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Autore: Beatrix Bonnie    04/03/2011    8 recensioni
Che cosa convinse Albus Dumbledore ad affrontare in un duello il suo eterno nemico, Gellert Grindelwald? Perché improvvisamente il grande mago cambiò idea e decise di andare incontro al suo destino?
Storia prima classificata al contest "Free Contest" indetto da AliH e vincitrice del premio "Miglior personaggio originale".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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- Questa storia fa parte della serie 'Für der Obergute'
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V



Improvvisamente sia Dankrad che i due VonTraust scomparvero e tutto divenne buio. Per un attimo Dumbledore si chiese cosa fosse successo, poi una nuova scena cominciò a delinearsi sotto i suoi occhi: un pavimento di legno, un muretto di pietra alla sua sinistra e un cielo stellato sopra di lui. Era sul bastione di un castello, in una stellata notte d'estate.
Infine anche due figure apparvero a popolare la scena: Dankrad e Gerwine, accoccolati a terra con le spalle appoggiate al muro di cinta. Doveva certamente essere passato un po' di tempo dal ricordo precedente, vista l'intimità tra i due ragazzi. A quanto pareva, Gerwine si era infine arresa alle attenzioni di Dankrad. A giudicare dal suo sorriso, non disprezzava affatto l'idea di starsene accoccolata al fianco del giovane tedesco.
Dumbledore si avvicinò per sentire la conversazione.
«Ammettilo, senza di me oggi non avreste fatto niente» stava sussurrando Dankrad, con un sorrisetto accattivante.
Gerwine gli tirò un pugno scherzoso alla spalla. «Sì, infatti» commentò, in tono evidentemente derisorio. «Quegli Obermensch erano proprio atterriti dal tuo Incantesimo di Disarmo».
«Insomma!» protestò Dankrad, fingendosi offeso. «È l'unica cosa che mi è venuta in mente, in quel momento! Però ha funzionato, no? Siamo riusciti a portare in salvo Husbert».
Gerwine sorrise e Dumbledore riuscì perfino a vedere lo scintillio dei suo occhi. Le mani dei due ragazzi erano intrecciate e i loro sguardi si incrociavano troppo spesso.
Dankrad osservò per un attimo il cielo stellato sopra di loro, poi sembrò ricordarsi improvvisamente di una cosa. «Ehi, pensavo...» cominciò a dire, sciogliendo la mano destra dalla presa di Gerwine e infilandosela nella tasca. Dopo un attimo di ricerca, estrasse una scatolina di velluto blu. «Sai, credo che potrebbe essere tuo» disse un po' impacciato, porgendo la scatola a Gerwine.
Dumbledore capì immediatamente che Dankrad doveva aver progettato quella cosa da parecchio tempo, senza essere riuscito trovare il momento adatto o il coraggio per farla.
«Che cos'è?» chiese Gerwine incuriosita, prendendo tra le mani il piccolo regalo. Non appena aprì la scatola, il bagliore del gioiello che conteneva illuminò il suo volto stupito.
Anche Dumbledore lo riconobbe.
«Il Cristallo di Ghiaccio» sussurrò Gerwine, sgranando gli occhi per la sorpresa. «Oh, Dan, dove l'hai preso? L'hai rubato?» esclamò con apprensione.
Domanda superflua, visto che Dankrad era un ladro, prima di unirsi alla ribellione contro Grindelwald.
«Io... non posso accettarlo» esclamò la ragazza, scuotendo la testa.
«Andiamo, Gerwine! La vecchia che ce l'aveva prima, lo teneva chiuso in cassaforte» rispose di rimando Dankrad, con un sorriso incoraggiante. «Avanti, indossalo».
Gerwine incrociò lo sguardo di Dankrad, poi allungò un dito verso il cristallo e lo sfiorò con delicatezza. Al contatto con la sua pelle calda, il gioiello si sciolse e riapparve al suo collo.
«Sei bellissima» sussurrò Dankrad, in tono dolce.
E poi tutto divenne buio.

Non appena Dumbledore capì di essere dentro un nuovo ricordo, si guardò introno per capire dove si trovasse. Era una stanza con una triste carta da parati color muffa e un povero mobilio di legno grezzo. Dankrad era in piedi davanti a lui con la bacchetta sollevata e lo sguardo sconvolto. E finalmente Dumbledore vide che cosa aveva turbato il giovane tedesco: a terra c'era un uomo con gli occhi spalancati rivolti verso il soffitto. Morto.
«Gerwine!» esclamò di getto il ragazzo, quando degli strani rumori provennero dalla stanza accanto. Dankrad si lanciò attraverso la porta, seguito da Dumbledore.
Anche l'altra stanza era cosparsa di corpi a terra, alcuni dei quali erano riconoscibili come Obermensch per i lunghi mantelli verdi. Doveva esserci stata una battaglia.
Dumbledore evitò di soffermarsi sui volti pallidi e sformati dalle espressioni sofferenti dei cadaveri, ma non poté evitare di notare una giovane donna con una chiazza si sangue rappreso sulla camicia bianca e gli occhi rivoltati all'indietro. Il mago, sebbene sapesse che quello era solo un ricordo, si sentì sconvolgere l'anima e ebbe la tentazione di accasciarsi a terra.
Dankrad, al contrario, sembrava fin troppo abituato a quel genere di scene. Si preoccupava più dei vivi che dei morti. «Gerwine?» chiese ancora, con crescente apprensione.
Finalmente la porta davanti a loro si spalancò e comparve Gerwine, con i capelli spettinati e il vestito strappato. Al suo collo brillava il Cristallo di Ghiaccio.
Dankrad le corse incontro e la strinse a sé con foga. «Credevo di averti perso!» proruppe il ragazzo, superato il primo momento di commozione. Gerwine fece per dire qualcosa, quando un rumore alle loro spalle li fece voltare di scatto.
Entrambi i ragazzi estrassero le loro bacchette e le puntarono nella direzione da dove proveniva il suono.
Anche Dumbledore puntò il suo sguardo sull'asse di legno del pavimento che scricchiolava in modo sinistro.
Infine due esili braccia sollevarono l'asse e la spostarono di lato, rivelando una piccola botola. Un ragazzino spaurito fece capolino dal buco, con gli occhi sgranati e un ciuffo ribelle di capelli che gli ricadeva sulla fronte. «È finita?»
Gerwine abbassò la bacchetta e si avvicinò al ragazzino, sebbene Dankrad avesse allungato una mano verso la sua spalla per tentare di fermarla, non del tutto certo che fosse una buona idea. «Sì, è tutto finito» disse dolcemente Gerwine, con un sorriso incoraggiante.
Il ragazzino allora uscì dalla piccola botola, ma dietro di lui comparve il volto di una bambina che teneva tra le braccia un neonato. «Ci ha detto la mamma di nasconderci qui» spiegò la bambina, facendosi aiutare dal fratello maggiore per uscire dal buco in cui si erano rintanati.
Gli occhi ansiosi di Dankrad si spostarono verso la donna con la macchia di sangue sulla camicia e poi tornarono ai bambini.
«Gerwine, portali fuori» disse in tono sbrigativo, accennando con il capo alla porta dalla quale lui e Dumbledore erano entrati nella stanza.
«E tu? Gli Obermenschen staranno per tornare» gli chiese con apprensione la giovane.
Dankrad annuì. «Lo so. Controllo che non ci siano altri sopravvissuti» rispose, accertandosi che i bambini non avessero notato la madre morta a terra.
Gerwine capì al volo il problema, così prese la piccola per le spalle e con una leggera pressione condusse i tre fratelli fuori dall'edificio.
Quando Dankrad fu solo, prese una coperta di lana abbandonata in un angolo e coprì il corpo della giovane donna, come se volesse darle un minino di dignità. Il suo sguardo dolente, le sue spalle ricurve... sembrava distante anni luce dal giovane ladro spavaldo che Dumbledore aveva osservato nel primo ricordo, sebbene dovessero essere passati al massimo due o tre anni. Eppure, anche solo quella singola ruga che gli attraversava la fronte, segno di un volto sempre troppo crucciato in un'espressione preoccupata, lo faceva sembrare più vecchio di un secolo, come se avesse attraversato un mare di dolore e fosse riuscito a riemergere.
Un movimento improvviso alle loro spalle, li fece voltare entrambi. Un Obermensch si stava strascinando contro il muro: aveva la gamba destra piegata in un'angolazione innaturale e il volto era una maschera di sangue. Dankrad gli si avvicinò con la bacchetta sollevata, anche se era evidente che l'uomo non era in grado di difendersi.
«Ti prego, non uccidermi» piagnucolò quello, con la voce affannata e gli occhi sgranati.
Dankrad non sembrava affatto disposto a farsi commuovere. «Perché non dovrei?» chiese in tono di ghiaccio.
L'Obermensch appoggiò le spalle al muro, che aveva appena raggiunto a furia di strisciare sul pavimento. Sembrava infinitamente stanco, come se ogni movimento gli costasse uno sforzo sovrumano. «Perché non merito di morire» rispose infine, con un sussurro.
«Nemmeno tutti quelli che trucidate lo meritano!» esclamò di rimando Dankrad.
Dumbledore vide la sua rabbia, la sua frustrazione per quella guerra che stava uccidendo troppe persone, che stava versando troppo sangue.
«Tu non capisci. È per il Bene Superiore, per forgiare un futuro di pace, dove saremo tutti liberi e non ci saranno più disuguaglianze!» rispose l'Obermensch, ripulendosi il volto con il dorso della manica.
Nel vedere quel gesto Dankrad sembrò esitare. In fondo il nemico che aveva di fronte non era un mostro, non era una bestia, era un uomo come lui. Un uomo che sperava in qualcosa di irrealizzabile. «Il futuro che dici non esiste. E se anche esistesse, questo non è il modo per raggiungerlo» commentò in tono amaro.
Il Bene Superiore, un illusione per degli sciocchi. Dumbledore era certo che anche Dankrad avesse sempre sperato in un mondo migliore, senza disuguaglianze né ingiustizie, ma la sua innocente convinzione che gli ideali di Grindelwald fossero illusori lo spiazzò. Lui invece ci aveva creduto, si era lasciato affascinare dal Bene Superiore, senza rendersi conto che fosse intrinsecamente malvagio. Sì, chiunque avrebbe potuto auspicare ad un futuro di brillante dominio dei maghi, ma a quale prezzo?
L'Obermensch sorrise rasserenato. Era la serenità di chi aveva un obiettivo nella vita, di chi credeva in qualcosa. «Io almeno ho uno scopo. Tu per che cosa uccidi?»
Dankrad abbassò definitivamente la bacchetta.
Dumbledore vide un'ombra di paura attraversare i suoi occhi: era stato sul punto di uccidere un uomo inerme, per che cosa?
«Non sei tanto migliore di me».
Dankrad indietreggiò di un passo, scuotendo la testa. Non poteva ucciderlo, non ne era capace. Nemmeno pensando che era il suo nemico, che aveva ucciso quella donna lasciando orfani tre bambini, che aveva abbracciato l'ideale di un pazzo dittatore, un folle che aveva promesso un futuro di gloria forgiato sul sangue e sulle stragi di gente innocente.
Non poteva ucciderlo.
«A che cosa ci ha ridotti la guerra? Ad ammazzarci tra fratelli, come fossimo bestie da macello».

Il ricordo finì improvvisamente e Dumbledor si ritrovò scaraventato nel suo studio. Era talmente debole e affranto che fu costretto ad appoggiarsi alla scrivania per non accasciarsi a terra. Tutto ciò che aveva visto, aveva scavato un buco dentro di lui, un'enorme voragine che lo lasciava vuoto come un guscio di noce. A che punto erano arrivati? Che cosa stava succedendo in Germania per colpa sua, perché non aveva avuto il coraggio di affrontare Grindelwald?
Era stato un codardo e, mentre lui aspettava nella bambagia, la gente veniva trucidata.
Aveva paura, maledettamente paura di affrontare Grindelwald, di rivedere il suo volto invecchiato ma sempre perfetto, il suo sorriso beffardo, i vispi occhi azzurri. Aveva paura di quello che avrebbe potuto dirgli riguardo al loro ultimo duello, aveva paura di scoprire da chi fosse partito l'incantesimo che aveva ucciso Ariana.
Aveva paura di affrontare il suo passato.
Ma doveva rassegnarsi, il Gellert che aveva conosciuto non esisteva più, o forse era meglio dire che non fosse mai esistito. Lui si era illuso su tutto, sul Bene Superiore, sulla loro amicizia, sul legame che li univa. Su Gellert stesso.
E ora doveva avere il coraggio di sfidarlo. Doveva farlo, non poteva più tirarsi indietro, non dopo quello che Dankrad gli aveva mostrato.
Lo sguardo gli cadde sul piccolo gioiello che il giovane tedesco gli aveva mandato come regalo. La sua luminosità era meravigliosa e così attraente. Dumbledore allungò lentamente una mano verso il Cristallo: sarebbe bastato sfiorarlo e...
No, quel gioiello non era destinato a lui. Era di Dankrad e glielo avrebbe ridato personalmente.
Sfidando Grindelwald.

Buio e desolazione.
L'uomo respirò l'aria a pieni polmoni, noncurante della sensazione di freddo pungente che gli pizzicò le narici. Aveva le guance e la punta del naso arrossati, ma non si preoccupava minimamente del clima, anzi, ne godeva. Pochi come lui avrebbero saputo sopportare tranquillamente temperature tanto rigide.
E infine era giunto. Era arrivato da lui, era venuto per sfidarlo. Aveva avuto il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi e di dirgli che era il suo nemico, che l'avrebbe affrontato in duello.
Ma, sciocco, non sapeva che cosa avrebbe dovuto aspettarsi. Non sapeva che lui non avrebbe avuto pietà della sua carne, che si sarebbe cibato della sua stessa carcassa, come un animale feroce.
Non era malvagio, non era pazzo. Lui era un eroe.
Lui avrebbe forgiato una nuova età dell'oro, sul sangue e sul legno della sua Bacchetta! Un nuovo mondo, qui, in terra, un regno celeste dove avrebbero regnato la pace e l'uguaglianza. Un Stato in cui i Babbani sarebbero stati sottomessi e ogni mago sarebbe stato libero, senza più leggi imposte dall'alto: ogni azione, ogni pensiero sarebbe stato intrinsecamente etico, ogni mago moralmente giusto, ogni cosa pura. Quello era il Bene Superiore, quello era il futuro che tutti avrebbero voluto, se solo avessero saputo che si poteva raggiungere. Lui, lui l'avrebbe raggiunto. Ad ogni costo.
Non aveva importanza quanti cadaveri avrebbe lasciato alle sue spalle, quanti morti obliati dall'oscurità, quanto sangue. Era un male necessario, possibile che nessuno lo capisse? Un male che non significava nulla, se comparato al raggiungimento del Bene Superiore.
Ciechi, erano tutti ciechi coloro che non se ne accorgevano.
E ora avrebbe finalmente soffocato l'insulsa resistenza. Prima il suo peggiore nemico, poi la ragazza e il suo amichetto Sanguesporco e infine quello sciocco di VonTraust, che aveva pensato di potersi opporre a lui, il più grande servo del Bene Superiore.
Ed eccolo là, colui che aveva condiviso con lui le sue grandi aspirazioni, colui che l'aveva appoggiato, incoraggiato, stimato... colui che l'aveva amato e tradito.
«Albus».
Una sferzata di vento investì la landa desolata, smuovendo i ricci biondi, ormai un po' ingrigiti, di Grindelwald. Gli angoli della bocca erano increspati in un sorriso.
«Gellert».
Dumbledore si levò il mantello, che si accasciò a terra alle sue spalle. Aveva uno sguardo deciso.
E il duello ebbe inizio.






Eccoci giunti alla fine di questo breve racconto su Gellert Grindelwald e la sua dittatura magica. Spero che vi sia piaciuto, che vi abbia regalato qualcosa, anche solo una piccola emozione. Ringrazio tutti coloro che l'hanno recensito, che l'hanno inserito tra le preferite o le seguite; ringrazio soprattutto AliH che ha indetto questo contest, dandomi la possibilità di mettere su carta (o su pc) una storia che meditavo da tempo.
Prima di lasciarvi al link del contest e al giudizio di AliH, vorrei regalarvi un paio di immagini: in realtà sono lo stesso disegno, che rappresenta Grindelwald proprio prima del duello con Silente. QUI la versione in bianco e nero (il mio Avatar, se avete notato!), QUI invece la versione a colori. Spero che vi piacciano: io le adoro, perché mi sembra di essere riuscita a cogliere la vera essenza del grande mago.
Grazie a tutti quelli che hanno seguito questa storia!
Alla prossima,
Beatrix

QUI il link del contest indetto da AliH e questo è il suo giudizio sulla storia:

Prima classificata – Il Cristallo Di Ghiaccio
Grammatica: 10/10
Stile e lessico: 10/10
Attinenza al tema: 10/10
IC e Caratterizzazione del Personaggio: 10/10
Originalità: 20/20
Giudizio personale: 5/5
Punti bonus: 3.5/3.5
Totale: 68,5

Non ho nulla da dire al riguardo, e tutto ciò mi spaventa perché ti sei classificata prima. Meriteresti un commento più lungo di quello che sottoporrò ai tuoi occhi; però io non che cosa sia giusto dirti e, come è accaduto con Julia, non ho niente da dire al riguardo.
Quando una storia è scritta in questo modo, in maniera magistrale, trasmettendo sensazioni indescrivibili e intessendo una trama fitta coma una ragnatela, be', mi risulta assai difficile dire qualcosa di vagamente sensato. Perciò mi limito a dirti che hai un talento naturale. E che il racconto è davvero spettacolare.
Ps: c'è un piccolo appunto che vorrei farti. Riguarda la caratterizzazione di Tom che in un punto (più che altro lì, diciamo) non mi è parso esattamente lui. “«Ehi amico, ti sei perso?» domandò una voce tranquilla alla sua destra.” Ecco, è in questo punto che Tom non mi è sembrato “abbastanza” Tom. Però forse è soltanto una mia opinione.
Complimenti comunque e grazie mille per aver partecipato a questo Contest.

Premio speciale “Miglior Personaggio Originale”:
Perché i tuoi personaggi sono dannatamente realistici, e si muovono attorno ad una trama tessuta ad arte. È una ragnatela di uomini e di donna che s'intreccia in una storia di violenza e di guerra.


EDIT: continua l'opera di risistemazione dei dialoghi!

   
 
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