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Autore: Argorit    12/02/2011    8 recensioni
Meliandra, la principessa del regno di Ader, viene mandata da suo padre a compiere una missione essenziale per la sopravvivenza del popolo. Ad accompagnarla, Farin, un giovane mercenario, potente, spietato e dall'oscuro passato.
Insieme, dovranno salvare il loro mondo dalla minaccia di un essere millenario, una creatura fatta di odio e da esso alimentata.
Ma ce la faranno?
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[Cit]
-Andrà mai via?- chiese Meliandra, fissandosi le mani ancora grondanti d'acqua gelida.
Farin la guardò a lungo, con attenzione. Sapeva cosa avrebbe dovuto risponderle, ma se l'avesse fatto, di quella ragazza non sarebbe rimasto che un guscio vuoto, un mero simulacro di quella che sarebbe potuta essere una magnifica regina.
Quindi, suo malgrado, si chinò su di lei, la avvolse con proprio mantello e le sussurrò -No, non lo farà. Solo gli stolti credono che il tempo lenisca ogni ferita-
-Ma allora cosa devo fare? Come posso convivere con questo? Io non sono forte come te, io non posso andare semplicemente avanti, dimenticando quello che è successo!-
Il ragazzo le rivolse il sorriso più gentile che poteva. -Allora combatti ancora, perchè il dolore che provi ora non sia vano-
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                       RINASCITA

 

 

 

                                                                                                                                 Regno di Ansha. Confine Est. Anno 1857

 

 

 

Il ritmico rumore dei martelli e dei picconi riempiva la cava, mentre la violenza dei colpi sollevava nuvole di polvere sottile, che ostruiva i pori e intasava i polmoni, e spargeva ovunque schegge, talvolta pericolose. Le pesanti catene legate alle caviglie dei lavoratori, segno della loro condizione di prigionieri, rendevano il già duro lavoro degli uomini un’impresa titanica. I petti madidi di sudore si alzavano e si abbassavano affannosamente, alla continua ricerca di aria preziosa; le braccia, affaticate e tremanti, stentavano a sollevare i pesanti attrezzi, ed ogni colpo era più lieve del precedente. Molti di loro sarebbero collassati senza una pausa, ma nessuno osava chiederlo, per paura delle punizioni in cui sarebbero incorsi tutti. Per questo stringevano i denti e andavano avanti, spronati solo dalla prospettiva della libertà che era stata loro promessa se avessero svolto quel lavoro con precisione e discrezione.
Nel frattempo, da un palco sopraelevato, un uomo osservava gli schiavi, perché quello erano ai suoi occhi, con un’espressione di cupa soddisfazione. Indossava abiti da nobile, fatti con stoffe pregiate, ricamate con oro e argento. Il suo stesso aspetto suggeriva un alto tenore di vita: la corporatura imponente, i muscoli ben scolpiti e guizzanti sotto la pelle, tipici di chi passa lunghe ore a maneggiare la spada; la schiena dritta e fiera, grazie a frequenti cavalcate; i capelli, lucenti e ben curati, legati da un fermaglio d’oro intarsiato di gemme in una coda che gli scendeva fino a metà della schiena.
Erano tuttavia gli occhi a restare impressi ai suoi interlocutori: altezzosi, di un azzurro imperscrutabile, sembravano guardare il mondo con disprezzo e disgusto. Erano gli occhi di chi si riteneva un eletto, superiore a tutto e a tutti, e non temeva di darlo a vedere, anzi, se ne compiaceva.
Una voce fastidiosa e raschiante lo distolse dai suoi pensieri «Principe Alner?».
L’uomo si girò lentamente, piantando le iridi di ghiaccio sul vecchio scheletrico che aveva parlato. Certe volte il principe si pentiva di essersi affidato a lui: era debole, di corpo e di mente, ma era anche ambizioso e, a dispetto della veneranda età, avido come pochi. Avrebbe venduto il suo primogenito per denaro.
«Dica consigliere Saja» Sibilò Alner, chiaramente seccato.
Il vecchio deglutì vistosamente «Una delle guardie ci informa che a questo ritmo per domani mattina dovremmo aver terminato gli scavi».
Il principe represse un moto di stizza «Questo è male consigliere. Non ho tutto questo tempo, li faccia lavorare più in fretta».
L’anziano sbiancò «Ma mio signore, li stiamo già forzando al limite. Molti di loro non ce la faranno. Rischiamo di scatenare una sommossa» Non che fosse preoccupato per le loro vite, ma era facile che, in una situazione del genere, un vecchio fragile e indifeso come lui morisse. E di sicuro non poteva contare sulla protezione del principe, questo lo sapeva bene. Conosceva il carattere del futuro monarca.
Alner lo guardò con un’espressione che solo un despota avrebbe potuto assumere «E in che modo questo dovrebbe interessarmi? Disponiamo di abbastanza guardie da reprimere una ribellione sul nascere. E poi…» Le labbra dell’uomo si tesero in un sorriso a metà tra il sarcastico e il disgustato «non sopravvalutare l’amor proprio di questi cani: se andasse a loro vantaggio, smembrerebbero volentieri i propri compagni, a morsi se necessario».
L’immagine evocata dal futuro sovrano fece rabbrividire il consigliere che, senza perdere altro tempo, si girò e andò ad eseguire gli ordini ricevuti.
Con una punta di divertimento il principe lo vide correre alla massima velocità che il corpo decrepito gli consentiva, dirigendosi verso Radven, suo braccio destro, nonché capo delle guardie. Alner lo considerava il sottoposto ideale: forte come un toro, fedele come un cane e intelligente come un macigno.
Il principe vide le labbra dell’uomo tendersi in un ghigno sadico, mentre il consigliere gli comunicava le sue disposizioni e, come un bambino che, ricevuto un nuovo giocattolo, si stanca di quello vecchio, così Radven gettò la frusta di corda che impugnava e ne andò a prendere un’altra, più spessa e pesante, di cuoio conciato misto a lamine di metallo.
Con un sorriso di pura estasi l’uomo prese a menare sferzate a destra e a manca, lasciando segni scarnificati e sanguinolenti sui corpi dei malcapitati che gli finivano a tiro.
«Maledetti bastardi» Sibilò uno dei prigionieri, tastandosi il punto in cui lo scudiscio lo aveva sfiorato, lasciandogli una lunga striatura rossa «Anche se siamo criminali non possono trattarci così».
L’uomo alla sua destra ridacchiò, amaramente divertito «A loro non importa un bel nulla di noi Karl. Siamo come bestie da soma, privi di qualunque diritto».
«Come diavolo fai a stare così calmo?» Sbottò Karl «Proprio tu che sei stato in galera per due anni pur essendo innocente. Ti sei persino perso la nascita di tua figlia!».
L’amico gli sorrise con mestizia «Già, ma mi consola il pensiero che presto la rivedrò».
«SILENZIO VOI DUE!» Latrò una delle guardie, facendo schioccare la sferza a pochi centimetri dai loro volti.
Masticando una serie di imprecazioni, i due uomini tornarono a dedicarsi alla loro mansione, sferrando simultaneamente due colpi carichi di frustrazione. La roccia cedette sotto i picconi, spalancandosi in una voragine nera che rischiò di ingoiare la metà dei minatori.
A quella vista il principe si precipitò sul posto come un falco in picchiata, sbraitando ordini: «Portatemi una torcia, e una fune. Che nessuno a parte me osi scendere. Se ci provate vi faccio mettere sulla forca».
In preda ad un’eccitazione febbrile Alner si legò la corda alla vita e si calò nelle tenebre, affidando l’altro capo della cima al fido Radven.
La discesa fu breve, ma gli parve durare un’eternità. Non appena i suoi piedi toccarono terra iniziò a esplorare l’anfratto, a stento illuminato dalla fiaccola. Si sentiva guidato dall’istinto, e, infatti, impiegò pochi minuti a trovare ciò che cercava: un bottone mimetizzato nella roccia. Alner esultò. Gli scritti che aveva passato notti intere a consultare non mentivano.
Il principe lo pigiò senza esitazione. Alcuni stridii metallici ruppero il silenzio, mentre una serie di cardini nascosti facevano scorrere lateralmente una vasta porzione di pietra.
Una zaffata di aria mefitica spirò dall’ingresso appena aperto. Trattenendo i conati di vomito, Alner si legò un fazzoletto intorno alla bocca e al naso: poteva essere rischioso respirare a lungo quell’aria marcia.
Neanche lui avrebbe saputo dire per quanto tempo camminò, se minuti o ore: la galleria pareva infinita ed immutabile.
Il principe provava la spiacevole sensazione di essere osservato. Le pareti parevano avere occhi che lo scrutavano, famelici; l’ombra, a malapena scacciata dalla luce della fiaccola, lo inseguiva, come una belva pronta a balzare sulla preda alla sua minima distrazione. Quel luogo trasudava odio e potere, ma proprio per questo l’uomo era sicuro che ciò che cercava si trovasse lì.
Ogni singola fibra del suo essere gli diceva di girarsi e andarsene il più lontano possibile, ma la voglia di avere quell’oggetto era troppa.
Una violenta folata di vento fece oscillare pericolosamente la fiamma della torcia: doveva esserci un’altra entrata, nascosta da qualche parte.
Chi sei? Sibilò una voce, così lieve e fuggevole che Alner credette di essersela immaginata. Chi sei? Ripeté la voce, stavolta in tono più chiaro e nitido. Il principe rabbrividì.
«Tu chi sei?» Sbraitò l’uomo, più per scacciare la paura che per la rabbia «Come osi rivolgerti a me così? Io sono il principe di Ansha! Il futuro re!»
Un’onda di puro gelo inondò il tunnel, e una seconda, potente folata di vento assestò il colpo di grazia alla torcia, che si spense con uno sbuffo.
Modera i termini principe. Io sono più vecchio del più vecchio dei tuoi avi. Il tono dellavoce era calmo, ma in esso si poteva percepire una nota di minaccia.Se sei ancora in vita, è per via della mia curiosità. Sai, è raro che io abbia ospiti.
Alner deglutì. Forse era meglio mostrarsi più umili: sarebbe stato poco saggio incorrere nell’ira di un essere sconosciuto, specie se antico di almeno mille anni.
Dunque, che ci fai tu qui?
«Cerco la spada dell’uomo che dominò queste terre mille anni fa».
La voce scoppiò a ridere, e fu una risata orrenda, gelida e crudele, che riverberò sin nelle ossa del principe.Molti l’hanno cercata. Disse tra una risata e l’altra.Alcuni sono persino giunti dove sei tu ora. Eppure nessuno, nessunoè mai riuscito a portarla via con sé. Cosa ti fa credere di potercela fare?
«Sono un principe!» urlò Alner, sicuro dei propri diritti.
Qui il tuo titolo non vale nulla. Il tuo sangue blu è rosso come quello di chiunque.
«Dispongo di un vasto esercito, e ho al mio fianco maghi assai potenti».
Nessun esercito mortale, per quanto numeroso, può controllare un potere che sfiora il divino. E molti degli uomini che giacciono in questo luogo erano maghi molto più dotati di quelli che tu puoi schierare.
L’erede al trono non sapeva come controbattere, ma non se ne sarebbe andato senza di ciò per cui era venuto.
C’è però una cosa in cui tu superi i tuoi sciocchi predecessori. Disse la voce, ora stranamente cordiale.Sei molto più avido ed egoista di tutti loro.
«Cosa?» Alner era allibito. Davvero bastava quello?
Chi ha cercato quella spada lo ha fatto per i più svariati motivi: c’era chi voleva proteggere la propria famiglia, chi la propria città, chi se stesso. C’era chi bramava il potere fine a se stesso, chi lo desiderava per annientare i propri nemici, altri ancora volevano vendetta per i torti subiti.
Ma tu sei diverso: tu non vuoi né distruggere né proteggere; tu vuoi dominare.

Al principe si gelò il sangue nelle vene. Aveva la spiacevole sensazione che quell’essere stesse scavando all’interno del suo cuore, come se stesse carpendo ogni suo desiderio, per poi amplificarlo, fino a renderlo un bisogno lacerante,vitale.
Il bisogno di avere quell’arma, già prima ossessivo, si fece spasmodico: doveva averla.
«Si!» Urlò in preda alla follia «Dici il vero! Io voglio il potere, e il regno. Voglio spodestare quell’inetto che ammuffisce sul trono già da troppo tempo. Voglio strappargli il cuore e bruciarlo!»
Ed è giusto così. Sussurrò la voce, mentre una lieve brezza, priva del puzzo che aleggiava in quel luogo, accarezzò la guancia di Alner.Tu sei giovane, vigoroso, e saggio, tuo padre, invece, è fragile e titubante. È tuo diritto e dovere impedire che faccia ancora danni.
«Si, era proprio ciò che pensavo» Mormorò il principe. Non riusciva a riflettere lucidamente: era come se la sua testa galleggiasse su di una nuvola. I suoi piedi si mossero da soli, seguendo una strada indicata solo da un lieve profumo sconosciuto, ma che per lui era dolce come nient’altro. Vieni. Lo incitava la voce. Manca poco ormai.
Quando finalmente riprese coscienza di sé si scoprì essere al centro di una grande grotta. L’intero spazio era illuminato da decine di bracieri, alimentati con la torba, se l’olfatto non lo ingannava. Il pavimento e le pareti erano lisce, a tal punto che la roccia pareva marmo al tatto. Da un’estremità all’altra la spelonca misurava almeno sessanta metri, mentre la volta era ad almeno trenta metri di altezza. Nel suo preciso centro, proprio di fronte a dove il principe era inginocchiato, si ergeva un piccolo obelisco.
Alner lo fissò come ipnotizzato: era nero, ma di un nero sconvolgente, così profondo e cupo che sembrava risucchiare la luce generata dalle fiamme. Non superava neanche il metro e mezzo, ma in esso c’era qualcosa, qualcosa che lo faceva apparire enorme, schiacciante. Era come se fosse avvolto da una nube di energia. Nonostante avesse la mente ancora intorpidita, Alner capì di trovarsi di fronte ad una forza colossale, talmente immensa da sfuggire alla sfera del reale.
«Dove sono?» Mormorò atterrito.
Esattamente dove volevi essere. Disse la voce. Solo che stavolta sembrava provenire da una direzione precisa: il piccolo obelisco nero.
«Non capisco» Disse Alner «pensavo che mi avresti condotto alla spada».
Un passo alla volta. Guarda ai tuoi piedi, con molta attenzione.
Il principe obbedì, scrutando con cura il pavimento levigato come uno specchio. Vi fece scorrere sopra le dita, sperando di avvertire qualcosa. Cercò per vari minuti, finché il suo indice non incontrò una sottile scanalatura. Tremante, scostò la polvere accumulatasi nei secoli, rivelando un cerchio inciso sul suolo.
Bravo. Lo adulò la voce. Ora devi solo fare il baratto.
«Baratto?» Chiese Alner, confuso «Devo dare qualcosa in cambio?».
Oh non ti preoccupare. Sussurrò rassicurante. Si tratta solo di versare alcune gocce di sangue, poi ciò a cui aneli sarà tuo.
Impaziente, il principe sfilò un coltello dallo stivale, incidendosi il pollice. Strinse i denti quando il metallo gli morse la carne.
Le gocce cremisi caddero al suolo, formando piccole macchie circolari che sparirono subito, assorbite dalla pietra. Sotto lo sguardo incuriosito di Alner, la scanalatura s’illuminò di rosso. La roccia nell’area interna del cerchio sparì, facendo cadere il principe in una pozza di melma nera, che, come fosse viva, si avvinghiò saldamente alle sue gambe.
«Ma che diavolo…?!» Urlò in preda al terrore, mentre la melma risaliva rapida il suo corpo, inglobando prima l’inguine, poi il busto.
«Mi hai ingannato!» Sbraitò contro la voce e contro se stesso, maledicendosi per essere caduto in una trappola così semplice.
Oh, assolutamente no. Disse melliflua la voce. Beh, forse avrei dovuto avvisarti che il tuo corpo e la tua mente sarebbero andati distrutti. Pazienza.
«Che tu sia…» La fanghiglia gli avvolse la testa, stroncando la frase sul nascere. Penetrò nel suo corpo sussultante dalle orecchie, dal naso, dagli occhi e da qualsiasi altro orifizio. Il sangue gli evaporò letteralmente nelle vene, sostituito da quella poltiglia densa e scura; le carni si dissolsero, le ossa divennero polvere, gli organi e la pelle si sciolsero. In poco più di un minuto, del principe Alner non rimase nulla, persino le sue vesti vennero avidamente fagocitate.
Per alcuni secondi non accadde altro, poi l’obelisco iniziò a vibrare violentemente, emettendo una pulsante luce violacea. La melma si sollevò dalla pozza, levitando e compattandosi in una sfera. Lentamente, la sfera prese a mutare forma e, centimetro dopo centimetro, assunse un aspetto vagamente umano.
Una sottile crepa comparve al centro di quella statua di fango, diramandosi come una ragnatela per tutta la sua superficie. Con un sonoro crepitio i pezzi neri e duri si staccarono, rivelando la figura di un uomo.
Sorridendo, la creatura appena rinata si tastò il viso, controllando che i lineamenti fossero tutti al posto giusto: erano secoli che non aveva un corpo fisico, poteva aver posizionato male qualcosa durante la ricostruzione. Per fortuna era tutto in ordine.
Ghignando, l’essere che fino a qualche minuto prima era il principe Alner alzò una mano. Immediatamente i frammenti di melma residui si aggregarono, formando un lungo spadone nero privo di qualsiasi decorazione a parte un rubino rosso sangue incastonato appena sotto la coccia.
Soddisfatto del risultato, l’essere si avviò verso l’uscita. Era a dir poco entusiasta: dopo mille anni, e chissà quanti tentativi, sarebbe finalmente uscito da quel buco infernale.
Fu rapidissimo a raggiungere la fune. Ai suoi occhi l’oscurità era chiara come la luce del giorno. S’issò senza sforzo ma, arrivato in cima, due possenti paia di braccia lo sollevarono.
L’essere fissò disgustato la cava gremita di uomini sudati e puzzolenti. Il loro lezzo lo nauseava, così come lo nauseavano le espressioni tronfie delle guardie, ma ciò che lo stava irritando di più era il vecchio che, non appena lo aveva visto, gli era andato incontro per tempestarlo di domande.
Decisamente un pessimo inizio. Pensò mentre cercava di contenere la rabbia. Scandagliò i ricordi del principe, cercando di capire se anche uno solo di quegli idioti gli sarebbe stato utile in qualche modo. Ovviamente no. Un sorriso feroce gli increspò le labbra: in quel caso poteva lasciarsi un po’ andare.
«Principe?» Chiese dubbioso Saja, preoccupato dallo strano comportamento dell’uomo. «Che vi succ…» Non poté terminare la frase. Veloce come il vento, l’essere squarciò l’esile ventre del consigliere. Le viscere del vecchio si sparsero al suolo con un tonfo liquido, mentre un fiume di sangue eruttava dalla ferita. Era morto sul colpo, l’essere aveva sentito con chiarezza la sua anima estinguersi, ma, come se quella cariatide volesse aggrapparsi alla vita anche dopo la morte, il suo corpo rimase ritto per qualche secondo, prima di accasciarsi sulle proprie interiora.
Di fronte agli attoniti spettatori l’essere scoppiò in una risata, contento di aver mietuto la sua prima vittima da secoli. Nessuno osava, o riusciva, a muovere un muscolo. Solo il mastodontico Radven si fece avanti, la faccia sfregiata da miriadi di cicatrici torta in un’espressione preoccupata.
«Maestà? Perché avete ucciso il consigliere?» L’uomo non si capacitava di quell’azione: uccidere un membro del consiglio reale avrebbe avuto forti ripercussioni, rischiando di mandare a monte il piano che il principe aveva organizzato nei minimi dettagli. Alner era un uomo astuto, impulsivo, ma astuto, quindi perché si era accollato un simile rischio?
L’essere si limitò a sorridergli, prima di sferrargli un pugno sul petto muscoloso, mandandogli le costole in frantumi. Il gigante si accasciò, tossendo. Anche sorpreso e dolorante com’era, non poté fare a meno di chiedersi da quando il suo signore avesse tutta quella forza.
«Signori» Disse l’essere. «Vi ringrazio per il vostro operato» Sollevò la spada sopra la propria testa, il rubino cremisi scintillava. «Ora però non siete più di alcuna utilità» Il rubino emise una luce intensa, che sovrastò quella dei falò. Gli uomini sbiancarono, cadendo ad uno ad uno come frutti troppo maturi.
Quando il bagliore si attenuò, l’essere passò in mezzo allo stuolo di cadaveri con noncuranza, avviandosi verso l’uscita.
Arrivato alla soglia si girò, mormorando a mezza voce alcune frasi cantilenanti. Sul suo palmo aperto si formò una sfera azzurra, delle dimensioni di una mela. L’essere la lanciò verso la volta della grotta, dove esplose con un fragore assordante. L’intera cava prese a tremare, e l’essere vide enormi pezzi di roccia cadere l’uno dopo l’altro, tornando a seppellire quella che per quasi un millennio era stata la sua prigione.
«Che tutto giaccia dimenticato» Sibilò. «Stavolta nessuno dovrà intralciarmi.»






Madre de Dios, finalmente questo aborto scrittorio è terminato. Spero piaccia ( aspetta e spera NdVoi; la speranza è l'ultima a morire! NdMe)
Ringrazio AquamarinePrincess e YuXiaoLong per aver avuto lo stomaco di leggere e commentare il prologo.
Adesso se volete scusarmi, vado a fustigarmi. Ciao.

  
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