Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Laura Sparrow    19/03/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4
Tempesta



- Signor Gibbs!- tuonò Jack non appena ebbe rimesso piede sulla nave.
Il nostromo sobbalzò, voltandosi di scatto: era impegnato a parlare con l'irlandese e non si era accorto del nostro arrivo. Chiaramente mortificato per quella mancanza, scattò sull'attenti e rispose: - Sì, capitano?-
- La partenza è rimandata; la Perla resterà in porto ancora per un po'. La ciurma può scendere a terra anche stasera, se vuole. - il capitano passò con assoluta indifferenza davanti al gruppetto radunato ai piedi dell'albero maestro, poi, dopo essersi allontanato già di cinque passi, si bloccò repentinamente e tornò indietro, puntando gli occhi sull'irlandese. - Chi sei tu?- sbottò, sgranando gli occhi.
L'uomo sembrò più confuso di lui. - Io... ehm... il mio nome è Connor Donovan, signore. E immagino che voi siate il capitano, giusto?-
- Giusto. - Jack si fermò con le mani a mezz'aria e un'espressione dubbiosa sul volto, mentre lo scrutava da capo a piedi. - Ah, ma certo... sei quello che abbiamo raccolto all'arena l'altra sera. L'irlandese. -
- Irlandese?- il signor Donovan sollevò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere: il sorriso rese più evidenti i segni sul suo viso, quelle strane rughe che lo facevano apparire più vecchio e più giovane al tempo stesso. - Oh! Ci avete quasi preso, capitano! Mio padre era irlandese, certo... ma io sono nato qui, nei Caraibi. -
- Oh. Errore mio, o meglio... suo. - Jack sogghignò mentre accennava a me col capo. L'uomo si voltò ancora verso di me e mi guardò, sorridendomi a sua volta: non sapendo che altro fare, ricambiai.
- Credo di dovervi la vita, capitano. - continuò. - C'è qualche modo in cui posso ricambiare il favore?-
Jack si limitò a stringersi nelle spalle. - Finché vi trovate sulla mia nave, cercate di rimanere vivo e di non impensierire troppo il mio medico di bordo. - rivolse un sorrisetto a Faith mentre le passava accanto. - Per il resto, siete libero di andarvene o di restare; per come siamo messi, potete anche unirvi alla ciurma, se lo desiderate. -
Non sembrò interessato a proseguire il discorso con Connor; distogliendo lo sguardo da lui prese ad armeggiare coi lembi della sua giacca e infine estrasse da sotto la camicia due bottiglie, proprio come avevo immaginato. Mi venne quasi da ridere nel vedere l'espressione del signor Donovan mentre guardava Jack compiere quell'operazione. - Signori, riposo!- annunciò, allargando le braccia in modo eloquente, con una bottiglia in ciascuna mano. Mentre si allontanava da noi, mi passò accanto e mi diede intenzionalmente un colpetto col fianco, incrociando i nostri occhi per un istante. Era una piccola richiesta di pace. Anche se ce l'avevo ancora per come si era comportato con Silehard, non potei fare a meno di sentirmi almeno un po' sollevata da quel piccolo segnale: Jack poteva anche avere cominciato a comportarsi in modo più strano del solito... ma, se non altro, avevo la prova che non si era allontanato da me.
Tuttavia, non si prese la briga di fermarsi per dare spiegazioni al resto della ciurma, ma se ne andò difilato in cabina senza degnare di uno sguardo nessun altro. A me quindi spettò il compito di assumermi tutte le occhiate interrogative da parte del signor Gibbs e dei miei amici, ancora confusi dalla notizia che non avremmo lasciato il porto, non oggi. Donovan mi stava ancora guardando. Decidendomi a rompere il silenzio, avanzai di un passo e mi fermai davanti a lui.
- Signor Donovan, giusto?-
- Io preferisco Connor. - replicò, con una risata gentile. - E voi siete, mia signora?-
- Laura Ev... Sparrow. Sono il capitano in seconda, perciò, al momento, potete considerarvi ospite sulla mia nave. -
Un altro sorriso, e gli occhi dell'uomo si illuminarono. - Ne sono onoratissimo, miss Sparrow. -
- Siete tornato in piedi in fretta, per essere stato svenuto una notte intera. - lo interruppi. - Faith, non dovrebbe stare sottocoperta?-
La mia amica scosse il capo, alzando le spalle. - Si è ripreso bene e le sue ossa stanno guarendo; si è rimesso subito in piedi, e un po' di aria fresca non gli avrebbe fatto che bene. - stava ancora parlando quando venne avanti Ettore, silenzioso, mettendosi accanto a lei. Lui e Connor si squadrarono per un attimo, poi fu il pirata a farsi avanti: - Ti devo delle scuse, credo. -
- Noi due ci conosciamo. - scherzò Connor, puntando un dito verso di lui. - Non devi scusarti, grand'uomo: hai fatto un bel lavoro. Era un bel po' di tempo che non mi capitava un avversario del genere... dove hai imparato a lottare?-
- A bordo di una nave dove il capitano era convinto che dispensare pugni fosse un ottimo modo per farsi rispettare. - il guizzo di un sorriso balenò sul viso barbuto di Ettore. - E in giro per molti porti, in seguito. -
Salii a mia volta a sedere sull'argano: Connor era seduto alla mia sinistra, e accanto a lui stava Faith. - Gli uomini che vi accompagnavano ieri sera non si sono preoccupati affatto di portarvi via da lì, quando avete perso conoscenza. - aggiunsi, in tono eloquente.
Connor fece un cenno col capo, socchiudendo gli occhi per un momento. - Ma certo, figurarsi se facevano altrimenti... - mormorò quasi tra sé, prima di rialzare lo sguardo su di me e rispondermi. - Non pensate che fossero miei amici. Ho solo avuto la sfortuna di dovere dei soldi ad alcuni di loro e, giacché non sono riuscito a far fruttare le loro scommesse, sembra che abbiano trovato divertente l'idea di abbandonarmi sul pavimento dell'arena. Non tutti qui a Tortuga sono gentili come voi. -
- Laura, che cosa intendeva il capitano, prima, quando ha detto che la partenza è rimandata?- si intromise Gibbs, con fare spazientito: in un certo senso fui ben contenta di rispondere a lui e sottrarmi ai complimenti infondati di Connor, ma in qualche modo la presenza dell'irlandese -va bene, non lo era, ma mi ero abituata a pensare a lui in questi termini- mi metteva a disagio, e mi sentii impacciata anche solo a tentare di spiegare lo strano comportamento del capitano.
- Purtroppo intendeva dire quello che ha detto, Gibbs. Jack ha parlato con Silehard, col bel risultato che adesso siamo diventati tutti alleati della gilda. -
Dovetti spiegare tutto dall'inizio alla fine, col signor Gibbs che ad ogni parola si faceva sempre più terreo in volto confermando le mie preoccupazioni. Ci furono perfino meno commenti di quanti me ne sarei aspettati: forse in cuor mio avevo sperato in un coro unanime di proteste, che ci portasse tutti quanti a bussare alla cabina di Jack, decisi a farlo ragionare con le buone o con le cattive.
Invece non accadde niente di tutto questo. Will disapprovava apertamente la scelta di Jack, ma era anche sollevato dal fatto che l'accordo non comprendeva né lui, né Elizabeth o la sua ciurma. Faith e Valerie fecero esattamente come Ettore: non dissero niente, ma le facce parlavano per loro.
Per tutto il tempo Connor rimase a guardarci con l'aria di non sapere di cosa stessimo parlando, e dopo un po' mi convinsi che doveva essere del tutto ignaro di questa storia e di quanto le cose si stessero mettendo male a Tortuga.
- Sentitevi liberi di fare quel che vi pare, quindi. - conclusi, con una scrollata di spalle. - Ci siamo appena guadagnati un altro giorno fermi a terra. So che molti uomini della ciurma potranno anche esserne contenti, ma io no. Non mi piace questa storia. Sono contenta che voi ne stiate fuori. - accennai a Will ed Elizabeth, che si guardarono con aria grave.
Elizabeth lanciò una lunga occhiata verso la porta chiusa della cabina. - Spero che sappia quello che sta facendo. - disse infine.
- E' questo il problema. - rispose Will in tono secco. - Non sono sicuro che stavolta lo sappia. -

*

- Mickey, hai un aspetto orribile. -
Sul ponte, Michael sedeva su di una cassa con aria imbambolata: la bocca era piegata all'ingiù in una smorfia triste, ed era stranamente pallido. Alle parole di Faith sembrò ridestarsi di colpo.
- No, no... va tutto bene, davvero. - rispose, ma lo disse in un modo così mogio che riuscì solo a farmi preoccupare di più.
- Michael, vai in infermeria. - rincarai, osservando i due fratelli con occhio critico e accennando col capo alle scale di sottocoperta. Temevo lo scorbuto, fra i quali sintomi c'era anche la malinconia, e l'ultima cosa che volevo era che Michael si ammalasse... specie quando eravamo fermi a terra e si poteva tranquillamente evitare il rischio che mangiasse del cibo guasto.
- No!- protestò lui, infastidito. - E poi Faith ha già abbastanza gente da curare. Figurati se per un po' di mal di pancia... -
- Ah! Allora ce l'hai il mal di pancia, eh?- esclamò Faith, cogliendolo in flagrante. Il ragazzino sospirò, esasperato. - Volete lasciarmi in pace? Avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male, tutto qui. -
La sorella addolcì immediatamente il tono, e gli appoggiò con gentilezza una mano sulla spalla. - Va a riposare, allora, e quando te la senti forse è meglio se cerchi di buttare fuori tutto. - Michael annuì e si alzò dalla cassa per dirigersi sottocoperta: sembrò felice di trovare una scusa per allontanarsi da noi due, dalle nostre preoccupazioni e dai consigli apprensivi di sua sorella. O forse era semplicemente molto stanco.
Mentre i passi di Mickey si perdevano sottocoperta, io non riuscii a trattenere uno sbadiglio: non avevo per niente sonno, ma mi annoiavo.
Il sole stava per tramontare, e al momento era in bilico sull'orizzonte di mare visibile oltre la baia di Tortuga, tondo e rosso come un uomo al tegamino. Come previsto, la ciurma era rimasta un po' spiazzata dalla prospettiva di un'altra intera giornata di libertà a terra, ma nessuno aveva storto il naso: la Perla era quasi deserta, mentre le osterie del porto dovevano essere piene di pirati festaioli. Non avevo nessuna voglia di unirmi a loro. Era come se la terra ferma, e il porto di Tortuga in particolare, da quel mattino mi fosse diventata improvvisamente ostile: non mi sentivo a mio agio se non ero a bordo della Perla. Non mi sentivo più al sicuro.
Jack non si era più fatto vedere per il resto della giornata. Ero passata in cabina giusto per un momento, e lo avevo visto seduto alla tavola degli ufficiali, apparentemente intento a leggere un mucchio di carte ingiallite che aveva sparso su tutto il tavolo. In verità sembrava molto più occupato a svuotare una bottiglia, quindi non mi ero fermata a chiedergli cosa stesse facendo. Non avevo nemmeno molta voglia di parlargli, in verità.
Mi alzai da dove ero seduta e mi stiracchiai voluttuosamente. - Penso che seguirò il suo esempio. -
- Vai a dormire, di già?- Faith mi guardò, sorpresa. - E' presto. -
- Forse riuscirò a tirare fuori il capitano dalla cozza dentro cui si è rinchiuso tutto il giorno, e magari avrà la bontà di spiegarmi cosa diavolo ha in mente. -
- Capisco. - la mia amica rise sommessamente, per poi tornare seria. - Io invece credo che andrò a cercare Connor Donovan. Pensavo fosse sottocoperta, ma sono già un paio d'ore che non lo vedo... devo chiedere se qualcuno ha visto dov'è andato. -
- Cominci già a farti sfuggire i pazienti!- la canzonai, mentre mi avviavo alla porta della cabina.
Come l'aprii, mi accorsi che dentro la sala degli ufficiali era tutto buio: Jack non si era preoccupato di accendere le candele, così che l'unica luce era il bagliore aranciato del tramonto che filtrava attraverso le spesse vetrate, disegnando una griglia di luci ed ombre sul tavolo completamente ricoperto di carte. Jack non era lì.
Mi avvicinai al tavolo, tanto per vedere che cosa lo avesse tenuto occupato tutto il giorno. Appoggiata in cima ad una pila di carte c'era una bottiglia vuota: la presi in mano e la agitai per abitudine, sentendo che non ne era rimasta neppure una goccia. L'odore era buono, sembrava il rum che ci aveva offerto Silehard nella sua cantina: probabilmente si trattava di una delle bottiglie che Jack aveva “requisito” e portato con sé in cabina.
Appoggiai la bottiglia e raccolsi il foglio che vi stava sotto, sul quale era rimasto un anello umido: era una lunga lista scritta in una calligrafia che sembrava quella di Jack. Ne lessi alcune righe, che riuscirono soltanto a confondermi ulteriormente le idee.

“Santo Domingo. Viene accertata la presenza di un gruppo di streghe apparentemente in grado di dominare l'umore del mare: molti capitani si rivolgono sempre a loro prima di mettersi in mare.

Santo Domingo. Lo stesso gruppo di streghe viene cacciato dalla città e perseguitato da alcuni corsari al servizio della chiesa d'Inghilterra. Il capitano della spedizione e molti dei cittadini che hanno avuto contatti con le streghe vengono perseguitati da incubi terribili.

Tortuga. Scoperto un piccolo tempio in disuso sulle scogliere dell'isola. Nessun segno che suggerisca presenza umana da anni. Il tempietto era probabilmente dedicato all'antica dea del mare Calypso.

Santo Domingo. Quasi tutto il gruppo di streghe originario viene catturato. Dodici donne vengono arrestate e poi impiccate su pubblica piazza.”


Abbassai il foglio e lo lasciai sul tavolo, sentendo un vago nodo alla gola. Era la seconda volta che, in un modo o nell'altro, venivano nominate le streghe da quando ero a Tortuga: di qualunque cosa si trattasse, non ero sicura di capire che cosa queste suddette fattucchiere avessero a che fare con noi, né di volere approfondire ulteriormente l'argomento.
Lo sentii arrivare il momento dopo; fu sufficiente sentire il cigolio della porta e seppi che lui era lì, appoggiato contro lo stipite, anche se gli davo le spalle.
Non mi voltai e, quando sentii i suoi passi leggeri sul legno, sorrisi.
- Mi sembri un po' tesa. - sussurrò Jack, venendomi vicino. La sua mano mi carezzò la spalla, scostò con dolcezza una ciocca di capelli e si appoggiò sul mio collo. Inclinai appena il capo, senza voltarmi del tutto verso di lui, come invitandolo a venirmi più vicino.
- Potrei avere più di un motivo per esserla. -
Le labbra di Jack si incresparono in un sorrisetto. - E io sono uno di quei “più di un” motivi?- mosse un passo e fummo faccia a faccia: anche l'altra sua mano mi si appoggiò sul collo. Mi carezzò per un momento, indugiando sulla base della gola, poi intrecciò le mani dietro la mia nuca mentre si chinava su di me, accostando il viso al mio.
- Tu sei quasi sempre uno di quei motivi... - bisbigliai. Sentii il suo fiato sulle mie labbra. L'attimo dopo, le sue mani mi serrarono più forte contro di lui e la sua bocca si chiuse sulla mia; io ricambiai la stretta e mi abbandonai al suo abbraccio, mentre lui prendeva a baciarmi con improvvisa passione. Quando la sua lingua incontrò la mia, per un momento mi sembrò di sentire in bocca un sapore curioso, qualcosa che non era il consueto aroma di rum. In ogni caso me ne dimenticai in fretta, perché quel tentatore aveva lasciato scivolare le mani giù dal mio collo e aveva preso ad accarezzarmi la schiena in modo diabolicamente sensuale, e mi sentii improvvisamente come se il cuore avesse cominciato a pomparmi fuoco liquido nelle vene.
Mi strinse a sé con tanto impeto che dovetti avvolgergli le braccia attorno al collo per reggermi. La sua bocca lasciò per un momento la mia, poi scese a baciarmi sul mento, sulla gola, sul collo, fino ad affondare il viso nella scollatura della mia camicia e sfiorare con la lingua e coi denti la pelle morbida dei miei seni. Ansimai e reclinai il capo all'indietro, assecondandolo. Ad un tratto eravamo finiti in ginocchio, poi Jack mi prese per la vita e mi fece distendere a terra, di schiena sul pavimento di assi.
Subito mi salì sopra con tutto il suo peso; mi baciò di nuovo, mentre con le mani trafficava con la mia cintura senza riuscire a slacciarla. Dal momento che stava cercando di fare tre cose alla volta, prevedibilmente senza riuscire a concludere nemmeno una, dovetti spingerlo indietro con forza e puntellarmi sui gomiti per raddrizzarmi. Lo convinsi a stare fermo giusto il tempo necessario per togliergli la camicia, poi mi si avvinghiò di nuovo, affondando le dita nei miei capelli e schiacciando tutto il suo corpo contro il mio. Rimasi sorpresa quando sentii quanto fosse eccitato.
- Jack... - sibilai contro le sue labbra, a corto di fiato.
- Hmm?- mormorò lui.
- La porta... credo che dovremmo chiuderla... -
Lui emise un brontolio indistinto e continuò a mordicchiare le mie labbra, insinuandosi col bacino tra le mie gambe. Repressi un piccolo gemito, chiudendo gli occhi. Se l'avessi lasciato andare avanti ero certa che avremmo finito per farlo lì, sul pavimento, ed io ero sicura di non avere chiuso la porta a chiave quando ero entrata nella sala degli ufficiali. Me ne ero preoccupata, le altre volte? Non ricordavo. Tuttavia, in quel preciso istante, la paura che potesse entrare qualcuno mi sembrò insopportabile.
- E' proprio così necessario...?-
- Chiudi... la porta. Per favore. -
Jack sospirò tra i denti, roteando gli occhi e indugiando per un lungo istante con la fronte poggiata contro la mia. Poi puntò le braccia a terra e si tirò su lentamente. - Sono subito da te. - mi sussurrò prima di alzarsi; aveva il respiro pesante come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
Si diresse alla porta barcollando e incespicando più del solito; io per qualche attimo rimasi distesa sul pavimento, con gli occhi puntati al soffitto. Mi sentivo le gambe talmente molli che dubitavo che sarei riuscita a rimettermi in piedi, ma dopo qualche istante ci provai lo stesso.
Jack diede due giri di chiave alla serratura, e dopo diede un colpo alla porta tanto per verificare che non si sarebbe aperta; nella semioscurità vidi brillare per un istante il suo sorrisetto soddisfatto, poi lui si voltò di nuovo verso di me. Io mi ero alzata in piedi, appoggiandomi al tavolo perché non ero più tanto sicura della stabilità delle mie gambe: mentre Jack mi guardava, gli sorrisi in modo inequivocabile e mi sfilai la camicia, gettandola sul tavolo insieme a tutte le cianfrusaglie.
Per un attimo le sopracciglia di Jack sparirono sotto la sua bandana, poi lui mi raggiunse in pochi passi decisi e mi prese tra le braccia, spingendomi contro il tavolo.
- Vieni qui... - sussurrò contro il mio orecchio, sollevandomi di peso e mettendomi a sedere sul bordo del tavolo: così facendo rovesciò per terra alcune carte ed una coppa vuota, ma nessuno di noi due se ne preoccupò.
Ridacchiai tra me, mentre affondavo le dita nei suoi capelli e lo baciavo di nuovo. Questo era anche più di quanto avessi immaginato all'inizio.
Quello che seguì causò -prevedibilmente- uno spargimento di carte su tutto il pavimento della cabina, mentre io ero talmente avvinghiata al corpo nudo di Jack da sentire la tensione di ogni muscolo come se fosse mia, con ogni suo respiro affannoso che mi rimbombava nelle orecchie. Certo, il posto che ci eravamo scelti era tutto meno che comodo. Quando concludemmo, tutta la mia schiena stava protestando. Al diavolo, ne era valsa la pena.
- Siamo già stanche?- rise Jack, sottovoce.
Eravamo abbracciati, io ancora seduta sull'orlo del tavolo, le braccia attorno alla sua schiena e la testa sulla sua spalla; lui in piedi, appoggiato contro di me.
- Diciamo solo che non mi aspettavo di usare il tavolo. - mormorai al suo orecchio, senza riuscire ad impedirmi di sorridere. Sentii le spalle di Jack sussultare, poi lui allentò l'abbraccio per girarsi verso di me e rubarmi un bacio a fior di labbra.
- Tesoro, tendi a dimenticare che una delle qualità fondamentali di un buon capitano è... l'inventiva. Comprendi?- replicò, malizioso, mentre quel “comprendi” veniva soffocato da un altro bacio. Fu lui a tirarmi giù dal tavolo praticamente di peso, e non mi si staccò di dosso nemmeno quando, ridendo e barcollando, ci spostammo dalla sala degli ufficiali alla nostra cabina senza preoccuparci di raccogliere i vestiti rimasti sparsi per terra. Ebbi appena il tempo di arrivare vicino al letto che lui mi abbracciò da dietro, allungandosi a baciarmi il collo: peccato che lo fece con tanto slancio che rischiai di cadere per terra un'altra volta. Mi andò bene e ci limitammo a incespicare per un attimo per poi finire sul letto, affondando tra le lenzuola disfatte.
- Ehi, sta attento!- protestai, rigirandomi sul letto.
Jack ridacchiò e si sdraiò voluttuosamente su un fianco, allungando una mano dietro la mia nuca. - Qual è il problema? Non mi sembrava ti dispiacesse ricevere un po' di attenzioni. -
- Non mi dispiace, no. - sogghignai. Per qualche momento, con la mano libera, lui si arricciò pensosamente i baffi mentre mi scrutava con la sua migliore aria da marpione, poi mi prese alla lettera e mi spinse di schiena sul materasso, montandomi prontamente a cavalcioni.
- Ma cosa ti prende stasera?- risi divertita, staccando un poco il mio viso dal suo. Lui mi rivolse uno sguardo in tralice come se non capisse di cosa stessi parlando. - In che senso “cosa” mi prende?- rispose in tono eloquente.
- Insomma... - insistetti, anche se tutta me stessa protestava per l'interruzione. - Di punto in bianco sei su di giri, e... lasciatelo dire, non mi sembra una cosa momentanea. -
- Grazie. -
- Sono seria!-
- Oh, anch'io. - sibilò contro il mio collo, prima di ricominciare a baciarmi. Mi stavo rilassando sotto il suo secondo assalto quando, ad un tratto, voltai la testa sul cuscino e mi trovai a guardare un oggetto insolito: c'era una bottiglia appoggiata a terra, a neanche un passo dal letto. La cosa in sé non sarebbe sembrata strana, ma suddetta bottiglia era lunga e stretta, piena di quello che sembrava un liquido nero.
- ...Jack?-
Molto, molto di malavoglia, Jack sollevò appena il capo dando un minimo segno di avermi sentita. Allungai un braccio giù dal letto -Jack non mi lasciava una gran libertà di movimento- e agguantai la bottiglia sospetta, tirandomela vicino per esaminarla.
- Questa dove l'hai presa?!- domandai in tono molto più severo, agitandogliela davanti alla faccia. Come diavolo avevo fatto a non notarla subito, quando aveva estratto dalla camicia il suo bottino della giornata? - E' una di quelle che hai requisito a Silehard, non è vero?-
Il capitano annuì; intanto, non sembrava affatto intenzionato a togliere le sue mani da dove stavano. - Ci ha così gentilmente offerto libero accesso alla sua cantina... -
- Non dirmi che questo è Kaav!- mi divincolai, stappai la bottiglia e annusai: non c'erano dubbi, l'odore pungente e penetrante era inconfondibile. - Santo cielo, quanto ne hai bevuto?-
- Un bicchiere. - borbottò, in tono annoiato. Io controllai la bottiglia, dove mancava una buona metà del contenuto. - Oh, e va bene, un po' di più. -
- Porca miseria, Jack, ma ascoltavi Silehard quando parlava?! Questo non è rum! E' una di quelle sbobbe che usano nei bordelli... nei bordelli, sai cosa vuol dire?-
- Sì. - rispose lui in tono assolutamente innocente, e stavolta si mise a ridere sul serio mentre io sbuffavo, esasperata, e rimettevo la bottiglia sul pavimento con gesto secco, facendo sobbalzare il liquido all'interno.
- Non hai bisogno di questa roba!- protestai. - E soprattutto, ne hai bevuta troppa. -
Jack sembrò rendersi conto che stavo parlando sul serio e finì per abbassare gli occhi con aria colpevole, mettendosi a cincischiare con un lembo del lenzuolo. Per un po' non seppe che cosa dire, poi risollevò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. - Mh... questo è un... problema, per te?- azzardò, in tono molto allusivo.
- Be', ehm... - tentennai. - No. Ma non sono sicura che bere quella roba ti faccia molto bene, tutto qui. -
- Va bene, va bene, ti prometto che non ne berrò più!- si arrese Jack, ponendo fine alla nostra discussione con una certa fretta.
E, da quel momento in avanti, non ebbi più niente da ridire sull'effetto che il Kaav aveva su di lui.

*

Era buio, e Faith stava ancora passeggiando avanti e indietro lungo il ponte rischiarato dalle lampade, quando sulla passerella comparve la figura di Connor. Portava sulle spalle una sacca da marinaio.
La giovane dapprima sussultò vedendo qualcuno salire a bordo, poi lo riconobbe e si rilassò. O almeno, avrebbe voluto rilassarsi. In verità, senza sapere perché, l'avvicinarsi dell'uomo dalla testa rossiccia le mise addosso una strana ansia, come se non avesse aspettato che quel momento. Ma questo era ridicolo. Qualche ora prima aveva cercato il signor Donovan ovunque e, verificato che non si trovava più a bordo, aveva dato per scontato che avesse alzato i tacchi e si fosse deciso a tornare da dove era venuto: non era più un suo problema.
Allora perché adesso il solo fatto di vederlo arrampicarsi sulla passerella e avviarsi sul ponte, schermandosi gli occhi dalla luce fioca delle lampade, la faceva sentire in qualche modo sollevata?
Non c'era quasi nessun altro in coperta, eccetto lei: qualche pirata si dondolava seduto sulla murata, o beveva in disparte nei pressi del cassero di poppa. Si fece avanti, chiamandolo. - Signor Donovan?-
Quello sembrò riconoscere la sua voce e si girò, e quando la vide le rivolse un sorriso che sembrava quasi di sollievo. - Non ci eravamo accordati per “Connor”?-
Faith non riuscì a non sorridergli di rimando. - Giusto, scusatemi, Connor. Dove eravate? Vi ho cercato prima per sapere se andava tutto bene, ma non sono riuscita a trovarvi. -
- Devo dedurre che vi ho fatta stare in pensiero? Se avessi saputo che mi stavate aspettando mi sarei sbrigato prima. - replicò, venendo avanti fino a che non raggiunse la murata, alla quale si appoggiò, e mise giù il sacco. La cosa buffa era che aveva parlato senza ombra di malizia, nel suo consueto tono bonario e senza cambiare di una virgola la sua espressione; tanto che Faith impiegò qualche attimo ad afferrare tutta la portata di quella frase buttata lì come per caso. Tentennò, presa alla sprovvista.
- Più che altro vorrei sapere perché siete tornato. Una volta tornato a terra, pensavo che ci sareste rimasto. -
- Vedete... Faith... - cominciò Connor, scoccandole un'occhiata come a chiederle se avesse azzeccato il nome, mentre con una mano si arruffava i capelli con aria meditabonda. - Come avrete intuito, purtroppo al momento mi trovo invischiato nelle faccende di amici che non sono poi così bendisposti nei miei confronti. -
- Oggi non li avete definiti “amici”. -
- Va bene. Chiamiamoli colleghi, allora, che ne dite?-
- E si può sapere di cosa vi occupavate, di preciso?-
- Contrabbando. - rispose lui con leggerezza. Al silenzio che seguì, si voltò verso di lei, corrucciandosi. - Che c'è? Ora non ditemi che vi ho scandalizzata; voi servite su una nave pirata!-
- Non sono affatto scandalizzata. - lo rassicurò Faith, quasi ridendo. - Mi stavo solo facendo un'idea di chi potrebbero essere i vostri “colleghi”, se dite di avere lavorato con i contrabbandieri e di avere avuto dei problemi... -
- Lavoro per i Mercanti. E con questo?- ammise, con una scrollata di spalle; Faith si limitò a ricambiare il gesto, e Connor continuò. - Per un bel pezzo me la sono cavata così, col lavoro di contrabbando... e arrotondando con le scommesse all'arena. -
- Mi pareva che non fosse la prima volta che tiravate di boxe. - scherzò lei.
- Infatti. Di solito me la cavo anche bene, ma, come avete visto... Ecco, diciamo che ho combinato dei guai ai Mercanti, e loro non l'hanno presa affatto bene. Hanno voluto che li ripagassi con gli interessi e, quando non ce l'ho fatta a restituire tutto, mi hanno trascinato all'arena sperando di farmi tirare su qualche scommessa... o di farmele suonare in caso contrario. - fece una smorfia, non si capiva se addolorata o divertita. - Hanno avuto quello che volevano. -
- Allora cosa siete andato a fare in città, oggi?- insistette lei. Il viso di Connor fu di nuovo attraversato da qualcosa di simile ad un'ombra di turbamento, e per un lungo istante lui non aprì bocca; alla fine si decise a stringersi nelle spalle e rispondere semplicemente: - Più o meno, a chiedere perdono. -
- Perdono per essere sopravvissuto?- rincarò Faith, pungente. Questo lo fece quasi ridere, e i suoi occhi grandi lampeggiarono per un momento nella sua direzione, facendola sentire per un momento fin troppo esposta.
- Una cosa del genere. Perdono per essere sopravvissuto. - stirò le labbra in un sorriso, scuotendo il capo. - Non erano molto contenti, ecco tutto. Diciamo che ho pensato che fosse meglio mettere le mani avanti... evitare che qualcuno dei Mercanti mi vedesse qui e decidesse di finire il lavoro. Ho detto che avevo imparato la lezione, e ho pregato cortesemente di non accopparmi. Mi sono preso la libertà di riferire che sto con voi, adesso. -
Per cinque secondi netti Faith restò ammutolita, sbattendo le palpebre senza capire. - ...Scusatemi?-
- Che sto qui a bordo. Con voi della ciurma, no? Sulla nave. - Connor accennò con la mano al ponte su cui si trovavano, per terminare indicando il sacco che doveva contenere i suoi averi, forse i suoi abiti di ricambio. - Penso che mi lasceranno in pace finché io onorerò la mia promessa di ripagare i miei debiti. Spero che a voi non dispiaccia, sapete... lo so che ancora non sono ufficialmente parte della ciurma, ma è stato proprio il vostro capitano ad offrirmi di restare a bordo, se vi ricordate. Io l'ho preso in parola; spero non sia un problema. -
- Oh... no, no!- esclamò lei, riscuotendosi. - Certo che non è un problema... insomma, dobbiamo chiedere a Jack e a Laura, sì, ma... avete fatto bene a dire che siete nella ciurma. Sono contenta che abbiate risolto i vostri guai. -
Di nuovo il suo sorriso senza età, e uno scintillio in fondo a quegli occhi scuri. - Già... anch'io mi sento piuttosto sollevato. - Connor si staccò dalla murata e si voltò per essere faccia a faccia con Faith. - Devo riconoscere che, più che al vostro capitano, devo la vita a voi. Vi ringrazio. Non avete idea di quanto il vostro aiuto sia stato provvidenziale, sul serio. -
La sua mano era tra quelle di Connor, che la stringevano con gratitudine. Questo non aveva affatto senso: perché c'era la sua mano tra quelle di Connor? Quando c'era arrivata? Peggio ancora, dopo averla stretta, l'uomo si portò la mano di lei alle labbra e vi stampò un rapido bacio: un gesto per niente affettato o forzato, ma spontaneo in modo quasi disarmante. Faith lasciò ricadere la mano, allibita: per lei, certe dimostrazioni di galanteria ormai erano così fuori luogo che... che non riusciva a non esserne lusingata, stranamente.
- Non... c'è niente da ringraziare, Connor. - fu tutto quello che riuscì a rispondere, titubante. Senza aggiungere altro lo lasciò sul ponte e se ne andò sottocoperta, imponendosi di calmare la tempesta di pensieri che le si era scatenata nella mente.

*

Doveva ormai essere tardi.
Molto tardi. Così tardi da essere quasi presto.
Si mosse lentamente, stiracchiandosi. Laura dormiva profondamente, raggomitolata tra le lenzuola come un gatto; Jack, accanto a lei, ancora non dormiva. Si spostò piano, stringendo le braccia attorno alla vita di lei e appoggiò il capo contro la sua schiena nuda; i suoi capelli gli facevano il solletico sotto la guancia. Stava bene. Decisamente bene. Forse anche troppo bene.
Quella roba che aveva bevuto era veramente forte, certo, ma non capiva perché Laura lo avesse rimproverato così tanto per un semplice... esperimento. Certe cose valevano la pena di essere provate... e anche lei, ora come ora, sembrava avere gradito, aggiunse tra sé con un sorrisetto.
In effetti, era un peccato che dormisse.
E se l'avesse svegliata? Ci pensò sopra, lasciando sprofondare la testa nel cuscino, e sentendo ribollire nel profondo di sé un languore non ancora del tutto soddisfatto. Si sarebbe seccata, probabile. Ma poi, forse, dato che era sveglia...
“Datti una calmata, vecchio sporcaccione, non puoi pretendere più di tanto!” si disse, ridendo sotto i baffi, anche se buona parte del suo corpo non era ancora del tutto d'accordo. Chiuse gli occhi e si rilassò, mentre sentiva pian piano la mente annebbiarsi, mentre ogni rumore si riduce al suo respiro, quello di lei, al pulsare del sangue nelle sue vene... poco a poco scivolò in uno stato di dormiveglia: immagini confuse cominciarono ad affollarglisi dietro le palpebre, e ad un tratto, come proveniente da un pozzo profondo, sentì di nuovo risuonare quella voce.
Era la stessa voce gracchiante che gli aveva parlato nei suoi precedenti incubi, non c'erano dubbi. Solo che stavolta gli giungeva solo un borbottio confuso, nel quale non riusciva a distinguere una sola parola.
L'immagine dell'Isla de Muerta si formò nella sua mente, ma stavolta gli sembrava di vedere tutto in modo più distante, distaccato. Strizzò gli occhi e l'immagine sparì come se fosse stata inghiottita dalla nebbia.
C'era di nuovo quella presenza insieme a lui, la sentiva, come un uccellaccio del malaugurio che gli piantasse i suoi artigli nella spalla, sussurrandogli all'orecchio parole che non riusciva a capire, dandogli ordini ai quali non voleva obbedire.
Una mano insanguinata che lasciava cadere due dobloni d'oro in un forziere di pietra.
“Va via.”
Una moltitudine di facce, una dopo l'altra, troppo rapide perché potesse riconoscerle. Come se stesse precipitando dentro la sua stessa testa. O come se qualcuno stesse scartabellando i suoi ricordi, in tutta fretta.
“Va via.”
C'era qualcosa di diverso, ora. L'uccello del malaugurio perdeva la presa sulla sua spalla; le sue parole si facevano lontane. Jack non era del tutto assorbito nel sogno: il suo corpo era ancora sveglio... forse anche un tantino troppo sveglio, ed era più che consapevole del tepore reale e terribilmente invitante della donna stesa accanto a lui. Ad un certo livello era ancora cosciente di dov'era realmente e di cosa invece erano le immagini che gli affioravano alla mente, come ricordi che riemergevano disordinatamente.
Era la baia dei Relitti quella che gli sembrava di scorgere adesso?
Strinse di nuovo le palpebre. Un respiro, un battito di cuore continuo. Quello era reale. La voce invece no.
Quella emise una lontana esclamazione di sorpresa, prima di spegnersi del tutto.
“Va via!” aprì gli occhi, sfuggendo al sogno con facilità, tornando alla solidità del letto e al calore invitante del corpo di Laura, che lo avevano tenuto legato alla realtà. Per qualche momento rimase a battere le palpebre nel buio, cercando di capire che cosa fosse appena successo. Aveva avuto la meglio sull'incubo!
Si concesse di sentirsi trionfante giusto qualche istante, poi tornò a rimuginare sull'accaduto: di qualunque cosa si trattasse, sapeva che non gli avrebbe dato tregua tanto facilmente. Eppure... eppure... per una volta sola, era riuscito a tenerla fuori dalla sua testa.
Nel silenzio, Laura fece un lento respiro profondo, continuando a dormire: Jack si rilassò e, quasi inconsapevolmente, le si strinse un po' di più.
Certo che, se solo fosse stata sveglia...



Note dell'autrice:
Ultimamente le acque sono fin troppo calme da queste parti, non trovate? Anche gli ultimi capitoli si stanno facendo avanti molto, molto lentamente. (chissà che questo capitolo non capiti giusto giusto per riscaldare l'atmosfera...) Innanzitutto, un sincero benvenuto e un grazie ad eltanin12: grazie per la costanza e la pazienza dimostrata nel recuperare gli episodi precedenti della saga per arrivare fino a qui! E, credimi, sentirsi dire che i propri personaggi funzionano proprio come li si desiderava è un GRANDE complimento. Perciò, grazie ancora. Fannysparrow, per soddisfare la tua curiosità, confesso che il sopracitato "irlandese" lo immagino con le fattezze del pregevole Robert Downey Jr, opportunamente ritoccato per adattarsi allo stile dei film di POTC. Jack geloso? Hmmm... per il momento dico solo che io, autrice, mi limito a ghignare maligna in disparte!
Wind in your sails.

  
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