Un appetitoso
profumo di selvaggina arrostita si diffondeva nell’aria. Hanako si rigirò nel
dormiveglia. Doveva essere la mattina della vigilia di Capodanno, se i servi
stavano arrostendo la cacciagione nel cortile; fra non molto avrebbe udito il
familiare passo strascinato di Hitomi sui tatami. La sua vecchia balia stava
sicuramente arrivando per svegliarla e aiutarla a vestirsi, ma Hanako non
voleva alzarsi. Nonostante la notte di sonno si sentiva ancora così stanca come
intorpidita, inoltre non aveva nessuna voglia di partecipare ai tediosi riti
propiziatori, per di più indossando quegli eleganti ma pesantissimi kimono da
cerimonia.
Un impertinenteraggio di sole la colpì sul viso, Hanako mugolò lievemente e si coprì gli occhi
con una mano. Qualcosa di freddo e umido le cadde sul viso; assonnata socchiuse
gli occhi, tastandosi la faccia. Era solo una goccia d’acqua. Da dove arrivava?
Spalancò gli occhi: sopra di lei invece del familiare soffitto di legno della dimora
paterna, c’erano le stalattiti di una grotta!
Ora era decisamente sveglia.
Non avrebbe dovuto addormentarsi, ma la fatica aveva preso il sopravvento, imprigionandola nel
buio di un sonno senza sogni. Si alzò dal suo improvvisato giaciglio di foglie
secche. Anche se la sua caviglia sinistra era indolenzita e gonfia, riusciva a
camminare se pur zoppicando. Dopo aver sbrigato le sue faccende personali in un
angolino nascosto, uscì.
All’esterno alzò una mano per schermarsi gli occhi, abituati alla semioscurità della caverna,
dalla luce mattutina. L’aria era fredda e ancora impregnata dell’umidità
notturna che il sole, appena nato, non era ancora riuscito a scacciare.
Rabbrividì e si strinse di più nella cappa di pelliccia grigia.
Solo i condottieri più ricchi potevano permettersi simili indumenti che solitamente erano
confezionati con pregiate pelli di tigri o d’orso; ma il mantello che
quell’uomo, Yotenmaru così aveva detto di chiamarsi, le aveva prestato era
stato realizzato con un tipo di pellame sconosciuto a Hanako. La pelliccia era
assai morbida al tatto e non puzzava di conciatura ma emanava un gradevole
odore, fresco come quello dei boschi di montagne: la stessa piacevole fragranza
dell’uomo singolare che l’aveva salvata.
Appena i suoi occhi si abituarono alla luce Hanako si guardò intorno. Era sola.
La grotta, in cui aveva passato la notte, si trovava alle falde di una montagna
brulla e si affacciava in una piccola radura accidentata immersa nella foresta.
La nuda carcassa di una lepre si rosolava su alcune braci al centro del piccolo spiazzo. Lo
stuzzicante profumo della carne arrostita le fece brontolare lo stomaco, aveva
fame, non aveva mangiato nulla da quasi due giorni. Malgrado ciò La fanciulla
s’impose d’essere forte, così sforzandosi di non pensare al cibo si avviò
malferma nella direzione in cui credeva scorresse il fiume attraversato la
notte precedente.
Hanako si passo una mano tra capelli arruffati e sporchi di fango e polvere. La sporcizia e le
intemperie, oltre ad offuscare la lucentezza della chioma, avrebbero
sicuramente sciupato il candore e la morbidezza del suo incarnato, rendendo
tutto il suo aspetto rozzo come quello di una contadina.
Aveva davvero bisogno di lavarsi e magari vicino al fiume sarebbe riuscita a trovare anche
della frutta selvatica con la quale sfamarsi. Ancora una volta si rammaricò di
non aver dato ascolto alla vecchia Hitomi. Non avrebbe dovuto avventurarsi
fuori dalle mura del monastero da sola. Se non lo avesse fatto adesso sarebbe
già in viaggio assieme alle altre ancelle per la capitale, verso la civiltà!
Invece, era persa nel bel mezzo del nulla e per di più affamata, infreddolita!
Doveva tornare al Monastero di Sakurai, dove sicuramente qualcuno la starà
cercando….
“Ti sei svegliata,
finalmente!” esclamò una nota voce maschile alle sue spalle. Sorpresa si voltò
e si trovò davanti gli straordinari occhi di porpora del suo salvatore: un
demone dalle sembianze umane.
“Devi rimare lì
imbambolata a fissarmi per tutto il giorno?”
Hanako sentì la bocca disseccarsi, spalancata per la sorpresa.“Ma tu…..voi siete un demone!”
esclamò incredula appena riuscì a spiccicare parola. Non riusciva a smettere di
fissarlo, sebbene un simile comportamento fosse sfacciato e volgare.
“ Sai che novità! Ne sono ben consapevole sin dal giorno in cui sono nato, non
ho bisogno che tu me lo ripeta, stupida.” Replicò lui sarcastico.
Yotenmaru si sedette su una delle grosse pietre vicino al fuoco “ Ora vieni qua a mangiare.”
La ragazza non osò contraddirlo, ma prudente si sedette il più lontano
possibile da lui, continuando ad osservarlo di sottecchi Non avrebbe mai
immaginato che un giorno si sarebbe trovata a faccia a faccia con un vero demone.
Come mai non ne aveva paura? I demoni non avrebbero dovuto essere mostruosi
nell’aspetto e d’indole terribile e sanguinaria?
Ma egli non le ispirava repulsione, al contrario non poteva
fare a meno di guardarlo incantata: era affascinate seppure in modo bizzarro.
Aveva le sembianze di un uomo giovane e attraente, non molto più vecchio di
lei, dalla pelle color del miele e meravigliosi occhi di porpora scintillanti
come quelle gemme chiamate “sangue di drago”. Vedendolo alla luce del sole si
accorse che non era la luna a rendere i suoi capelli argentei, ma che quello
era il suo colore naturale.
“Smettila di fissarmi” ringhiò Yotenmaru. Ella abbassò subito gli occhi, senza
dire una parola, il silenzio stava diventando esasperando.
“Non hai fame?”egli le domandò con un tono che doveva sembragli gentile.
Mangiare selvaggina è vietato in questo periodo dell’anno.” Rispose Hanako compita.
“bah! In questi boschi non si trova altro che erbacce e qualche granaglia.” Il
demone abbozzo un sorriso, mettendo in mostra la sua lucente dentatura dai i
canini bianchi e affilati.
Ora mangia, fra poco partiremo.” Addento un pezzo di carne. “ Ci aspetta un lungo cammino e non
voglio certo che tu muoia di fame prima di essere giunti a destinazione”.