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Autore: ferao    12/03/2011    11 recensioni
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una brezza lieve' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Okay, non ci credo che ho pubblicato questo capitolo. Diamine, ci sono rimasta bloccata per tutto questo tempo, e mi è uscito così: non ho parole. E soprattutto non capisco dove ho trovato il coraggio di pubblicarlo: senza parole, davvero.
Diamine, volevo che fosse perfetto; e vabbè. L'ho letto, riletto e ri-riletto, ma quello che penso è così e non può non essere così. Di nuovo vabbè.
Ma basta con lo sproloquio e andiamo alle AVVERTENZE:
1) forse avrei buttato per aria capitolo e storia se non avessi scoperto la musica dei Pogues, che mi ha tirata su di morale quando sentivo la totale assenza di ispirazione. Thank you, Pogues.
2) Lo so che in inglese non esiste differenza tra il dare del tu e il dare del lei/voi; ma io scrivo in italiano, quindi ci metto tutte le differenze che voglio. Pappappero.
3) Per quanto possa risuonare strano, in riferimento a un personaggio originale, qui mi sembra che mi sia venuto fuori un Adams OOC. Lo so, LO SO che è assurdo, ma è una sensazione di cui non riesco a liberarmi...
4) Sono rimasta bloccata su questo capitolo perché ho ben chiare in testa le scene dei prossimi capitoli, ma questo proprio non riuscivo a visualizzarlo. Per la terza volta: eh vabbè.
5) Mi rendo anche conto che la mia pretesa di riassumere tanto tempo in poco spazio è assurda. Prendetela così, miei più fedeli lettori: è un capitolo da cui tirare fuori un sacco di spin off...
6) Ho immaginato Judith come una specie di Mercoledì Addams; per questo è... così! Io però le voglio un sacco bene lo stesso... *o*
7) Una recensitrice (del gruppo delle fedelissime, alle quali - come al solito - vanno i miei più calorosi ringraziamenti) mi ha fatto notare una somiglianza tra Adams e il protagonista di "The Mentalist" Patrick Jane; non avevo mai guardato quella serie, così per curiosità ho visto qualche puntata e... e ho avuto una serie di infarti.
Diamine, quello è Adams! Sì, lo immaginavo diverso, moro e con un po' di barba, ma... ma niente, quello è Adams. (Non so se riuscite a capire: trovarsi sullo schermo l'incarnazione del tuo personaggio è qualcosa di inconcepibile...)
8) Pogue Mahone. Chi capisce capisce.
(Eh beh, d'altronde la fissa per i Pogues passerà prima o poi, ma nel frattempo resto fissata...)

Grazie ai lettori, ai recensitori, ai coraggiosi che seguono questa storia o la tengono tra le preferite e le ricordate e, nonostante tutto, non cambiano idea su di essa. Grazie di quore. (Sì, con la Q. Sono le due di notte, abbiate pietà).



Del tempo e dei suoi effetti

 
Per quanto meravigliosi siano gli attimi che viviamo, essi sono purtroppo destinati a svanire, presto o tardi.
Percy Weasley non se n’era mai reso conto appieno, prima di quel momento. Gli sembrava impossibile che fossero già passati sei mesi da quel Capodanno.
Sei mesi… Diamine, non poteva essere già giugno!
Dove aveva messo tutti gli altri giorni? Che fine avevano fatto?
Non poteva essere il quattro giugno, santo cielo!
Eppure il calendario sulla sua scrivania non mentiva. Decisamente no.
Era lui stesso a cambiare la data, ogni mattina.
Sempre con lo stesso gesto meccanico, senza farci granché caso. Fino a quel giorno.
04/06/1997, mercoledì.
Cavolo.
Sarà brutto usare luoghi comuni, ma il tempo era proprio volato.
Di più: era scivolato via, come se fosse uscito da un buco in una tasca; senza fare rumore, senza che Percy potesse accorgersene.
Sei mesi. Porca miseria.
Possibile che avesse completamente perso il senso del tempo?
Non del tempo cronologico, naturalmente: il computo del cosiddetto “tempo oggettivo” era presente in lui, per via delle date sui documenti, delle scadenze, degli appuntamenti di lavoro.
Era il “tempo vissuto” a dargli problemi. Diamine, stava con Audrey da sei mesi e gli sembrava di aver fatto pace con lei solo il giorno prima.
Cavolo.
Come ha fatto Audrey a sopportarmi tutto questo tempo?
 
In quei mesi avevano fatto parecchi passi avanti; il fatto che Adams fosse venuto a conoscenza della loro storia li aveva messi più a loro agio, in archivio (dove, tra l’altro, Percy andava sempre più raramente, perché si ritrovava spesso a dover svolgere mansioni per il Ministro), e almeno davanti a lui non recitavano più la parte del capo e della dipendente che si ignorano a vicenda.
Non che avessero iniziato a scambiarsi effusioni in archivio: Percy lo avrebbe trovato decisamente inappropriato (e spesso, per farlo vergognare e arrabbiare, Audrey andava a stampargli un bacio non appena lui metteva piede nell’archivio, tra le risate di Adams).
Adams era davvero contento di ciò: il fatto che quei due stessero insieme lo riempiva di gioia sincera. Anche perché lui l’aveva capito da un bel pezzo, che due persone così non potevano che stare assieme.
Insomma, dai, basta guardarli: Audrey ha bisogno di qualcuno che bilanci la sua esuberanza, e il capo necessita di qualche scossone di tanto in tanto. Meglio di così…
Per farla breve, Adams era gioioso. Non so proprio spiegarvi questo tipo di gioia: esistono persone per cui felicità è quando sono felici gli altri. E non si può proprio dire che Percy e Audrey fossero infelici, in quei giorni.
Per cui, Adams era felice.
 
 
 
Anche Lucy Bennet era felice.
Quando, la domenica immediatamente successiva a quel Capodanno, Audrey si era presentata a casa di Roman tenendo per mano un Percy un po’ (molto!) titubante, la signora Bennet aveva seriamente pensato di rimanerci secca, per quanto era contenta.
(Ve lo ripeto, nel caso improbabile che ve ne siate dimenticati: le donne Bennet sono molto romantiche. Intendo dire, naturalmente, le Bennet acquisite e le loro figlie; tutte, tutte hanno questa caratteristica discriminante. Non c’è un perché: è un fatto, puro e semplice. Si potrebbe pensare che gli uomini Bennet si cerchino apposta donne così… Chi può dirlo).
Lucy era veramente, veramente felice vedendo la figlia così contenta; certo, ancora non capiva cosa ci trovasse Audrey in quello smilzo rosso e miope, ma d’altra parte l’aspetto fisico non è tutto; in fondo Percy sembrava un bravo ragazzo, e si dimostrava piuttosto affezionato a Audrey.
Alcuni dei Bennet ramo Saknussem furono, in verità, molto sorpresi quando si resero conto che Percy era diventato ormai un ospite fisso dei loro pranzi domenicali, che si svolgevano a settimane alternate. Il più stupito era Jarne.
 
Vi rendete conto che Audrey non ha mai portato a casa uno dei suoi ragazzi? Si è sempre vergognata! Perché invece questo rosso sta sempre con lei?
 
Fossi in te non mi preoccuperei tanto, rispondeva Rhett, significa solo che Audrey sta così bene con lui che non si vergogna a presentarcelo…
 
Oppure, può significare che il sottoscritto Serpico ha fatto un ottimo lavoro. Certo, la visione a settimane alterne di quel colore di capelli turba un po’ le mie iridi delicate, ma vabbè…
 
Uff… Sempre simpatico, eh Oleg?
 
Ci tengo ai miei begli occhietti nordici, io.
 
E comunque, Jar, devi considerare che in realtà lo conosciamo da un po’, ormai.
 

Oh sì, lo conosciamo meglio di lei! Vi ricordate quando ha iniziato a raccontarci la storia della sua vita?
 
Come fai a ricordarlo? Eri incosciente per colpa della grappa!
 
Torna a mangiare polpette, Saul. Incosciente non vuol dire sordo. Se non sbaglio a un certo punto stava parlando del colore delle mutande di Audrey…
 
Ehm, no. Quella è una cosa che ho detto io…
 
Tu?! Ma sei un MAIALE!
 
Uff, la volete piantare? Sembrate due bambini!
 
A proposito di bambini… No, Percy non era più stato costretto a sedere al loro tavolo. Per fortuna.
Mai e poi mai avrebbe potuto replicare un pranzo come quello di Capodanno, e mai e poi mai Audrey lo avrebbe obbligato a farlo ancora.
Per le sue visite, a Percy era stato assegnato un posto fisso tra Audrey e Lucy, posto che alla fine divenne suo di diritto. Tanto che, quando per ragioni di lavoro si trovò costretto a mancare per tre o quattro volte, nessuno si sedette su quella sedia, tanto i Bennet si erano abituati a quella presenza un po’ silenziosa ma visibile.
L’unica che (a distanza) sembrava non digerire Percy era Judith. Quando Audrey, rispondendo a una sua lettera da Hogwarts, le aveva raccontato di aver fatto pace col “tizio rosso che era a pranzo da nonno Roman a Capodanno”, Judith era rimasta sinceramente shockata. Come? Quello smilzo era riuscito a farla arrabbiare come nessun altro mai, prima di allora, e in quattro e quattr’otto ci aveva fatto pace?
E poi, non riusciva proprio a capire in che modo una come Audrey potesse trovare interessante uno senza spina dorsale come quel tizio; meritava sicuramente di meglio. Dai, quello lì si è fatto sputare in faccia il purè delle gemelle e schiaffare polpette in testa senza battere ciglio: sicuramente è un pazzo. Pericoloso e represso.
(Signore e signori, vi presento Judith Bjørg Bennet: l’unica donna del clan senza una goccia di romanticismo in corpo).
Espose i suoi dubbi a Audrey, senza edulcorare nulla nel suo pensiero.
La risposta la shockò ancora di più.
“Sai, Judy, non so… è che ha qualcosa che mi attira, davvero. Non hai idea di quanto è dolce, certe volte… E poi mi piace, così imbranato… Lo trovo tenero!
E poi scusa, mica me lo devo sposare. Finché ci sto bene insieme, però, non mi pongo problemi!”
Risposta di Judith:
Aud, sei scema o cosa? Non sentivo tanta stupidità tutta insieme da quando Max ha fatto credere a Will che il forno di zia Magda era una macchina del tempo e lo ha convinto ad accenderlo e a entrarci.
Sinceramente, credo che qualcuno ti abbia fatto una fattura. Riprenditi, ti prego.
Mi stai facendo preoccupare.”
Risposta di Audrey:
Jud, quando fai così la Serpeverde non ti sopporto. Non è come lo immagini tu. Oggi per esempio sono riuscita a portarlo in un cinema Babbano! Ci avevo rinunciato, da quando si è addormentato guardando “Psycho”, ma poi ho pensato che con un altro genere avrebbe reagito in modo diverso. Infatti! Quel film (non mi ricordo il titolo, ma ricordo che ho dovuto spiegargli cosa fosse un avvocato… Boh!) gli è piaciuto un sacco… Peccato che mi sia addormentata io! Però è stato carino, mi ha svegliata e mi ha riportata a casa anche se a lui interessava vedere come andava a finire… Ammetterai che è gentile!”
Judith:
“Credo che tu stia parlando de “L’avvocato del diavolo”; a questo punto non ho più alcun dubbio sul fatto che qualcuno si sia impossessato dei tuoi neuroni succhiandoti via l’intelligenza: nessuno può dormire davanti a quel film. Quindi sei matta.
E comunque, tutti sono gentili quando vogliono portarti a letto: quindi, per me resta un maniaco.”
Audrey:
“Chi ti ha insegnato a dire queste parole? Zio Oleg, scommetto! Comunque, continuo a non spiegarmi la tua antipatia… sono sicura che se passaste del tempo assieme cambieresti idea…
Scusa, ho dovuto interrompere la lettera perché è appena tornato Percy… gli ho detto che ti stavo scrivendo e mi ha chiesto di salutarti! Vedi che è gentile?
Credo davvero che andreste più che d’accordo!”
Judith:
“ … Chi sei?! Cosa vuoi da me?!
E cosa ne hai fatto di Audrey?!
Ti prego, restituiscici almeno il suo corpo, affinché possiamo darle degna sepoltura!”
E così via, su questo tono.
 
 
 
Nonostante i dubbi di Judith, anche per Audrey quei sei mesi furono davvero felici.
Adams aveva perfettamente ragione: Percy controbilanciava tutti i suoi difetti. Era puntuale, preciso e metodico, tutte cose che a lei non era mai riuscito di essere. A Audrey piaceva quel modo di fare così tranquillo che aveva in ogni circostanza: era raro che si facesse prendere dall’ansia o perdesse il controllo. In un certo senso, le dava sicurezza.
Certo, spesso si fissava su dettagli del tutto trascurabili, ma niente di male, in fondo. Poteva andar peggio…
Stesso discorso all’inverso si può fare per Percy: Audrey era in grado di dargli gli “scossoni” di cui aveva bisogno. Riusciva sempre a coglierlo di sorpresa: un gesto che lo faceva sorridere, un abbraccio che lo inteneriva… Audrey gli risvegliava sensazioni che credeva sepolte, dimenticate, o che non aveva mai conosciuto.
Non aveva bisogno di dimostrarle niente: lei sapeva già che lui valeva qualcosa, sapeva che c’era del buono in lui, sapeva anche come tirarglielo fuori. Lo sapeva, in qualche modo. Era come avere una continua iniezione di fiducia, una spinta leggera verso la strada giusta. Una brezza lieve che gli portava via i cattivi pensieri.
Non starò a dilungarmi sui dettagli della loro vita in quei giorni; non sarebbe giusto nei loro confronti (insomma, un po’ di intimità non guasta, no? Soprattutto per una coppia così giovane…).
Accontentatevi di sapere che furono felici, entrambi. Molto.
Il tipo di felicità che si accatasta giorno per giorno, e che, al contrario di altre felicità, a volte dura per molto, moltissimo tempo.
 
 
Parte di quella felicità era dovuta a ciò che disse Percy, una tiepida sera di aprile.
Erano abbracciati sul letto di Audrey, semiaddormentati. La ragazza gli dava le spalle, e Percy teneva il naso affondato tra i suoi capelli. Non sarebbe mai riuscito a stancarsi del suo odore, nemmeno volendolo.
A un tratto Audrey ebbe un forte sussulto, e Percy si svegliò del tutto.
- Che succede? - mormorò, un po’ confuso.
- Che giorno è domani? - domandò Audrey in tutta fretta, preoccupata.
- È… Aspetta, è mercoledì, credo… Sì, mercoledì.
La ragazza sospirò, sollevata. – Meno male, mi era preso un colpo. Temevo fosse giovedì. Sai, devo pagare l’affitto entro giovedì, ma ci ho pensato solo adesso…
- È mercoledì, tranquilla - mormorò di nuovo lui, tornando a stringerla.
Poi iniziò a dire qualcosa che nessuno dei due si sarebbe aspettato.
- Sai… Stavo pensando…
- A cosa? - sussurrò Audrey, mezzo addormentata.
- Beh… Sai… Se tu… Insomma… è solo un’idea… anche abbastanza strana se ci pensi, però… Lo so che non è molto che stiamo assieme, ma… Pensavo che… Voglio dire… Se venissi a stare da me non avresti problemi di affitto, sai? Voglio dire... Sarebbe… Sarebbe come adesso, che ci svegliamo assieme e… e andiamo a dormire assieme, solo che… Solo che sarebbe tutte le sere e… passeremmo più tempo insieme… e le tue cose starebbero a casa mia e… Beh, non è più grande di questa, ma in due ci si sta… Solo se… se vuoi…
Si accorse che Audrey stava trattenendo il respiro, e smise di parlare. Cavolo… Perché l’ho detto? Adesso sì che l’ho spaventata! Che idiota…
Infine la ragazza si voltò verso di lui, alzandosi a sedere. Nella penombra della stanza, l’espressione sul suo volto era difficilmente decifrabile, un misto di stupore e incredulità.
- Ma… Ma stai dicendo sul serio? - balbettò dopo qualche secondo. – Tu… Tu vuoi che venga a stare da te?
- Io… Ecco… Solo se vuoi, naturalmente, forse è un’idea stupida ma… ma… Ecco… - si impappinò.
- Sai, io, beh… Volevo solo… Non lo so, ho esagerato, scusami… - riuscì a dire alla fine.
- No, no, tranquillo - si affrettò a dire lei. – Solo che… ci penso su, okay?
- O-Okay… scusa…
- Non scusarti, tranquillo. Adesso dormi, dai… - e Audrey gli diede di nuovo le spalle, in modo da non mostrargli l’immenso ed emozionato sorriso che le era involontariamente spuntato sulle labbra.
 
Altro che dormire: Percy ebbe tutta la notte per pentirsi di quella richiesta avventata.
Sei un cretino! Ma diamine, come puoi pensare che accetti una cosa del genere? Di’ un po’, sai quanto mesi sono da gennaio ad aprile? Quattro! Cavolo, quattro mesi! E tu… tu pensi davvero che una ragazza normale accetti di venire a stare da te dopo quattro mesi? Sei fortunato se non ti ha mandato a quel paese!
E via di questo passo.
Tutta la notte.
Eh, già.
(Forse Judith non aveva tutti i torti quando si preoccupava…)
 
Il mattino dopo, Audrey si era alzata molto prima di lui; un fatto decisamente insolito.
Ancora più insolito era che i suoi vestiti del giorno prima, solitamente lasciati alla rinfusa su una sedia, erano scomparsi. Molto, molto insolito.
Ma la cosa più insolita di tutte era la valigia che giaceva accanto alla porta. Una valigia grande dall’aria pesante.
Insolitissimo.
Trovò Audrey seduta sul divano a gambe incrociate, che fissava la libreria di fronte a sé. Era già vestita e preparata.
Alle sette di mattina.
Qui scendiamo nella fantascienza, ragazzi.
- Ti dà fastidio che io tenga i libri in ordine sparso? - domandò Audrey a bruciapelo, senza staccare gli occhi dagli scaffali.
Percy fu troppo sorpreso da questa domanda per non rispondere.
- Io… No, no, credo di no… Beh, li ordinerei diversamente, ma… Ma che domanda è, scusa?
- E i vestiti? Non so te, ma l’unica cosa che riesco a tenere perfettamente in ordine è l’armadio. Hai un ordine particolare per i vestiti?
Ah ah. Sei spiritosa, ragazza.
- Io… No, non… Ripeto, che domanda è?
- E la musica? So che non ti piace, ma io non posso fare a meno di ascoltarne un po’, qualche volta…
- Bennet, santo cielo! Sei lavata, vestita e pettinata a quest’ora, te ne stai lì a fare domande senza capo né coda… Sicura di stare bene?
Finalmente Audrey si voltò a guardarlo. – Sto bene, scusa. È che… Pensavo che, se fosse ancora valida, avremmo dovuto prima chiarire qualche punto, no?
- Valida cosa?
- La tua proposta di ieri sera.
La mandibola di Percy rischiò di andare a spiaccicarsi contro il pavimento. Audrey non se ne curò.
- Sai, non ho problemi a pagare l’affitto alla padrona di casa, perciò se ci hai ripensato basta dirlo, però… Però ci ho pensato, e credo che mi piacerebbe molto… insomma… venire a stare da te.
- Ma… Ma stai dicendo… davvero?
- Beh, sì…
- E… Scusa, ma mi avevi detto che ci avresti pensato!
- E infatti ci ho pensato… adesso.
- Aud, senti… Io non voglio che tu ti senta costretta. Davvero. Fai… Fai con calma, insomma… Voglio dire, sono contento che… anzi, molto contento, ma… Forse, anzi sicuramente sono stato affrettato e… e non voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi e…
- Oh, diamine, Perce, vuoi smettere di parlare una buona volta? - lo interruppe Audrey, stavolta sorridendo. Aveva qualcosa negli occhi, come un’emozione incredibile.
Poi tutt’ad un tratto si fece di nuovo seria.
- Senta capo, ho bisogno di una giornata di permesso dal lavoro. Sa, devo traslocare e mi serve tempo per imballare le cose…
A sentire quel cambio di tono, Percy non poté fare a meno di ridere forte.
Inutile. Quella strega lo avrebbe sempre, sempre colto di sorpresa. Tanto valeva arrendersi.
- Uhm, non saprei… - finse di pensarci su. – Per stavolta va bene, Bennet. Però ti scalo questa giornata dalle ferie.
- Dalle ferie?! - Audrey scattò in piedi – Ma capo, lei è un bastardo!
- Te l’ho già detto: se non fossi bastardo…
- … non saresti il capo. Sì, ho già sentito qualcosa di simile.
Risero assieme, poi rimasero a guardarsi soltanto negli occhi, per un po’.
La stessa emozione. Forte, fortissima emozione.
Qualcosa di nuovo che iniziava.
 
 
 
Fu strano trovare le cose di Audrey a casa sua, quella sera.
Bello, ma strano.
Percy si era quasi dimenticato di come fosse avere un’altra persona che divide stanza, bagno e vita con te.
Davvero, davvero strano. Ma bello.
Era ancora più strano perché, dopo Penelope, nessun’altra ragazza aveva mai messo piede lì dentro.
 
Ah, dimenticavo: naturalmente Audrey non sapeva nulla di Penelope.
Ma proprio nulla, eh. Per quanto ne sapeva, non era mai esistita.
Il 4 giugno 1997, nel momento in cui Percy si rendeva conto di quanto tempo era passato, Audrey ignorava che lui, prima che con lei, aveva condiviso vita e casa con un’altra.
Percy non le aveva mai accennato a quel dettaglio, e lei non se lo era mai chiesto. Punto.
D’altronde, perché Percy avrebbe dovuto parlargliene? Penelope era passato, passato remoto. Audrey era il presente. Tutto il suo presente.
A dirla tutta, nemmeno ci pensava più: non c’era proprio nulla in Audrey che potesse riportargli alla mente la sua ex, e anche casa sua, da quando Audrey ci aveva messo piede, sembrava diversa da com’era prima.
Era più bella, più accogliente.
Audrey ci aveva messo subito qualcosa di suo, ovviamente senza chiedergli il permesso: così Percy si era ritrovato tende chiare dove prima erano scure, mobili spostati da un punto all’altro della stanza e strani aggeggi Babbani qua e là.
I libri di Percy avevano dovuto fare posto ai romanzi di Audrey, come pure i vestiti; il ragazzo aveva subìto un piccolo shock, aprendo l’armadio e trovando tutto in perfetto ordine, ma non poteva certo lamentarsi.
Di cosa avrebbe dovuto lamentarsi? Era… bello; cavolo, era tutto bello.
Era bello come Audrey si comportava in casa, come ci teneva a che tutto fosse in armonia col resto. Era bello uscire di casa assieme e sapere che si sarebbero ritrovati la sera, bella era stata l’espressione sconvolta della signora Bennet quando Audrey le aveva detto che vivevano insieme, bello quando Percy faceva tardi e trovava Audrey addormentata sul divano e anche quando era Audrey a far tardi con le amiche e ritrovava Percy che leggeva avidamente i suoi romanzi babbani.
Era bello. Non facile, perché non è mai facile vivere con qualcuno; non perfetto, perché si devono sempre sopportare i difetti e le manie dell’altro; ma bello. Punto.
Cos’altro volete che vi dica?
 
Fu così, da aprile a giugno. Il tempo passava e nessuno dei due lo contava più. La primavera di quell’anno era stata bellissima, un trionfo di colori dopo i molti giorni di pioggia che avevano concluso l’inverno.
E ancora più bella si prospettava quell’estate. La fine di maggio aveva portato un venticello caldo e invitante, ed erano pochi gli impiegati del Ministero che ancora indossavano le lunghe vesti da mago, mentre la maggior parte di loro aveva decisamente optato per maglie a maniche corte.
Adams era tornato ad essere un compagno di ufficio silenzioso per Audrey, anche perché stavolta era lei a non smettere mai di parlare.
Parlava, parlava, parlava. Da quando era iniziata la primavera, parlava.
Era allegra, quindi parlava; o meglio, ciarlava. E al nostro povero Adams non rimaneva che tacere, e fingere di ascoltare.
Avete mai provato a dare ascolto a una ragazza che parla in continuazione? Magari riuscite a seguirla per i primi due, diciamo tre minuti (i più bravi arrivano a cinque), ma poi…
Se poi la ragazza in questione salta da un argomento all’altro senza fare nemmeno una pausa… Beh, si salvi chi può.
Adams non poteva, quindi fingeva di ascoltare.
Era così impegnato nella sua finzione che non si accorse che Audrey gli aveva rivolto una domanda diretta; fu dopo una decina di secondi di silenzio assoluto che intuì che qualcosa non quadrava.
Alzò lo sguardo su di lei.
- Scusa, hai detto qualcosa?
Audrey restò sconcertata. – Adams… Non hai sentito nulla di tutto ciò che ho detto finora, vero?
- Senti Aud, è solo mezzogiorno e parli senza sosta da almeno tre ore. Mi sarà pur sfuggito qualcosa, no?
Audrey tacque. – Hai ragione, scusa. Non lo faccio apposta, sul serio…
- Non preoccuparti. Allora, mi hai chiesto qualcosa?
- Ah, già! - Audrey si sbatté una mano sulla fronte, poi guardò Adams dritto negli occhi. – Allora, caro Adams, non mi racconterai mai la tua storia con Ben?
- Non. Sto. Co…
- Sì sì, conosco il ritornello. Sai che è la stessa cosa che mi ha detto lui?
Adams era diventato giallognolo.
- Lui… Chi?
- Ma Ben, naturalmente! - sogghignò Audrey. – Sai, un paio di settimane fa gli ho telefonato…
- Hai fatto che?
- Uff, certo che voi Purosangue potreste anche prendervi la briga di informarvi sugli oggetti Babbani! Okay, te lo dico in breve: ho parlato con lui, e mi ha detto la stessa cosa che hai detto tu.
- Ossia?
- Le sue parole precise sono state… Aspetta, com’erano… ah, sì: Non. Sto. Con. Adams.
Sentendo quello, Adams arrossì un po’. Per qualche secondo non parlò.
- Ha detto proprio così?
Audrey annuì. – Già. E poi ha attaccato il telefono.
- Cosa?
- Abbiamo smesso di parlare.
- Ah.
Ancora silenzio.
- Adams, non vuoi proprio dirmi cosa è successo con Ben?
- Facciamo così, Audrey - fece Adams, dopo essere stato pensieroso per una manciata di secondi, – il giorno in cui ti sposerai col capo te lo dirò.
Audrey sobbalzò. Ma è impazzito?! Ma chi gli mette in testa queste idee?! Oddio, è proprio matto, santo cielo…
- Ma che cavolo dici, Adams? Noi non… - si sentì avvampare. – Se anche succedesse, sarebbe tra parecchi anni! Oppure potrebbe non succedere mai! Anzi, non succederà mai, punto e basta!
- Appunto, - ghignò Adams, – così sarò lasciato in pace una volta per tutte.
- Ma non è giusto! Io sono curiosa! Sei proprio un dannato figlio di…
- Piccola Aud, queste espressioni da scaricatore di porto non ti si addicono. Che direbbe il tuo fidanzato?
- Rimangiati ciò che hai detto, imbecille!
- Nemmeno per sogno! È troppo divertente vederti così in imbarazzo!
In effetti, Audrey imbarazzata era uno spettacolo imperdibile, forse più della Audrey arrabbiata: i suoi occhi diventavano molto più grandi, mentre le sue mani iniziavano a gesticolare forsennatamente e la sua voce saliva di un’ottava.
- Sei… Sei… Sei la persona più spregevole che conosca!
- Solo perché non ti lascio invadere la mia privacy?
- Perché… Perché insinui queste cose!
- Non ho insinuato niente di male - replicò Adams, tranquillo. – In fondo, vivete insieme da aprile, no?
- Sta’ zitto, vuoi che lo sappiano tutti?! - pigolò Audrey, ormai al colmo dell’imbarazzo. – E comunque… Che c’entra? Il fatto che due vivano insieme non significa che… Voglio dire, noi non… Oh, vai al diavolo!
Al che Adams non poté proprio trattenere una sonora risata, così forte che si zittì subito, temendo che si fosse sentita anche in corridoio.
Il timore fu presto confermato da un lieve bussare alla porta.
- Contento, cretino? - bisbigliò Audrey. – Adesso verranno a lamentarsi e il capo ci romperà le scatole perché abbiamo fatto casino…
- E tu convincilo a non romperci le scatole, gli argomenti non ti mancano di sicuro - le rispose Adams, preso da un attacco di ridarella.
- Sei uno stupido - commentò Audrey, sbuffando. Alla porta bussarono di nuovo.
- Avanti! - esclamò lei, mentre Adams cercava di calmarsi.
Ci riuscì non appena vide chi si era affacciato alla porta.
 
Già dalla prima occhiata dava l’idea di una professionista; una di quelle che sanno quanto valgono e non hanno paura di dimostrarlo. Intelligente, di sicuro.
E bella. Cavolo, se era bella.
Bionda, alta, slanciata. Bella.
Persino le lievi occhiaie non riuscivano a cancellare la bellezza naturale di quella ragazza. Audrey rimase a osservarla per un momento, imbambolata, finché quella non la riscosse con una domanda.
- Scusate il disturbo, sto cercando l’ufficio del signor Weasley; mi hanno detto di chiedere a voi…
Audrey si voltò verso Adams, ma lui sembrava ancora perso in contemplazione.
- In questo momento non c’è, dovrebbe tornare entro una mezz’ora - rispose allora. – Se vuole può aspettarlo qui fuori, o ripassare nel pomeriggio…
- Non c’è problema, aspetterò. Ti ringrazio. - La sconosciuta sorrise e richiuse la porta.
“Ti” ringrazio? Ma come si permette? Non sono mica sua sorella!
- Chissà chi era… - disse invece, rivolta ad Adams. – Una così non si vede spesso al Ministero, no?
Attese una risposta che non arrivò.
- Adams?
- Eh?
- Tutto bene?
- Più o meno… Hai detto qualcosa?
- Niente, ho solo commentato la tizia che è entrata qui…
- Ah, già. Stupenda, no?
Audrey sobbalzò per la seconda volta in venti minuti. Cosa?!
- Ma… Io pensavo che tu non…
- Il bello è ovunque, e va riconosciuto, donna o uomo che sia. E lì ce n’è da riconoscere.
- Dici? - fece Audrey, sentendo improvvisamente una punta di gelosia. – Secondo me non è un granché…
- Secondo me stai incappando nella classica invidia femminile. Diamine, l’hai vista?
Oh cielo, Adams che commenta la bellezza di una ragazza? Qui c’è da uscire matti!
- Se lo dici tu… - concluse, un po’ piccata da quell’atteggiamento. – Chi pensi che fosse, comunque?
- La futura signora Adams, se mai decidessi di cambiar vita e sposarmi…
- Adams!
- Okay, okay, scherzavo… - replicò, alzando le mani. – Comunque, non la conosco, ma aveva il tesserino della “Gazzetta”. Magari è qui per un servizio.
- Possibile. - Effettivamente, in quel periodo la “Gazzetta” non faceva che pubblicare articoli di elogio al Ministero, cosa che faceva infuriare Audrey e la metteva spesso in discussione con Percy.
- Oppure - ghignò Adams, ormai entrato nella modalità sadica, – è l’amante segreta del capo e vuole incontrarlo per combinare qualche losco affare… Sto scherzando Aud, sto scherzando! - aggiunse in fretta, accorgendosi dell’occhiata assassina che la ragazza gli aveva scoccato.
 
Se Adams era rimasto abbagliato dalla visitatrice, Percy restò invece abbastanza sconvolto.
Era nervoso, quella mattina; aveva dovuto fare un paio di cose che non gli erano affatto piaciute, come notificare uno sfratto a una famiglia. Erano in cinque, in quella famiglia, diamine.
Di malumore, passò nel corridoio senza guardarsi attorno; non fece però in tempo a mettere piede in ufficio  che il suono di una voce terribilmente familiare lo pietrificò all’istante.
- Perce?
Una voce dall’oltretomba. Dannazione. Adesso no…
Lentamente si voltò verso il punto da cui si era sentito chiamare. Magari mi sono sbagliato.
Non si era sbagliato.
- P-Penelope?
 
 
In archivio, Audrey stava bruciando sui carboni ardenti. Percy doveva essere tornato da un po’, ormai, e la tizia bionda si trovava di sicuro nel suo ufficio.
Cavolo!
Era strana, quella sensazione. Audrey non era mai stata gelosa, anzi; però, il fatto che Percy adesso stesse parlando con quella lì…
Persino Adams, che non amava le donne, era rimasto affascinato.
E stupida non era di sicuro; aveva qualcosa nello sguardo che lasciava trasparire la presenza di un bel cervello.
Cavolo…
Si riscosse. Doveva darsi una calmata; doveva. In fondo, Percy stava con lei, non con la tizia bionda o con qualcun’altra.
Ma fa sempre in tempo a cambiare idea… In fondo tu sei bassa, sciatta, bruna e fai un lavoro che definirlo mediocre è troppo poco… E beh, tu stessa sei sempre stata mediocre, alla fin fine…
Si riscosse di nuovo. No, no, no. Così non va per niente, Aud. Se inizi a seguire le tue stupide paturnie rischi di impazzire, lo sai. Vedi di non fare la cretina.
Dopo un quarto d’ora, però, era di nuovo lì che tamburellava le dita, come una dannata.
Cavolo.
- Audrey, potresti smetterla per favore? Mi dai sui nervi! - esclamò Adams. – Sono due ore che cerco di capirci qualcosa in questo documento e non ci riesco! Se sei tanto curiosa di sapere cosa sta facendo il capo con la mia futura moglie, entra nel suo ufficio con una scusa qualsiasi, no?
- Ma io non sono curiosa… - sibilò lei, mentre afferrava una matita nel tentativo di fermare le proprie mani.
- Ah, no, certo. E io mi chiamo Barbara.
Il rumore della matita che si spezzava confermò Adams della sua teoria.
- Audrey, sei un tipo geloso, per caso?
- Mai stata gelosa… - rispose, restando a fissare le due metà della matita.
- In ogni caso, passare nell’ufficio del capo non sarebbe sbagliato. Magari sarebbe contento di vederti…
Senza una parola, Audrey afferrò un documento a caso tra la montagna da far firmare a Percy e volò fuori dall’archivio.
Adams sogghignò: era sicuro che non ci fosse nulla di male in ciò che stava facendo il capo con la bionda, però era curiosissimo di saperlo, e mandare la ragazza a controllare era il modo migliore per sapere tutto subito; e poi, Audrey gelosa era ancora meglio della Audrey imbarazzata.
(Sì, lo ammetto: a volte Adams si comporta un po’ da manipolatore. Ognuno ha in sé il cielo e l’inferno, disse una volta uno scrittore Babbano…)
 
Percy era rimasto basito, trovandosi lì davanti Penelope.
Così basito che non pensò subito a farla entrare in ufficio.
- Cosa… Cosa ci fai qui? - articolò.
- Lavoro – rispose lei, per niente sorpresa dalla reazione del ragazzo.
- Adesso lavori qui al Ministero?
- No, come puoi vedere – e indicò il tesserino – mi manda la “Gazzetta”. Avrei bisogno di un favore da parte tua.
Percy non le rispose, limitandosi a fissarla: il solo fatto di ritrovarsela lì, a mezzo metro, dopo quasi un anno che non la vedeva, era bastato a mandarlo in confusione.
Penelope se ne accorse, e fece un sorrisetto.
- Allora, mi fai entrare nel tuo ufficio?
Il ragazzo si riscosse. Si scansò dalla porta, ed entrò dopo di lei.
- Ti vedo sorpreso, Perce - interloquì Penelope, non appena Percy ebbe chiuso la porta. – Sono davvero così spaventosa?
- Non mi aspettavo di trovarti qui - borbottò per tutta risposta.
- Lo so. Nemmeno io faccio i salti di gioia, se è questo che intendi.
Si accomodarono. Cavolo, se era cambiata; era sempre bella, ma sembrava invecchiata di molto. Percy faticò a ricordare che aveva solo vent’anni, come lui: quegli occhi ne dimostravano dieci di più.
Come al solito: era sempre stata più sveglia, più matura di lui. Molto migliore di lui, sempre.
D’un tratto desiderò non averla mai rivista. Aveva faticato a dimenticarsi di lei, e ora piombava là, senza un preavviso, senza niente.
- Cosa ti serve? - le domandò sbrigativo.
- Cos’è, hai fretta di mandarmi via? Non sei contento di vedermi?
La domanda era evidentemente sarcastica, e pronunciata con un tono un po’ velenoso.
- L’hai detto tu stessa, che non fai i salti di gioia per essere qui. Quindi dimmi cosa vuoi e finiamola.
- Come stai?
- Che ti importa?
- Mi importa sempre degli altri. Al contrario di te, se non ricordo male.
- Sei venuta solo per insultarmi?
- Sono venuta per lavorare, ma visto che ci conosciamo pensavo di essere gentile chiedendoti come stai.
Percy si morse la lingua, per evitare di dire qualche sciocchezza. Si era messo sulla difensiva istintivamente, ma stava solo facendo la figura dello stupido.
- Scusa - disse, chinando il capo. – Io sto bene. Tu come stai?
- Non c’è male, grazie.
Seguì il silenzio. Percy aspettava che Penelope gli dicesse il motivo della sua visita, ma la ragazza non parlava.
- Allora, cosa ti serve?
- Hai fretta?
- Me lo hai già chiesto.
- E tu non hai risposto…
- Senti, Penelope… Non ho voglia di giocare, okay? Se non vuoi dirmi cosa vuoi, quella è la porta.
- Non hai perso l’abitudine di cacciar via le persone, eh?
- Sei tu che te ne sei andata.
- E tu non mi hai fermata. Come vedi, siamo pari.
Tacquero di nuovo. Cos’è, aveva voglia di rivangare il passato? Era davvero venuta solo per indispettirlo?
Se era così, Penelope ci stava riuscendo benissimo.
- Comunque, - fece lei dopo qualche secondo, – sono qui perché…
La porta si spalancò. Sorpresi, guardarono entrambi verso Audrey, che nella fretta si era scordata di bussare; per completare la brutta figura, dalla mano le scivolarono tutti i fogli del plico che doveva costituire il suo alibi per entrare nell’ufficio.
- Ehm… - fece lei, chinandosi di corsa a raccogliere tutto e sentendo gli occhi di Percy e della tizia bionda puntati addosso. – Scu-scusate, non volevo disturbare…
Percy si distese, vedendola. Sempre la solita…
La mia piccola confusionaria.
Dovette arrossire a quel pensiero, perché quando Penelope si voltò di nuovo verso di lui lo guardò con un’espressione strana. Tornò serio, e si schiarì la voce.
- Tranquilla Au… Bennet. Non disturbi affatto.
- Oh, no, infatti - fece Penelope, tornando a guardare Audrey con la stessa strana espressione. – Stavamo solo facendo una… chiacchierata tra ex conviventi.
Percy vide distintamente Audrey irrigidirsi e trattenere il respiro, e chiuse gli occhi. Oh, cavolo…
- Scusate, volevo solo… solo farle firmare questo, capo - disse invece lei, ignorando Penelope.
Mentre si sporgeva verso la scrivania, Audrey avvertì su di sé lo sguardo azzurro e indagatore di quella tizia, e si sentì come nuda. Cavolo, mi sta facendo l’esame ai raggi X?
Ma che vuole?
- Beh, Percy, non mi presenti alla tua… amica?
Il ragazzo si sentì gelare. – Lei è una mia dipendente, non è…
- Mi chiamo Bennet, – le rispose Audrey, tranquilla, – e non sono una sua amica. E lei, signorina?
- Abbiamo un bel caratterino, vedo - commentò Penelope, senza staccarle gli occhi di dosso. – Un po’ sprecato, per un lavoro come il tuo… Comunque mi chiamo Penelope.
Persino il nome era bello. Audrey si sentì bruciare di invidia.
- Non credo che ci sia qualcosa di male, nel mio lavoro. In fondo, giornalisti come lei vengono tutti i giorni a documentarsi da noi; e spesso, per sopportare certe persone ci vuole carattere.
Penelope alzò le mani, ridendo. – Lo ammetto, hai vinto tu. - Si rivolse poi a Percy: - Senti, avrei bisogno di un lasciapassare per le aule giudiziarie, vorrei assistere a un processo. Puoi procurarmelo tu?
- Naturalmente. Bennet, - disse poi a Audrey, che era ancora ritta presso la scrivania e fissava Penelope, - puoi andare, ti ringrazio.
Lei lo guardò per un secondo, poi si diresse decisa verso la porta.
Non era sicura di voler raccontare ad Adams quello che aveva sentito.
Ex convivente… Ma vai a quel paese…
 
- Simpatica – commentò Penelope, mentre Percy cercava un foglio per firmarle il lasciapassare. – Da quando sta qui?
- Da settembre. - Nove mesi, di già.
- Ti ho mai fatto notare quanto sei prevedibile, Perce?
Non capì la domanda. – Che intendi?
- Solo uno come te poteva incappare nel più classico dei cliché: il capo che fa gli occhi dolci alla sottoposta. Tipico di te, Weasley.
Avrebbe potuto risponderle nel peggiore dei modi, ma si trattenne. Le firmò il permesso con un gesto rabbioso, e l’accompagnò alla porta, senza aggiungere una parola.
 
 
Sperò ardentemente di non doverla rivedere ancora.
Non la sopportava. Non sopportava tutto il suo sarcasmo, il suo veleno. E va bene, si erano lasciati male, e allora? Non era certo la fine del mondo; possibile che lui l’avesse superato e lei no?
Diamine, com’era cambiata. Ed era passato solo un anno.
Pensava a queste cose, mentre si avviava verso casa. Ed ecco che la vide di nuovo.
Seduta al tavolo di un bar Babbano, che mescolava un tè. Non aveva più l’aria sfacciata di prima: adesso sembrava solo una ragazza stanca.
Percy avrebbe potuto allontanarsi, o cambiare strada. Scelse la terza via.
- Ancora da queste parti?
Penelope sobbalzò, e lo guardò sorpresa. – Sì - rispose poi, con una voce diversa da quella della mattina. – Ho girato nel Ministero tutto il giorno.
- Sarai stanca.
- Un po’. Siediti.
- Grazie.
- Sai, - iniziò a dire lei, con dolcezza – mi spiace per prima. Non avrei dovuto dirti quelle cose. Ero solo  stanca e… e nervosa…
- Non preoccuparti. Non avevi tutti i torti.
- E per la storia del cliché…
- È tutto a posto. In effetti, ne sono consapevole anch’io, ma non posso farci nulla.
- Posso immaginarlo.
Tornò a mescolare il tè in silenzio, come immersa in un pensiero. Percy non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: quanto, quanto tempo era passato tra di loro? Poco: ma sembravano secoli.
- È carina, sai? La ragazza di oggi - spiegò, vedendo lo sguardo interrogativo di lui. – Pensavo che le brune non ti piacessero… Beh, si vede che in qualcosa sei cambiato…
Percy continuò a non parlare. Non sapeva assolutamente cosa dire. Avrebbe potuto chiederle del suo lavoro, della sua vita, ma in fondo non gli interessava. Come è strano il modo in cui il tempo ci separa dalle persone, più che lo spazio. Possono esserci migliaia di chilometri di distanza tra un uomo e una donna, e questi potranno rimanere gli stessi; lascia che passi tra loro un anno, e non si riconosceranno più.
- È stato… strano, sai? - seguitò la ragazza, pacatamente. - L’ho capito da come la guardavi, che ti piace. State insieme?
- Viviamo insieme, sì.
Un piccolo sorriso sincero si fece strada sul viso di Penelope. – Anch’io ho conosciuto… un altro. Ad essere sinceri, lo conoscevo già da prima che… insomma, che ci lasciassimo. Mi è stato accanto quando ne avevo bisogno.
Percy si sentì amareggiato, ma Penelope continuò a sorridere. – Sono andata a stare da lui quasi subito. Ora pensiamo di sposarci a settembre. E indovina un po’? Aspetto un bambino.
Qualcosa di fastidioso punse Percy dentro lo stomaco. Aspettava un bambino. Solo un anno prima ci avevano provato insieme: Penelope lo desiderava tanto, ma… ma non era arrivato.
Almeno adesso sapevano di chi era la colpa.
- Oh, - disse, cercando di non far trasparire la sua umiliazione – è bellissimo. Sono contento, davvero.
- Ti ringrazio - gli rispose lei, contenta. – Sai, in fondo è stato meglio che non lo avessi da te, no? Insomma, visto che…
- Non eravamo fatti per stare insieme, già.
- Già. È stato meglio.
Questo poneva la parola “fine” sul loro dialogo. Percy aspettò educatamente che Penelope finisse il suo tè, poi la salutò, senza rancore ma con un briciolo di tristezza nel cuore.
Solo un anno era passato, ed erano tanto cambiati.
 
 
Tornato a casa, trovò Audrey che pelava le patate, china in piedi sul piano da cucina.
- Ehi…
La ragazza si voltò un momento soltanto verso di lui, ma non rispose al saluto. Disse solo:
- Ex convivente?
Percy sospirò. Sapeva che avrebbero dovuto affrontare quell'argomento, prima o poi.
Meglio farsi coraggio subito.
- Senti, Aud, è una storia vecchia…
- È carina, sai?
La stessa identica cosa che Penelope aveva detto di lei. Forse le donne avevano una specie di codice segreto, una terminologia particolare da usare quando si parlava di certi argomenti?
- Davvero carina. Deve mancarti.
- Che dici, Audrey? Certo che non mi manca! - esclamò, stupito da quell’atteggiamento.
- Non hai fatto certo un salto di qualità, con me - seguitò Audrey, con voce atona. – Dopo una così, qualsiasi ragazza deve sembrarti insignificante…
- Audrey…
- … E quindi, se ti manca lo capisco.
Percy sbuffò. Quel discorso era totalmente cretino.
- Diamine, Bennet, non cominciare ad essere irrazionale! - esclamò di nuovo.
- Perché mai dovrebbe mancarmi Penelope? Io ti amo.
Lo disse così, senza pensare. Forse per questo fu veramente sincero.
Non appena lo sentì, a Audrey caddero coltello e patata dalle mani.
Lentamente riuscì a voltarsi verso di lui: Percy era tutto rosso, ma non smetteva di guardarla negli occhi.
- C-come?
- L’hai… L’hai sentito benissimo - balbettò lui.
- Sì, ma, ma… In che senso? - domandò Audrey, in preda alla confusione.
- Beh, Bennet, io… Insomma, non sono un grande esperto ma… credo che quello che ho detto si possa intendere in un solo senso, non so se mi spiego…
Tacquero entrambi. Non c’era mai stato tanto imbarazzo tra di loro.
Cavolo! Perché, perché ho imparato a parlare?!
- Percy… - riuscì a dire infine Audrey. – So che ti sembrerà strano, ma… potresti ripeterlo?
- C-cosa?
- Come “cosa”? Quello che mi hai detto!
- Devo… Devo ripeterti che ti amo?
Un sorriso beato si stampò sul viso di lei. – Sì…
Percy rimase inebetito di fronte a quel sorriso; mai visto uno così bello prima d’ora.
Restò così inebetito che gli ci volle un po’, prima di rendersi conto che Audrey lo stava baciando, tante e tante volte, e ai baci alternava le stesse parole che lui le aveva detto in quel modo forse sbagliato, ma assolutamente sincero.
 
 
Fu una bella, bellissima estate. Meravigliosa estate.
Tuttavia, per quanto meravigliosi siano gli attimi che viviamo, questi sono destinati a finire, prima o poi.
La fine di quella estate iniziò il 29 giugno, quando Albus Silente fu ucciso.
Sarebbe terminata del tutto il 31 luglio; dopo, non aveva senso parlare di bellezza e di meraviglia, né di estate.
Questo però né Percy né Audrey potevano saperlo, quel quattro giugno, e vissero quei due mesi come se fossero l’estate più bella della loro vita.
Meravigliosa estate.
Un’estate dedicata ad imparare i mille modi per dirsi “ti amo”, senza imbarazzo. Solo con amore.

   
 
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