Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Laura Sparrow    27/02/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Patti col diavolo



Il braccio era teso in linea col mio sguardo. Tirai indietro col pollice il cane della pistola e premetti il grilletto: la detonazione fece sobbalzare appena la mia mano, e la bottiglia appoggiata sul barile schizzò via in una nuvola di schegge di vetro, per finire a ruzzolare sul ponte.
- Bel colpo!- si complimentò Faith, alzando la sua arma in segno di vittoria. Io sorrisi soddisfatta e mi diedi delle arie, soffiando sul fumo che usciva dalla canna della pistola.
- Fai poco la sbruffona!- Valerie venne al mio posto e mirò alla tre bottiglie rimaste sul barile che avevamo piazzato sulla tolda: tre spari in rapida successione e finirono tutte e tre in pezzi.
Dal ponte, molti pirati che stavano seguendo interessati il nostro piccolo allenamento la applaudirono: da quando era stata presa come tiratrice scelta, Valerie era diventata una specie di celebrità per il suo indiscusso talento. Una sera il signor Gibbs, che ci aveva dato un po' troppo dentro col rum, l'aveva definita “bella e pericolosa come una dannata sirena” e da allora gli uomini della ciurma avevano cominciato scherzosamente a chiamarla proprio così. Compreso il “dannata”. Tutto questo a lei faceva molto ridere, ma la cosa non sembrava proprio dispiacerle.
Seduto sul parapetto a pochi passi da noi -prudentemente alle nostre spalle- Jack finì di scolarsi la bottiglia che aveva in mano, quindi si alzò e con passo dondolante andò a mettere anche quella in cima al barile.
- Mickey. - si girò, e fece un cenno con la mano per chiamare da lui Michael, che era rimasto seduto a guardarci. Il ragazzino si alzò e gli venne vicino, incuriosito.
- Prova tu. - gli disse il capitano, sfilando dalla cintura la propria pistola e porgendogliela. Michael la prese e la soppesò per un momento tra le mani; tirò indietro il cane e lentamente prese la mira, chiudendo un occhio: quando sparò, il proiettile colpì il collo della bottiglia, facendola cadere.
Noi tre ci complimentammo con il dovuto applauso. - Bravo, Mickey!- gli gridai io.
Anche Jack parve soddisfatto, e annuì con un sorrisetto. - Niente male, figliolo, niente male. - si chinò verso su di lui con aria complice. - Saresti capace di essere preciso anche in mezzo alla confusione?-
- Certo che sono capace!- replicò prontamente il ragazzino, raddrizzando il busto con fierezza: conoscendolo, io non ero altrettanto sicura delle sue abilità, ma mettere a segno un buon colpo come quello di prima doveva avergli dato alla testa. Jack lo fece ricaricare la pistola e voltare ancora verso il barile, mentre Faith recuperava la bottiglia rotta e la rimetteva al suo posto. - Riprova. - lo invitò.
Mickey prese la mira ma, proprio quando fu sul punto di sparare, Jack gli rifilò rapidamente una gomitata tra le scapole: non forte, ma abbastanza per farlo barcollare per un attimo, proprio l'attimo in cui premette il grilletto. Colto alla sprovvista, Michael vacillò in avanti, e il proiettile andò a forare il barile tre spanne buone sotto la bottiglia.
- Ehi!- protestò con aria mortalmente offesa, voltandosi di scatto verso il capitano. Quest'ultimo, per tutta risposta, si limitò a stringersi nelle spalle e a riprendersi la sua pistola.
- Non è andata male lo stesso, Mickey... ma devi essere più concentrato. - concluse, giocherellando con l'arma.
- E tu ci riesci?- lo sfidai. Lui mi lanciò un'occhiata in tralice come a dirmi che era troppo facile, quindi mi voltò le spalle e tese il braccio, prendendo la mira verso la bottiglia.
In quel momento il signor Gibbs, seguito da Will, risalì in fretta gli scalini del castello di prua, comparendo alle nostre spalle. - Capitano?-
- Hm?- sentendosi chiamare, Jack si voltò di scatto, dimenticando perfino di abbassare la pistola e trovandosi quindi a tenere sotto tiro il povero Gibbs, che sussultò e fece bruscamente un passo all'indietro rischiando di scontrarsi con Will. - Oh santo... ehm, abbiamo appena finito di imbarcare tutti i rifornimenti, e... Capitano, vi sarei molto grato se voleste smetterla di puntarmi addosso quell'arma!-
Jack lo fissò per un istante come se non capisse di cosa stava parlando, poi si ricordò della pistola. - Oh! Scusami!- fece, abbassandola.
- Meno male che era concentrato. - commentai, a voce abbastanza alta da farmi sentire: Jack mi scoccò di sottecchi un'occhiataccia, quindi tornò a rivolgersi al nostromo. - Dicevate, mastro Gibbs?-
Gibbs si aggiustò il fazzoletto che portava annodato al collo, sollevato. - Tutti i rifornimenti sono imbarcati, capitano, e la nave è di nuovo in perfette condizioni. Perciò... be', aspettiamo solo il vostro ordine!-
- Anche la mia ciurma attende istruzioni. - rincarò Will, con un mezzo sorriso soddisfatto. - Siamo pronti a salpare in qualsiasi momento. -
- Ottimo!- saltai in piedi, lieta di poter riprendere il largo, e mi voltai verso Jack aspettandomi che ordinasse di mollare gli ormeggi e issare le vele. Invece lui improvvisamente scosse il capo e alzò le mani, intimando di fermare tutto.
- No no no, non ancora. Ho deciso di andare ad incontrare Silehard. -
- Cosa?!- esclamammo tutti ad una sola voce, tutto l'entusiasmo di poco prima sfumato immediatamente in sgomento. Alla nostra reazione Jack sobbalzò e si mise sulla difensiva, come se gli fossimo saltati addosso tutti insieme.
- Ohi! La partenza sarà solo ritardata!- precisò, in tono offeso. - Voglio soltanto sentire quello che ha da dirmi. -
- Intendi andare da solo nella sua tana?- domandai, scettica, incrociando le braccia: Silehard non mi piaceva per niente, e mi piaceva ancora meno che le sue parole fossero riuscite a preoccupare Jack. Speravo proprio che quel giorno saremmo salpati da quel porto, lasciandoci alle spalle i suoi intrighi, ma sfortunatamente il capitano non sembrava della mia stessa opinione.
Lui ciondolò il capo per un istante, pensoso, quindi fece un cenno a Will. - Vieni con me, capitano Turner?-
Will esitò un istante, prima di scrollare le spalle e sospirare un: - Se vuoi. - in tono di disapprovazione.
- Perfetto. Ehi, tu, laggiù! Ettore!- Jack si sporse dal cassero per chiamare il pirata, che al momento si trovava sul ponte di coperta e si era avvicinato per ascoltare i nostri discorsi. - Ti unisci a noi? Andiamo a fare visita a Silehard. -
L'espressione del pirata sembrò rivelare piuttosto chiaramente quello che tutti noi pensavamo, ma non fece altro se non annuire e rispondere: - Sì, capitano!-
- Così avrai anche un po' di tempo in più per cercare di rimettere in sesto il nostro ospite, sempre se si degna di svegliarsi, finalmente. - aggiunse, rivolto a Faith, quindi tornò a guardare me. - Soddisfatta ora? Come vedi, non vado da solo. -
Sorrisi anch'io ed annuì con approvazione, fingendo di assecondarlo. - Perfetto allora. Andiamo?-
Senza aspettare alcuna risposta, lo sorpassai e scesi le scale del castello di prua, ridendo fra me della sua espressione piccata per avermi permesso di autoinvitarmi: gli altri tre scesero dietro di me, e insieme ci dirigemmo alla passerella per scendere a terra.
- Non la sopporto... - lo sentii che brontolava con Will in tono stizzoso, mentre scendevamo in porto.

*

La zona che Silehard ci aveva segnalato era una delle più misere e squallide del porto: i moli ovest erano ormai caduti praticamente in disuso, e da anni nessuno sembrava più preoccuparsene. Passammo prima per un intrico si stradine claustrofobiche, talmente ingombre di spazzatura che ad ogni passo i nostri stivali affondavano nelle schifezze, per sbucare su un lungo porticciolo poco frequentato, così malmesso che le assi di legno della banchina gemevano e scricchiolavano alla minima pressione, e in alcuni punti erano già marcite a tal punto da crollare in acqua.
A tutti e quattro era passata la voglia di parlare, mentre ci incamminavamo lungo la banchina deserta. Alla nostra destra le onde sibilavano piano; alla nostra sinistra si susseguivano una sorta di edifici bassi e fatiscenti, dalle mura completamente scrostata dalla salsedine. Tra uno e l'altro si aprivano piccoli vicoletti bui simili a gigantesche tane di topo.
La vecchia macelleria era un grande casermone in legno che svettava sopra le altre misere abitazioni: aveva l'aspetto delle case che sono state sull'orlo della decadenza per poi essere rozzamente -ma efficacemente- rimesse in buono stato.
Le finestre erano completamente sbarrate con imposte di legno scuro, che sembravano molto più nuove del resto dell'edificio: non c'era nulla che suggerisse la presenza di qualcuno all'interno. Sembrava deserto e abbandonato, esattamente come il resto del porticciolo.
- E' quello?- domandai, tanto per spezzare tutto quel silenzio.
- Così pare. - rispose Jack, facendosi avanti verso il portone, che era largo abbastanza da lasciare passare comodamente un carro. Non mostrava alcun segno di sbarre, serrature o altro che lo bloccasse; a meno che non fosse sbarrato dall'interno, sarebbe bastata una semplice spinta per aprirlo. Jack non aveva fatto neanche tre passi che i vicoli attorno a noi si animarono improvvisamente.
Cinque figure uscirono dall'ombra delle stradine interne prima che avessimo il tempo di reagire: non li avevamo neanche sentiti arrivare. In un attimo, cinque uomini dall'aria per niente rassicurante, bardati in tutto e per tutto come i pirati con cui avevo a che fare ogni giorno, ci circondarono con le spade sguainate e ci costrinsero ad arretrare, spingendoci verso il molo in modo che dessimo le spalle all'acqua.
Con un sussulto la mia mano corse alla spada, ma mi accorsi che ad un tratto gli uomini si erano fermati, limitandosi a tenerci tutti a portata di lama. Non spostai la mano dalla mia arma, ma intuii che non era ancora il momento di sguainarla: una rapida occhiata a Will ed Ettore -che indugiavano con le mani sull'elsa- mi confermò che avevano avuto lo stesso pensiero.
Uno dei cinque uomini si fece avanti a grandi passi; ora che lo notavo, non era che un giovanotto bruttino, coperto di lentiggini, che doveva avere a malapena la mia età. Si diresse con sicurezza verso Jack, sempre tenendo la sciabola tesa davanti a sé con un ghigno divertito stampato in faccia: dal canto suo, Jack alzò le mani e fissò preoccupato la lama che si avvicinava al suo volto.
- Siete in un posto pericoloso. - ci disse con voce strascicata, facendo scorrere lo sguardo sul nostro gruppetto. - Specie per una donna. - aggiunse, con una sorta di gioia maligna, quando i suoi occhi si posarono su di me.
- Allora perché tu sei ancora qui?- replicai, senza spostare la mano dalla cintura.
Gli altri quattro uomini borbottarono tra loro, mentre il giovane stringeva gli occhi, indispettito, e cercava di mantenere la sua aria di sprezzante superiorità. - Voi quattro siete nel territorio della gilda. - insistette, in tono secco. - Cosa siete venuti a fare qui?-
- Tecnicamente siamo qui su invito di Robert Silehard... - rispose Jack, mentre ondeggiava alternativamente a destra e a sinistra e si accorgeva con rammarico che la spada del giovane lo seguiva comunque. - Ci è stato detto di venire se avessimo voluto trattare con lui, comprendi?-
- Il vostro nome. - sbottò il giovanotto.
- Capitan Jack Sparrow. -
Quello si accigliò per un momento, ma abbassò finalmente la spada. - Oh. Quel Jack Sparrow. -
- Diavolo, figliolo, sono stato ingoiato da un Kraken e inseguito dai sassi, avrò pur il diritto di essere chiamato “capitano”!-
Ignorandolo, il giovane ci squadrò tutti quanti dalla testa ai piedi ancora una volta, quindi annuì e con un cenno ci ordinò di seguire lui e i suoi: gli venimmo dietro mentre bussava al portone e, al contrario di quanto mi aspettavo, invece dei due grandi battenti si aprì un sottile sportellino incastrato nel legno all'altezza degli occhi di un uomo. Qualcuno, là dietro, scambiò due parole con il nostro ospite e infine, con un cigolio di cardini, venne aperta anche una piccola porta nascosta che fino a quel momento si era mimetizzata perfettamente col legno del portone.
Appena entrati fummo scortati attraverso un largo corridoio che andava restringendosi verso la sua fine: un'altra semplice porta a spinta ci divideva dalla stanza adiacente, dalla quale sentii finalmente qualche suono umano; al di là della porta si sentiva il vociare di molte persone, e mi domandai come avessimo potuto non sentirlo anche da fuori. Poi, come spesso mi succedeva quando lasciavo vagare i pensieri, mi resi conto che se quella era stata una macelleria, il corridoio che al momento stavamo percorrendo doveva essere l'ingresso dove si conducevano i maiali per portarli al macello. No, non era veramente il pensiero migliore da fare, in quel momento.
Il giovane che ci guidava spalancò la porta con uno spintone, e ci trovammo in una specie di grande sala squadrata; riconobbi da dentro le finestre sbarrate che avevo già notato dall'esterno. Qualunque cosa fosse quel posto, aveva tutta l'aria di essere usato come magazzino. Un uomo era in piedi in cima ad una pila ordinata di sacchi -poteva essere farina, o grano- e altri due gli passavano via via nuovi sacchi da aggiungere al mucchio. Un altro ci tagliò la strada facendo rotolare davanti a sé un barile così grosso che non sarebbe riuscito a circondarlo con le braccia, e ce n'erano altrettanti ad attenderlo, stipati all'altro capo del salone. Un intenso odore di sangue mi colpì le narici, e mi voltai istintivamente alla ricerca della sua fonte: non dovetti cercare molto perché, a pochi passi da noi, una serie di ganci da macellaio appesi ad alcune robuste travi facevano il loro lavoro sostenendo enormi quarti di bue e di maiale. Carne fresca, che un tizio bardato con un grembiule insanguinato stava metodicamente trinciando e affettando, per poi stiparla nei barili.
Mi sembrava di non aver mai visto così tanto cibo tutto insieme, neanche nella dispensa del forte di Redmond. Nel bel mezzo del salone c'era un carretto trainato da un asino, e un altro gruppo di uomini si stava occupando di scaricare i barili di liquore del quale era carico. Seduto alla guida c'era un uomo grasso che osservava le operazioni con aria rassegnata. Un uomo grasso che tutti quanti riconoscemmo subito.
- Bill?!- esclamai ad occhi sgranati, fissando Bill Night dell'Albatro che lasciava che quegli uomini facessero razzia dei suoi barili del migliore rum di Tortuga.
- Oh... salve! Curioso trovarvi qui!- ci salutò lui agitando in aria una mano, con allegria forzata; la mano che ancora stringeva le redini dell'asino gli tremava leggermente. - Come mai da queste parti, signori miei?-
Il giovane che ci aveva portati dentro si voltò e ci fece cenno di fermarci. - Aspettate qui, e non vi muovete finché non torno a chiamarvi. - detto questo, semplicemente sparì in mezzo al resto degli uomini al lavoro. Gli altri restarono fermi attorno a noi, muti e immobili, ma dalle loro facce era abbastanza evidente che non si aspettavano altro che ce ne stessimo buoni fino a nuovo ordine.
Sembrava che avremmo dovuto aspettare un po', così Jack si arrampicò sul carretto e si sedette accanto a Bill, appoggiandosi col gomito sul rozzo seggiolino mentre si rivolgeva al locandiere in tono gioviale. - Noi siamo qui per scambiare due parole amichevoli con Silehard, come ci ha amabilmente proposto ieri sera alla tua taverna... tu, invece, com'è che permetti questo libero saccheggio di rum?-
Alla sua domanda, gli uomini che stavano scaricando i barili scoppiarono in una grassa risata: con poca convinzione Bill si unì alle loro risate, mentre uno che stava in piedi sopra il carretto, dietro a lui e Jack, si allungava a mollargli una pacca sulla spalla; ma non c'era nulla di amichevole nel modo in cui lo fece.
Io, Ettore e Will ci scambiammo ancora una volta uno sguardo, cominciando ad intuire che aria tirava, e ci accostammo anche noi al carretto. Bill si sporse verso di noi e, abbassando la voce, ci fece, in un sussurro concitato: - Andiamo, che potevo fare, tenergli testa? Non sono che un onesto locandiere, santi numi... e poi, se l'unica cosa che vuole da me è il mio rum, be', che il diavolo mi porti, io sono più che felice di darglielo, insomma... piuttosto che avere guai!- i suoi occhi dardeggiarono per qualche attimo sui barili che venivano ordinatamente impilati: immaginai che stesse calcolando quanti soldi sfumavano ad ogni carico che la gilda si prendeva liberamente.
Uno degli scaricatori, a pochi passi da dove eravamo noi, si raddrizzò e si asciugò il sudore dalla fronte. Ci dava le spalle, ma rimasi sorpresa notando un dettaglio particolarmente evidente: indossava una tonaca marrone. Logora e consunta, ma di certo una tonaca.
- Basta così, ragazzo! Se vogliono il rum, saranno anche capaci di scaricarselo da soli... - lo richiamò Bill, abbassando accuratamente la voce sull'ultima frase. Il giovane in tonaca si voltò verso di noi...
...ed io, come se per quel giorno le sorprese non fossero bastate, cacciai un'esclamazione di sorpresa riconoscendo due vivaci occhi incavati, un naso pronunciato e dei capelli neri. Per un istante non riuscii a far altro che fissarlo a bocca aperta, dimenticando che era impossibile, e che l'unica persona a cui ricollegavo il ricordo di quel volto doveva essere dispersa sulle coste dell'Africa.
Tuttavia, il giovane prete sembrò riconoscermi a mia volta, perché ricambiò il mio sguardo stupefatto e la sua sorpresa si fece ancora più grande quando alzò gli occhi verso Bill e notò Jack seduto al suo fianco.
- Dio santo... frate Matthew!- quasi strillai, riconoscendo senza ombra di dubbio il giovane frate.
Il capitano aggrottò le sopracciglia per un secondo, squadrandolo, poi la memoria sembrò tornargli e saltò in piedi, ciondolando come non mai. - Frate Matthew? Aspetta... quel frate Matthew! Certo che, di tutte le persone improbabili che potevamo incontrare qui...!-
Il giovane frate sembrava essere rimasto basito almeno quanto noi, perché ci venne incontro dimenticando di chiudere la bocca, e continuando a guardare ora me, ora Jack. In effetti, si trattava del frate che aveva sposato me e Jack sulle coste dell'Africa, dopo che la nostra ciurma aveva affondato la sua nave. Avevamo fatto in modo che fosse riportato a terra sano e salvo, ma dopo quello non avevo più avuto sue notizie, né mi ero preoccupata di sapere che cosa ne fosse stato di lui o del resto della ciurma sopravvissuta. Trovarmelo davanti era poco meno che vedere comparire un fantasma.
- I... i capitani Sparrow!- esclamò lui una volta che ebbe recuperato la voce: non c'era dubbio, la sua “r” arrotondata era inconfondibile. - Non ci posso credere, siete davvero voi! Siete quelli che... be'... -
- Che vi hanno ripescato e assoldato al volo per celebrare un matrimonio? Sì, siamo noi. - confermai.
- Vi conoscete già?- Bill ci guardava tutti e tre senza capire.
Ignorai Bill e feci al frate la domanda che mi premeva: - Come siete arrivato fin qui dall'Africa? Ma soprattutto... di tutti i posti, perché mai siete a Tortuga?!-
Il giovane fece una risatina e allargò le braccia. - Il destino, probabilmente... o un cammino voluto da Dio, se proprio vogliamo essere pignoli. - rise ancora e il locandiere rise con lui, dondolandosi sul carretto. Avevo conosciuto il frate solo per pochi minuti molti mesi prima, ma ora che lo vedevo mi sembrava di notare lo stesso alcuni cambiamenti: intanto era più trasandato di quando lo avevo visto la prima volta, le sue guance erano meno lisce. Inoltre ora sembrava molto più spigliato e ridanciano. - Immagino che ricordiate il governatore Burrieza: è sopravvissuto, e una volta tornato a terra è riuscito a ottenere il diritto di parlamentare con una colonia inglese che sorgeva a poche leghe da dove ci avete affondato. Tra i sopravvissuti c'eravamo io e Padre Quinn, forse ricordate il mio superiore. -
- Come no, sua scortesia in persona!- commentò Jack, facendo una smorfia disgustata. - Spero proprio che sua grazia si sia goduto la nuotata. Avrebbe molto da imparare da te, giovanotto!-
- Lo credo anch'io. - rispose frate Matthew, e quella risposta mi sorprese se possibile ancora di più. - In effetti, eravamo troppi da imbarcare su una sola nave: c'era una goletta inglese che sarebbe partita di lì a poco; Burrieza aveva un passaggio assicurato, ma noi altri avremmo dovuto aspettare. Padre Quinn fece di tutto per farsi imbarcare con lui, lasciando indietro me e tutto il resto dell'equipaggio. Noi fummo costretti ad arrangiarci: chi voleva tornare nei Caraibi dovette pagare per avere anche solo un passaggio su navi che ci sarebbero passate vicino o avrebbero fatto scalo su qualche isola dell'arcipelago. E' quello che è successo a me: mi sono imbarcato su un galeone inglese e sono arrivato nelle Antille, dove mi hanno lasciato sull'isola di Dominica. Da lì ho ottenuto un passaggio su una nave di pescatori: speravo, a piccoli passi, di arrivare fino a Cuba, o a Port Royal, dove avrei potuto trovare qualche fratello del mio ordine... invece la barca di pescatori ha fatto scalo qui a Tortuga, e non ha voluto portarmi oltre. -
- Ma ci sono molte navi che partono per Port Royal, da qui. - gli feci notare. - Perché non vi siete imbarcato?-
Il frate si strinse nelle spalle. - Quando sono arrivato qui, il signor Night mi ha offerto ospitalità nella sua locanda, a patto che lavorassi per lui: sulla nave su cui ero imbarcato prima aiutavo il medico di bordo, e me la cavo piuttosto bene come chirurgo. Alla fine, sono rimasto dove c'era più bisogno di me. -
- Parola mia, non troverete un trinciatore di polli più abile del nostro Matthew!- dichiarò Bill con orgoglio. - Fa dei veri e propri miracoli con i suoi dannati ferri, e Dio sa se ci capita di avere qualche povero diavolo da ricucire alla fine di una brutta serata. La gilda stessa qualche volta ci porta i feriti nel retrobottega... cioè, di questo non dovrei parlare, ma voi siete qui... - abbassò ancora la voce. - Allora, mi è sembrato di capire che dovete parlare con Silehard in persona. Lasciatemi dire che siete entrati in acque pericolose, sì, pericolose! C'è brutta gente agli ordini di quel tipo; brutta, bruttissima gente!-
Jack alzò un sopracciglio. - Uhm... noi stessi non siamo esattamente annoverati tra la “bella gente”, comprendi?-
Bill scrollò il capo come a dire che era irrilevante. - Non fatevi abbindolare da quel che vi dirà. Per quanto cerchi di tenervi sulla corda, voi pensate solo al modo più rapido di dirgli: no, grazie, arrivederci. -
- Cosa che avresti dovuto fare tu un po' di tempo fa. - lo rimbeccò frate Matthew, con una nota di rimprovero nella voce.
- E quello che pensavo avessimo già fatto ieri sera. - rincarò Will in tono piatto, fissando Jack. Lui gli rispose con una smorfia. Prima che l'attempato locandiere potesse aggiungere qualcosa, uno degli uomini di Silehard batté una mano sul pianale vuoto del carretto per richiamare la sua attenzione.
- Ehi, signor Night! Tu e il tuo prete potete levare le tende, non avete altro da fare qui. -
- Grazie per il rum!- aggiunse uno degli altri, in piedi davanti ad una vera e propria muraglia di barili, seguito da gran scrosci di risate da parte dei suoi compari. Bill rispose con una risatina poco convinta: Jack smontò dal carretto per lasciare il posto a frate Matthew, mentre il locandiere faceva schioccare le briglie dell'asino perché girasse sui tacchi e si dirigesse verso il portone che veniva riaperto in quel momento.
- E' stato un piacere rivedervi. - ci salutò frate Matthew, prima di allontanarsi con il carro.
- Voi. - il giovane lentigginoso era ricomparso dal nulla, e adesso ci stava facendo cenno di seguirlo. - Silehard ha accettato di ricevervi. -

*

Faith prese la mano dell'uomo fra le sue e la pungolò nel centro del palmo con uno degli aghi che usava per suturare le ferite. Le dita si contrassero di riflesso.
La ragazza sbuffò e ritirò la sua arma impropria, lasciando andare la mano del suo paziente che era rimasto incosciente per tutta la notte senza dare segni di ripresa. Rispondeva agli stimoli e le sue ferite stavano guarendo bene, ossa comprese. Allora perché ancora non si svegliava?
Si sedette pesantemente sulla sedia, dando le spalle al paziente. Poco prima aveva mandato Valerie a prendere dell'acqua: voleva provare almeno a farlo bere, prima di vederlo schiattare per inedia proprio quando era riuscita ad evitare che lo facesse per le ferite.
Proprio mentre faceva quei pensieri, un fioco gemito lamentoso si alzò da un punto imprecisato alle sue spalle.
Faith per poco non si prese un colpo, colta alla sprovvista, e si voltò di scatto aggrappandosi speranzosa allo schienale della sedia. Era sveglio? Possibile?
L'irlandese batté gli occhi una, due, te volte. Poi ebbe un sussulto e cercò di voltare il capo, ma il movimento sembrò causargli dolore e sobbalzò di nuovo.
- Resta fermo. - lo ammonì Faith, alzandosi e mettendosi rapida al suo fianco. - Come va? Mi senti?-
- Sicuro che ti sento. - sbottò l'uomo, fissandola dritta in faccia con espressione stupita, e senza smettere di strizzare continuamente gli occhi. Prima che Faith potesse fermarlo cercò di mettersi a sedere, e digrignò i denti con un gemito di disapprovazione quando non ci riuscì.
- Ho detto di restare fermo!- protestò lei, prendendolo per le spalle e costringendolo a distendersi di nuovo sul tavolo. - Ho fatto il meglio che potevo per le tue ossa, ma se non ti muovi con un po' più di attenzione rovinerai tutto. -
Lo sguardo dello sconosciuto si fece immediatamente sottomesso, come quello di un cane bastonato, e i suoi occhi scuri cominciarono a saettare in ogni direzione, esaminando la cabina.
- Oh mio Dio... sono in mare?- esclamò, con una nota di panico nella voce.
- No, no, sei solo nell'infermeria di una nave!- la ragazza quasi rise. - Ma siamo ancora ormeggiati a Tortuga. -
- Oh... - si rilassò, ma solo per un momento: l'attimo dopo stava ancora cercando di mettersi seduto, stavolta con molta cautela. - ...Me la daresti una mano?-
Faith alzò gli occhi al cielo e si rassegnò ad aiutarlo, visto che non sarebbe stato contento finché non si fosse rimesso dritto: si chinò per infilargli un braccio sotto la schiena fasciata, e quasi sussultò quando sentì il braccio di lui sulle spalle, alla ricerca di un punto d'appoggio. Evitò accuratamente di guardarlo mentre ce l'aveva così vicino, e nello stesso tempo si diede della stupida: non aveva avuto nessun problema a toccarlo, spostarlo, pulirlo e ricucirlo mentre era privo di sensi; perché avrebbe dovuto cominciare a comportarsi da ragazzina vergognosa ora che era sveglio? Tuttavia c'era differenza, e lo sapeva benissimo.
In qualche modo l'uomo riuscì a mettersi e seduto, e prese a controllarsi freneticamente le fasciature. - Grazie, carina. Si può sapere chi sei?-
In quel momento la porta dell'infermeria si aprì, lasciando entrare Valerie con un secchio d'acqua tra le mani. - Eccomi Faith, scusa se ci ho messo tanto... - stava dicendo ad alta voce, prima di incrociare lo sguardo dell'irlandese e sbarrare gli occhi. - Oh Cristo, quando si è svegliato?!-
- Che nave è, questa?!- esclamò l'uomo, altrettanto sbigottito, mentre guardava alternativamente le due giovani donne che gli stavano attorno.
- Stiamo tutti molto calmi!- sbraitò Faith, richiamando istantaneamente l'attenzione generale su di sé. L'irlandese tornò a fissarla con quell'espressione docile e vagamente sottomessa, e per un attimo se ne sentì quasi imbarazzata. - Ora; siamo sulla Perla Nera, e io si dà il caso che sia il medico di bordo che vi ha appena rimesso in sesto. Lei è Valerie, fa parte della ciurma. Vi abbiamo recuperato quando avete perso i sensi dopo l'incontro di ieri sera; eravate messo male e gli uomini dell'arena non volevano aiutarvi. Adesso possiamo sapere almeno il vostro nome?-
- L'incontro... Cristo... - borbottò lui, strofinandosi nervosamente una mano sulla faccia e tra i capelli arruffati. Poi sembrò calmarsi e, in tono molto più amichevole, si rivolse a Faith: - Miss “medico di bordo”, avete tutta la mia più sentita gratitudine per avermi raccolto col cucchiaio. Io sono Connor Donovan, se la cosa ha una qualche rilevanza. -
Le strappò un mezzo sorriso. - Io sono Faith Westley. -
Ci fu un istante di silenzio, che Valerie ruppe posando il secchio sul tavolo accanto all'uomo e trovando un mestolo e un bicchiere. - Tenete, credo che abbiate bisogno di buttare giù qualcosa. - riempì il bicchiere fino all'orlo e glielo passò. - Dopo, magari, potreste anche raccontarci che cosa avete combinato a quelli che erano con te, l'altra sera, perché non si prendessero neppure la briga di raccattarvi da terra. -
Connor, che stava già bevendo avidamente dal bicchiere, per un attimo rischiò di rovesciarsi tutto addosso e tossì un paio di volte, finendo per portarsi una mano al petto fasciato, imprecando sottovoce. Faith scoccò a Valerie un'occhiata di rimprovero, come a chiederle di essere un po' più gentile con uno che aveva appena ripreso i sensi dopo essere stato incosciente per dodici ore filate; la ragazza rispose alzando le sopracciglia con aria innocente.
- Bene, signor... Donovan... -
- Connor. - l'irlandese sorrise, rialzando il bicchiere come se stesse brindando. - Per favore. Solo Connor. -
- Connor, d'accordo. Avete bisogno di riposare, siete stato privo di sensi per un bel pezzo; io vi consiglio caldamente di restare a bordo ancora un po' per riprendervi, però vi avverto che potremmo salpare appena tornano i capitani... o anche non salpare affatto, al momento non lo so. - si strinse nelle spalle. - In ogni modo, se invece vorrete scendere a terra e andarvene per conto vostro, nessuno ve lo impedirà. Se avete qualche posto dove andare, io vi consiglio soltanto di trovare un letto e di rimanerci. -
- Hm... - borbottò Connor con fare pensoso, le labbra sul bordo del bicchiere. - Non sono più tanto sicuro di avere un posto dove andare, almeno non al momento. -
- Allora chiederemo il permesso di farvi restare qui per un po'. Se a voi non dispiace, naturalmente. -
La porta dell'infermeria improvvisamente cigolò, aprendosi di nuovo: David corse dentro, tutto pimpante, e dietro di lui si affacciò Elizabeth. - Faith, sai dirmi dov'è tuo fratello? David ha voluto a tutti costi salire a bordo per cercarlo... - come Valerie, anche lei si interruppe e sgranò gli occhi, sorpresa, trovandosi davanti il nuovo arrivato perfettamente sveglio.
- Ma insomma, questa è un'infermeria, non un porto!- si lamentò Faith, rassegnata, alzando gli occhi al cielo.
- Credo che non mi dispiacerà affatto. - Connor rise fra sé, mentre si portava il bicchiere alle labbra.

*

Fu chiaro fin da subito che la vecchia macelleria non era altro che una copertura: la vera sede della gilda era un complesso sotterraneo, al quale accedemmo seguendo il giovane e i suoi compagni giù per ripidi gradini di pietra, resi scivolosi dall'umidità. Poi attraversammo un breve corridoio, sempre di pietra, illuminato da poche torce accese attaccate alle pareti: quando spalancarono l'ultima porta davanti a noi, per un attimo non riuscii a capire dove ci trovassimo, perché quello che vidi si presentava esattamente come l'interno di una locanda.
Almeno una quindicina di persone sedute attorno a tavolini rotondi ci fissarono da dietro i loro bicchieri ricolmi, e noi ricambiammo gli sguardi: notai che non c'erano soltanto uomini, al contrario di come mi sarei aspettata, ma anche diverse donne e moltissimi ragazzini dall'aria svelta, gli immancabili mocciosi di strada da cui chiunque imparava presto a guardarsi. Le donne erano di diverso genere: alcune erano tutte addobbate in vestiti sontuosi, forse prostitute; altre erano vestite poveramente, e ci guardavano con un non so che di famelico nello sguardo... ma forse era solo una mia impressione.
- Le vostre armi. Tutte. - ci ordinò il ragazzo in tono annoiato, distogliendomi dalle mie osservazioni. Ci misi un istante prima di rendermi conto che si era piantato di fronte a me e mi tendeva una mano, facendomi cenno di sbrigarmi.
- Con calma e per favore. - sbottai, allontanandomi da lui di un passo: c'era qualcosa in lui che mi rendeva irritante il solo fatto di averlo vicino. Mi girai e scambiai un'occhiata con Jack, il quale si strinse nelle spalle con aria rassegnata e mi fece un cenno eloquente col capo. Annuii appena, prima di sfoderare spada e pistola e porgerli al giovanotto. Ma, prima di lasciare che si voltasse, lo fermai e gli sibilai a bassa voce: - Questa roba vale più di te. Non provare ad intascartela. -
Fummo tutti spogliati delle nostre armi, poi senza aspettare, i nostri accompagnatori ci spronarono ad affrettarci dietro di loro. Un'altra porta, un altro stanzone simile al primo, questo però si trovava all'incrocio con quattro corridoi più piccoli, pieni di porte. Che fossero dormitori?
Era ovvio che non eravamo lì per visitare il posto, perché il ragazzo che ci faceva strada sembrava avere una gran fretta: passammo per diverse stanze tutte simili l'una all'altra, tutte più o meno piene di gente, e ad un certo punto fui quasi sicura di scorgere la luce del giorno in fondo ad un corridoio. Chissà, probabilmente il loro quartier generale aveva un qualche porto nascosto sotto i moli.
Altri due uomini armati aprirono l'ultima porta davanti a noi, e stavolta ci trovammo a fare il nostro ingresso in un piccolo ufficio riccamente arredato. Di fronte ai nostri occhi, separato da noi da un largo tavolo, Silehard sedeva su di una sedia imponente come su un bizzarro trono.
Era circondato da cinque dei suoi scagnozzi, e tutti stavano chini sul tavolo ingombro di boccali e bottiglie vuote, intenti a studiare una grande mappa e a discutere a bassa voce. Quando il giovane ci portò davanti a lui, Silehard alzò a malapena gli occhi dalla cartina: vedendoci, però, si raddrizzò improvvisamente con espressione quasi sorpresa, mentre un sorrisetto che non esitai a definire trionfante gli si stirava sulle labbra. Ora che lo notavo, quando sorrideva lo faceva storcendo la bocca in un modo strano, quasi grottesco, che trasformava il presunto sorriso in una specie di ghigno storto.
- Capitano Sparrow, sono felice che abbiate risposto al mio invito. - disse, salutando Jack con un cenno del capo.
Per tutta risposta, lui si strinse nelle spalle. - Diciamo che mi avete incuriosito. - si avvicinò e in tutta tranquillità si appoggiò con entrambe le mani al tavolo, sporgendosi a sbirciare la cartina che vi era appoggiata sopra con infantile curiosità, ignorando completamente le occhiate assai poco amichevoli degli scagnozzi di Silehard. Io, Will ed Ettore rimanemmo dov'eravamo, in silenzio. In quel momento ci accomunava una cosa: nessuno di noi tre sapeva bene che cosa avremmo dovuto fare, a questo punto. Non capivo nemmeno che intenzioni avesse Jack.
- Se siete qui oggi, è perché avete riflettuto sulla proposta che vi ho fatto. - continuò Silehard, giocherellando con un lunga penna d'oca posata sul tavolo davanti a sé.
Ancora una volta Jack fece un gesto vago, dondolandosi contro il tavolo. - Ci ho pensato, sì. -
Non riuscii a non voltarmi di scatto verso di lui, inarcando di riflesso le sopracciglia. Ci aveva pensato? E da quando? Notai anche Will ed Ettore scrutare Jack con un certo stupore; Silehard invece annuì con aria soddisfatta. Alzando una mano ci fece cenno di aspettare, quindi riprese a confabulare con gli uomini che aveva attorno in tono più acceso, indicando rapidamente alcuni punti sulla mappa che aveva davanti, la quale, notai, era zeppa di annotazioni scribacchiate sul bordo, croci rosse e altri simboli che lì per lì non riuscii ad afferrare.
Di nuovo lanciai un'occhiata ai miei compagni: Ettore aveva un'aria più corrucciata del solito, teneva le braccia risolutamente incrociate sul petto come quando si trovava davanti a qualcosa che non lo convinceva; la faccia di Will era assolutamente trasparente, e sembrava aspettare soltanto di potersene andare di lì.
Jack invece era insolitamente imperscrutabile. Sembrava molto calmo mentre continuava a scrutare Silehard con tranquilla curiosità, e in quel momento desiderai ardentemente potergli chiedere che cosa avesse in mente e perché avesse accettato quella visita che, lo sentivo, cominciava inevitabilmente a legarci a filo doppio a Silehard e alla sua gilda.
L'uomo congedò i suoi tirapiedi, lasciando nella stanza soltanto il giovane e i cinque uomini che ci avevano scortati, e fece cenno a tutti noi di avvicinarci. Quando fummo tutti e quattro attorno al suo tavolo, puntò il dito sulla mappa ingiallita. - Il nostro territorio. - annunciò, seguendo col dito il perimetro tratteggiato in inchiostro nero: comprendeva una buona metà di Tortuga, dal porto fin verso il centro della città. - Entro questi limiti, la gilda gestisce ogni furto, assassinio o contrabbando di merce. In cambio, io offro ai miei ladri una libertà e una tutela che da nessun'altra parte potrebbero mai trovare, nonché un posto sicuro all'interno del quartier generale e una spartizione equa del... lavoro, in tutta la città. -
- Devono amarvi molto, i vostri collaboratori, se ve li tenete tutti così vicini. - commentò Will freddamente, accennando col capo alla porta da cui erano usciti gli uomini di prima.
- Non sono uno sprovveduto. - rispose Silehard, appoggiando i pugni sul tavolo. - Ma nemmeno i membri della gilda li sono: sanno che non conviene a nessuno mettersi contro di me, perché fino ad oggi io e soltanto io ho avuto la forza e la costanza di formare e governare un'organizzazione efficiente. I ladri hanno bisogno di un leader, capitano Turner. Tutto, anche la pirateria stessa, non è niente senza il controllo!- strinse ancora di più i pugni pronunciando l'ultima parola, e notai che Jack si accigliava mentre lui e il capo della gilda si scambiavano un lungo sguardo. - E poi, non dimenticate che sono stato io a raccogliere dalla strada e a tirare su buona parte di loro... sono come un padre!- aggiunse, con un tono benevolo che me lo fece sembrare soltanto più inquietante.
Inoltre, qualcosa non tornava. Ora che ci pensavo... come faceva a conoscere il nome di Will, quando soltanto Jack gli si era presentato personalmente la sera prima?!
- Anche se, logicamente, il timore di una coltellata alle spalle è una costante per ogni onesto truffatore. - riprese poco dopo. - Ma ritengo di potere presto rimediare anche a questo problema... specie se voi accetterete di aiutarmi, Sparrow. -
Jack inclinò la testa un poco all'indietro, nel modo buffo di quando stava riflettendo. - E ditemi... come potrei aiutarvi?- domandò, con le dita che tamburellavano sulla fibbia argentata della sua cintura.
- Questo a suo tempo. - il tono del capo della gilda si era fatto più urgente. - Ora devo sapere se voi siete dalla mia parte o no. -
Il capitano strizzò gli occhi per un paio di volte come se fosse sorpreso dalla proposta, poi sfoggiò il consueto sorriso sornione. - Non so quale sia la vostra parte... né che cosa significhi stare dalla vostra parte. - spiegò, allargando le braccia e muovendo qualche passo avanti e indietro davanti al tavolo: era rimasto fermo troppo a lungo, e ora cominciava a risentirne. Silehard non batté ciglio, ma si chinò ad aprire un cassetto sotto il ripiano del tavolo, estraendone un voluminoso sacco di pelle che ribaltò con entrambe le mani, vuotandolo in un colpo solo sotto i nostri occhi: sulla mappa di Tortuga rimbalzarono monete d'oro sonanti, un mucchio di monete.
Jack si bloccò con le braccia ancora per aria, sgranando gli occhi di fronte a tutto quel denaro gettato davanti a lui con noncuranza. Io stessa per diversi istanti non riuscii a staccare gli occhi da quel mucchio di monete, tanto che mi ci volle un po' per accorgermi che perfino i nostri accompagnatori stavano osservando l'oro con cupidigia: il ragazzo con le lentiggini era immobile in un angolo, ma mi sembrava di vedergli riflesso negli occhi il luccichio dell'oro. Ettore non si era mosso di un passo, ma i suoi occhi si erano sgranati sotto le sopracciglia, e avevo visto il suo mento tremare per un attimo mentre si sforzava di non spalancare anche la bocca, sbalordito. Will fissava ora il denaro, ora Silehard, come se non riuscisse a venirne a capo.
Restammo tutti talmente imbambolati, che potei quasi avvertire la delusione nell'aria quando Silehard rimise a manciate l'oro nella borsa.
- Questo è un piccolo compenso per voi e la vostra ciurma, se decidete di unire le vostre forze a quelle della gilda. - concluse, chiaramente consapevole di avere monopolizzato la nostra attenzione.
- La vostra è un'offerta generosa. - intervenne Ettore ad un tratto: fui sorpresa di sentirlo parlare, dato che praticamente non aveva aperto bocca dal momento del nostro ingresso nei sotterranei della gilda. - Molto generosa. Fatto sta che voi offrite molto oro in cambio di qualcosa che nemmeno noi sappiamo. Chiedete di unirci alla gilda, ma cosa significherà questo per noi?-
Era serio, così serio che le sue parole suonavano come una chiara provocazione. Silehard sostenne il suo sguardo indagatore, ma capivo che non gli erano piaciuti i suoi dubbi più che fondati.
- Vi ho già spiegato che cosa intendo fare. - rispose con cordialità forzata. - E sono venuto a sapere della vostra impresa contro inglesi e spagnoli a fianco dei capitani Rackham e Barbanera: un colpo da maestri, vi faccio i miei complimenti. Ma alla vostra piccola flotta mancava l'unità, esattamente come ai pirati manca la capacità di agire come un sol uomo. So cosa state per dire. - scrutò le espressioni di Jack e di Will. - Che la Fratellanza dei Signori dei Pirati è nata proprio per questo motivo... è già saltato fuori ieri sera, mi sembra. E io sono pronto a dimostrarvi che vi sbagliate: la Fratellanza aveva la possibilità di costruire qualcosa di più di un semplice consiglio dei pirati, e invece in tutti questi anni si è riunita solo quattro volte in tutto... l'ultima volta riuscendo a salvare i Caraibi dalla minaccia inglese solo per il rotto della cuffia. -
Will sembrò sul punto di voler ribattere, ma rimase zitto, senza però riuscire a nascondere la scintilla di rabbia nel proprio sguardo.
- Noi della gilda, qui, facciamo questo: ci organizziamo. Privatizziamo il potere proprio qui, a Tortuga. E quando la città risponderà ad un solo potere, quello della gilda, potremo cominciare ad espanderci sui mari. E state sicuri che saranno molti di più quelli che preferiranno unirsi alla nostra causa, che non quelli che si sogneranno di ostacolarci. - fece una pausa, senza staccarci gli occhi di dosso. - C'è solo un'ultima voce da mettere a tacere: quella dei Mercanti. Al momento, entrare nella gilda vuol dire cooperare per sbarazzarci di loro, se questo può servire a darvi un'idea. -
- Una cosa da nulla, insomma... - mai avevo sentito Ettore più sarcastico: il grosso pirata si limitò a serrare maggiormente le braccia e gettare un'occhiata bieca alla mappa di Tortuga.
- Non mi piacciono i Mercanti. - ammisi, con un cenno del capo. - Ma è anche vero che loro, a noi, non hanno mai fatto niente di male: non abbiamo traffici con loro. - mi voltai bruscamente verso Jack, spazientita. - Jack, non possiamo permetterci di cercare guai coi Mercanti; ci manca solo che ci facciamo dei nemici anche a Tortuga!-
- Lascia che ci pensi io. - ribatté lui, respingendo le mie proteste con un semplice gesto della mano. Rimasi talmente allibita che lì per lì non ebbi nemmeno la prontezza di rispondergli. “Lascia che ci pensi io”?! Bisognava essere ciechi per non vedere che ci stavamo cacciando in mezzo a due fuochi. E dubitavo anche che fossero soltanto le monete a fargli gola.
- Sarebbe una mossa più che azzardata. - insistette Will.
Il capo della gilda tornò a scrutarci uno per uno, e solo dal modo in cui ci guardò capii che aveva probabilmente già messo una croce su William, e forse anche su Ettore. Forse anche su di me. Jack, al contrario, appariva fin troppo incuriosito da quell'offerta che, a mio parere, non poteva fare altro che caricarci di guai coi quali noi non avevamo niente a che fare.
Ma anch'io avevo intuito qualcosa fra le parole di Silehard, qualcosa che mi aveva fatto intuire che la sua non era semplicemente l'offerta di un truffatore senza scrupoli alla ricerca di alleati. Sicuramente doveva esserci sotto qualcosa di molto più oscuro. Ripensando all'incontro della sera prima, poco a poco mi venne automatico pensare a Silehard come ad un paziente giocatore di scacchi: il fatto che ci stesse aspettando quella sera all'Albatro, la strana e per me ancora misteriosa allusione fatta a Jack per convincerlo a presentarsi alla gilda, l'offerta di alleanza insieme con l'oro, che aveva usato appositamente per mettere alla prova la nostra cupidigia e la nostra propensione o meno a stare al suo gioco. Fin qui le sue mosse erano fin troppo chiare, ma la cosa più oscura rimaneva la partita segreta giocata da Silehard e Jack, con particolari che apparentemente solo loro conoscevano.
Infatti, dopo aver meditato per qualche istante, arricciandosi il pizzetto con le dita, pronunciò le parole che temevamo di sentirgli dire: - La vostra offerta è interessante. Credo che abbiamo un accordo. -
Il capo della gilda sorrise soddisfatto: aveva ottenuto quello che voleva. - Posso contare sul vostro aiuto quando ve lo chiederò?-
- Potete. -
- Molto bene. - Silehard fece dondolare il sacchetto pieno di dobloni e lo lanciò a Jack, che lo prese al volo, finendo quasi per barcollare sotto il suo peso. Tastò con piacere le monete sotto il cuoio, quindi se lo strinse al petto con aria soddisfatta. Allora lo sguardo di Silehard si spostò su Will, ma lui scosse il capo.
- Avete fatto un accordo con Jack, non con me. - rispose in tono piatto, facendo un passo indietro. - Né con nessun altro della mia ciurma. -
L'uomo si strinse nelle spalle come a dire che era peggio per lui, quindi si alzò dal tavolo.
- Seguitemi. C'è tempo per una bevuta. -
Così fummo condotti nelle cantine, che altro non erano se non un'altra stanza di quel complesso sotterraneo, ma erano veramente le più grandi e più fornite che avessi mai visto a Tortuga: c'erano scaffali e scaffali ricolmi di bottiglie, file e file di casse e di botti piene. Se credevo di avere visto abbastanza con i viveri accumulati nella sala della vecchia macelleria, dovetti ricredermi quando mi ritrovai davanti ai fiumi di alcol che dovevano essere contenuti in ognuna di quelle botti e bottiglie.
Inutile dire che a Jack brillavano gli occhi da quando Silehard aveva aperto la porta di quel piccolo angolo di paradiso: mentre i nostri accompagnatori, ad un ordine del loro capo, andavano a prendere una delle botti dal mucchio per spillarla, Jack ne approfittò per mettersi a girare tra gli scaffali, esaminando le bottiglie da più vicino. Per quanto mi sentissi a disagio, anch'io mi guardai attorno. C'erano bottiglie di forme e colori fantasiosi; alcune botti erano marchiate con nomi che mi erano del tutto sconosciuti. Notai proprio davanti ai miei piedi una cassa di bottiglie lunghe e strette, contenenti un liquore nero come l'inchiostro: non erano le prime che vedevo, anzi, nella cantina sembrava esserci un gran numero di quelle strane bottiglie.
Incuriosita, mi chinai, e ne presi una in mano per studiarla da vicino: non era stata la mezza luce ad ingannarmi, il liquore era veramente nero pece, e stranamente il suo odore penetrava perfino attraverso il tappo di sughero. Annusai. Aveva un aroma pregnante, dolciastro e pungente, che mi fece arricciare il naso.
- Badate, miss, quella non è una bevanda da consumare con leggerezza. - sentii commentare Silehard alle mie spalle. Era solo una mia impressione o c'era un'ombra di malizia nella sua voce? Di certo stava ridendo di me, perché quando mi voltai lo vidi sogghignare, appoggiato col gomito al barile dal quale i suoi uomini stavano spillando il rum.
- Che cos'è?- domandai, rimettendo a posto la bottiglia.
- Lo chiamano Kaav; è stato importato da alcuni mercanti brasiliani ed è diventato subito molto popolare. Lo vendiamo nei bordelli, se capite cosa intendo... - annuii seccamente per fargli capire che non aveva bisogno di guardarmi con quel sorrisetto di sufficienza. - Di qualunque cosa si tratti, c'è da dire che è una mistura davvero efficace. Stiamo ancora cercando di capire quali ingredienti abbiano usato per prepararlo, ma sfortunatamente la ricetta originale sembra essere nota solo a pochi. Un vero peccato, anche se questo non fa che rendere il Kaav più raro e prezioso. -
- Sì, sì, ho capito. - ma guarda tu se dovevo trovarmi a parlare di certe cose proprio con quell'uomo: adesso mi dava l'impressione di una persona viscida, oltre che infida. In quel momento Jack tornò dalla sua ispezione dei liquori: gli uomini di Silehard riempirono dei boccali alla botte che avevano appena aperto e li fecero passare, così ciascuno di noi ebbe diritto alla sua sorsata di rum. Era forte e buono, probabilmente uno dei migliori che avessi assaggiato a Tortuga, ma il fatto di berlo con quel genere di compagnia mi rovinò il gusto della bevuta. Intanto, Silehard dava a Jack le ultime istruzioni: - Quando avrò bisogno di mettermi in contatto con voi, vi manderò un messaggero. Se invece voi avrete bisogno di contattare me per qualche motivo, non usate l'ingresso da cui siete entrati oggi. Cercate l'armeria di Tiago Marquina e dite a lui che siete della gilda: Tiago è un povero vecchio scemo, ma conosce alla lettera il suo lavoro. -
Dopodiché fummo congedati, e ci ritrovammo fuori da quello strano posto tanto in fretta che mi riuscì strano perfino credere di esserci veramente stata. Sotto i nostri piedi, sotto una buona parte della città, un'intera corporazione di uomini e donne di malaffare lavorava per scuotere le acque dei Caraibi come mai erano state scosse prima d'ora. Il portone della vecchia macelleria si chiuse dietro di noi, serrando dietro di sé le voci degli uomini, e noi ci ritrovammo sul molo silenzioso come se niente fosse successo. Era ormai passato il mezzogiorno e il sole era alto sopra le nostre teste.
Jack si gettò uno sguardo alle spalle, arricciando le labbra, quindi si mise in cammino con passo molleggiato e un'aria estremamente rilassata, senza rivolgerci neppure una parola.
- Ehi!- scattai dietro di lui e lo presi per una spalla, facendolo voltare bruscamente. - Che cosa ti è saltato in mente?!-
Jack barcollò per un secondo, colto di sorpresa, quindi scrutò noi tre che lo stavamo guardando con piena disapprovazione. - Sto solo facendo quello che so fare meglio... ossia, mi tengo buone le persone, comprendi?-
- Dubito molto che Silehard sia il tipo di persona che si lascia “tenere buona”, sai?-
- Jack, hai appena stretto un accordo di alleanza con uno che non sappiamo che intenzioni abbia. - replicò aspramente Will: teneva le braccia conserte, e sembrava assolutamente contrariato.
- Non dirmi che hai davvero intenzione di aiutarlo!- rincarò Ettore. - Tutto quel blaterare dei Caraibi uniti sotto una flotta al suo comando... ma ti rendi conto che è una follia?-
Jack si ritrasse di scatto, agitando le mani aperte tra lui e noi come per difendersi. - Oh, oh, cos'è questa insurrezione di popolo? Smettetela! Per vostra informazione lo so quello che sto facendo, e so perfettamente perché lo sto facendo. - ci voltò le spalle di nuovo e cominciò a camminare in direzione del molo, quasi fosse ansioso di chiudere la conversazione, o forse solo di allontanarsi da lì. Gli corsi appresso, mentre Will ed Ettore ci seguivano, chiusi in un rancoroso silenzio.
- Però ti sei ben guardato dal chiedere il mio parere, vero? Ehi! Guardami quando ti parlo!- protestai, agguantando un lembo della sua giacca. Jack si arrestò e per un attimo udii chiaramente il rumore di un liquido che sciaguattava dentro una bottiglia; rimasi interdetta per qualche istante mentre lo fissavo come imbambolata, poi notai che si era chiuso la giacca sul davanti per nascondere un leggero rigonfiamento, come se avesse qualcosa nascosto sotto la camicia. - Non ci credo. Ti intaschi le bottiglie, adesso?-
- Anche se fosse?- sbottò lui, con aria di sufficienza.
- Fa vedere cosa hai preso. -
- No!- Jack incrociò le mani sul petto a proteggere il prezioso contenuto, e cominciò a saltellare per tenersi fuori dalla mia portata mentre cercavo di fargli vuotare il sacco. - Tu non approvi i miei metodi, io non sono tenuto a spartire il bottino, mia cara!- lo abbrancai per le spalle e cercai furiosamente di fargli aprire la giacca, ma lui mi tenne indietro col gomito teso.
- Volete smetterla?! Siete ridicoli!- sbottò ad un tratto William, spalancando le braccia in un gesto esasperato. Io e Jack, che stavamo ancora lottando per la bottiglia -o le più bottiglie- che teneva nascoste, ci fermammo improvvisamente, io ancora aggrappata al bavero della sua giacca e lui con una mano premuta sulla mia fronte per tenermi a distanza. Ci scambiammo uno sguardo e ci separammo senza dire una parola, imbronciati.
Non parlammo granché neanche nel tragitto per tornare alla Perla... anzi, più precisamente non parlammo affatto. Su noi quattro sembrava essere calata una pesante cappa di silenzio che nessuno aveva il coraggio di infrangere, e la sensazione si faceva sempre più soffocante ogni minuto che passava. Possibile che un semplice colloqui con Silehard fosse stato capace di mettere tanta distanza tra di noi? Non riuscivo a capire cosa stava succedendo. In quel momento, probabilmente la cosa più normale era Jack con le bottiglie infilate nella camicia.
Fui la prima a risalire la passerella per tornare a bordo, per cui fui la prima anche a vedere la novità che ci si presentò sul ponte. Ai piedi dell'albero maestro, proprio nel posto dove era solita sedersi Faith nei momenti di calma, era radunato un piccolo gruppo di persone: non fui sorpresa di vedere la mia amica, o Valerie, e neppure Elizabeth, che spesso lasciava la Sputafuoco per unirsi a noi sulla Perla; e perfino Gibbs. Notai tutti loro alla prima occhiata, eppure l'unico che vidi veramente fu l'uomo seduto in mezzo a loro, appollaiato sull'argano.
Era l'irlandese. Sveglio e, a quanto sembrava, perfettamente in salute eccetto le spesse bende che gli fasciavano il torace: qualcuno gli aveva procurato una casacca nera, che portava aperta sul petto fasciato. Senza sapere perché sentii una morsa allo stomaco. Improvvisamente c'era qualcosa di sbagliato nell'essere salita a bordo e averlo trovato lì, attorniato dai miei amici, che rideva e parlava con loro come se li conoscesse da anni.
Fu una sensazione strana, quasi di panico, che durò un secondo appena. L'attimo dopo, l'irlandese sollevò lo sguardo e ad un tratto mi trovai a fissarlo dritto negli occhi. La mia prima reazione fu ancora una volta del tutto irrazionale: per qualche motivo, quando mi guardò, ebbi una gran voglia di voltarmi e andarmene di corsa, solo per non dover più sostenere il suo sguardo. Ma Jack, Will ed Ettore mi avevano ormai raggiunta, e così, senza fare una piega, continuai a camminare con loro lungo il ponte, in direzione del nuovo arrivato.




Note (telegrafiche) dell'autrice (che oggi non ha voglia di scrivere): Sì, ho visto il trailer del quarto episodio di Pirati dei Caraibi, e ho notato che mi hanno fregato anche l'idea del prete. La soddisfazione è che adesso ogni fan di questa saga, quando vedrà il quarto film di POTC... penserà a me. Mwhahaha.
  
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