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Autore: Ely79    16/03/2011    7 recensioni
Un Severus bambino nascosto in un vicolo di Diagon Alley. Come potrà sua madre convincerlo ad andare con lei da Fortebraccio?
Storia partecipante al XII° turno del concorso "Lotta all'ultimo inchiostro" indetta da Magie Sinister.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
- Questa storia fa parte della serie 'Severus Piton'
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Un gelato nel vicolo
Una voce ansante riecheggiò nel vicolo. La sagoma di una donna occupava il poco spazio tra gli edifici, stagliandosi in controluce sull’estate che inondava Diagon Alley. I capelli scompigliati disegnavano una nube impalpabile attorno ai tratti spigolosi. Stava per riprendere la corsa, quando intravide qualcosa muoversi nell’ombra fresca.
«Severus!»
Raggomitolato davanti ad una vecchia porta, c’era un bambino.
«Severus, mi hai fatto morire di paura!» esclamò, inginocchiandosi per controllare che stesse bene. «Che ti è successo, ragnetto? Sei sparito!»
Lui scosse il capo con forza. Nonostante lo stratagemma, la smorfia che tirava il volto pallido dietro ai capelli corvini non passò inosservata.
Con un sospiro sollevato e amorevole, la donna scrollò le spalle.
«Su, vieni. Se non sbaglio c’è un bel gelato cannella e melanzana che ti aspetta da Fortebraccio» disse, tendendo la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Non lo voglio» rispose, stringendosi nelle braccine magre.
Sorpresa, Eileen raccolse la voluminosa gonna e gli sedette accanto. Aggiustò il colletto della veste del piccolo, una veste troppo grande per quel gracile corpicino.
«Severus, non hai mai rifiutato il tuo gelato preferito… Cosa c’è che non va?»
«Non devi comprarmelo» disse, nascondendosi dietro le ginocchia.
«E perché no?» chiese, accarezzandogli la schiena.
«Costa troppo. E noi siamo poveri» sentenziò dal suo misero rifugio.
La mano della donna ebbe un tremito. Gli occhi neri indugiarono nella penombra, carichi di timore.
«Chi ti ha detto una cosa simile?»
Sulle prime il piccolo tacque, poi ammise che di averlo sentito da un ragazzino vestito elegantemente che aveva incontrato al Serraglio Stregato.
La strega si morse le labbra. Avevano malauguratamente incrociato Walburga Black ed i suoi pargoli. Severus doveva aver fatto la conoscenza di uno dei due e della proverbiale boria di quella famiglia.
«E tu gli hai dato retta?»
Severus alzò le spalle, quasi avesse voluto dire “avevo alternative?”.
«Ringrazia Merlino se non ti prendo a schiaffi» lo riprese, pizzicandogli il braccio. «Da quando dai retta al primo che viene, senza pensare con la tua testa? È questo che ti ho insegnato?»
«Ma è vero!» protestò, tenendo una mano là dove era stato punito. «Papà non ci dà neanche uno scellino babbano e si lamenta sempre quando fai la spesa. Portiamo gli stessi vestiti, le stesse scarpe. Anche quando fa freddo» osservò, fissando il cuoio smangiato delle scarpe. «Non ti fa comprare gli ingredienti per le pozioni, le piume per scrivere o la Polvere Volante. L’ho sentito, l’altra sera, quando ha detto che non si ammazza di lavoro per farci buttare i soldi in buffonate. Noi siamo poveri» concluse amaramente.
La strega sapeva quanta verità ci fosse in quelle parole. Tobias non era un uomo cattivo, ma i problemi alla fabbrica avevano inasprito la loro già difficile situazione economica. Per non parlare dei suoi scatti d’ira e delle rimostranze verso il mondo magico. Ma non poteva tingere di grigio la vita di suo figlio. Aveva diritto a qualcosa di meglio dei dispiaceri quotidiani che lei si sobbarcava per regalargli un sorriso.
«Sbagli Severus. E anche quel ragazzino si sbaglia» esclamò, inginocchiandosi nuovamente di fronte al figlio e prendendolo per le spalle. «Noi non siamo poveri. Forse meno fortunati, ma non poveri! Chi lo dice è il vero povero».
Per quanto si mostrasse indignata e battagliera, Severus inarcò un sopracciglio, scettico.
«Ascoltami bene: la ricchezza o la povertà non si misurano unicamente da quanto custodiamo alla Gringott o da quanto è lucente la nostra scopa. La vera ricchezza è ben altra cosa e la conserviamo in un posto dove nessun potrà andare a rubarcela» disse, puntandogli un dito sul cuore. «Essere ricchi significa poter fare a meno di molto, di tutto, persino della nostra stessa vita, ed esserne felici. L’amore, tesoro, l’amore per un’altra persona ci rende più ricchi di quanto possano fare tutti i galeoni ed i denari del mondo! Ricordatelo, quando sarai grande. Promettimelo, Severus!»
Il bambino annuì perplesso, facendo spuntare un sorriso stanco sulle labbra della madre.
«Ed ora, ragnetto, ce ne andiamo dritti dritti da Fortebraccio e ci prenderemo non uno, ma due gelati! E saranno talmente grandi che la gente si volterà a guardarci strabiliata! Saranno così grandi che ci verrà il mal di stomaco e non ne vorremo più per tutta la vita!» rise.
«Davvero possiamo, mamma?» domandò, lo sguardo che brillava d’emozione.
Eileen lo prese per mano, conducendolo fuori del vicolo, nel sole estivo.
«Che quel ragazzino diventi un cagnaccio randagio, solo e abbandonato da tutti, se non possiamo permettercelo!»
   
 
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