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Autore: ferao    14/02/2011    10 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Salve!
Aggiornamento vicino al precedente, perché penso che il capitolo vada bene così e non voglio metterci ancora le mani (ho il complesso del revisionismo, inteso come il bisogno maniacale di leggere, rileggere e cambiare totalmente tutto ciò che scrivo; complesso che sparisce una volta che ho pubblicato).
Avvertenze:
1) questo capitolo non è propriamente da "San Valentino". Infatti non volevo aggiornare oggi, anche perché il sito sarebbe stato già invaso da ff "a tema" e l'aggiornamento sarebbe stato risucchiato nel vortice. Però era necessario per aiutarmi a superare questo complesso di cui vi ho parlato. Comunque, io vi ho avvisati (anzi, avvisatE, visto che il successo di questa long fic sembra limitato al pubblico femminile).
2)Spero sinceramente che finiate con l'affezionarvi alla famiglia Bennet, perché io la adoro: giusto ieri ho dato gli ultimi ritocchi all'albero genealogico, e ora tutti i cugini, le mogli dei cugini e i nipoti di Audrey hanno un nome e delle caratteristiche. E anche se non doveste affezionarvi, beh... la storia è MIA e ci metto chi voglio io! :D
3) Il titolo del capitolo, che ricorre un paio di volte, in italiano, nel testo è un verso della canzone "I am a rock", di Simon&Garfunkel -->
http://www.youtube.com/watch?v=My9I8q-iJCI
Vi consiglio di ascoltarla, non tanto perché a tema col capitolo ma perché stiamo parlando di storia della musica!
4) Ho assolutamente bisogno di un nome per Adams! Nella mia mente è stato sempre e solo Adams, ma tra qualche capitolo avrò bisogno di un nome per lui e non so dove sbattere la testa. Accolgo suggerimenti, spero che qualcuna delle mie lettrici abbia l'iluminazione!
5) La parola "blaterìo" non esiste, è un mio neologismo. Potete usarlo, se volete (magari non nei temi scolastici).
6) Vorrei ringraziare pubblicamente tutte le persone (non molte, ma molto care) che hanno commentato i precedenti capitoli. Oramai sono grandicella, e ho superato la fase "Per favore recensite", "Lasciate un commento", "Fatemi sapere che ne pensate" et cetera; nonostante ciò, il fatto che qualcuno abbia gradito talmente tanto ciò che ho scritto da dirmelo è per me fonte di grande gioia e di ispirazione. Grazie mille.
 

 I am a rock, I am an island


Voi che non siete stupidi come Percy, avrete sicuramente capito che, quel famoso Natale, il Ministro Scrimgeour non voleva davvero conoscere la famiglia; ovvio, no?
Beh, a onor del vero, nemmeno Percy era così stupido come pensate, e aveva intuito che qualcosa non quadrava. Tuttavia, non si era permesso di negare un favore al Ministro.
Ne aveva pagate le conseguenze. 

Era stato lì, come un cretino, mentre i suoi fratelli lo guardavano sbigottiti e sua madre tentava di stringerlo; immobile, ostentando una sicurezza che non aveva affatto.
Era congelato.
Un morto.
Si sarebbe dovuto smuovere, di fronte all'abbraccio di sua madre, alle sue lacrime di commozione.
L'unica frase che era riuscito a dire, appena entrato, era rivolta proprio a lei.
- Buon Natale, madre.
Che bastardo.
Lo sapeva; sapeva che solo a lei sarebbe importato qualcosa del suo ritorno. Ma non si era rivolto a Molly per salutarla; lo aveva fatto per ignorare tutti gli altri.
Che non meritavano il mio saluto. 

Capì meglio le mire del Ministro quando lo vide uscire con Potter in giardino.
Che idiota.
L'aveva usato; era stato il lasciapassare di Scrimgeour, per permettergli di parlare con Potter.
Era stato un burattino, come al solito.
Che cretino.
Ci era cascato come un cretino. Si era fatto incastrare da quello stronzo del Ministro. Che verme.
Lui subiva il peggiore dei supplizi – rivedere la sua famiglia quando era fermamente deciso a non farlo – mentre il Ministro tentava di circuire Potter.
- Buon Natale, madre...
Che razza di bastardo era mai?
Naturalmente, nessuno, tranne forse Molly, credette alla storia che era stato lui a chiedere al Ministro di passare a salutarli. Tanto meno finsero di farlo. 

Una volta uscito il Ministro, i Weasley rimasero soli con Percy.
Congelati.
Percy non intendeva aprire bocca. L'ultima volta che aveva parlato, in quella casa, lo avevano accusato di fare comunella col nemico, di essere stato promosso non per i suoi meriti ma per diventare una pedina al servizio del Ministero e dei suoi loschi piani. Discorsi che lui non aveva minimamente accettato.
Aveva gridato contro suo padre, sgolandosi come lui, difendendo il Ministero e il suo lavoro; entrambi urlavano, rossi in volto, a due centimetri di distanza. Si erano detti di tutto: nessuno dei due aveva risparmiato insulti e illazioni. E a un certo punto, Percy aveva tirato la stoccata definitiva:
- Guarda che lo so cosa pensi di me. Pensi che io sia un incapace, un fallito. Beh, non lo sono; mi pare di aver dimostrato abbastanza quanto io sia diverso da te!
A sentirsi dare del fallito, Arthur non ci aveva visto più. Si sarebbe scagliato contro il suo stesso figlio se non fossero intervenuti i gemelli a bloccarlo.
Da quel momento in poi, è storia: padre e figlio non si erano più rivolti la parola, evitandosi anche al lavoro e fingendo di non vedersi.
Stava diventando una lotta a chi aveva la testa più dura. 

Sia chiaro, in un frangente del genere è impossibile parteggiare per Percy.
Lui, e tutti coloro che agiscono come lui (e non pensate siano pochi) hanno il torto più marcio.
Ora, però, riflettiamo. Percy è solo un ragazzino, ha vent'anni e qualcuno, dal Ministero, gli ha dato un'occasione più unica che rara alla sua età. Aggiungete che di certo Percy non si sentiva il figlio favorito dei Weasley: ovviamente Molly e Arthur erano orgogliosi di lui, ma un tipo così, abituato ad essere schernito dai fratelli, si sentirà sempre sottostimato.
Con un ruolo così, invece, Percy si sentiva davvero considerato. Non era più uno dei sette fratelli Weasley, era l'assistente del Ministro. E a soli vent'anni. C'è di che far girare la testa a parecchi di voi, ne sono sicura.

Quando è arrivato alla Tana con la notizia della promozione, si aspettava feste e complimenti, e si è ritrovato il gelo. Si aspettava che si congratulassero per essere arrivato così in alto così giovane, e si è sentito dire che non ci era arrivato per merito suo ma perché il Ministero voleva usarlo.
Naturalmente, e voi ed io lo sappiamo bene, questo non giustificherebbe mai e poi mai ciò che Percy ha fatto.
No di certo.
E anche lui lo sa, ve lo assicuro.
 

Riflessioni a parte, Percy non era intenzionato ad aprire bocca davanti a Arthur e ai suoi fratelli. Le parole che si erano detti gli bruciavano ancora, da morire.
Non che i sentimenti degli altri Weasley fossero molto diversi. Solo Molly sembrava sinceramente felice di rivedere suo figlio.
Lo era.

Non aveva sue notizie da due (tre?) anni; sarebbe bastato, per farla contenta, che Percy le mandasse un gufo ogni sei mesi.
E ora, suo figlio era lì. Il suo adorato Percy.
- Tesoro... - Si asciugò l'ennesima lacrima, trattenendo un singhiozzo. - Guardati, sei tutto sciupato... Dai, mangia qualcosa, siediti... Ti prendo un piatto...
- Non serve, ho già mangiato.
Non voleva dirlo così, con quella freddezza, quell'astio. Ormai però era fatta.
Evitò di guardare sua madre, la quale, non curandosi delle parole di suo figlio, gli stava tagliando un pezzo enorme di tacchino.
- È così bello, sai... A Natale... è proprio il miglior regalo che...
- Non sono tornato per restare, madre. Passavamo di qua. Si tolse gli occhiali, e finse di pulirli sulla veste; non ebbe così modo di vedere il viso di Molly che si contraeva e subito cercava di tornare sereno.
- Oh, ma certo, certo... Lo sappiamo che... che hai da fare...
- Sì, Percy, lo sappiamo che sei un idiota.
Era venuta da Ginny. La piccola Ginny.
Percy aveva sempre adorato la sua unica sorella; si era preso spesso cura di lei, le aveva insegnato a leggere, l'aveva aiutata coi primi incantesimi. Qualcosa si contorse dentro di lui.
Si rimise gli occhiali, e fissò sua sorella, impassibile.
- So bene cosa pensate di me, e mi pare di aver chiarito che non me ne importa nulla.
- Sai una cosa? A noi non importa nulla di te.
- Ginny, non... - provò a intervenire Molly, ma la ragazza la ignorò.
- Non ci importa se vieni qui a cercare di impressionarci, portando il Ministro in casa. Sai una cosa? Senza di te, si sta molto meglio. Peccato che tu non sia andato via anni fa!
- Ginny, basta...
- Tu hai dato del fallito a mio padre. Lo hai insultato in tutti i modi possibili e immaginabili; sei arrivato a dire che era un danno per la tua carriera essere associato a lui. Purtroppo ti è sfuggito il fatto che, al contrario di te, lui ha qualcuno che gli vuole bene. Tu sarai amato sempre e solo da te stesso!
- Ginny, adesso taci.
Era stato Arthur a parlare. Ginny ammutolì immediatamente, aspettandosi che anche lui parlasse. Il padre però si limitò a guardare i suoi figli – tutti, tranne Percy. Poi disse, con un tremito impercettibile nella voce:
- Oggi è Natale. Sappiamo tutti cosa significa il Natale per una famiglia. Oggi non voglio litigi, né discussioni, fra i miei figli. - Dicendo così, guardò Percy negli occhi.

Non si guardavano in faccia da quasi tre anni. Percy sentì una scossa, nel sentire gli occhi del padre nei suoi; quegli occhi lo avevano guardato così tante volte... Eppure era come se li vedesse per la prima volta.
Suo padre. Quante volte avrebbe voluto tornare indietro, rimangiarsi le parole orribili che gli aveva detto. Lo aveva ferito, in parte consciamente, in parte involontariamente, ma sapeva di avergli fatto del male. Sapeva che era lui a soffrire, più di sua madre, più dei suoi fratelli.
Glielo stavano dicendo i suoi occhi, in quel momento.
Fu lì lì per cedere, per ammettere i suoi errori, per chiedere perdono. Lo avrebbe fatto, ora, e al diavolo in Ministro, al diavolo il lavoro, al diavolo tutto.
Ma in quel momento Harry Potter rientrò in casa.
Percy si riscosse. Il Ministro era rimasto fuori, ad aspettarlo.
- Io... devo andare - disse, uscendo quasi di corsa dalla porta. 

Da qualche parte, nel suo cuore, Percy sapeva.
Sapeva che sarebbe tornato, un giorno; ne era sicuro. E sapeva che quel giorno lui sarebbe stato felice, e anche la sua famiglia. Però avrebbe deciso lui quando e come; e quello non era il momento giusto.
Perché si sentiva ancora così arrabbiato con i suoi, che nemmeno l'abbraccio di sua madre era riuscito a scuoterlo. E Percy odiò questa cosa, con tutte le sue forze.
Odiò il fatto di non commuoversi rivedendo sua madre.
Odiò il fatto di non riuscire a scusarsi, semplicemente, con suo padre.
Odiò il Ministro che lo aveva intrappolato in quella situazione.
Odiò quel Natale. 

Per calmarsi, girovagò senza meta per la città. Non aveva mai avuto tanto bisogno di sfogarsi.
Non sapeva esattamente dove andare; dopo che il Ministro lo ebbe congedato nervosamente, pensò che non voleva tornare dai Bennet. Sentiva salire la nausea, al pensiero di rivedere quelle facce felici in un giorno in cui lui agonizzava.
“Calma” pensò. Calma.
Doveva assolutamente recuperare la calma.
La calma, anche solo apparente, lo aveva fatto sopravvivere in quegli anni. Non era come sua sorella: non aveva bisogno di mettere in mostra tutti i suoi sentimenti negativi; era benissimo in grado di reprimerli.
Sì, come no, raccontala a un altro.
Purtroppo, il suo concetto di “reprimere” equivaleva a “ignorare”; ma quel Natale non riusciva proprio a ignorare l'immensa tristezza e al contempo la grande rabbia che gli aveva dato lo stare di fronte a tutta la sua famiglia.
Camminò per il paese, lo sguardo fisso sulle sue scarpe nere che affondavano nella neve. Aveva freddo: bene, lo avrebbe aiutato a distrarsi.
Camminò, camminò un sacco. Non pensò a nulla.
Quando il sole iniziò a calare, pensò di aver ritrovato la lucidità; tornò freddo, serio, impassibile. L'unico modo per non cedere alla nostalgia era non sentirla.
Sono una roccia, sono un'isola, canticchiò. 

 

Quella stessa sera, come avete visto, non riuscì a trattenersi dal cacciar via Audrey in malo modo.
Il fatto è che quella vetrina che la ragazza era riuscita a incrinare la sera prima si stava già riconsolidando.
Tutto doleva a Percy. Soprattutto da quando non stava più con Penelope; da quel momento aveva capito cosa significasse essere veramente soli.
Nonostante ciò, dopo una simile giornata voleva rimanere solo. Non voleva cacciare Audrey, né voleva farla sentire male, dopo che aveva passato chissà quante ore ad aspettarlo. Voleva stare solo, e basta.
Solo con la grande confusione di pensieri che aveva nella testa, che non lo stava aiutando certo a capire quanto stesse ferendo Audrey con quel comportamento.
Stava di nuovo facendo l'egoista; voleva restare solo.
Solo, solo; forse Ginny aveva ragione.
Nessun altro lo avrebbe amato, al di fuori di se stesso. Sarebbe sempre stato solo. Sempre.
Come una roccia. Come un'isola.

 

Si risvegliò il mattino dopo, sulla poltrona; la stessa dove si era assopita Audrey la sera prima.
Era tutto dolorante; la schiena e il collo gli facevano malissimo. Sì alzò, ma si sentì debolissimo: probabilmente, durante la notte gli era salita una febbre da cavallo.
Giustamente, ci mancava solo questo.
Barcollando, andò in bagno e prese un filtro; dopodiché si spogliò e si infilò sotto le coperte, aspettando che la febbre scendesse.
Si risvegliò nuovamente verso le sei di sera, con un vago mal di testa. La febbre era scomparsa, ma aveva avuto degli incubi tremendi: il viso di suo padre appariva e scompariva, accompagnato dalle lettere della parola “fallito”.
Si stropicciò gli occhi, sperando che quelle immagini scomparissero dalla sua memoria.
E tutt'ad un tratto, un'altra immagine comparve vividissima nella sua mente.
Audrey.
Cavolo.
La sera del 25 l'aveva trattata da cani. Non era stato abbastanza lucido da rendersene conto, ma ora l'evidenza di ciò che aveva fatto gli compariva davanti agli occhi.
Cavolo...
Che ho fatto?
Ebbene sì: vi parrà strano, ma, nonostante avesse qualcosa di molto più serio a cui pensare – ovvero il rapporto con la sua famiglia – Percy si mise a pensare a Audrey e a come l'aveva trattata. Non chiedetemi di spiegarvi questo comportamento; probabilmente, mentre il 25 era troppo occupato a indurire il suo orgoglio per non darla vinta alla sua famiglia, al contrario il 26 quello stesso orgoglio aveva iniziato ad afflosciarsi, e, siccome ancora non si sente in grado di riavvicinarsi ai suoi parenti, desidera almeno cercare di far pace con Audrey. Anche perché, strano a dirsi, si stava mettendo nei panni della ragazza, e gli dispiaceva sinceramente per come l'aveva trattata.
Si sentiva... male, ripensando a lei e a quella lacrima di rabbia che le era sfuggita la sera prima. Davvero male.
Non è giusto, non è giusto che dovunque vada faccia sbagli... almeno a questo devo rimediare, cavolo!

 

A proposito: e Audrey? Che fine ha fatto?
Beh, potete immaginare da soli. Cosa fa una ragazza di vent'anni scarsi, dopo che si è illusa di aver iniziato una meravigliosa storia romantica ed è stata invece richiamata alla dura realtà da uno sguardo e alcune parole davvero offensive per lei? (Già; non so esattamente che idea vi siate fatti fin adesso di Audrey Bennet, ma una cosa va tenuta presente: non è una senza spina dorsale. Assolutamente no. Quando vuole, ha un bel caratterino, e non ci vuole molto per offenderla.)
Insomma, cosa fa, secondo voi?
Semplice: va da sua madre.

 

La signora Bennet adorava avere sua figlia in giro per casa. Non aveva avuto problemi quando Audrey aveva preso in affitto l'appartamento a Londra per poter essere più vicina al posto di lavoro, anche perché così aveva più tempo per ospitare le sue amiche e dedicarsi ai suoi hobbies (in primis, l'aerobica e il pettegolezzo).
Avere sua figlia in casa, però, era tutta un'altra cosa, e la signora Bennet era sempre felicissima di stare con lei. O meglio, quasi sempre.
Quel 26 dicembre, per la prima volta, desiderò che Audrey chiudesse la bocca per sempre. La signora Bennet, l'avrete intuito, aveva una parlantina invidiabile ma era una pessima ascoltatrice, e odiava più di tutto doversi sorbire le lamentele della figlia.
Cosa che, quel 26 dicembre, accadde.

 

Audrey era entrata dalla madre alle sette di mattina, furibonda. Sembrava un'Arpia.
La signora Bennet era già in piedi, ma ancora molto assonnata e decisamente poco reattiva. Ciò non impedì a Audrey di iniziare subito la lunga lista delle sue invettive contro Percy Weasley, che la povera signora Bennet dovette sorbire mentre preparava il caffè, lo beveva, rifaceva il letto, si lavava il viso e si vestiva.
E non credete che sia finita.
Intuendo che sarebbe andata per le lunghe, si sedette in poltrona, pensando che almeno avrebbe avuto modo di continuare il centrino all'uncinetto che aveva iniziato la settimana prima. Dovette fermarsi dopo qualche minuto, perché il blaterìo di Audrey la distraeva.

 

Probabilmente penserete che io sia ingiusta contro Audrey: chiariamoci, nessuna più di lei ha il diritto di arrabbiarsi e sfogarsi in ogni modo, e sono d'accordo con voi se pensate che la signora Bennet dovrebbe concedere più attenzione alla sua unica figlia.
C'è però una cosa che la signora Bennet sa benissimo: quando Audrey è furiosa, si lamenta, sì, ma in genere è impossibile trovare un filo logico nel suo discorso. Si può iniziare a parlare con lei e a calmarla soltanto quando si ferma e smette di parlare.
Cosa che può avvenire anche tre ore dopo; proprio come stava succedendo quel 26 dicembre. 

- Insomma, ti rendi conto, mi ha detto lui di andare a casa sua, e invece, ma ti pare, è incredibile, è un cretino, un dannato cretino, io lo sapevo che finiva così, e che cavolo, non è possibile, non lo sopporto, sono buona e cara ma queste cose, Merlino, non so proprio, è assurdo...
Perché, perché, Dio mio, che ho fatto di male?
- ... ma poi, avesse provato a scusarsi, e invece no, nemmeno l'ombra di una chiamata, che cretino, non è incredibile?
Audrey si fermò, guardando sua madre come aspettandosi una risposta. La signora Bennet era accasciata sulla poltrona, la testa le ronzava per la chiacchiera continua della figlia. Credette che quello fosse il momento buono per fermarla e aprì la bocca, ma non fece in tempo a rispondere: sua figlia aveva ripreso a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, sparando insulti a raffica.
- Idiota, cretino, bastardo, non si merita niente, che imbecille...
Cielo, ma Audrey non sputa mai? Sono due ore che va avanti così! Da chi avrà preso tutta questa parlantina?
- ... sono proprio una sfigata del cavolo, non ho chiuso occhio tutta notte pensando a lui, non si merita niente, tanto lo so, che voleva solo portarmi a letto, è un imbecille...
Chissà, forse se mi alzo e vado in bagno non se ne accorge nemmeno... sono due ore che me la tengo! Tra un po' me la faccio sotto!
- ... Ma perché, perché, dico io, che ho fatto di male, eh mamma?
La signora Bennet si riscosse dai suoi pensieri. Audrey la guardava, disperata, stavolta aspettandosi davvero una risposta.
Il fiume di parole che aveva da dire si era esaurito, ora aveva bisogno di conforto. Che però non arrivò molto prontamente.
- Oh, tesoro, mi dispiace tanto - disse infatti la signora Bennet. - Però non ho ancora capito di che cosa parli.
Audrey spalancò gli occhi, poi si accasciò sulla poltrona di fronte a quella dove sedeva sua madre e scoppiò in lacrime.
- Di Percy, mamma! Ieri mi ha cacciata via, era tutto arrabbiato e non so nemmeno perché...
- Percy? - domandò la madre. - Il tizio con cui...
Audrey annuì, tirando su col naso. - Sì – grugnì. - Lo odio.
- Ma, Audrey, ieri mi sembrava proprio che...
- Ma cavolo! Con che diritto si permette di dirmi: “Non devo giustificarmi con te”? Dimmi, con quale diritto?
La signora Bennet sospirò. Stava per ricominciare lo sproloquio.
- Aud, se non mi dici tutto dall'inizio non capirò mai nulla. E smetti di fare avanti indietro per la stanza, che mi rovini la moquette. 

Finalmente, con un po' di pazienza, la signora Bennet riuscì a farsi raccontare per filo e per segno ciò che era successo la sera prima.
- ... e alla fine mi ha detto “Non devo giustificarmi con te”, come se non... non valessi nulla! Non mi sono mai sentita tanto offesa...La signora Bennet annuì. Conosceva perfettamente il carattere di Audrey, e un atteggiamento di disprezzo la faceva arrabbiare e disperare allo stesso tempo.
- Sai, – borbottò Audrey, dopo essersi soffiata rumorosamente il naso, – nessuno mi aveva mai trattata così, è stato orribile...
- Tesoro, ti capisco - le disse la madre, dandole alcune pacchette affettuose sulla gamba.
- Hai tutte le ragioni per arrabbiarti, si è comportato proprio da cretino. Però sono sicura che c'è una spiegazione...
- Sì, la spiegazione c'è! - esplose Audrey. - È un dannato manipolatore, mi ha portata a letto e poi ha pensato bene di liberarsi di me come di un sacchetto della spazzatura pieno di cacca di Doxy!
- Aud, fidati, riconosco gli uomini a naso, e lui non è il tipo da fare cose simili. Dai, tesoro - sussurrò carezzandole i capelli. - Vedrai che si risolverà tutto, eh?
- Oh, certo che si risolverà. Non voglio vederlo mai più, all'infuori che in ufficio.
La signora Bennet scosse la testa. - Sai che non sarà così. Anzi, scommetto dieci galeoni che stamattina stessa ti cercherà per scusarsi. Senti - aggiunse dopo una pausa, - che ne dici di darmi una mano a preparare dei dolci? Sai, oggi pomeriggio vengono Rosemary e le sue sorelle, e non voglio fare brutta figura...
Nulla tirava su di morale Audrey come la cucina, e la signora Bennet lo sapeva bene. Audrey si soffiò per l'ultima volta il naso, poi corse a preparare l'impasto per i biscotti. 

Mentre Audrey annegava i suoi dispiaceri nella farina e nel burro (maltrattando parecchio l'impasto, tra l'altro), Percy era nel suo letto aspettando che la febbre passasse, quindi la signora Bennet (che non poteva saperlo) perse la scommessa.
Tuttavia, alle sei e mezzo della sera, Percy era (come aveva predetto la mamma di Audrey) ben deciso a chiedere scusa alla ragazza. Non poteva assolutamente fare altrimenti: Audrey gli piaceva, gli piaceva stare in sua compagnia, e non voleva che i suoi malumori rovinassero il bel rapporto che stava nascendo.
Per prima cosa, ebbe il coraggio (o la stupidità?) di presentarsi all'appartamento di lei. (Dico stupidità perché qualsiasi ragazza, al posto di Audrey, se in quel momento si fosse ritrovata alla porta proprio colui che sperava di non vedere mai più, gli avrebbe lanciato una fattura di proporzioni apocalittiche).
Per sua fortuna, Audrey non era in casa.
Si grattò la testa, pensieroso. Dove poteva cercarla?
L'idea di mandarle un gufo più tardi era fuori discussione. Intuiva che, per il suo comportamento, avrebbe come minimo dovuto scusarsi di persona.
Pensò allora di andare dallo zio Roman. Guardò l'orologio: erano quasi le sette e mezzo, probabilmente non avrebbe arrecato disturbo a quell'ora.
Cercando di ricordare esattamente dove abitasse Roman Bennet, si Smaterializzò.
Per la seconda volta fu fortunato: trovò subito la strada giusta. Grazie, memoria!
Suonò il campanello e venne ad aprire una signora alta e bruna che aveva conosciuto il giorno prima a pranzo, ma di cui non ricordava affatto il nome.
- Oh, ma tu sei Percy, no? Il ragazzo di Audrey!
Percy deglutì, tentando di non arrossire. - Ecco, in realtà non sono il rag...
- Roman! C'è il ragazzo di Audrey!
- Sul serio? Dai, Magda, fallo entrare!
- Accomodati, Percy, stavo giusto preparando la cena.
- Ma veramente io...
- Percy! Come va? È bello rivederti così presto! - disse a voce alta lo zio Roman, andandogli incontro nell'ingresso mentre la moglie, la signora Magda, chiudeva il portone.
È il caso di spendere due parole sul signor Roman Bennet. Ho già accennato al fatto che, di viso, i Bennet si assomigliavano tutti moltissimo. Ciò che differenziava Roman dai suoi figli (e da Audrey, naturalmente) era un bel paio di folti baffoni biondi che gli davano una simpatica aria da tricheco; unite a ciò una gran pancia prominente, una risata forte e contagiosa e due occhi verdi e vispissimi e avrete un'idea dello zio Roman.
Strinse forte la mano a Percy, sinceramente contento di rivederlo. - Dai, accomodati pure. Spero che ti piaccia la cucina italiana, Magda fa degli spaghetti squisiti...
- E-Ecco, lei è molto gentile, signor Bennet, ma...
- E chiamami Roman! - esclamò, dandogli una gran pacca sulla schiena che lo fece rimanere senza fiato. - Sei in famiglia, ormai!
- La cena è pronta! -annunciò Magda. - Sei fortunato - disse poi, rivolta a Percy, – avevo preparato per sbaglio tre porzioni di pasta invece che due! Vedi, a volte, i casi della vita...
- Ma io...
- Dai, siediti, non vorrai mica mangiare in piedi!
Non trovò di meglio da fare che obbedire. Qualunque obiezione veniva stroncata sul nascere dai due coniugi. La signora Magda gli schiaffò nel piatto quelli che sembravano due etti di spaghetti e quattro enormi polpette.
- Coraggio, assaggia e dimmi che ti sembra!
Il povero Percy deglutì di nuovo. Non era abituato a mangiare così tanto, ma non voleva offendere la signora Magda. Così, sotto lo sguardo dei due ospiti, assaggiò il primo boccone di spaghetti.
Cavolo, sono davvero deliziosi!
In un quarto d'ora li aveva divorati tutti, comprese le polpette, e su suggerimento di Roman aveva anche intinto il pane nel sugo, ripulendo il piatto. Quando poi gli avevano offerto una fetta di tacchino e un pezzo di tiramisù avanzati dal giorno prima, non aveva potuto rifiutare. E non si dice mai di no a un caffè e un sorso di liquore.
La cena, nel complesso, finì due ore dopo. In tutto quel tempo, i coniugi Bennet lo avevano intrattenuto molto allegramente, parlando di ogni argomento possibile e immaginabile. Percy, con la pancia strapiena e la mente un po' intontita dalla digestione, si sentiva davvero contento; pensava di fermarsi solo un minuto, e invece aveva passato una bella serata con due persone così simpatiche. Sì, stava proprio bene.
- ... e poi, finita la scuola, sono stato ammesso subito alla facoltà di Guarigione... A proposito, Percy, non mi hai detto dove lavori.
- Oh, già. Io lavoro al Ministero. Sono – e gonfiò il petto, inorgoglito – l'assistente del Ministro Scrimgeour.
- Però! Così giovane! - fece Roman, senza smettere di sorridere.
- E inoltre – seguitò Percy – ho altri incarichi di responsabilità, ad esempio dirigo il reparto Archivi...
- Oh, ma è dove lavora Audrey!
- Ehm, ecco...
- Hai ragione, Magda! Allora è lì che l'hai rimorchiata, eh? E bravo, l'assistente del Ministro!
- Roman, sei proprio un cafone! L'hai fatto arrossire! Oh, tranquillo Percy – aggiunse rivolgendosi al ragazzo, le cui guance, più che arrossire, avevano iniziato a virare verso un deciso color prugna. - Roman scherza sempre. Ma, scusa - fece Magda, guardandolo interrogativa, – adesso che ci penso, non ci hai ancora detto come mai sei venuto fin qui!
Già, perché ero venuto qui? Non vedo perché sarei dovuto andare dagli zii di Audrey... un momento, Audrey!
- Proprio di questo volevo parlare. Stavo cercando Audrey, ma non l'ho trovata in casa. Avete idea di dove possa essere?
Roman si allisciò i baffi. - Fammi pensare... Potrebbe essere uscita con qualcuno, ma visto che tu sei qui e che Audrey è una brava ragazza, lo escludo.
Diamine, non ci avevo pensato. E se il Paguro avesse avuto una crisi mistica e fosse tornato a cercarla? Dannazione!
- Se non sbaglio, Roman, Audrey passa il giorno di Santo Stefano da sua madre, quindi probabilmente è ancora lì. Conosci l'indirizzo?
Non lo conosceva. Se lo fece dare, sperando intensamente che non gli chiedessero perché cercava Audrey.
- Se non sono indiscreto, come mai la cerchi?
- Roman, certo che sei indiscreto! Lascialo un po' in pace!
- Va bene, Magda, va bene!
- No, no, nessun problema. - Deglutì. Si stava vergognando moltissimo. - Ecco, devo... parlarle. Ieri abbiamo... si può dire che abbiamo discusso e...
- Avete discusso? Come mai?
- Roman!
- Okay, ho capito!
- Beh, io andrei, si è fatto tardi e... - Cavolo, le dieci! - Devo andare. Grazie infinite per la cena.
- Ma scherzi? Torna quando vuoi!
- E buona fortuna con Audrey!
- Roman!
- Okay, okay! 

Era tardissimo. Presentarsi a un'ora così tarda alla porta di una persona era un atto di grande maleducazione, ma per Percy era molto peggio il non aver ancora fatto pace con Audrey.
Suonò il campanello. Nessuno gli apriva.
Provò di nuovo. Finalmente sentì un rumore di catenaccio tolto dalla porta, e l'occhio indagatore della signora Bennet si posò su di lui.
- Oh! Tu sei...
- Percy Weasley. Ci siamo conosciuti ieri e...
- Lo so chi sei. Ti pare questa l'ora di presentarsi a casa di qualcuno?
Sul viso di Percy comparve un'espressione mortificata che probabilmente intenerì la signora Bennet, visto che lo fece entrare.
- Mi dispiace moltissimo, so che è tardi ma...
- Invece hai fatto bene a venire. Audrey è qui...
- Mamma, chi è? 

Rimase a bocca aperta, trovandosi Percy davanti a quell'ora, in casa di sua madre. Non gli diede però la soddisfazione di mostrarsi sorpresa.
Aveva passato una giornata orribile, e, prima, una notte orribile. Da Percy si sarebbe aspettata di tutto, tranne che di essere trattata in un modo così freddo e cattivo.
Mentre impastava e infornava dolci tutta la mattina per le tre fameliche sorelle della signora Rosemary, e mentre in silenzio sopportava le suddette sorelle blaterare e spettegolare tutto il pomeriggio, aveva pensato a cosa avrebbe detto a Percy se lo avesse rivisto. Senza risultato.
Non voglio dargli la soddisfazione di farmi vedere ferita. Non se lo merita.
Lo detesto.
Odio i capelli rossi.
Sono stata così bene la sera del 24... No, Aud, questo NO!
Uff... non so che fare.
Non le era venuto in mente nulla, proprio nulla.
Era furibonda, ma sapeva che, se Percy si fosse davvero presentato alla sua porta per scusarsi, c'era il serio rischio che la sua rabbia sfumasse.
Perciò, quando Percy si presentò davvero da lei, dovette improvvisare, e ci riuscì.
Rimase semplicemente impassibile.
- Ah, signor Weasley, buonasera. Cosa la porta qui?
Stavolta fu Percy a spalancare la bocca. Signor Weasley?
Mi dà del lei?
- Audrey, ma...
- Scusi, ma è molto tardi; mia madre ed io stavamo per andare a dormire.
- Audrey...
- Se ha bisogno di qualcosa, è meglio che aspetti domani. Non si preoccupi, sarò in ufficio in orario.
- Audrey...
- E per favore, non mi chiami per nome. Per lei sono la signorina Bennet.
Pronunciò l'ultima frase con una crudezza che non credeva di possedere, e colpì nel bersaglio.
A quelle parole Percy tacque. Si sentiva annullato.
Totalmente annullato.
Respinto con la sua stessa arma, la freddezza. Non si era mai, mai reso conto di quanto facesse male.
Stavolta fu lui ad andarsene di corsa, trattenendo le lacrime di rabbia.
La signora Bennet aveva assistito stupita alla scena; mai si sarebbe aspettata che Audrey reagisse così.
Fu ancora più stupita quando, con la stessa impassibilità, la ragazza fece il gesto di tornare in camera sua.
- Io vado a dormire, mamma...
- Aud...
- E niente domande.
La signora Bennet non replicò. Audrey stava veramente male. 

Tornò a casa distrutto moralmente.
Si odiava. Non aveva mai sentito un disprezzo tanto forte quanto quello che gli aveva manifestato Audrey con la sua impassibilità e il suo linguaggio. O meglio, non se ne era mai sentito tanto ferito.
Alle frasi dei suoi fratelli era abituato, se le aspettava. E Penelope gli aveva trasmesso rabbia e frustrazione, ma non quel disprezzo.
Cavolo.
Non si era mai sentito così male per colpa di una ragazza. Mai. E, quel che è peggio, l'avrebbe rivista l'indomani.
E il giorno dopo.
E per i giorni a venire, nel reparto Archivi.
Ti sta bene, imbecille. Un contrappasso perfetto. 

Per la prima volta, inoltre, sentì tutto il peso della propria solitudine. Un macigno sul cuore.
Sono una roccia, sono un'isola.

E una roccia non sente dolore; e un'isola non piange mai.

 

 

 

 

 

Non poteva sapere che, lontano da lì, qualcuno non riusciva a prendere sonno e pensava alacremente a lui e a Audrey, progettando qualcosa...
Non potendolo sapere, si rigirò nel letto tutta la notte, nella più nera angoscia.

   
 
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