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Autore: Ely79    24/02/2011    6 recensioni
Harry è morto. Il doppiogioco di Piton è stato smascherato. Lord Voldemort ha trionfato ed i Mangiamorte con lui. Qualcuno però non si arrende e continua a mettere in difficoltà i seguaci del Maestro, aleggiando funesto sulle vite dei suoi adepti e sui sogni dei giovani Purosangue.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Rabastan Lestrange, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'Rabastan Lestrange'
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IV
FM

Trick

IV

5 agosto 2017
Canile, Lestrange-Black Manor, Northumbria

Blue ripiegò accuratamente la divisa che tanti complimenti aveva fruttato ai suoi padroni. L’appoggiò su un ripiano, entrò nella gabbia e infilò i pochi stracci che aveva gettato in un angolo prima del bagno e dell’uscita, sotto lo sguardo assonnato della muta di cani lì accanto. Stava per fasciarsi i piedi, quando gli venne ordinato di non farlo. Obbedì. Infine allacciò il collare, segno della sua detenzione presso i Lestrange-Black. Avvertì un formicolio alla schiena mentre l’incantesimo di sottomissione cessava. Sbatté le palpebre e scrollò il capo, facendo tornare turchese la chioma.
«Ci  diamo alle Arti Oscure?» domandò, scrutando alle spalle con la coda dell’occhio cieco.
«Taci, o saranno guai» sibilò Mabel, accompagnata da un fruscio nervoso e dallo sbatacchiare di minuscoli pugni su sbarre altrettanto minute.
Lui inspirò profondamente, percependo i primi guizzi dei muscoli e la tensione nelle ossa. La luna piena cominciava a far capolino fuori e dentro il suo corpo.
«Bleah! Fata!» mugugnò, riconoscendo l’odore della creaturina prigioniera.
Mabel non se ne curò e gettò l’abito sul fieno, accanto all’entrata del canile. Prese a spalmarsi addosso dell’unguento, che alle narici di Blue ricordò giacinti appassiti e carne in salamoia. In un altro momento avrebbe vomitato, ma era digiuno dal mattino e il lupo cominciava ad agitarsi.
Si voltò a studiarla, svestita, mentre guardava il cielo.
«Sei ingrassata, Mab? Eri più secca, là sotto» sghignazzò.
«Cosa vorresti dire, bestiaccia? Che il mio didietro è grosso?» urlò lei girandosi, affatto imbarazzata della propria nudità.
«Si dice sedere. O chiappe» specificò, battendoci le mani. «O culo. Dipende quanto vuoi essere volgare».
Blue cadde a terra, gemendo sguaiato sotto l’ennesimo Stupeficio. I mastini gli fecero eco.
«Era ora che ti facessi vedere, piagnone».
«Stà zitta, Mab» ruttò Ruslan, riattaccandosi alla bottiglia di whisky.
Ingollò lunghe sorsate, guardandosi bene dall’offrirne alla ragazza. Ruslan aveva l’aria stravolta e la faccia arrossata dalla lunga cavalcata.
«Tutti così i Riti Antichi? Tette al vento e gambe aperte?» commentò ironico.
L’affermazione gli costò un ceffone, che sembrò non sentire.
«Ora sta’ zitto tu, imbecille. Invocherò la Magia d’Albione, per diventare la nuova favorita del Lord» sbottò.
Avrebbe superato il Maestro e una volta avuto il potere, si sarebbe liberata di quell’essere disgustoso, un Mezzosangue. La magia doveva appartenere ai soli Purosangue. A lei.
«Albione?»
«L’antico nome della nostra Inghilterra. Merlino, Ruslan, quanto sei ignorante!»
«Sono ucraino, come tutta la mia famiglia! Questa non è casa mia» ma Mabel non l’ascoltava più.
Spezzò in due l’esile corpicino della Fata con un Diffindo ed il sangue celeste le schizzò addosso come una spolverata di piccolissime gemme. Tracciò nell’aria una serie di rune e cerchi, che si disposero intorno a lei come le pareti di una stanza. Pronunciò la formula, richiamando a sé i simboli con la bacchetta. Il sangue di Fata cominciò a sprigionare un tenue bagliore e ridisegnò gli elementi dell’incantesimo sulla pelle della giovane, svanendo con un lampo.
«Mi sembri uguale» sogghignò Dolohov, scolando l’ultima goccia di whisky e lanciando lontano la bottiglia.
«Va ripetuto più volte durante i pleniluni, con creature sempre più potenti. E come sai, i pleniluni non accadono tutti i giorni» spiegò stizzita, infilando l’abito che le porgeva. «E adesso spicciati, ho voglia di andarmene a Brinkburn a farmi una Burrobirra con lo sciroppo di menta».
I due raggiunsero il Thestral legato poco lontano e s’involarono in direzione della cittadina.
Nel giardino e nel canile tornò la quiete. Da dietro un cumulo di fieno emerse una figura sottile e malandata. Un altro mannaro si aggirava libero fra le gabbie. Superò lentamente i recinti, raggiungendo quello in cui era rinchiuso Blue. Sfregò il muso segnato da cicatrici sulla rete d’argento, ritraendosi con un guaito. Quel dannato metallo riusciva ad essere fastidioso anche se non pungeva o feriva.
La creatura all’interno si sollevò, stiracchiando le zampe intorpidite dalla trasformazione e dall’immobilità.
«Sono dei gran zucconi. Non hanno imparato che gli Schiantesimi non servono con noi» latrò.
«Lascia stare, papà. Carenze del sistema scolastico Voldemortiano!» guaì Blue, annusandosi la spalla. «Non sono neppure granché come duellanti. Pessima mira» aggiunse, scrollandosi vigorosamente.
Scoprì le zanne, in quello che avrebbe voluto essere un sorriso. Aveva solo simulato di provare dolore quando era stato colpito: era servito a coprire gli Alohomora lanciati dal padre.
«Basta chiacchierare, Teddy. Sembri tua madre quando cominci».
«E dì che ti dispiace…» fece, rotolandosi sulla schiena.
Lupin armeggiò con i lucchetti, graffiando e tirando finché non caddero. Usare quelle zampe era un’impresa, anche con la Pozione in corpo. La Pozione Antilupo era stata perfezionata al punto che, durante la luna piena, i Licantropi mantenevano quasi per intero una coscienza umana. Poco importava che i maghi l’avessero fatto per tutelarsi da eventuali morsi durante le battute di caccia al Babbano. Era riuscito a portarla una settimana prima a Teddy, così che fosse pronto per quella sera.
Si mossero lungo i muri, orecchie tese e naso attento a percepire ogni presenza. Nel giardino, però, si aggiravano solo un gruppetto di gnomi e dei conigli selvatici. Scivolarono tra i cespugli, avanzando rapidi in direzione della brughiera. Corsero a perdifiato fra sentieri lastricati e statue di illustri Mangiamorte, fino al confine del giardino, dove cominciava una piatta distesa d’erba.
Un guaito altissimo inchiodò le zampe di Remus.
«Teddy!» ululò.
La creatura era a terra, scalciava e tentava d’afferrare il collare, fattosi improvvisamente più stretto. Un Cappio Invisibile gli impediva di allontanarsi dalla dimora dei padroni. Lunghe note acute si levarono intorno. Un allarme.
«Teddy, sta’ calmo!» ringhiò, tentando di aprire la fibbia.
Il cuoio era protetto da un Repulsivo e da borchie d’argento che gli laceravano le zampe ad ogni tentativo. Remus morse quel demone che minacciava suo figlio. Tirò con quanta forza aveva, strinse le zanne, obbligandole ad affondare fin quasi a spezzarsi. All’improvviso, Teddy si drizzò, trascinandosi asfissiato fino al limitare della sua invisibile prigione, dove tornò a respirare.
«Vattene. Vattene, papà» gli intimò, il capo nascosto fra gli anteriori.
«No! Tu… tu devi… resterò con te. Lascerò che mi catturino» uggiolò, strofinando il muso contro il fianco del figlio.
«Se rimani, non ti prenderanno vivo» sospirò. «Vattene, papà. Abbiamo perso la mamma, non voglio che… va’ via, ti prego. E salutami la nonna, se riesci» guaì, arretrando ancora.
«Teddy…»
Il mannaro levò il muso, poggiandolo su quello del padre.
I richiami d’allarme non si placavano. Presto sarebbe arrivato qualcuno a controllare.
«Ti voglio bene, papà».
«Ti voglio bene anch’io, figliolo. Tornerò e ti porterò via» promise.
In pochi istanti, il suo mantello si confuse con la notte. Teddy rimase dov’era, finché sentì il suo odore affievolirsi nel vento e l’ultimo richiamo perdersi fra le stelle.
«Lo so, papà» rispose, serrando le fauci per non ululare alla luna il suo sconforto.
Tornò alla gabbia, sognando di scoprire un passaggio segreto che lo conducesse da suo padre e dalla nonna.
Nel frattempo, Lupin aveva continuato a correre senza mai voltarsi indietro. Sentiva le budella torcersi in preda alla frustrazione. L’animale non accettava la sconfitta e premeva per tornare indietro, uccidere i Lestrange e liberare il suo cucciolo, ma l’umano doveva arrendersi lucidamente ai limiti della sua condizione.
Una figura si sbracciava nella foschia mattutina.
«Professore, dov’è Teddy?»
Il Licantropo scosse il capo, sfinito dalla lunga corsa, lasciandosi cadere dove l’erica era più fitta mentre Neville tesseva una rete di incantesimi protettivi. Tra le piante c’erano acqua e carne, ma Lupin non aveva fame. Guaiva scoraggiato dall’ennesimo fallimento, per il timore di ciò che avrebbe passato suo figlio.
«Non temete, professore» lo rincuorò Neville. «Libereremo Teddy, ve lo prometto».

***

5 agosto 2017
Maramures, Romania

La sagoma dell’Opaleye si afflosciò a poco a poco. Il ruggito gutturale divenne un quieto brontolio, segno che la Pozione Soporifera aveva fatto effetto. Era come osservare una montagna di perle, il cui fianco si gonfiava e sgonfiava debolmente.
Charlie guardò di traverso Percy che, in tutta tranquillità, seguiva le operazioni scribacchiando su un imponente rotolo di pergamena. Come potevano avere lo stesso sangue?
Ricordava ancora il giorno in cui Hermione era stata torturata e uccisa sulla piazza di Hogsmeade, di fronte agli studenti che affluivano ad Hogwarts per il primo giorno di scuola. Lui, suo padre, George, Neville e altri dell’Ordine avevano cercato invano di salvarla dalla bacchetta della Lestrange. Sul palco, accanto al nuovo Ministro, c’era Percy. Per un attimo aveva creduto di vederlo tremare, inorridito da ciò che accadeva. Aveva sperato si ribellasse, che chiedesse la grazia, adducendo cavilli legali che solo lui poteva conoscere. Un ergastolo ad Azkaban sarebbe stato una buona soluzione, senza contare che avrebbero potuto trovare il modo di far evadere Hermione in tempi più o meno brevi. Ma quando l’aveva visto balzare in piedi, applaudendo gioiosamente di fronte al povero Ron, semisvenuto per il dolore della morte della ragazza, aveva capito che quello non era più il petulante burocrate che aveva dormito nella camera sotto la sua. Era un mostro peggiore dei Mangiamorte, perché si era abbandonato all’obbedienza ossequiosa senza porsi domande, come una foglia al vento. Aveva accettato di stare dalla parte sbagliata per il proprio tornaconto personale.
«Sbrigatevi» blaterò, sistemando sul naso i suoi dannatissimi occhialetti cerchiati di corno. «Estraete la milza alla svelta. Non vogliamo che questo coso ci crepi fra le mani!»
Era stato mandato dal Ministro della Magia in persona, per accertarsi che la produzione di milza di Opaleye procedesse secondo quanto stabilito. L’allevamento dei draghi era una lucrosa attività dei Lestrange, che apportava considerevoli somme alle casse dell’erario.
«Non è un coso, è un Opaleye degli Antipodi» corresse bruscamente Charlie.
Percy rispose con un’alzatina di spalle. Non gl’interessava cosa fosse quella bestia, sapeva solo che aveva a che fare in qualche modo con i suoi compiti di assistente e questo bastava.
Il Guardiadraghi represse a stento l’impulso d’afferrare la bacchetta e colpirlo con quanta più forza avesse. Non si erano mai intesi molto riguardo i propri interessi ed ora la cosa minacciava di inasprirsi ulteriormente.
«Non dovrebbe stare qui. Non è il clima della Nuova Zelanda» disse a mezza voce.
«É un errore. È documentato dai bollettini interministeriali che le valli interne della Nuova Zelanda presentano fasce climatiche simili a quelle dell’est europeo» rimbeccò l’altro, sventolando un dispaccio accuratamente arrotolato e sigillato.
«Esistono una serie di condizioni a contorno che non si possono replicare nemmeno con la magia. A questo ci arrivi o ti serve un comunicato timbrato e firmato dai tuoi capi, per dirti che puoi azzardarti a ragionare?» ringhiò, le braccia conserte e l’aria di chi voleva attaccar briga.
Finalmente Percy tolse gli occhi dallo scritto e lo guardò, sdegnoso.
«Faccia ciò che le viene richiesto, se vuole ottenere le sue misere sovvenzioni. Obbedisca e non obbietti… Weasley».
Lo chiamò per cognome, quasi fosse un insulto. E lo era, visto che Percy, per dimostrare d’aver preso le distanze dagli elementi sovversivi della sua famiglia d’origine, aveva scelto di cambiare nome. Ora si faceva chiamare Hector Weatherby, con buona pace del vecchio Crouch.
«Obbedire e non obbiettare?! Come fai tu?!»
«Badi a quel che dice. Potrei deferirla seduta stante al Wizengamot. I suoi colleghi comincerebbero a domandarsi dove si trova mentre il giudice cala il martelletto» disse, alludendo velatamente alle accuse di collaborazionismo che pesavano sul suo capo.
A Charlie non importava granché di cosa quel damerino volesse sottintendere. Certo era che, dietro alla gretta spavalderia, si nascondesse ancora il leccapiedi codardo che non osava uscire dal seminato preparato dai capi. Lo dimostrava il fatto che non riuscisse a sostenere il suo sguardo. Di cosa aveva paura? Che lo prendesse a pugni come meritava?
«Macnair? A che punto siamo?» chiamò Percy, approfittando del silenzio rabbioso del fratello per sfuggirgli.
«Lo stiamo aprendo. Qualche minuto e avremo fatto» rispose un uomo dai vistosi baffi neri.
«Se qui non servo, vado a fare due passi. O non ho il dovere di controllare i dintorni?»
L’assistente lo congedò con un cenno stizzito, per tornare a concentrarsi sulla penna d’aquila e l’infinita scia d’inchiostro che si lasciava dietro.
Rapido, Charlie raggiunse l’uomo che lo stava aspettando. Stefan Grigore era stato responsabile della Riserva, ma l’età e le ferite riportate durante la Guerra l’avevano costretto a farsi da parte. Ora si occupava della gestione della sede e di tenere i contatti con Bucarest.
«Arrabbiarsi non serve a nulla» l’ammonì, affiancandolo.  «Al contrario, potresti inguaiarci tutti».
Sbuffò, irritato. Sapeva che Stefan aveva ragione. Paradossalmente, dovevano ringraziare la delicatissima cognata del Ministro se le ricerche sui draghi avevano avuto un deciso impulso in quegli anni. Decine di esperti erano stati arruolati per scoprire le proprietà medicamentose ancora non note delle varie razze e miglia e miglia di pergamene erano state stese in favore della salvaguardia e dell’incremento delle popolazioni esistenti. Avrebbe dovuto essere felice, carico d’entusiasmo, ma non ci riusciva.
«Cosa ci stanno facendo, Charlie?» domandò un vocione preoccupato.
Il Guardiadraghi scorse un’enorme sagoma nell’ombra della foresta.
«Hagrid, non dovresti stare qui. Sai che non puoi avvicinarti ai draghi».
Hagrid viveva da anni nei pressi della Riserva. Sperava di rivedere la sua cara Norberta, cosa che però gli era stata interdetta e che l’avviliva non poco. Di certo c’era lo zampino dei Malfoy.
«Non posso guardare che gli fanno male!» piagnucolò, soffiandosi rumorosamente il naso.
«Tranquillo, Hagrid. Starà bene e la milza ricrescerà entro sei mesi. In tempo per la prossima asportazione» sospirò disgustato, guardando in lontananza la figura pallida in cui si apriva uno squarcio scarlatto.
«Stamattina è arrivata questa» fece Stefan, porgendogli una lettera.
Arrivava dal Canada ed era di Bill e Fleur. Come Hagrid - e la maggior parte di coloro il cui sangue era contaminato dall’unione con altre creature -, erano stati costretti all’esilio volontario. Bill avrebbe potuto restare in Inghilterra accettando di diventare un Licantropo a tutti gli effetti e mettendosi al servizio di qualche signorotto o del Ministero, ma aveva preferito seguire la moglie altrove.
Nella lettera gli parlava della figlia maggiore:

Non hai idea di quanto Margaret somigli alla nonna. Vorrebbe visitare la sua tomba. Come posso dirle che non esiste? Come faccio a dire a Molly che la nonna di cui porta il nome è rimasta a marcire sul prato di Hogwarts, dopo che la sua assassina ha festeggiato la vittoria di Tu-sai-chi? Che non ci hanno concesso di seppellirla come era giusto?

Era la stessa domanda che si poneva quando pensava a Ioan. L’amico e collega l’aveva seguito ad Hogwarts, ma non aveva più fatto ritorno in Romania dalla sua famiglia. Non aveva esitato a sacrificare sé stesso nella speranza di un domani migliore. Suo figlio Adrian, che pure aveva partecipato alla Battaglia, aveva tentato invano di riavere il corpo. Era rimasta solo una lapide a ricordarlo, nascosta nella boscaglia, lontano dai divieti del Ministero. Una lapide senza tomba, né iscrizioni, né corpo, bagnata dalle lacrime della moglie, del figlio e degli amici.
Tutti avevano creduto in quel sogno, alcuni speravano ancora, troppi erano morti.
Sua madre.
Fred.
Tonks.
Harry.
Hermione.
Tanti altri senza nome.
Ripiegò con cura la lettera e la mise in tasca, continuando a camminare accompagnato dai singulti di Hagrid e dalla zoppia di Stefan.
«Mi dispiace, Bill. Non ho risposte per te».



Eccovi il giudizio del contest, per voce del giudice Trick.
Family Portrait di ely79

•    Accuratezza del lessico, dell'ortografia, della punteggiatura e della grammatica: 8,5/10
La storia non presenta un numero eccessivo di errori ortografici. Fra questi c'è da annoverare due “và” scritti con l'accento e non con l'apostrofo, la frase “le stesse che pendeva sul capo di...” con una discordanza fra soggetto plurale e verbo singolare, qualche refuso di tanto in tanto, un “ha” scritto senza l'acca, qualche “d” eufonica di troppo, punteggiatura alla fine dei discorsi diretti talvolta assenti, parole “rowlinghiane” scritte scorrettamente (“NatiBabbani” o “Notturn Alley”, ad esempio). Il lessico scorrevole, inoltre, aiuta il lettore a divorare tutte le venti pagine senza nemmeno rendersene conto.
•    IC e caratterizzazione dei personaggi: 8,5/10
I personaggi che sono stata in grado di valutare sono assolutamente IC. Con l'espressione “sono stata in grado di valutare” mi riferisco a tutti quei personaggi che sono effettivamente comparsi nei libri – e non sto parlando degli OC. Sto parlando, ad esempio, di Rabastan Lestrange, Teddy Lupin e di qualche altro Mangiamorte a cui J.K. Rowling non ha mai concesso spazio. I personaggi “reali”, in particolari quelli a cui l'autrice ha dato più righe - quali Ron Weasley, Neville Paciock e Remus Lupin – sono decisamente IC.
Occorre dedicare una nota in più per i tantissimi OC che l'autrice ha creato. Si è rivelata una questione un po' spinosa, in effetti, ed io e SakiJune ne abbiamo discusso a lungo. La mia conclusione, alla fine, è stata più positiva che negativa. Li ho trovati interessanti e ben caratterizzati, con tanti pregi quanti difetti.
    Attinenza agli obblighi e al contesto angst, drammatico e di guerra richiesto e originalità della trama: 9,5/10
Cosa, vi chiederete, mi ha portato ad abbassare di un insignificante mezzo punto questa valutazione? Innanzitutto, ci tengo a sottolineare che mi è servito parecchio tempo per prendere quest'ostica decisione, perché i cinque obblighi sono stati assolutamente rispettati. Harry è morto, ci sono stati decisamente altri caduti, la loro morte è, in qualche modo, dentro la storia stessa, almeno uno dei Weasley è morto e la gamma di personaggi è ampia e “bipartitica”. Il mezzo punto è scivolato proprio nell'aspetto drammatico della fan fiction. Non che non sia carica di dramma e di angst, sia chiaro – la condizione dei licantropi e il destino di Teddy Lupin mi hanno fatto accapponare la pelle – ma manca quella briciola di sadismo in più che avrebbe portato al 10/10.
→ SakiJune ha detto: «Una prosa curata e quasi impeccabile, così come le ambientazioni; personaggi vivi e convincenti. Peccato non sia compiuta in sé e si riveli solo uno stralcio di una storia di più ampio respiro».
Voto di media: 9,3

VALUTAZIONE FINALE → 8,95/10
   
 
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