo fummo accolti da una voce burbera che esclamò: - Finalmente! Ero convinto che non sareste arrivati più!-
- Quasi ci speravi, vero?- Jack sorrise ironico a Gibbs, che ci veniva incontro attraverso la sala mezza vuota. - Ci hai tenuto un tavolo?-
- Certo. Non è stato difficile, come puoi vedere. - rispose il nostromo, accennando col capo ai numerosi tavoli vuoti mentre accompagnava la nostra combriccola ad accomodarsi a quello più vicino.
- Come mai è così vuota, stasera?- chiese Valerie mentre ci mettevamo a sedere. Gibbs fece spallucce. - A dire il vero non ne ho idea. Però posso dirvi... che prima sono stato a parlare con Bill, e gli ho chiesto proprio di questo. Ma, giusto mentre stava per raccontarmi qualcosa, uno di quei tre uomini che vedete ancora lì al bancone l'ha chiamato e lui non è più riuscito a liberarsene. -
- Be', ora dovrà farlo, perché io ho proprio la gola secca. - disse Jack, tirando fuori la borsa del denaro, che si era notevolmente appesantita dopo tutte le scommesse sull'incontro di Ettore. - Vediamo... rum per tutti?-
Jack e Will andarono al bancone per prendere da bere, ma Gibbs, che per niente al mondo avrebbe mai perso l'occasione di raccontare qualche novità di prima mano, si chinò sul tavolo con fare cospiratore e fissò noi tre con espressione serissima. - Non è certo per allarmarvi, signore mie... ma mentre vi aspettavo ho osservato, e il diavolo mi porti se non ci ho messo più di qualche istante a fare due più due! Mi sa che stasera, per caso, siamo finiti proprio nella taverna che tutti hanno deciso di evitare. Ma come mai? Ve lo siete chiesto?-
- Veramente no. - ammisi. - Dopotutto sono stati già in molti a dirci che da un po' di tempo in città tira un'aria strana, non è così?-
Gibbs scosse il capo. - No, no... quando la nave affonda, i topi sono i primi a scappare: e stasera qui all'Albatro non c'è neanche un topo. Chi vogliono evitare? Chi è che stasera ha spaventato tutta la clientela?-
Non ebbe bisogno di rispondere a quella domanda: d'istinto, molto lentamente, tutti e quattro ci girammo poco a poco verso il tavolo dei giocatori di carte. Nessuno di loro ricambiò la nostra occhiata, ma noi fummo ugualmente molto svelti a distogliere lo sguardo come se niente fosse accaduto, ora sentendoci tutti quanti un tantino a disagio. Che Gibbs avesse ragione? Forse la presenza di quei tizi inquietanti non era proprio casuale.
Nel frattempo, i tre uomini con cui Bill Night stava parlando cominciavano a sembrare molto agitati. Per l'esattezza, ubriachi fradici. Quando il locandiere si congedò da loro per versare il rum ai nostri uomini, i tre si allontanarono dal bancone barcollando e imprecando a gran voce, reggendosi in piedi a stento: facevano un tale baccano nella locanda così insolitamente quieta che perfino David smise di camminare carponi sotto il nostro tavolo per voltarsi a guardarli.
Lanciai a mia volta un'occhiata stizzita, che divenne esasperata quando mi accorsi che i tre avevano deciso di venire ad infastidire proprio noi. Ormai sia io che le mie amiche frequentavamo così tanto il porto di Tortuga e le locande come l'Albatro o la Sposa Fedele che, di norma, nessuno più veniva ad importunarci: ci mescolavamo perfettamente col resto degli avventori, e finivamo per essere praticamente invisibili; a nessun oste importava più se fossi donna o uomo, era sufficiente che pagassi quello che bevevo. Questi invece o non ci conoscevano, o erano troppo ubriachi per curarsene, in ogni caso.
Con un sospiro incrociai le braccia sul tavolo e guardai altrove, sperando che ci venisse risparmiata quella seccatura: purtroppo non fu così, perché i tre vennero proprio da noi, e uno di loro -che aveva seri problemi a rimanere in posizione eretta- si lasciò cadere con una grassa risata su una delle seggiole lasciate libere.
- Ma che bella compagnia, stasera!- esclamò con voce impastata dall'alcol: era un omone robusto, con un viso butterato su cui spiccava una corta barba arruffata, e con capelli scuri annodati in un codino unticcio. Valerie, che si trovava suo malgrado ad occupare il posto accanto a lui, si ritrasse lentamente con espressione disgustata.
Un secondo, alto e magro, ebbe la sgradevole idea di afferrare a due mani lo schienale della mia sedia e appoggiarvisi: io mi scostai bruscamente, allungandomi verso il tavolo e voltandomi per scoccargli un'occhiata di rimprovero. Per tutta risposta, quello prese a dondolarsi pigramente avanti e indietro, blaterando: - Noi siamo della gilda, lo sapete! Siamo noi i pezzi grossi! Sì, siamo della gilda, lo sai?-
- Non me ne frega niente. -
- Oh, oh, come ci scaldiamo!- scattò quello seduto accanto a Valerie, facendo un gesto brusco verso di me come se avesse voluto scacciare qualcosa davanti alla propria faccia. Il terzo andò oltre e si appoggiò direttamente al tavolo, tanto bruscamente che rischiò per un attimo di mandare tutto all'aria col suo peso. - Siamo la gilda e controlliamo tutto. Dovete dirci chi siete e dove andate... intanto ci dite tutti i vostri nomi, così facciamo conoscenza!-
- Anche il tricheco con la barba!- rise scioccamente il primo, cercando di indicare Gibbs col dito e sbagliando un poco la direzione.
- Lasciateci in pace e sparite. - rispose Elizabeth in tono gelido. - Non fatevelo ripetere. -
- Oh! Non si parla così!- sbraitò quello appeso allo schienale della mia sedia, agitandosi ancora. Averlo attaccato alle mie spalle mi dava talmente sui nervi che non resistetti più e, con uno strattone, spinsi indietro la sedia e lo costrinsi a mollare la presa, tanto che quasi rischiò di cadere per terra. - Ehi! Ma allora sei stupida!-
- Guarda che vi portiamo in galera!- l'uomo seduto stava cercando di minacciare Valerie, tentando ancora di allungare le mani verso di lei ma ricevendo in cambio dei bruschi spintoni. - Guarda che lo facciamo! Noi possiamo, eh? Possiamo! Ahia! Smettila, piccola baldracca... -
In quel momento quattro boccali pieni furono sbattuti sul tavolo, facendo sobbalzare i tre ubriachi che avevano la vista ormai troppo annebbiata per accorgersi di Will che era tornato al tavolo. Non appena ebbe le mani libere, il giovane fece il giro del tavolo scostando il più vicino degli uomini con una spallata, e infine prese per una spalla quello seduto in mezzo a noi. - Ti dispiace?- domandò, secco, prima di costringerlo ad alzarsi sulle gambe malferme.
Per il momento, l'arrivo di William sembrava averli disorientati abbastanza da fargli passare la voglia di scherzare. - Ci mancavano giusto questi qui. - sbuffai a bassa voce, mentre cominciavamo a fare girare i boccali. Ma Valerie, che non aveva distolto gli occhi dai tre uomini, colse in tempo quello che a noi era sfuggito.
- Attento!- gridò a Will, saltando in piedi: fu solo grazie al suo grido che mi voltai, cogliendo il guizzo di una lama, e mi accorsi che l'uomo più vicino aveva estratto un coltello dalla cintura ed era partito alla carica contro Will che gli dava le spalle. Lui però non si fece cogliere impreparato: con uno scatto repentino girò su sé stesso e colpì l'ubriaco dritto al volto, col boccale che stringeva ancora in mano. Si sentì lo schiocco dell'osso della mascella. Frastornato e inzuppato di rum fino alle scarpe, quello barcollò stordito per un momento, poi sembrò inciampare nei suoi stessi piedi e crollò per terra come un sacco vuoto.
Gli altri due cominciarono ad urlare come indemoniate e, dondolando come se avessero le gambe di ricotta, sguainarono le spade che portavano a tracolla e fecero per buttarsi all'attacco anche loro, vedendo che William era armato solo di un boccale vuoto... ma Jack comparve in quel momento alle loro spalle, quasi con calma, e picchiò forte sulle loro teste i due boccali che aveva in mano.
Perso il poco equilibrio che rimaneva loro, i due raggiunsero miseramente il loro amico sul pavimento. Jack osservò la pozza di rum, i boccali vuoti che aveva usato come armi improvvisate, e infine Will e Gibbs.
- Che sfortuna, proprio i vostri!- sospirò con rammarico, mollando sul tavolo i due boccali e appropriandosi di uno dei pochi che ci erano arrivati sani e salvi.
- Nessuno... - un lamento strozzato richiamò ancora una volta la nostra attenzione: uno dei due che Jack aveva appena atterrato cercava goffamente di rimettersi in piedi, e allo stesso tempo frugava sotto la giacca alla ricerca di qualcosa. - Nessuno si... scontra con la gilda... e sopravvive!- estrasse una lunga pistola a doppia canna e ce la puntò contro, col braccio che tremava. L'arma però non suggeriva niente di innocuo. - Vi faccio sputare le budella, eh!-
Balzai in piedi con tanto impeto da rovesciare la mia sedia, misi mano alla spada e l'ubriaco si ritrovò la lama alla gola mentre ancora agitava in aria la pistola.
- Molla quella pistola!- ringhiai, incombendo su di lui. - O giuro che ti infilzo qui e adesso. -
- Basta così!- tuonò una voce da un angolo della locanda.
Era stato un grido privo di rabbia, o apprensione: un freddo ordine. Ancora steso sul pavimento, l'ubriaco mollò la sua arma, mandandola a ruzzolare sul pavimento, e si voltò verso chi aveva parlato; aveva la bocca spalancata e l'espressione instupidita, ma per un attimo sembrò avere veramente paura. Tutti ci voltammo.
Era stato uno dei cinque che giocavano a carte al tavolo in fondo alla locanda, e la prima cosa che riuscii a notare distintamente di lui fu la lunghissima giacca da capitano, scarlatta e di ottima fattura: al suo richiamo, tutti i pochi presenti si erano improvvisamente zittiti. Quello si alzò da dove era seduto e ci raggiunse a grandi passi, le mani dietro la schiena, fermandosi accanto all'ubriaco che sbarrò ancora di più gli occhi e si trascinò in ginocchio, scostando la mia spada con la mano.
- ...Signore, signore, noi facciamo il nostro dovere, signore... noi lo facciamo il nostro dovere, no, signore?- attaccò a biascicare, fissando ad occhi sbarrati l'uomo che lo sovrastava. Questo lo squadrò per mezzo secondo, poi si chinò appena e gli sferrò un manrovescio che lo rispedì a terra, dolorante e gemente.
- Disgustosa marmaglia. - sibilò, sprezzante. - E' questo il vostro modo di servire la gilda?!- senza aspettare una risposta alzò il capo e si guardò attorno, rivolgendosi a tutti gli avventori che ora lo stavano fissando ad occhi sgranati, senza fiatare. - Che cosa dite, questa feccia sta disturbando la quiete?-
Nessuno rispose, si alzò solo un lievissimo mormorio eccitato dai pochi tavoli occupati, quelli più in ombra.
- Ho chiesto... - ripeté lo sconosciuto, sfoderando dalla cintura una grossa pistola. - ...se questa feccia sta per caso disturbando la quiete. Night! Vuoi questi balordi nel tuo locale ancora per molto?-
Bill Night, che fino a quel momento se ne era rimasto al sicuro dietro il suo bancone, sporse la testa come una tartaruga dal suo guscio. - Io... no, signore, non ce li voglio. -
L'uomo annuì con aria soddisfatta, quindi abbassò la pistola.
BLAM!
BLAM!
BLAM!

Tre colpi secchi. Ero talmente vicina allo sconosciuto e ai tre malcapitati che sentii ogni singolo colpo rimbombarmi fin nelle ossa: uno dopo l'altro, i tre uomini sussultarono per un attimo come burattini a cui avessero tagliato i fili, prima di giacere inerti sul pavimento. A ognuno di loro era stato aperto un foro fumante nel petto.
Solo a quel punto lo sconosciuto sollevò gli occhi dal suo macabro lavoretto e mi guardò in faccia: lui era alto, di corporatura robusta, aveva i capelli molto lunghi, sciolti sulle spalle, ed erano scuri e ricciuti come la barba. Notai una sottile cicatrice sotto lo zigomo sinistro, simile al taglio di un coltello. Sotto la sua sfarzosa giacca rossa, in cintura portava pistola e spada: era ovvio che non poteva trattarsi di un semplice pirata.
- Perdonate il disagio, milady, non se ne vedono molte di donne come voi da queste parti. - mi disse educatamente, accennando un sorrisetto strano.
- Nemmeno di uomini come voi. - riuscii a rispondere, intenzionalmente ambigua. Quello sconosciuto aveva appena ucciso tre uomini sotto i miei occhi, la canna della sua pistola fumava ancora, e aveva menzionato la famigerata gilda della quale mi aveva parlato Daphne: tutti questi erano più che ottimi motivi per non volergli dare troppa corda. Il lieve sorriso non scomparve dal viso dell'uomo, anzi, parve accentuarsi: lo sconosciuto sembrò sul punto di aggiungere qualcosa quando Jack si infilò rapidamente in mezzo a noi.
- Mi sembra di capire che questi uomini fossero ai vostri ordini... mi sbaglio?- chiese, gesticolando verso i tre morti sul pavimento. Lo sconosciuto lo fissò, alzando un sopracciglio con fare interrogativo.
- E' così. - confermò con leggerezza. - Come gran parte di questa città, oserei dire. Da quanto tempo mancate da Tortuga?-
- Alcune settimane, in effetti. E con chi ho l'onore di parlare...?-
- Robert Silehard. - si presentò l'uomo, con una cortesia che aveva qualcosa di minaccioso. In cuor mio sussultai: Silehard! Stando a quanto eravamo venuti a sapere, avevamo appena fatto conoscenza con l'aspirante signore di Tortuga. - E voi siete...?-
- Capitan Jack Sparrow. -
Fui quasi certa di avere visto gli occhi di Silehard illuminarsi per un attimo quando udì il suo nome, poi arricciò di nuovo le labbra in un sorriso mellifluo. - Capitano Sparrow... devo dire con franchezza che è un piacere incontrarvi. - Gli tese la mano. Da come i suoi quattro compagni al tavolo scrutarono Jack, intuii che Silehard stava consapevolmente giocando una partita complicata, e con tutta probabilità aveva appena deciso di includere Jack nel gioco. Quella non era altro che la puntata iniziale. Jack fece la mossa giusta: avanzò di un passo e scambiò una stretta di mano con lui, anche se brevemente.
- Il vostro equipaggio, immagino. - continuò Silehard, accennando a me e agli altri. - Perché non vi unite a noi per scambiare due parole? Ho sentito molto parlare di voi, ed è un vero colpo di fortuna trovarvi qui stasera. -
Jack sembrò ponderare per un momento l'offerta, guardò me, guardò i nostri amici al tavolo, poi guardò i tre corpi rimasti per terra. Silehard quasi rise, e si voltò di nuovo verso il locandiere. - Night! Fa portare via questi tre, mi appestano l'aria!-
Bill obbedì senza fiatare, e in pochi attimi arrivarono alcuni garzoni che, senza una parola, trascinarono fuori i cadaveri dei tre poveracci. L'invito aveva tutta l'aria di un'offerta che non potevamo semplicemente rifiutare, così Jack si voltò verso di noi e fece un cenno eloquente col capo in direzione del tavolo dei giocatori di carte: in silenzio assoluto i suoi uomini ci fecero posto e ci lasciarono avvicinare le nostre sedie; Silehard si sedette per ultimo e non mancai di notare che ci stava scrutando tutti, uno per uno, come se ci stesse valutando.
- Dunque... - cominciò, appoggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando pensosamente le dita. - Se vi trovaste a Tortuga da un po' più di tempo vi avrei già contattato. Devo ammettere che speravo proprio di incontrarvi, Sparrow, e mi era stato detto che voi e la vostra ciurma venivate qua, di tanto in tanto: sono felice di vedere che l'attesa è stata ripagata. Ma veniamo al dunque: sto contattando personalmente i migliori capitani che frequentano questo porto, e penso che voi facciate al caso mio. -
- Perché i capitani?- chiese Jack, mentre tamburellava con le dita sul ripiano del tavolo; si era portato dietro il suo boccale pieno di rum, e ne prese un sorso. - Mi pareva foste più interessato alla città. -
- Tortuga è un porto libero. - li interruppe ad un tratto Valerie, a voce alta, facendo voltare tutti verso di lei. Silehard strinse gli occhi, mentre lei continuava: - Non è mai stata sotto il controllo di nessuno. Soltanto la compagnia dei mercanti vanta di un qualche potere sui suoi traffici interni; l'avete considerato?-
La compagnia dei mercanti -così si era soliti chiamarla in città- non era altro che una larga alleanza formata dai maggiori clienti dei contrabbandieri di Tortuga: avevano fondato in città un piccolo ma fiorente impero economico, basato sulle ricchezze ottenute dai traffici di quella che chiamavano -con non poca arroganza- la loro “flotta”. Non andavano molto a genio ai veri pirati, ma erano gente con la quale si facevano buoni affari: era sempre stata quella la potenza più rispettata e influente a Tortuga. Fino a quel momento.
- I mercanti non hanno lo spirito giusto... per questo non ci è voluto niente per scavalcarli, anche se pretendono tutt'ora di avere un qualche tipo di potere. - replicò lui in tono sprezzante. - Il punto è che la mia gilda ha contatti in ogni parte della città: significa nientemeno che in ogni angolo, ogni angolo, io ho persone pronte a fare qualsiasi cosa gli chiederò di fare. Prendo quello che voglio quando e come voglio, e nessuno passa senza che io lo venga a sapere. Ma soprattutto, vuol dire che i... migliori... rendono conto soltanto a me. -
- I migliori?- ripeté Elizabeth, in tono di disapprovazione. - Che volete dire? Ma soprattutto, voi cosa date a Tortuga per potervi arrogare questi diritti?-
- Che cosa do io?- Silehard si finse meravigliato. - Mia signora, io sto facendo rialzare dal fango la gente di Tortuga. Il porto è un nido di borseggiatori, tagliagole e assassini disposti a tutto pur di guadagnarsi due dobloni... ma io dico, perché tutta questa gente dovrebbe accontentarsi della propria miseria? C'è chi si imbarca sperando di fare fortuna come pirata, ma in quanto a quelli che restano... qui entro in scena io. Ho cominciato dal basso, credetemi: ho offerto un rifugio sicuro a tutta quella feccia, e ne ho fatto degli uomini. Perché limitarsi a tagliare borse per qualche penny, quando uno potrebbe diventare un vero professionista? E' questo che ho fatto: ho allevato i migliori. E adesso ho sguinzagliato per la città una nuova generazione, più forte ed orgogliosa, e soprattutto fiera di rispondere soltanto a me. -
Will sbuffò senza neanche preoccuparsi di nasconderlo. - Siete un vero benefattore, non c'è che dire. -
- Che cosa avete fatto di così stupefacente?- commentai, stringendomi nelle spalle. - Avete semplicemente convinto la feccia di Tortuga a lavorare per voi. -
- E voi credete che sia poco?- replicò lui in tono gioviale, quasi ridendo fra sé. Era vero, forse non avevo afferrato del tutto la cosa e non mi rendevo conto di quanto esteso potesse rivelarsi quel progetto. Tuttavia, ancora non vedevo alcun motivo di preoccuparmi: i semplici ladruncoli di Tortuga sarebbero sempre rimasti quel che erano, non importava se rispondessero ad un padrone. O forse sì?
Jack era intento a guardarsi lo sporco sotto le unghie, con aria distratta. - Affascinante. E tutto questo cosa ha a che fare con i pirati? A parte il fatto che la prossima volta che un moccioso mi taglierà la borsa saprò che posso venire a lamentarmi personalmente con voi, chiaro. -
Ignorando il suo evidente disinteresse, Silehard proseguì: - Non penserete certo che voglia limitarmi a controllare questo porticciolo, quando so benissimo che il bottino migliore si conquista sul mare aperto, no? Ho stretto accordi vantaggiosi con molti dei capitani pirata che fanno regolarmente scalo a Tortuga... in parole povere, ora mi sto creando una flotta. - un sogghigno si allargò fra la sua barba scura. - Pensateci, capitan Sparrow. Un'unica flotta pirata, la flotta di Tortuga. Se vi uniste anche voi e navigaste al mio servizio, penso che tutti quanti potremmo raggiungere un livello di potere tanto grande quanto non si è mai visto nella storia della pirateria... nonché, è chiaro, ricchezze oltre ogni immaginazione. I pirati avrebbero finalmente un potere pari a quello della Marina o, se posso allargarmi, alla Compagnia delle Indie Orientali, e stavolta quelli dovrebbero pensare per riuscire a metterci ancora i piedi in testa. Non vi sembra una proposta vantaggiosa?-
Il capitano inclinò il capo e aggrottò le sopracciglia, meditabondo. - Oh certo: vantaggiosissima. - disse, mentre di raddrizzava e appoggiava le mani sul tavolo, con tutta la pantomima che era solito sfoderare quando si preparava a dire qualcosa di importante. - Vantaggiosissima, per chiunque abbia voglia di comprarsi la fedeltà dei tagliagole, o... sì, litigare un po' con la compagnia dei mercanti e quella gente lì. Sì, signor Silehard, potete farvi numerosi e potenti amici che diventeranno nemici se dovessero scoprire che è più vantaggioso essere amici dei vostri nemici... e il vostro oro può forse bastare per mettere ai vostri ordini un bel po' di bravi capitani. Niente da ridire su questo, comprendete? Ma permettetemi soltanto di sollevare un'obiezione... - scrutò l'uomo di sottecchi per un istante, pizzicandosi la barba, prima di terminare: - Tortuga non ha mai avuto un lord e, in tutta franchezza, credo che non ne riconoscerà mai uno. In quanto alla vostra flotta e al progetto di diventare più grandi dei nostri nemici... esiste già una flotta, e si chiama la Fratellanza. Ora, sui suoi membri, onestamente, non ci scommetterei troppo... ma esiste. -
Nascosi un sorriso mentre gli uomini che accompagnavano Silehard fissavano sconcertati ora lui, ora Jack, come se si stessero chiedendo se fosse il caso di dare una lezione al capitano per essersi permesso di parlare in quel modo al loro capo. Ormai avevo fatto l'abitudine alla parlantina di Jack; c'era solo da vedere come Silehard avrebbe raccolto le sue provocazioni.
- Mi addolora che la pensiate così. - rispose quello senza fare una piega, anzi, ostentando un'espressione dispiaciuta. - Forse commettete l'errore di ritenermi uno di quei furfanti da quattro soldi che raccolgono attorno a sé un paio di spiantati e si credono dei grandi signori... Non è il mio caso. La gilda è molto più di gentaglia come i mercanti. -
Jack annuì, quindi si alzò in piedi e fece un cenno a mani giunte in direzione di Silehard. - A voi i miei migliori auguri, allora. - sorrise, talmente sincero da essere strafottente. - Purtroppo non possiamo restare, ripartiamo appena ultimati i rifornimenti. -
Silehard si strinse appena nelle spalle, mentre fissava Jack con aria di sufficienza. - Come volete, Sparrow. - fece, accondiscendente. - Spero che dormiate sonni tranquilli dopo questa conversazione. -
Alle sue ultime parole, Jack perse improvvisamente il sorriso e aggrottò le sopracciglia, scrutando Silehard per qualche istante prima di azzardare: - Scusatemi?-
Evidentemente soddisfatto di averlo messo sul chi vive, Silehard si alzò, subito imitato dai suoi tirapiedi. - Si è fatto tardi, e i miei impegni mi chiamano altrove. Ma se entro domattina doveste per caso riconsiderare la mia proposta... - i suoi occhi dardeggiarono su Jack per un attimo. - ...recatevi sui moli ad ovest, e bussate alla vecchia macelleria. Chiedete di parlare con me e vi sarà aperto. -
Con queste parole lui e la sua compagnia presero congedo, uscendo dal locale in silenzio assoluto, e lasciandoci a nostra volta silenziosi e un tantino disorientati dallo strano approccio con colui che si dichiarava prossimo “lord” di Tortuga.
L'insinuazione misteriosa di Silehard mi risuonava nelle orecchie: sonni tranquilli... Jack aveva avuto un incubo qualche sera prima, e ancora mi ricordavo di averlo visto svegliarsi piuttosto scosso. Mi voltai verso di lui e mi accorsi non senza stupore che era serio in volto. Terribilmente serio.
E capii che eravamo nei guai.

*

Quando aprii la porta dell'infermeria, la prima cosa che vidi fu il paziente di Faith, steso sul tavolo. C'era buio, e tutte le lampade erano appese intorno ad esso perché il piano di lavoro fosse ben illuminato: infatti notai Faith solo in un secondo momento; era in penombra e si stava lavando le mani in un catino.
- Ciao. - la salutai: mi veniva automatico parlare a bassa voce, come per non svegliare un bambino addormentato. L'irlandese aveva il petto strettamente fasciato con pezze di lana, e nell'aria sentii l'odore di un impasto a base di resina che la mia amica usava spesso per sistemare le ossa. - Come andiamo?-
Faith si voltò verso di me, mentre recuperava uno straccio per asciugarsi. Sembrava sollevata, perché notai il guizzo di un sorriso soddisfatto sul suo volto. - Adesso meglio: la fasciatura e un po' di riposo dovrebbero bastare. Credo di averlo rimesso in sesto; si è anche svegliato un paio di volte mentre... -
- Si è svegliato? E ti ha detto qualcosa?-
- Oh, no. - scosse il capo. - Non era abbastanza in sé per parlare. Si è lamentato un po' e ha aperto gli occhi due volte, tutto qui. - strizzò lo straccio e lo gettò via, poi ne prese uno pulito, lo immerse nel catino e lo appallottolò con cura per poi tornare accanto all'uomo svenuto. - Io ho fatto quel che potevo; temevo che fosse messo peggio. Ha qualche costola incrinata e lividi dappertutto... ah, ricordi che sanguinava dalla bocca? Niente sangue nei polmoni, per fortuna: si è morso a sangue una guancia, e grazie al pugno di Ettore ci ha rimesso un pezzo di dente. -
Posò lo straccio bagnato sulla fronte dell'uomo, e mi indicò un boccetto di vetro appoggiato sul bordo del tavolo. Io lo presi in mano e ne scrutai il contenuto: c'era una specie di sassolino seghettato, bianco, che riconobbi con una certa impressione come una buona metà di un dente umano.
- Ehw. - commentai, rimettendo a posto il boccetto. - Povero diavolo. -
Mi avvicinai di un altro passo, sotto la luce delle lampade, e ne approfittai per osservare con più attenzione l'irlandese mentre Faith continuava ad affaccendarsi attorno a lui: gli aveva ripulito con cura il viso imbrattato di polvere e di sangue, e ora aveva un aspetto decisamente migliore. Ancora non riuscivo ad indovinare la sua età, anche se le rughe sul suo volto svelavano quello che il fisico muscoloso nascondeva. Non era affatto brutto. Tratti marcati. Una bella barba. Bel petto. Distolsi lo sguardo, sentendomi vagamente a disagio.
- E tu, invece?- domandai ad un tratto, rompendo il silenzio. Faith mi guardò con l'aria di non capire.
- Io? Io sto bene, ma perché me lo chiedi?-
- Sai di cosa sto parlando. - insistetti, in tono eloquente. - Quello che mi hai detto l'altra volta. -
- Ah!- sembrò capire solo in quel momento... o forse aveva solo cercato di tenere lontano l'argomento. - Be', a quanto pare si trattava di un falso allarme. Non c'è niente da dire. -
Tornò ad abbassare gli occhi, controllando la fasciatura del suo paziente -già perfettamente a posto- con esagerata attenzione.
- Ne sei sicura?-
- Mi sono tornate le regole. - ammise con un sospiro, e per un momento mi sembrò che il suo tono si facesse triste. - Probabilmente ho solo interpretato male qualche sintomo... a dirla tutta, mi sono messa ansia per niente. -
- Quindi non sei incinta. - conclusi.
- No. -
- Oh. - uno strano silenzio aleggiò fra di noi per un po', poi riuscii a fare un sorriso e aggiungere, con un'alzata di spalle. - Peccato. -
- Peccato?!- Faith mi guardò come se fossi pazza. - Hai idea di cosa avrebbe voluto dire? Sarebbe stata una complicazione enorme, avreste dovuto trovarvi un altro medico di bordo e... -
- E io sarei diventata zia!- aggiunsi, sogghignando per prenderla in giro. Per fortuna riuscii a farla ridere, e lei sembrò finalmente rilassarsi un poco.
- Vero. - fece, ridendo ancora sommessamente. - Sai... alla fine, credo che non mi sarebbe dispiaciuto. -
- Non dirmi che non avrai altre occasioni di rischiarlo... - la canzonai.
- E' solo che non ho idea di come la prenderebbe Ettore, se succedesse. A cosa credi che abbia pensato per tutto questo tempo? Ho paura di sconvolgerlo, e lui si preoccupa troppo. -
- Si preoccupa per te e, personalmente, gliene direi quattro se non lo facesse. - le assicurai.
- E poi avreste dovuto lasciarmi a terra, quando fosse stato il momento... -
- Che storia è questa?- protestai, piccata. - Faith, quando avrai un bambino, perché lo avrai, la Perla resterà in porto finché avrò visto con i miei occhi che tu e lui starete bene! Non ce ne andremo mai senza di voi. -
Questo la fece ridere sul serio, e si gettò la treccia nera dietro le spalle con fare scherzoso. - Noto che fa sempre comodo essere amici del capitano. -
- Non sai quanto. -
Lei sorrise ancora, alzando gli occhi al cielo, poi si fece più seria. - Hm... non per farmi gli affari tuoi, ma giacché siamo sull'argomento... tu che mi dici?-
Per un momento la domanda mi colse impreparata e abbassai lo sguardo, poi voltai le spalle al tavolo per appoggiarmici pesantemente con la schiena: era più facile parlarne, se non la guardavo negli occhi.
- In verità... sì, qualche volta mi sono chiesta che cosa avrei fatto, se mi fosse successo. Ma non è mai successo. Non mi è mai neanche venuto il dubbio, se è per questo. -
- Può capitare come non capitare, no? Guarda me!- replicò la mia amica. Io inghiottii un groppo in gola e continuai, voltandomi appena nella sua direzione: - Sì, ma è un po' strano che “quella” cosa non capiti, considerando tutte le volte che a noi “capita” di... - va bene, mi ero ufficialmente ingarbugliata nelle mie stesse parole. In tutta sincerità non avevo idea quale fosse la normalità in quel campo, ma, a conti fatti, io e il capitano avevamo una certa tendenza a saltarci addosso ogni volta che ne avevamo l'occasione.
Faith mi guardò senza più riuscire a trattenersi dal ridere. - Se stai dicendo che scopate come conigli... -
- Non ero io quella volgare?!-
- ..senza alcun risultato, non è che vuole per forza dire che c'è qualcosa che non va. -
La scrutai per qualche istante, cercando di capire se stesse solo cercando di indorarmi la pillola con le sue rassicurazioni. - E' la cosa più idiota che un medico potrebbe dirmi. -
Lei non mi rispose e non si offese neanche; ormai mi conosceva troppo bene. Si limitò ad alzare le spalle e dare un'ultima sistemata distratta alla fasciatura dell'irlandese.
- Non so, Faith. - ammisi sinceramente, tornando seria e voltandomi verso di lei. - Forse semplicemente non posso averne. E' una possibilità. -
Ci fu un altro lungo istante di silenzio, stavolta però senza alcun imbarazzo: avevo detto quel che dovevo dire, e lei era la mia migliore amica. Non c'era bisogno di altre parole, tra di noi. Poi riabbassai gli occhi sull'irlandese.
- Cambiamo argomento o cambiamo stanza? E' un po' scabroso parlare di certe cose sul letto di un uomo svenuto!-

*

Al contrario di tutte le altre volte, quella sera non eravamo tornati tardi alla Perla. Dopo l'incontro con Silehard e col nervosismo che aleggiava fin nelle strade, nessuno aveva avuto voglia di rimanere in giro ancora a lungo. Dopo aver raccontato a Faith, in poche parole, quel che era successo quella sera, me ne andai a dormire e mi assopii in fretta. Non mi svegliai quando Jack mi raggiunse, ma lo feci alcuni minuti dopo, quando lo sentii improvvisamente agitarsi nel letto.
Mi riscossi dal sonno e aprii gli occhi, colta di sorpresa: mi voltai verso di lui e lo trovai sveglio, ad occhi sbarrati nel buio della cabina.
- Jack, cosa c'è?- domandai, preoccupata.
Lui scosse appena il capo, dandomi l'inevitabile risposta: - Niente. -
- Niente?- ripetei, più che stizzita. - E allora perché ti agitavi e hai la faccia di chi ha visto un fantasma?!-
- Hm... troppo rum, forse. -
- Troppo rum? Un boccale?!-
Quando capii che non avrei ottenuto niente da lui mi rassegnai mio malgrado, mi girai su un fianco e cercai di tornare a dormire, seccata dal suo ostinato rifiuto di parlarmi. Jack invece rimase sveglio ancora per un bel pezzo, a fissare il soffitto della cabina.
Non mi disse che aveva visto di nuovo l'isola a forma di teschio emergere dalla nebbia, e stavolta aveva guardato sé stesso -mutato in scheletro sotto la luna- sparare ad una donna dai capelli ricci che boccheggiava furiosa prima di precipitare in mare.
E che aveva sentito quella voce estranea e rasposa sibilare al suo orecchio: - Interessante. -




Note dell'autrice:
Aiuto, aiuto, aiuto, aiuto. Al momento sto litigando furiosamente col quarto capitolo, ed è dannatamente difficile conciliare quello che avevo scritto in passato (buona parte di questa storia, al contrario delle precedenti, era già scritto da tempo)con quello che voglio scrivere ora. Devo trovare una mediazione. E volete sapere la cosa divertente? Quello che mi sta dando più problemi, stavolta, è proprio Jack. Il mio amato capitano mi sguscia tra le mani più di quanto abbia mai fatto prima d'ora. Che si sia immedesimato troppo nell'atmosfera di questa storia?
Ma, tornando a noi, bentornati! Fannysparrow, come al solito non ne sbagli una e hai indovinato: la scena della boxe è liberamente e fangirlisticamente rubata allo Sherlock Holmes di Guy Ritchie. E per giocare sporco fino in fondo, ti dirò che anche il nostro amichevole irlandese svenuto è ispirato ad un certo attore. Ma non mi dilungo, se no che gusto c'è?
Mally, le tue recensioni chilometriche danno dipendenza, e dovresti saperlo. Tra l'altro, no, la nave di Will non è la Queen Anne's Revenge, ma è nata da ciò che era il relitto del galeone recuperato dai pirati nell'episodio scorso. Della Queen Anne ha solo il simpatico nostromo Trentacolpi, il quale ringrazia la sua più grande fan e le manda tutto il suo amore. Si vocifera che abbia chiesto un permesso al capitano Turner e stia venendo a rapirti, quindi tu preparati, che non si sa mai.
Cavolate a parte, grazie per la vostra attenzione e i vostri commenti, e grazie per continuare a seguirmi. E ora a noi due, capitolo da finire!

  
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