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Autore: Trick    18/02/2011    11 recensioni
"Pareva essere una sorta di buffa maledizione – o di un sarcastico scherzo del destino, magari – ma ogniqualvolta decidevano di allargare la famiglia con un bel gatto o con un Kneazle, ecco spuntare un altro figlio".
Per tutti coloro che non hanno ancora capito che la loro coppia preferita è inspiegabilmente deceduta e continuano a chiedersi:
«Cosa sarebbe successo se avessi acquistato un'edizione del libro in cui Remus e Tonks sopravvivono e si trasferiscono nel Derbyshire?».
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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Note dell'Autrice – sempre discutibilmente utili:
Mi sono resa conto di aver commesso un imperdonabile errore con gli anni. Cioè, no, un attimo. In realtà, non è affatto un errore imperdonabile, ma chissenefrega. Nel precedente capitolo, ho stupidamente scritto che Remus e Tonks sono sposati da undici anni, il che è impossibile, dal momento che questa fan fiction è ambientata alla fine del 2007, ergo Remus e Tonks sono sposati da dieci anni. La cosa importante che dovreste sapere, in realtà, è che non dovete assolutamente credere che gli aggiornamenti rimarranno così perfettamente rapidi e costanti. Non sopravvalutatemi pure voi o mi verrà una crisi isterica e morirò in totale solitudine. Il che sarebbe triste sia per voi che non potreste leggere la fine di Casa Stornella, sia perché sarei morta. Basta, ho finito di dire sciocchezze. Giuro solennemente che non scriverò mai più delle note dell'autrice che non siano realmente utili ai fini della storia.
Buona lettura, folks! :)
La Casa Stornella
Capitolo Tre
Moccoluffin e vestiti alla rovescia




Tonks fu svegliata da un violento rumore proveniente dal piano di sotto. Nella penombra della stanza da letto, si allungò verso il comodino e si mise a cercare l'orologio a tentoni, ma rovesciò la lampada, un libro regalatole dalla madre e mai sfogliato (“Crescere una mezza dozzina di pestiferi fanciulli magici: oggi si può”), la tazza vuota nella quale aveva bevuto la cioccolata la sera prima e l'ultimo numero del Settimanale delle Streghe.
Nonostante l'improvviso caos, Remus non si era mosso di un centimetro. Tonks si era ormai rassegnata all'indolenza che il marito dimostrava al momento del risveglio. Talvolta, si diceva che se qualche pazzo svitato avesse bombardato Casa Stornella mentre dormiva, Remus si sarebbe svegliato ore dopo con una coperta di tegole e calcinacci sulla testa.
Lei, al contrario, era sempre stata un tipo piuttosto mattutino e si era accollata l'ingrato compito di svegliarlo con veemente insistenza dacché si erano sposati. Non che se ne lamentasse: capitava che Remus non avesse la minima intenzione di abbandonare il letto e, a quel punto, lei si sentiva autorizzata ad utilizzare il pugno duro degli Auror – e, spesso, era piuttosto terapeutico.
«Remus» lo chiamò con poca convinzione lei, scuotendolo per un braccio. «Remus, ho sentito un boato venire da giù, ho ribaltato il comodino e non trovo quel fottuto orologio».
Remus si strinse ancora di più nella trapunta, come se Tonks non avesse nemmeno parlato. Lei alzò gli occhi al soffitto con un profondo sospiro.
«Tosca, scusa per la mancanza di pazienza...» disse fra sé, prima di colpire la spalla del marito con un sonoro schiaffo.
«Oh!» esclamò con voce roca lui, stringendosi in una ridicola posizione fetale. «Ebbepesto. Saoi?».
«Eh?».
«Presto» sillabò faticosamente Remus, girando sulla schiena e affondando la faccia nel cuscino. «Cosa vuoi?».
«Credo sia appena scoppiato qualcosa al piano di sotto e...» s'interruppe di colpo, inarcando minacciosamente un sopracciglio. «Remus, non avrai nascosto in giardino qualche altra sciocca Creatura Oscura, vero?».
«Non di recente. Buona notte. Ti amo».
«Remus!» strillò lei, colpendolo con più forza. «Giuro sulla mia intera collezione di dischi delle Sorelle Stravagarie che se non ti alzi immediatamente, ti--».
Un acuto rumore di cocci infranti impedì a Remus di sapere cosa, esattamente, la moglie avesse intenzione di fargli. Meno di un istante dopo, Tonks era già in piedi e stava cercando di raggiungere la porta nell'oscurità, ma, non ricordando di aver rovesciato la lampada sul pavimento, vi rovinò sopra e finì per terra.
«Porco di quel Troll schifoso!» imprecò sonoramente.
Remus allungò un braccio, accese la luce e le rivolse un'occhiata insonnolita. Tonks si ritrovò combattuta fra il desiderio di soffocarlo con il cuscino e quello di saltargli addosso – possibile che quell'uomo potesse essere affascinante anche con tutti i capelli scompigliati davanti alla fronte?
«Buongiorno, tesoro».
«Oh, buongiorno, mia Bella Addormentata!» esclamò con pesante sarcasmo lei, mettendosi in piedi e massaggiandosi dolorante un fianco. «Ho attraversato un bosco buio e schifoso, ammazzato un puzzolente Drago e scalato a mani nude 'sto castello sperduto nel Kirghizistan orientale. Vi dispiacerebbe farmi la cortesia di alzarvi da quel dannato letto prima che vi cavi un occhio con il vostro stupido fuso?».
Remus chiuse le palpebre, si grattò pensieroso la nuca e rimase in silenzio qualche istante.
«Conosci realmente la collocazione geografica del Kirghizistan?».
«Va' a mangiare Vermicoli!» gli gridò Tonks, cercando di trattenere una risata mentre afferrava una ciabatta e gliela scagliava contro. «I bambini sono svegli e sono di sotto da soli» aggiunse con particolare enfasi.
Il volto di Remus si contrasse in un'espressione drammaticamente inquieta.
«Di' “buongiorno”, mia cara».
*

«No, Teddy. È sbagliato!».
«È giustissimo, invece! C'è scritto lì! Diglielo, Alastor, che c'è scritto come dico io, che sono anche il più grande!».
La cucina di Casa Stornella era un ampio locale al pianterreno, dalle grandi finestre che davano sul giardino e dal soffitto di rustiche travi lignee. Le pareti – che un tempo erano state di un beige slavato e ricoperto dalle macchie di umidità – era state recentemente tinteggiate di un allegro giallo pastello. La mobilia era fatta di raffinato ciliegio e le credenze e i cassetti erano decorate da simpatiche incisioni raffiguranti le più gloriose gesta degli epici condottieri magici, da Merlino ai quattro Fondatori di Hogwarts. Era probabilmente il regalo più costoso che i coniugi Lupin avessero mai ricevuto dai vecchi membri dell'Ordine della Fenice, pochi giorni dopo la notizia del loro trasloco da Gerrert Street.
Tonks ripeteva sempre quanto fosse un peccato essere una cuoca talmente pessima, perché adorava quella cucina così soleggiata e spaziosa. Remus, d'altro canto, le ricordava in continuazione che se lei avesse cercato di cuocere qualcosa di più complicato di un uovo strapazzato, probabilmente l'intera stanza sarebbe esplosa. Era una fortuna, in effetti, che Remus sapesse cucinare – ancora di più, inoltre, lo era il fatto che la piccola Andromeda non sembrava aver ereditato le doti culinarie delle madre e s'affrettava sempre ad aiutare il padre con zuppe, arrosti e crostate d'ogni genere.
In quel momento, tuttavia, la bella cucina di Casa Stornella sembrava essere avvolta da una bianca e impalpabile polvere candida.
Seduto al suo abituale posto, Alastor si sorreggeva la testa con le mani mentre scrutava con un cipiglio confuso una vecchia copia del Settimanale delle Streghe che Tonks aveva dimenticato in soggiorno. Non che avesse ancora bisogno di rileggere il contenuto dell'inserto gastronomico – sapeva già quante uova e quanta farina fossero necessari per creare dei gustosi muffin – ma non riusciva a capire per quale motivo all'interno della ciotola che Teddy aveva recuperato dalla credenza ci fosse solo una strana poltiglia giallognola.
«Non lo so» decretò infine, scuotendo sconsolato il capo.
In bilico sulla seggiola di fronte e con il pugno saldamente stretto attorno a un cucchiaio di legno sporco fino alla punta del manico, Teddy lo scrutò bieco.
«Che vuol dire “non lo so”? Le leggi tu, le cose che ci dobbiamo mettere!».
«Papà dice sempre che non importa soltanto quello che ci metti dentro, perché devi anche mischiarlo bene» disse Andromeda, grattandosi una guancia e sporcandosi di farina senza rendersene conto.
Minima si alzò sulle punte dei piedi e scrutò con una smorfia disgustata il contenuto della ciotola.
«Io dico che se lo mangiamo, poi moriamo».
«Non puoi morire mangiando dei muffin!» replicò con veemenza Teddy.
«Sì, se ne ingoi un pezzo troppo grosso» s'aggiunse Alastor con voce seria. «Ti si incastra in gola e soffochi».
«Ma pensi che è un muffin, questo?» riprese Minima, indicando la brodaglia con la mano destra. «È soltanto un... un... Moccoluffin!».
Gli altri tre la fissarono in silenzio per qualche secondo.
«Che cos'è un Moccoluffin?» s'informò candidamente Andromeda.
«Niente» rispose con durezza Teddy. «Non esiste, un Moccoluffin».
«Esiste, invece!» protestò Minima. «È questo, un Moccoluffin! Un po' moccolo e un po' muffin!».
Al suono della parola “moccolo”, la faccia indignata di Teddy si trasformò in un'espressione di vivace divertimento. Quasi contemporaneamente, i quattro bambini iniziarono a ridacchiare fra di loro.
«Moccoluffin...» ripeté Teddy fra le risate. «Che scemenza».
«Mi fa piacere che abbiate iniziato allegramente la mattinata» proruppe una voce ilare alle loro spalle. «Così, non mi verranno i sensi di colpa quando vi appenderò per il naso al filo del bucato».
«Mamma!».
Tonks si appoggiò allo stipite della porta con la spalla sinistra e incrociò le braccia al petto con un cipiglio di pigra severità. Dietro di lei, Remus fece un rapido calcolo dei danni e disse:
«Con tutta la farina che c'è sul pavimento si potrebbe giocare a palle di neve fino a maggio».
«Sì!» strillò eccitato Teddy, saltando con un guizzo dalla sedia e iniziando a saltellare in mezzo alla cucina. Ad ogni balzo, sotto i suoi piedini nudi si alzavano leggere nuvolette candide. «Lo facciamo davvero, papà? Lo facciamo?».
«Certo che no» replicò con assoluta fermezza Remus. «Tonks, tesoro, il tuo primogenito ha dei problemi con la sottile arte dell'ironia. Ieri sera, credeva volessi comprargli uno Yeti».
«Non vuoi?» commento Tonks con espressione teatralmente sorpresa. «Che padre degenere. E a proposito di cose che degenerano... che vi è saltato in mente?» aggiunse con tono pericoloso, scrutando ad uno a uno i propri figli.
Teddy le stava sorridendo con fare birbante, dondolandosi sulle punte dei piedi con aria beata; Alastor aveva riabbassato gli occhi sulla rivista impiastricciata di crema, ma Tonks sapeva perfettamente che non la stava leggendo; Andromeda si stava grattando una guancia con espressione timida, fissando insistentemente la farina che ricopriva sul pavimento; Minima, immobile accanto alla sorella, guardava con indifferenza dritto dinanzi a sé, sbattendo innocentemente le palpebre.
«Volevamo fare dei muffin» spiegò semplicemente Teddy, sollevando le spalle e sorridendo ancora di più. «Ma ci sono venuti dei Moccoluffin».
Remus e Tonks si scambiarono un'occhiata perplessa.
«Moccoluffin, Teddy?».
«Sì» rispose al suo posto Alastor, annuendo compito. «Un po' muffin e un po' moccolo».
Tonks si passò esasperata una mano sul volto, ma con la coda dell'occhio Remus la vide trattenere un sorriso. Stringendo a sua volta le labbra per non farsi scappare una risata poco opportuna, incrociò le braccia al petto e fissò ognuno dei propri figli con la fronte aggrottata. Poi, si avvicinò alla tavola, afferrò il cucchiaio con la punta dell'indice e del pollice ed esaminò con raccapriccio la sostanza appiccicosa contenuta nella ciotola.
«Che Godric ci aiuti...» mormorò. «Credo che abbiano appena inventato una sostanza illegale».
«Mmh» mugugnò Tonks. «Vedrò di far partire una squadra di Auror a caccia di Moccoluffin Oscuri non appena possibile».
«Davvero, mamma?».
«No, Teddy» replicò con enfasi, indirizzando un'occhiata eloquente al bambino. «Cosa preferisci, Remus? Cuochi o cucina?».
«Assolutamente cucina» rispose con prontezza lui, sfilando il Settimanale delle Streghe dalle mani di Alastor e iniziando a leggerlo con curiosità. «Perlomeno, lei sta ferma».
Tonks fece un sogghigno divertito e schioccò le dita a mezz'aria.
«Avanti, chef dell'Apocalisse» ordinò con tono incontestabile. «Tutti in bagno, così vi affogo nella vasca».
*

«Non volevamo fare un pasticcio, mamma» disse a bassa voce Andromeda, mentre Tonks la aiutava a sbucare dal vestitino azzurro. «Volevamo solo fare i muffin buoni per te e papà».
«Lo so, tesoro» le sorrise Tonks con dolcezza. «Però, la prossima volta, preferirei che chiamaste la cavalleria prima di fare esplodere la cucina. Avreste potuto farvi del male».
«Come hai fatto tu quando hai cotto l'arrosto tutto nero?» domandò genuinamente Minima, cercando di girare nel verso giusto un calzino già infilato per metà. «Che ti sei fatta malissimo e papà ha chiamato la nonna Andromeda?».
Tonks cercò di camuffare il proprio imbarazzo con un leggero colpo di tosse.
«Mmh... sì, più o meno» la liquidò rapidamente. «Teddy, ti stai mettendo la maglietta al contrario».
«Lo so, mamma» rispose lui. «Voglio mettere dall'altra parte anche le scarpe».
«E perché mai dovresti fare una cosa tanto stupida?» s'informò divertita lei, mentre sistemava la gonna di Andromeda.
«Perché è stupido, mamma» disse prontamente Minima, alzando il naso dal calzino. «Il più stupido di tutti gli stupidi».
«Minima, finiscila» la rimproverò con estrema severità Tonks. «Se ti sento parlare di nuovo in questa maniera, giuro che non vedrai nient'altro che le pareti della tua stanza per i prossimi dieci anni».
Teddy fece una sonora pernacchia all'indirizzo della sorellina più piccola.
«E tu non fare smorfie a tua sorella o ti mozzo la lingua» aggiunse Tonks. «Morgana, perché ti stai infilando le scarpe al contrario, Teddy?».
Alastor e Andromeda iniziarono a ridacchiare, mentre Minima – palesemente risentita dal rimbrotto della madre – finse di non sentirli e continuò imperterrita a rigirarsi il calzino.
«Voglio vedere se a Diagon Alley capiscono dove ho messo la testa» spiegò con un sorriso scanzonato. «Se mi metto anche il berretto al contrario, tutti quanti diranno: “Ehi, guarda! Teddy Lupin non ha la testa!”».
Tonks non fu più in grado di trattenersi e scoppiò in una fragorosa risata, a cui si aggiunsero quelle dei figli – e perfino Minima, nonostante tutto, sembrò ridacchiare un poco.
«Certo che capiranno dove hai la testa. A casa, dentro un armadio, insieme al senno dei genitori che non ti hanno insegnato a vestirti» disse Tonks, allungandosi per arruffargli i capelli turchesi. «Alastor, metti a posto il risvolto dei pantaloni: siamo nel Derbyshire, non in una palude».
«Sarebbe fantastico vivere in una palude!» esclamò entusiasta Teddy. «Ci sarebbero un sacco di Marciotti!».
«Ma le paludi puzzano e i Marciotti ti confondono le idee» replicò piano Andromeda. «Non sarebbe bello viverci. Proprio no».
«Io preferisco il Derbyshire» annuì solennemente Alastor.
«Ma tu non ci sei mai stato in una palude» replicò con vivacità Teddy, sbracciando le mani. «Come fai a dire che non preferivi una palude gigante, come una Palude Portatile dei Tiri Vispi Weasley?».
Tonks finì di aggiustare il fiocchetto verde fra i riccioli chiari di Andromeda e alzò gli occhi al cielo.
«Dovrò fare quattro chiacchiere con George Weasley, non appena lo vedo. Sta seriamente minando alle strategie educative mie e di vostro padre» commentò con un sorriso storto. «Sei perfetta, tesoro».
«Grazie, mamma» pigolò Andromeda.
«Io sono prontissimo! Andiamo?» eruppe con entusiasmo Teddy, infilandosi il berretto delle Holyheads Harpies di traverso.
«Tua sorella non è ancora pronta» gli rispose tranquillamente Tonks, appoggiandosi con le mani al lavandino e scrutando con un sogghigno i vani tentativi di Minima di infilarsi il vestito da sola. «Perché non scendi a controllare che tuo padre non abbia portato in casa altre strane Creature Oscure? Se lo ha fatto, digli che questa sera mangeremo il suo fegato arrosto».
«Forte!» esclamò focosamente Teddy. «Andiamo, Alastor!».
Alastor annuì appena, saltò giù dalla cassapanca sulla quale si era seduto per allacciare le scarpe e corse di buona lena dietro al fratello. Tonks scosse appena la testa, prima di guardare le proprie figlie. Andromeda si era arrampicata sul bordo della vasca da bagno e osservava silenziosamente Minima, ancora tutta presa dal suo vestito.
«Minima, posso aiutarti?» le domandò Tonks.
«No, grazie» rispose stringata lei, mentre cercava di far sbucare il braccio sinistro dalla manica destra. «Ce la faccio».
«La mamma è brava con i vestiti difficili» disse Andromeda con un sorriso gentile, appoggiando i gomiti sulle ginocchia per sostenere la testa. «E questi sono vestiti difficili. Vero, mamma?».
«Sì. Vostra nonna non sembra capace di comprarvi qualcosa di facilmente indossabile. Non pensa mai che io e vostro padre, poi, dobbiamo tribolare per infilare le gambe nel posto giusto. Pensa un po', Minima, se ti stessi sbagliando e ti stessi infilando il vestito al contrario... ci toccherebbe girare per Diagon Alley con due piedi che parlano».
«E con Teddy senza testa!» aggiunse divertita Andromeda.
«Già!» le diede corda Tonks, ridacchiando. «Immagina un po' la scena: tutti i maghi e le streghe di Diagon Alley che bisbigliano l'uno con l'altro: “Guarda un po' i Lupin! Sono così poveri che non possono nemmeno permettersi le teste dei figli!”».
Era evidente quanto Minima si stesse tenacemente sforzando di non ridere, ma il suo giovanissimo orgoglio non poté nulla contro l'assurdità di quanto la madre le aveva appena detto. Fece un vago soffio, si mordicchiò le labbra e iniziò a ridere senza controllo. La risata della sorella contagiò rapidamente anche Andromeda.
«Sei ancora arrabbiata con me?» domandò Tonks, chinandosi dinanzi a lei e aggiustandole un ciuffo scuro dietro all'orecchio sinistro. «Perché, se dovessi ancora esserlo, sarei parecchio triste e i miei capelli diventerebbero come il pelo dei topi».
«Bleah!» disse Andromeda, mostrando la lingua.
Minima sollevò gli occhi verso il viso della madre e, molto lentamente, scosse il capo.
«Non sono arrabbiata».
«Sai perché ti ho sgridata, vero?» le chiese quasi con casualità, iniziando a vestirla con gesti meccanici.
«Perché ho detto che Teddy è stupido – il più stupido» rispose velocemente lei. «Però, mamma... si mette la maglietta girata perché pensa che così la gente non gli vede la testa; e si gira pure le scarpe, così cade e si rompe tutta la faccia. A me sembra stupido».
«Non è comunque una cosa carina da dire a tuo fratello. Non è una cosa carina da dire a nessuno, veramente».
«Ma la signorina Hermione dice sempre al signor Ron che è stupido» commentò con espressione confusa Andromeda. «Perché glielo dice, se non è una cosa carina da dire?».
«È vero!» confermò Minima, voltandosi di nuovo verso la madre. «E gli tira pure le cose in testa! Perché gliele tira, mamma?».
«Forse non gli vuole bene» propose timidamente Andromeda. «Io non tiro niente addosso a chi voglio bene».
Tonks si bloccò con la spazzola salda nella mano e fissò a lungo entrambe le figlie.
«Certo che Hermione vuole bene a Ron. Non dite sciocchezze».
«Se gli vuole bene, perché alla festa di Halloween gli ha tirato il porridge sulla faccia?».
Tonks emise un sospiro fra il divertito e l'esasperato.
«Un giorno, bambine, vi sposerete e capirete che anche i grandi che si vogliono bene litigano in maniera molto, molto, molto stupida, e finiscono per dire e fare qualcosa di altrettanto stupido di cui si pentiranno per molto, molto, molto tempo».
«E si lanciano il porridge?» domandò perplessa Andromeda.
Sorridendo fra i baffi, Tonks pensò fosse meglio evitare di raccontare che lei aveva ricoperto di caffè la testa del loro padre, che aveva incantato i cucchiai in modo che lo inseguissero per tutto l'appartamento di Gerrart Street con il compito di sfondargli il cranio e che lo aveva chiuso fuori dalla portafinestra del balcone, solo l'inverno prima, con nient'altro che un paio di mutande addosso.
«Beh, può succedere» rispose con poca convinzione Tonks, mordicchiandosi l'interno della guancia. «Però, ecco... di norma, se ne pentono in fretta. Allungami il piede sinistro, Minima».
«Ma perché si fa così, mamma?» chiese lei, appoggiando le mani a terra e stendendo una gamba per aria.
Tonks le infilò la scarpina di vernice e iniziò a stringere rapidamente la piccola cinghia.
«Anche voi litigate spesso, vi lanciate gli oggetti e vi tirate i capelli» disse con ovvietà. «Eppure, vi volete bene. No?».
«Non lo so» rispose in fretta Minima, guadagnandosi un'occhiata in tralice da parte della madre. «A volte, Teddy mi fa moltissimo arrabbiare».
«A me mi aveva detto che c'era una Chimera chiusa in bagno» raccontò in un mormorio Andromeda, chinando il capo e fissandosi imbarazzata i piedi. «Avevo paura che se entravo per fare la pipì, quella mi mangiava, ma mi scappava davvero tantissimo e me la sono fatta addosso...».
«Cosa?» domandò Tonks con voce allegra, sgranando gli occhi a quella rivelazione. «È questo il motivo per cui ti sei fatta la pipì addosso lo scorso mese?».
Lentamente e senza alzare lo sguardo, Andromeda fece un cenno affermativo con la testa.
«Oh, per tutte le sottogonne di Tosca!» rise Tonks, passandosi una mano fra i capelli purpurei. «Dromeda, tesoro, perché non lo hai detto a me o a papà?».
«Mi vergogno» confessò debolmente. «Non ci aveva creduto nessuno; io, invece, sì».
Tonks si avvicinò a lei, le scostò un ricciolo sfuggito al nastro dietro la schiena e le scoccò un bacio sulla fronte. La bambina le gettò le braccia al collo e Tonks, con un lieve sospiro rassegnato, la prese in braccio.
«Su, Minima» disse all'altra figlia. «Non volevi che papà ti accompagnasse a fare un giro all'Apoteca?».
«Sì!» esclamò eccitata, sgusciando velocemente alle spalle della madre e svanendo oltre la porta.
«Parola mia, quando tua sorella andrà a Hogwarts e verrà Smistata a Serpeverde, a tuo padre partirà un embolo».
«Davvero?» domandò preoccupata Andromeda, scrutando la madre con gli occhi spalancati. «E lo si mangia, quest'embolo?».
Tonks la fissò intensamente per qualche istante e scoppiò a ridere.


   
 
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