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Autore: Danu    11/02/2011    4 recensioni
Lei vive da tutta la vita in un villaggio in mezzo alle montagne. Lui non è mai rimasto in un posto fisso.
Al villaggio ogni primavera arrivano i nomadi e Lydia sa che farebbe meglio a non avvicinarsi per nessun motivo a uno di loro. Ma trascinata dall'esuberanza e la spensieratezza di sua sorella, promesse e matrimoni segreti, attrazioni e nuove libertà, si troverà costretta a scegliere tra un matrimonio senza amore, ma con la certezza di un futuro sicuro, e un sentimento a cui per nulla al mondo vorrebbe rinunciare.
"“Vorrei proprio vedere come reagirebbero, o anche solo sentire cosa direbbero, se ti sapessero fuori la notte da sola nel bosco. Se ti sapessero qui sola. Con me.” Mi guardò con fare allusivo sapendo che avrei capito e che sarei diventata rossa.
“Non ho scelto di venire io qui.” ribattei sulla difensiva non sapendo bene come scusarmi.
“Sì, invece. Non sono io che ti ho chiesto di uscire la notte, anche perché non te l’avrei chiesto.” Lo guardai interrogativa e lui rispose guardandomi con aria accattivante e provocatoria: “Sarei direttamente venuto a prenderti."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non dovresti girare disarmata, Lydia. Credevo avessi imparato la lezione.” Mi rimproverò Gabriel.
 


Ricordai la notte in cui per poco non mi aveva tagliato la gola e dovetti respingere l’impulso di portare la mano al collo sentendo improvvisamente il freddo sulla pelle. Raccolsi la cesta con i panni sporchi per tenere impegnate le mani e lo guardai male per avermi ricordato un simile episodio: il ricordo del contatto con la lama fredda e del terrore che avevo provato mi faceva ancora venire i brividi. “Devo solo andare a lavare questi panni al fiume. Non andrò troppo lontano, non c’è nessun pericolo.”

Alzò un sopracciglio con fare scettico e capii subito che non mi avrebbe lasciato andare sola. Avrebbe approfittato di quell’occasione per seguirmi ed eventualmente prendermi in giro, come ormai spesso faceva.

Iniziavo a capirlo. O a prevenirlo nella sua imprevedibilità, se così era più giusto dire.

Era una sensazione strana, soprattutto perché mai ero stata davvero capace di anticipare e rimanere sorpresa dalle azioni di una persona allo stesso tempo. Ma Gabriel era particolare: anche se per la maggior parte del tempo era imprevedibile sia nell’umore sia nelle decisioni quotidiane, c’era sempre qualcosa che lo rendeva prevedibile.

Era sfuggente, se avessi dovuto descriverlo, non avrei saputo come farlo perché Gabriel era un po’ di tutto: passava da un estremo all’altro senza preoccuparsi di giustificare il proprio comportamento.

Ma ora, con tutta quella disapprovazione dipinta sul viso, era facile indovinare cosa avrebbe detto e ne ebbi la conferma quando mi comunicò che mi avrebbe accompagnata.

Gabriel mi portò in un punto del fiume piuttosto calmo e lontano dal campo dei nomadi. C’era una piccola cascata e l’acqua formava un piccolo laghetto prima di continuare la sua corsa verso la pianura.

Presi il sapone e trovando una roccia adatta al lavoro, iniziai a insaponare, strofinare e risciacquare, mentre Gabriel, lungi dall’aiutarmi dormicchiava con il viso rivolto alle nuvole, le mani incrociate sotto la testa e lo stelo di un fiorellino tra le labbra.

Iniziai presto a canticchiare, dimentica di Gabriel alle mie spalle, immergendo una mia veste in acqua, quando all’improvviso qualcosa dentro l’acqua iniziò a tirare cercando di strappare l’indumento dalle mie mani. Il mio primo pensiero corse alla probabilità che la veste si fosse impigliata nella punta di qualche roccia. Mi avvicinai così ulteriormente all’acqua immergendo le braccia fino al gomito.

Tuttavia, non trovai roccia ne fango, ma due mani che prendendo le mie, mi tirarono giù facendomi perdere il mio già precario equilibrio.

L’attimo dopo ero sott’acqua, ma quelle mani che mi avevano fatta cadere nell’acqua fredda del fiume, mi afferrarono da sotto le ascelle e in men che non si dica ero intenta a tossire e rabbrividire con i vestiti.

“G-Gabriel!” riuscii ad esclamare dopo una fitta raffica di tosse. I miei denti battevano e i miei capelli sciolti galleggiavano intorno a me come i petali di un fiore.

E lui ridacchiava e mi teneva ancora a galla. Lo fulminai con lo sguardo. “Mi hai fatto spaventare.”

“Dai, vieni a nuotare. Hai lavorato abbastanza, oggi.”

Mollò la presa e appena mi sentii sprofondare nell’acqua, un terrore cieco mi spinse a buttarmi sull’unico appiglio stabile che avessi intorno a me: Gabriel.

“Cosa fai?” chiese sorpreso mentre lo abbracciavo tenendolo stretto, senza pensare a quanto mi sarei sentita in imbarazzo se ciò fosse accaduto sulla terra ferma.

“Non so nuotare. Ho paura.” Farfugliai agitata.

Lui sospirò. “Avrei dovuto immaginarlo. Ma come ti lavi di solito, allora?”

Arrossii e non gli risposi: aveva formulato la domanda con ingenuità tutto sommato, ma mi metteva a disagio comunque. “Allora?” mi incitò.

“Beh, abbiamo una tinozza. Portami fuori di qui, adesso.”

Lui rise. “No, dovresti imparare a non aver paura dell’acqua.” Rispose.

“No, ti prego. Lasciami tornare a riva.”

Non vedevo il suo viso, ma sentii il sorriso nella voce quando disse: “Sta bene, ti riporterò all’asciutto.”

“Grazie.” Mormorai.

“Ad una condizione.” Aggiunse e io sbuffai.

“Fai mai qualcosa senza una ricompensa?” gli chiesi genuinamente interessata.

Lui ridacchiò. “A volte.”

“Non puoi lasciar perdere questa volta? Tutto quel che voglio stare con i piedi per terra.” Lo pregai.

Lui divertito rispose. “A volte bisogna staccarli, i piedi.”

“D’accordo.” Risposi sconfitta.” Cosa vuoi?”

La risposta mi lasciò sconvolta. Nonostante avessi in qualche modo imparato a capire la sua imprevedibilità, mai avrei potuto prevedere ciò che disse: “Un bacio.”

Rimasi in silenzio per un po’ assimilando quelle due parole. “Cosa? Perché?”

“Un bacio.” ripeté. “Perché? Perché… Non lo so neanch’io, Lydia.”

La sua voce aveva un tono così deliberatamente sincero che allontanai il viso dalla sua spalla per guardarlo negli occhi. Erano sinceri, non c’era più divertimento o malizia, rispondevano al mio sguardo in modo disarmante.

Quando spostai timidamente gli occhi sulle sue labbra, mi resi conto di qualcosa che prima non avevo mai notato: tutto quell’imbarazzo che provavo quand’ero con lui accompagnato al piacere della sua compagnia, era dovuto a qualcosa che mai avevo provato. Mi resi conto che quel bacio non mi sarebbe dispiaciuto affatto e improvvisamente mi spaventai.

Abbassai lo sguardo arrossendo e sussurrando. “No, io…” Alzai lo sguardo e non so come eravamo troppo, più di quanto eravamo mai stati. Così vicina da intravedere la minuscola cicatrice di un leggero taglietto proprio al limite del labbro superiore: chissà come se l’era procurata, forse cadendo da piccolo.

Mi avvicinai ulteriormente, dimentica delle mie preoccupazioni.

Lo baciai mezza decisa ad allontanarmi subito dopo, ma la sua vivace e inaspettatamente dolce risposta bastò ad imprigionarmi lì tra le sue braccia nell’acqua fredda.

Non mi ero mai sentita in quel modo: così dimentica di tutto quel che non fosse lui, così preda di emozioni che non sapevo esistessero, così oltre i freni che mi imponeva la società e il mio carattere.

Quando riaprii gli occhi e mi allontanai leggermente, le sue parole mi ritornarono in mente. A volte bisogna staccarli, i piedi. E con stupore realizzai che era quel che avevo fatto. Per un attimo avevo staccato i piedi da quella terra piena di pregiudizi, buone maniere, dovere e mille altre preoccupazioni.

Sorrise come se sapesse a cosa stessi pensando e feci per rispondere a quel sorriso. Ma i miei piedi toccarono terra e mi ricordai di quanto quel che era successo fosse sbagliato. Mi ricordai di John e del nostro prossimo matrimonio e impallidii.

“Riportami a riva.” Dissi.

“Cosa c’è?” chiese improvvisamente preoccupato. Sul mio viso doveva essere chiara la mia agitazione.

“Rimportami a riva, Gabriel. Devo andare.” Ripetei.

“Va bene, ma spiegami.”

“è sbagliato quel che mi hai fatto fare.” Risposi leggermente infastidita dal fatto di essere costretta a fare quel che voleva lui per tornare a riva e dando a lui la colpa per quel che avevo provato.

Quel che avevo detto sembrò farlo arrabbiare. “Sbagliato? E perché la pensi così?”

“Mi hai ricattato.”

Rise senza apparente allegria. “Era un gioco, Lydia. Se davvero non avessi voluto, non ti avrei certo costretta!”

Lo guardai a bocca aperta. “Perché?”

“Io non penso fosse sbagliato. Era ciò che volevo ed era ciò che volevi anche tu, per quanto la cosa evidentemente non ti piaccia. Era ciò che di più giusto c’è.” Replicò senza rispondere davvero alla domanda che gli avevo fatto.

Rimasi in silenzio. “Io mi devo sposare.” Mormorai.

Mi guardò malissimo quando lo dissi. “Devi? Tu non devi. Hai il potere di scegliere, Lydia. Sta a te decidere di farlo.” Disse sprezzante.

“Cosa vuoi dire?” gli chiesi. Cosa avrei potuto fare diversamente? “Sposarmi è tutto quello che ho sempre voluto.” E dicevo la verità: era tutto a quel avevo sempre aspirato.

“Se è così, allora ti riporto con i piedi per terra.” Replicò con un tono di voce scontroso. 



                                                                                                          


E con i piedi ben piantati per terra mi ritrovai poco dopo quando raccolsi i panni sotto lo sguardo pungente di Gabriel, quando tornammo al campo e mi precipitai ad aiutare mia madre finalmente guarita ad alzarsi e tornare a casa.

Tuttavia, solo quando il giorno dopo, quando nostro padre spalancò la porta e John si precipitò da me, sentii quanto pesasse restare con i piedi per terra.

Solo quando John mi abbracciò, realizzai di aver sempre avuto, in un modo o nell’altro, i piedi incatenati a terra e che la chiave per togliere quelle catene l’avevo appena persa. 

   
 
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