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Autore: Elosaliceverso    21/02/2011    6 recensioni
Il dolore dei bambini nati senza padre è come una lunga spina spuntata piantata da qualche parte appena sopra lo stomaco, un dolore ottuso, svuotato, che certe giornate non si avverte nemmeno; ma poi ci sono momenti in cui la ferita si gonfia, pulsa, si stringe attorno alla spina e lo stomaco duole, fa male il cuore.
Ad Hanako quel dolore è un dolore familiare, perché lei non ha ricordo alcuno dell'odore di suo padre, della sua voce, non ha ricordi di giorni passati sulle spalle di qualcun altro. Suo padre era uno sconosciuto per la sua stessa figlia, sua madre non ha avuto il tempo, l'interesse, di tenerla tra le braccia. Hanako vorrebbe che per Shisui quei ricordi ci fossero: vorrebbe dare Itachi a Shisui, ma Itachi non c'è, Itachi è andato dove lei e il bambino non possono raggiungerlo, dall'altra parte del vento.
[...]
Una raccolta di storie sull'infanzia (e forse anche altro) di Itachi, Shisui e Sasuke. Frammenti di giornata e di dettagli di tre vite spezzate raccolte in un caleidoscopio senza pretese di completezza, verità o perfezione. Collegato a Il Giardino dei Mandorli e Cronache dalle Terre di Suna - Tagliavento.
Elos&Salice
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Introduzione: Ispirata a Cronache dalle terre di Suna - Tagliavento. Per poterla apprezzare pienamente sarebbe meglio averla letta.
Per farmi perdonare il ritardo, vengo portando scuse a non finire e un pezzetto più lungo del precedente. Spero che possa piacervi. A Salice, che non smette di regalare fiducia!

[Hanako, Shisui]



Cullami, cullami. Camomilla.

Alla prima contrazione la brocca le scivolò dalle mani prima che potesse riacchiapparla, finendo sul pavimento. Il rumore dei cocci infranti soffocò quello del suo respiro strozzato, mentre ingoiava una lunga boccata d'aria e si appoggiava allo stipite della porta in cerca di sostegno.
Respira. Respira, respira. Respira. Strofinò la fronte contro il legno fresco per trovare un po' di sollievo alla vampata di calore improvviso, febbricitante, che la stava facendo tremare. Si accarezzò la pancia con una mano, sussultando quando sentì qualcosa muoversi, lì dentro, premere e scalciare.
Sorrise.
- Vai di fretta? -
Boccheggiò mentre il bambino si stiracchiava proprio contro un qualche dolorosissimo punto tra l'ombelico e il plesso solare.
- … lo prendo come un sì. Mi hai fatto cadere la brocca, uh? La mamma voleva bere una camomilla, ma se continui a farle sfuggire le cose dalle mani potrà mandarla giù solo quando ti avrà già tirato fuori. -
Lo sentiva muoversi. Un'altra contrazione, irregolare, più lenta. Non era ancora il momento di raggiungere il letto, ma restare in piedi con il bimbo che scalciava dentro di lei, seccato e impaziente, non rientrava precisamente nell'elenco delle tre cose più facili che le fosse mai stato richiesto di fare.
Tornò in cucina per mettere un altro bollitore sul fuoco. Si sedette su uno sgabello ed aspettò che l'acqua fosse nuovamente pronta, ma quando provò ad alzarsi per avvicinarsi al camino l'ennesima contrazione le strappò un sussulto e la fece barcollare.
Si chiese che cosa sarebbe accaduto se le fosse successo mentre aveva la teiera in mano. Se l'acqua bollente le si fosse rovesciata addosso, se si fosse ustionata...? Nessuno l'avrebbe sentita gridare: c'era il silenzio nella casa vuota a incombere tutto attorno a lei, e il tintinnio delle campane del vento era come uno scroscio cristallino nell'immobilità assoluta della collina.
Il villaggio, pensò Hanako, era in fondo alla strada. Troppo lontano. Troppo isolato. Troppo pericoloso.
- Niente camomilla per la mamma, Shisui. - Sospirò e gemette, sentendo il respiro strozzarsi nella gola per uno spasmo al ventre più debole dei precedenti. - Faremo meglio a sdraiarci. -

- - -



Quella che ora era la vita di Hanako le piaceva. Ogni tanto le piaceva moltissimo.
Sapeva di muschio, di cose cotte nel forno e lasciate a freddarsi sul bordo delle finestre. Sapeva dell'orto pieno di lavanda e pomodori, dei barattoli di medicinali allineati nei ripostigli per tutte le occasioni.
I pazienti di Hanako la pagavano in denaro quando potevano, in provviste o piccole cose quando il denaro non c'era. Qualcuno l'aiutava a riparare lo steccato; qualcun altro a sistemare il tetto, a costruire un nuovo barile dell'acqua piovana, a zappare l'orto ora che il pancione era troppo grosso per poterlo fare. Le avevano regalato lenzuola per il bambino in una quantità più che sufficiente ad assicurare al neonato ricambi freschi sino alla vecchiaia. Un falegname le aveva fatto una culla bellissima in cambio di un impacco contro il mal di denti: era di legno chiaro, ricoperta di cera d'api perché fosse impermeabile e profumasse di buono. Dondolava.
C'erano sere nelle quali Hanako si sedeva vicino alla culla vuota e la spingeva per il puro piacere di guardarla oscillare, pensando a come sarebbe stato vederla piena, come sarebbe stato sentire il respiro del bambino riempire la stanza al di sopra del vento.
Quella che ora era la vita di Hanako le piaceva. Ogni tanto le piaceva moltissimo. Ogni tanto il dolore la raggiungeva: non era un dolore di quelli insopportabili, opprimenti, ma una specie di paura cieca per la solitudine che era tornata come nell'Heya, di nostalgia per i giorni di luce verde, i giorni di sole, chicchi di riso da seminare in monete mai spese e ricordi rubati.
Ad Hanako mancava Itachi.
Sentire Shisui muoversi nella sua pancia leniva il dolore, la paura, la nostalgia. Si portava via il malessere, ma poi Shisui si fermava, dorme, pensava Hanako, e lei restava di nuovo sola con la sua pancia piena del figlio di qualcuno che non avrebbe mai più respirato su questa terra.
Itachi, Itachi. Ci pensava la sera. Itachi che le dormiva accanto. Itachi che le respirava sul collo, che le passava le dita tra i capelli. Veder sorridere Itachi. Dipingere occhi rossi sui paraventi bianchi per avere sempre Itachi attorno, anche quando lui non c'era, occhi rossi sepolti nel verde e nell'azzurro della casa in cui poteva stare adesso.
Quella che ora era la vita di Hanako le piaceva, si diceva lei. Lo sapeva. Ogni tanto le piaceva molto, moltissimo, infinitamente. Quando il dolore spariva si vergognava d'essere stata male: perché non era giusto esser tristi quando c'era Shisui che le cresceva dentro, era sbagliato.
Shisui doveva vedere solo sorrisi, attorno a sé, Shisui doveva vedere solo la luce.

- - -



Un respiro, una contrazione. Un respiro, una fitta alla schiena, altra contrazione. Shisui scalciava. Tastò il ventre gonfio cercando di capire dov'erano i piedi - sono questi? - se erano al posto giusto, se il bambino s'era girato nel modo migliore, se soffriva. Prese un sorso d'acqua dalla caraffa che aveva poggiato accanto al letto, piegando un po' le ginocchia per cercare di rilassare i muscoli della schiena. Tutto il suo corpo protestò nel movimento e Shisui scalciò dentro di lei.
Hanako boccheggiò, resistendo all'impulso di girarsi sul fianco per potersi rannicchiare.
- Piano, piano. - Mugolò, accarezzandosi la pancia. - Manca ancora un po'. -

Era sudata. Era stanca. Era stanca, stava male, era sola. Shisui sarebbe nato in una casa deserta. Se fosse andato storto qualcosa durante il parto, se lei avesse perso conoscenza, non ci sarebbe stato nessuno per aiutarli. Sarebbero mor-
...

Mizuki. Strofinò una guancia contro il cuscino, implorando. Mizuki.
Bastava chiamarla per averla vicina: le sue mani sulla fronte madida, tra i capelli, le sue dita contro la pancia a premere piano per rilassarla. La sua voce che le diceva di non star contratta, di respirare lentamente, di rilassarsi.
Se chiudeva gli occhi la vedeva. Se li apriva, non era più lì.
Mizuki è morta.
Le faceva male la pancia.

Un respiro, una contrazione. Un respiro, una contrazione. Bevve di nuovo, e la nausea l'assalì: dovette piegarsi oltre il bordo del letto per poter rigettare. Una contrazione, prima che potesse respirare, tossì e annaspò, e di nuovo una contrazione, un respiro, una contrazione, un respiro, una contrazione...

Lo faccio nascere, pensò. Lo pensò con forza, lo pensò più di quanto avesse pensato qualunque altra cosa prima. Non voleva pensare mai più niente allo stesso modo.
Lo faccio nascere. Il bambino, Shisui, io lo faccio nascere.

- - -



- Signora Hanako? Signora Hanako, siete... -
male male male male male male male male male male male male male male
La contrazione passò: era durata un'eternità, un secolo e mezzo di dolore abbacinante. Spinse come un'onda ancora un attimo ai bordi della sua coscienza, e poi la risacca se la trascinò via. Poteva respirare adesso, e lo fece, grosse boccate d'aria che le riempivano i polmoni e placavano le pulsazioni della sua povera testa dolorante.
- … siete in casa? Signora Hanako? -
Hanako spalancò gli occhi. C'era qualcuno. Al piano di sotto c'era qualcuno. Rimase in silenzio, immobile e come raggelata dalla consapevolezza improvvisa della propria impotenza, prima d'allungare un braccio e cercare a tastoni un'arma. La brocca, no. Asciugamani, no. Un cuscino, la tazza, un libro, no, no, no, il pettine, trovato. Lo strinse e cercò di convincere il proprio chakra a lasciarsi manipolare quel tanto bastante a rendere il legno duro come diamante.
L'intruso stava salendo le scale. Veniva verso di lei.
- Signora Hanako, avete lasciato la porta aperta! Mi dispiace, be', invadervi la casa, ma ho bisogno di un... Dei onnipotenti! - La voce dell'uomo si era trasformata in un urlo, un miscuglio di sbalordimento, spavento, incredulità, alla vista della ragazza sul letto: e lui si era bloccato sulla porta, paralizzato ed esterrefatto.
Hanako lo riconobbe con sollievo:
- Signor Saien! Che cosa... -
Contrazione. Dolore, male male male male male, respiro.
- … ci fate qui? -
L'uomo non riusciva a smettere di guardarle il ventre.
- Uh, mal... mal di pancia. - Bofonchiò, inebetito. - Mia moglie ha... ha mal di... signora Hanako, state partorendo? -
Suonava paradossale, detta così, e ad Hanako venne da ridere.
- Credo di sì. - Ansimò, spossata. - C'è un vasett... - Contrazione, male male male male male, respiro. - … un vasetto sulla credenza in cucina. Penultimo da destra, il secondo scaffale. Potete prendere tutte le foglie che volete, ci fate una tisana... - male male male male male male - ... e vedrete che il mal di pancia le passa. Non posso... ah... venire giù con voi. -
- State partorendo. - Ripeté l'uomo, lentamente. - Partorite. State partorendo. - Indietreggiò, sbattendo le palpebre, e parve svegliarsi tutto ad un tratto. Le puntò un dito contro, alzando l'altra mano per passarsela sulla fronte sudata e tra i capelli, intimandole:
- Restate dove siete. Torno subito, signora Hanako, mi avete capito? Restate dove siete! -
Non mi muovo, pensò lei, mugolando per la nuova contrazione. Davvero, non c'è pericolo.
Sentì i suoi passi risuonare sbattendo giù per le scale, rumorosamente, l'impiantito del pianterreno cigolare e infine la porta di casa aprire e chiudersi. Poi, di nuovo silenzio.

- - -



- Apri gli occhi, bambina. -
Nel lago il sasso. Scendeva sempre più giù, lei lo teneva tra le braccia. Avrebbe toccato il fondale prima di poter risalire, ma dopo...
- Così, da brava. Manda giù e apri gli occhi. -
… in superficie?
Qualcosa di duro e liscio, una tazza, le batté a vuoto contro i denti prima che lei schiudesse la bocca. Calore, e poi morbido e dolce giù per la gola, non bollente. Camomilla, riconobbe lei infinitamente grata, miele e camomilla.
Chi c'è? Itachi?

Provò a chiamarlo, ma dalla gola non usciva più niente che non fosse uno di quei lamenti inarrestabili e incontrollabili che la assalivano ad ogni contrazione. La camomilla scivolò sul suo dolore come una mano gentile: lenì e scaldò, e tutto ad un tratto la pancia non le faceva più così tanto male. Aprì gli occhi, obbedendo alla voce, e si trovò davanti al viso familiare di una vecchia.
- Brava. - Ripeté la vecchia, premendole ancora la tazza contro le labbra: - Bevi. Finiscila tutta. -
Bevve avidamente, perché quella era camomilla e le distendeva i muscoli della pancia, perché quella era una voce amica e una mano gentile ed era compagnia in una casa deserta. Qualunque compagnia andava bene.
- Ti ricordi di me, bambina? -
Hanako scosse la testa, poi annuì. Sì, ricordava di averla già vista. No, non ricordava chi fosse.
- Vivo giù al villaggio. Mi hai preparato un impacco per il mal di denti, l'anno scorso. Adesso ti ricordi? -
Assentì, Hanako, e la vecchia ne parve contenta. Aveva un viso pieno di rughe asciutte e spigolose, il naso adunco e dita lunghe e nodose come rami d'olivo.
- Avresti dovuto dire a qualcuno che il momento era vicino, bambina. E' stato molto sciocco da parte tua non farlo. Saresti potuta morire, e con te il bambino. Non vuoi che muoia, no? Questo bel bambino. - Una mano della vecchia era sulla sua pancia, ora. Hanako sibilò per il dolore improvviso d'una contrazione, ma poi la donna le massaggiò il ventre, e le fitte tornarono a perdersi in quella sensazione che era morbida, gentile, rassicurante.
- Hai i fianchi stretti, sei acerba, bambina. Ti farà male. Ma non ti preoccupare... - Le disse poi, sporgendosi per accarezzarle la fronte. - … lo facciamo nascere, noi. -
Lo faccio nascere.
Hanako sorrise, e la vecchia annuì soddisfatta.
- Brava ragazza. -

- Spingi quando te lo dico. -

- Adesso spingi! -
- Nh...! -

- Non fare così, ti morderai la lingua. Apri la bocca, bambina, guarda verso di me! -

- Respira. Respira, respira, bambina, respira. -
Le sembrava stessero andando avanti da secoli, ere, da sempre. Le sembrava di non aver mai fatto altro per tutta la vita se non respirare e spingere, respirare e spingere.
Ma poi:
- Vedo la testa, bambina. -

Era stato il tramonto quando s'era sdraiata, e poi notte nel momento in cui la vecchia aveva cominciato a premere e a dirle di respirare e spingere, ma ora c'era una luce azzurrata di quelle che riempiono il cielo solo un attimo prima dell'alba.
Aveva continuato per tutto quel tempo a pensare a Itachi. Itachi che le faceva cadere una moneta accanto alla mano, Itachi che le pettinava i capelli. Itachi che sorrideva, Itachi quand'era triste, Itachi che parlava di Sasuke. Itachi, Itachi. Aveva avuto così poco tempo con lui, troppo poco per poterlo trovare giusto, troppo poco tempo per avere poi la vita piena d'un compagno morto, e adesso erano diecimila anni e più che cercava di far nascere il suo bambino.
Aveva continuato per tutto quel tempo a pensare a Itachi: ma nel momento in cui la vecchia spinse per l'ultima volta sul suo ventre, con forza, qualcosa le fece male, male da morire, tra le gambe e poi c'era un fagottino sporco e scuro a piangere nelle braccia della vecchia, ebbene, in quel momento Hanako pensò a Kisame.

- Quando quel cosino che ti porti nella pancia diventa grosso, Tagliavento, mandalo a cercarmi. -

- Qui dentro c'è un regalo per te, ma intanto voglio sapere come vanno le cose lì dentro. -
- Mancano un paio di mesi, ancora, ma va tutto bene. Credo sia maschio. -
- Maschio. Come lo chiami? -


Il bimbo era un cartoccino di pelle coperta di sangue e viscidume, tutto occhi serrati, pugni serrati, bocca serrata in un pianto singhiozzante, acuto. Hanako sorrise e la vecchia le disse, raggiante:
- Ha tutto al posto giusto, bambina, e mi sembra sanissimo. -
Tese una mano verso il neonato, Hanako, e lo chiamò:
- Shisui. -

- - -



Era la cosa più bella che ci fosse, ed era sua.
La testolina implume le stava in una mano, le gambe erano grandi il giusto perché potesse accarezzarle con due dita, senza fatica. Una di quelle manine minuscole, piccolissime, le aveva stretto il pollice con forza e non accennava a lasciarlo.
Suo, suo, suo. Mio, mio, mio. Lo pensò e poi lo disse, bisbigliandolo, e la vecchia rise piano.
- Non te lo porta via nessuno, bambina. -
Mai, mai, mai. Mio, mio, mio.
Hanako alzò gli occhi per guardarla, affermando piano:
- Io non ricordo come vi chiamate. -
- Kasumi Asano, bambina. -
- Kasumi Asano. Avete fatto nascere il mio bambino. -
Mio, mio, mio. Avrebbe avuto gli occhi di Itachi, forse, e forse il suo viso, la sua pelle, il suo sorriso. Avrebbe avuto qualcosa di Itachi e qualcos'altro di lei. Mio, mio, mio.

Le dormiva tra le braccia, Shisui. Aveva una pelle al sapor di latte.





Note: Qui è Elos che vi parla! Non dirò niente, se non che questo pezzo è stato sofferto. Molto. Non sapevo da che parte cominciare, e ancora adesso non sono soddisfatta. Le risposte ai commenti si spostano nella sezione che EFP gentilmente fornisce! *_* I pomodori, invece, sono nella cassettina piccola sulla sinistra. Ecco, quella lì. No, non il cesto con le pietre, grazie.

Fonte immagine: Father_and_Son_Uchiha_by_Hybrid22
  
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