Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Elos    14/02/2011    1 recensioni
Murad lo minacciava, certe volte, e poi gli offriva regali, doni per farsi perdonare e per ingraziarselo e per vedere se un giorno o l'altro gli sarebbe riuscito di vederlo sorridere, magari, perché doveva essere molto meglio avere intorno un Elwyn appagato, in pace con sé stesso, in pace con la sua situazione, in pace con Murad, soprattutto con Murad. Non era mai riuscito a comprarsi un sorriso di Elwyn, ma insisteva, ancora e ancora, sperando di riuscire ad indovinare la giusta offerta, il giusto prezzo per quel sorriso.
Perché Murad lo minacciava, sicuro: ma, poi, conosceva una verità diversa.
[...]
Seconda classificata al concorso L'Harem... e il Pagliaccio indetto da Eylis.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



- palazzo-giardino



Qualche volta Elwyn sentiva voci e risate provenire dalle altre camere del palazzo: gli arrivavano ovattate, passando attraverso i filtri delle stoffe e delle vetrate che dividevano le sue stanze dal mondo, ma lui si appoggiava il più vicino possibile ad esse, schiacciandosi contro la porta, contro la tenda, contro la parete che lo allontanava da quelle voci, da quelle risate, per cercare di sentirne il più possibile. Erano un contatto. Erano la dimostrazione che, fuori, c'era ancora qualcos'altro.
I pasti arrivavano attraverso un tavolo a scomparsa: poteva avere tutto quel che voleva, quando lo voleva, le cose più assurde e improbabili, bastava chiederle al computer e le otteneva in un batter d'occhio. Tutto quel che voleva. Quando finiva di mangiare, il tavolo scivolava nel pavimento e tornava nelle cucine, in attesa della richiesta seguente.
C'era una grande schermata traslucida che riempiva tutta una parete e che serviva per leggere e per vedere video, filmati, per ascoltare musica. C'era una grande vasca, nel mezzo delle stanze, circondata da enormi cuscini e da uno strato spesso come il velluto d'erba verdissima e sempre asciutta.
Avrebbe potuto essere una vita bellissima.
Poteva fare tutto quel che voleva, quando lo voleva. Quel che non poteva, era uscire.
Non vedeva nessuno, mai, che non fosse Murad. Murad arrivava nel pomeriggio o la notte, ma mai al mattino: perché, gli aveva spiegato una volta, al mattino c'erano cose che la Città si aspettava che lui facesse.
Da Elwyn Murad non si aspettava nulla: tutto quello che gli veniva chiesto era mettere i vestiti che venivano scelti per lui - vestiti asessuati come quelli della piccola, graziosa circense, del pagliaccio, con larghi calzoni e stretti corpetti che avrebbero potuto nascondere un seno molto acerbo, anche, se ci fosse stato un seno da nascondere (ma non c'era) - e tenergli compagnia.
Qualche volta Murad gli chiedeva di ripetere qualcuno dei suoi trucchi più interessanti - far sparire fazzoletti ingoiandoli e tirarli fuori dalle orecchie, dalle maniche, dal naso, lanciare tre, quattro, cinque palle alla volte senza farle cadere a terra, fare boccacce e mimare cadute. Murad era un bravo spettatore: rideva quando ci si aspettava che ridesse, applaudiva ai momenti giusti, trovava divertente tutto il repertorio del pagliaccio. Qualche volta parlavano. Molto più spesso, però, stavano zitti: erano le volte che Elwyn preferiva, perché gli permettevano di fingere che Murad non fosse lì con lui.
- Pensavo al tuo nome. - aveva detto tutto ad un tratto Murad, un pomeriggio, interrompendo il benedetto silenzio di una di quelle occasioni. - La scelta di un nome è una cosa importante. -
Elwyn un nome l'aveva già. Era un nome lungo e complicato, ma gli piaceva: era il suo. Murad aveva sorriso e aveva detto:
- Nella città di Londra usano nomi simili al tuo, ma io li trovo dissacranti. Non hanno significato: e se ne hanno avuto uno, un tempo, la gente non lo ricorda più. Quel che non viene ricordato è come se non fosse mai esistito. -
Londra era una delle più antiche, più grandi e più famose Città del Cielo: muoveva lungo il meridiano di Greenwich, da nord a sud, attraversando in estate il Circolo Polare Artico, in inverno l'Antartide, senza mai fermarsi. Era una Città immensa, e splendente d'argento, d'acciaio, di luminoso cristallo azzurrato. La notte rifletteva i raggi della luna e da lontano appariva come un immenso gioiello pallido sospeso tra le nuvole.
Murad aveva proseguito lentamente, l'espressione assorta:
- Jawharah è un nome meraviglioso. O Basma: anche Basma sarebbe un bellissimo nome, per te. Poco veritiero, indubbiamente, ma i nomi sono fatti per esprimere auguri e speranze, non è forse così? -
Elwyn aveva vissuto insieme alla gente di quella Città del Cielo sufficientemente a lungo per saper riconoscere un nome femminile quando ne ascoltava uno: l'aveva detto a Murad, che aveva scrollato le spalle, solo, e aveva riso senza rispondergli.
- Potrei chiamarti Anbar. - aveva detto poi. - E' il nome dell'ambra grigia. E' scura e sgradita alla vista, ma preziosa come la mirra, come l'incenso. -
Il nome di Elwyn era una composta in lettere e suoni di tutto quel che Elwyn era. Coleridge era qualcuno che una volta aveva incontrato, in una Città molto lontana da quella, e che gli aveva detto che tornare là sotto non sarebbe stata poi la fine del mondo. Marmaduke era il nome dell'uomo che aveva fatto nascere Elwyn, tirandolo fuori dalla pancia di sua madre, e Shaw il nome di quello che ad Elwyn l'aveva salvato, portandolo via quando era ancora alto appena un metro e poco più, il giorno in cui la Sorveglianza era scesa nei bassifondi di Londra per sgomberarli e sua madre era scomparsa da qualche parte con qualcun altro. Non l'aveva più rivista, poi. Non era mai più riuscito neanche a tornare a Londra. Elwyn era il nome del nonno di un nonno di un nonno: uno che, si diceva, era stato l'ultimo della sua famiglia a nascere, crescere e morire là sotto. Elwyn si teneva il suo nome stretto al cuore come una litania, come una preghiera. Non voleva che Murad gli portasse via anche quello.

Qualche volta Murad gli si rivolgeva al femminile: erano le volte che spaventavano Elwyn più di tutte le altre, perché gli davano la sensazione, improvvisa, viscida e appiccicosa, di stare perdendo tutto. Il suo nome era incerto, sospeso dietro alla continua offerta di un nome diverso - un nome da donna, in un'altra lingua - e Murad continuava a minacciare droghe che gli avrebbero dato l'inconsapevolezza, la felicità, e adesso anche il suo sesso era in dubbio: un po' ragazzo, un po' ragazza, Elwyn andava a dormire la sera, certe volte, stupendosi di non trovare forme femminili sotto agli abiti.
Elwyn, ripeteva allo specchio, mi chiamo Elwyn Shaw Marmaduke Coleridge, e vengo da là sotto.

- Hai gli occhi come l'ambra grigia. - diceva Murad. Oppure: - Come la superficie lucida dei motori. Come l'alba di ferro quando la Città sorvola il Ras Dascian in autunno, la prima luna della sera, l'alba sul mare nello Stretto di Gibilterra. -
Nella voce di Murad, la lingua delle Città del Cielo, che era un miscuglio di mille e mille lingue che erano state parlate nel corso dei secoli e che ora non si parlavano più, la litania adorna dei paragoni prendeva una cadenza d'acqua roca.

Elwyn non era stupido.
Sentiva le voci e le risate dall'altra parte delle porte chiuse e riconosceva voci e risa di donne, femminili, argentine e acute e prive di pensieri. Erano tutte, tutte, tutte, voci di donne. Ciascuno dei suoni che si levavano in quel bellissimo palazzo verde erano suoni causati da una donna: tutti, tranne quelli che era lui stesso a causare.
Una volta Murad gli aveva spiegato di aver comprato tutte le persone delle quali si circondava: perché, così, era sicuro di avere persone accanto che non avrebbero potuto andarsene, allontanarsi, cambiare idea e lasciare il suo servizio.
Elwyn gli aveva detto che avere qualcuno in questo modo era come non avere nessuno.
Murad non era sembrato contento; il suo viso si era piegato in un'espressione fosca, e per un attimo Elwyn aveva pensato che l'avrebbe colpito: ma poi Murad aveva sorriso e aveva raccontato che una volta, quando c'erano ancora i re sul trono, là sotto, il compito dei giullari era stato quello di rivelare le verità che nessun altro voleva affrontare.

Elwyn l'aveva capito solo dopo un po' che se a lui era permesso di dire certe cose, di fare certe cose, di pensare certe cose, era perché, dopotutto, Murad qualcuno lo voleva avere.






Note:
Jawharah: gioiello
Basma: sorriso
Anbar: l'ambra grigia
I nomi sono tutti nomi realmente esistenti (così come il loro significato), e sono nomi arabi.
Per quanto riguarda le fonti dei nomi: purtroppo non ho fonti riscontrabili. Derivano tutti da ricerche online, portate avanti su forum di discussione in lingua inglese dei quali non ho conservato, non troppo intelligentemente, i links.

Allo stesso modo, sono realmente esistenti anche i luoghi della Terra che vengono nominati. Qui potete vedere che cos'è l'ambra grigia. Il Ras Dascian è uno dei picchi più alti dell'Africa, situato in Etiopia. Lo Stretto di Gibilterra è il tratto di mare che collega il Mar Mediterraneo e l'Oceano Atlantico, separando Marocco e Gibilterra.

Un grazie speciale a tutti coloro che si sono fermati a commentare lo scorso capitolo.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Elos