Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: miseichan    20/03/2011    18 recensioni
“E’ un pervertito, agente. Lo sbatta in galera, mi faccia questa cortesia.”
“Giovane, come ti chiami?”
“Matteo Fiori.”
“E lei signorina?”
“Veronica Cristina Sandra Merogliesi.”
“Sei un pervertito, giovane?”
“No, agente.”
“Tu sei un pervertito e lo sai benissimo.”
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Tutto fuorché uno sbaglio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Bugie bianche

                                                                                                

     ≈ Solo una notte ≈

 

 

 

 

 

“Solo stanotte?” mormorò Veronica, il fiato corto.
Matteo annuì, avvicinandosi ancora di un passo: “Una notte…” sussurrò in prossimità dell’orecchio di lei “… già domani cerco un altro posto dove stare.”
E Veronica ringhiò.
“Sei uno stronzo!” sbottò, spintonandolo con forza. Cercò di allontanarlo, il cuore fermo in gola, le mani che premevano sul petto di lui senza tuttavia riuscire a spostarlo di un millimetro.
Matteo spalancò gli occhi fingendo sorpresa, per niente scalfito dalle spinte di lei.
“Cosa… che ho fatto?” domandò, un sorriso che gli si allargava in volto “Mi sono espresso male? Cosa avevi capito, sentiamo? Hai pensato a male, ammettilo.” ridacchiò, annullando quasi del tutto lo spazio che li divideva.
“Vai a quel paese!” sbraitò Veronica, rossa in volto. 
Non riusciva più a pensare coerentemente,  improperi e maledizioni che le si accavallavano nella testa. E tutto per colpa di quel…
“Mi ci hanno mandato tante volte ma non sono mai giunto a destinazione.”
E i colpi si fermarono. Così come le grida. Così come ogni cosa.
Veronica si bloccò, le mani ancorate alle spalle di Matteo, il respiro sempre più affaticato.
“Non c’è problema.” mormorò, smettendo di agitarsi “Se vuoi ti ci accompagno io.”
Sorrise appena, incrociando lo sguardo sorpreso del ragazzo. Si alzò sulle punte dei piedi, facendo sì di annullare almeno in parte la differenza di altezza fra di loro. E prese un bel respiro. Vide Matteo chiudere gli occhi e piegarsi verso di lei, un’espressione pacifica sul volto. E Veronica sogghignò, sgusciando rapida fuori dalla stretta non voluta e da quell’ascensore improvvisamente troppo caldo.
“Lo vedi?” gli chiese, avviandosi verso la porta dell’appartamento “Non mi ascolti mai. Ti sembrava forse che il mio fosse un amorevole invito a socializzare ancora?”
“Piccola vipera.” soffiò Matteo, fermandosi dietro di lei. Veronica aveva già infilato le chiavi nella toppa, quando una mano si strinse attorno alla sua, bloccandola.
“Non farlo più.” borbottò il ragazzo “Non giocare così con me.” 
“Lo hai fatto prima tu.”
“Non credevo di riuscirci.” sospirò lui, allontanando la mano dalla sua.
“Nemmeno io.” ribatté Veronica, la voce piatta, aprendo finalmente la porta ed invitandolo con un cenno ad entrare. Matteo ciondolò sull’uscio solo qualche istante, poi ubbidì, gli occhi scuri fissi sul parquet: “Sicura che ci sia spazio?” domandò a voce bassa.
Veronica sospirò, appendendo le chiavi al lato della porta: “Sì, non preoccuparti.”
“Okay.”
Matteo si tolse la giacca, poggiandola con attenzione sul divano più vicino. 
Era strano: assurdo, quasi, che non si sentisse alcun rumore. 
“Non c’è nessuno?” chiese inquieto “Siamo soli?”
Si voltò dopo qualche istante, innervosito dalla mancata risposta e con sgomento si accorse dell’assenza di Veronica. Fece per chiamarla, irritato, ma la voce non voleva saperne di uscire. Storse le labbra, procurandosi unicamente una fitta di dolore improvvisa.
“E le tue cose?”
Trasalì, cercando il punto da cui proveniva la voce. Fu Veronica ad aiutarlo, muovendo qualche passo fuori dalla cucina. Lo squadrava, l’espressione interrogativa.
“Che fine avevi fatto?” balbettò Matteo, lasciandosi cadere sulla poltrona.
Lei non rispose, incrociando le braccia sul petto e continuando a scrutarlo con aspettativa.
“Poco e niente.” mormorò il ragazzo, stropicciandosi gli occhi con le dita “Ho poco e niente. E ho lasciato tutto in un posto. Credevo di poter restare lì ma…” sospirò, scuotendo il capo.
“Puntini sospensivi.” borbottò Veronica “Facci caso: le nostre conversazioni si concludono sempre o con un punto e virgola o con i puntini sospensivi.”
“Non che ne abbiamo avute poi tante di conversazioni.”
Veronica si strinse nelle spalle, sfilandosi le pantofole dai piedi e restando a piedi scalzi. Si avviò per il corridoio, superando Matteo e facendogli cenno di seguirla. Lui lo fece, in silenzio, mantenendo una certa distanza fra di loro. Si fermarono a metà strada.
“La camera di Michele.” sussurrò Veronica, indicandogli la prima porta sulla sinistra “La mia,” continuò, accennando alla seconda “e quella di Cinzia.” concluse, mostrandogli la terza.
Prese un bel respiro, mal celando un sorriso istintivo: “Dovresti ricordarla bene.” mormorò, senza dargli modo di rispondere e passando ad elencare le porte alla loro destra.
“Nella prima abbiamo sistemato Simone. Le altre sono libere.” si strinse nelle spalle, allontanandosi appena “Liberissimo. Puoi prenderne una tutta per te, dividerne una con Simone, impiccarti… mi è del tutto indifferente, ti assicuro.”
Matteo annuì, le dita infilate nei passanti del jeans.
“Ti serve altro?” gli domandò Veronica, nascondendo uno sbadiglio con la mano.
“No.” rispose Matteo, cercando invano di comprendere l’espressione di lei “Grazie.”
Veronica dischiuse le labbra, in contemporanea con l’aprirsi di una porta di fianco a loro. Si voltarono insieme, fissando la figura che si delineava nella luce. Un’unica, indefinita, macchia scarlatta.
“Oh!” esclamò Simone, le dita che smettevano di giocherellare con le grandi cuffie che aveva attorno al collo “Avevo sentito dei rumori, ma non ero sicuro.” mugugnò, incerto “Volevo solo controllare, scusate se vi ho interrotti.”
Veronica sorrise, scuotendo la testa con noncuranza: “Non è niente, Simo.”
Il ragazzo annuì, alternando lo sguardo fra i due e fermandolo alla fine su Matteo. 
L’espressione spaurita venne prontamente sostituita da un sorriso sollevato: “Che bello vederti, Matt.” sospirò, allungando una mano che venne subito stretta dall’altro in una presa amichevole.
“Già ti mancavo?” ridacchiò Matteo, leggermente teso.
Simone annuì cauto, accennando con il capo alla stanza dietro di sé: “Ti va di… ?”
Veronica li osservò: studiò lo scambio di sguardi, chiedendosi quante parole fossero state pronunciate senza bisogno della voce e sorrise, quasi soddisfatta di averli riuniti. Stavano così bene insieme… e se fossero stati gay lei avrebbe avuto sicuramente parecchi problemi in meno.
“Certo.” approvò alla fine di un discorso inesistente Matteo “Ti raggiungo fra poco.”
Simone annuì, rimettendosi le cuffie: “Buona notte.” li salutò, rientrando in camera e chiudendo la porta. Veronica non si mosse, fissando stancamente l’uscio chiuso. Era ora di andare a dormire.
“Quindi tutto bene.” mormorò, reprimendo un nuovo sbadiglio.
Matteo annuì, aggrottando al contempo la fronte: “Ci sono anche gli altri, allora.” 
Veronica si guardò attorno, annuendo senza capire:
“Perché non avrebbero dovuto esserci?” chiese interdetta.
“Perché c’è troppo silenzio!” esclamò Matteo, irrequieto. Allargò le braccia, alzando gli occhi al cielo: “Mi spieghi com’è possibile? O cosa diavolo succede in questa casa?”
Veronica stese le labbra in un ultimo, stanco sorriso: “Lo capirai da te. E’ questione di abitudine.”
Il ragazzo inarcò le sopracciglia, esasperato: “Abitudine a cosa?” 
“‘notte Teo.” ridacchiò lei, dandogli le spalle e agitando appena la mano nella sua direzione “Dormi bene.” sussurrò, chiudendosi in camera senza far rumore.  
E sempre in silenzio si buttò sul letto, abbracciando convulsamente il cuscino. Che andasse al diavolo. Lui e quel suo dannatissimo profumo.
Cercò di calmarsi: respiri profondi, lenti, ponderati. Sorrise fra se e se, chiedendosi per quale motivo quella tecnica che non aveva mai funzionato fino a quel momento avrebbe dovuto funzionare proprio ora. Gemette, rigirandosi più volte senza trovare una posizione che la soddisfacesse.
E fu fra un lamento e l’altro che sentì quei rumori. Sospetti, inappropriati. Rumori che non avrebbe dovuto sentire. Allontanò il cuscino, mettendosi a sedere e decise di andare a controllare prima ancora di rendersene conto.
Sgusciò fuori dalla stanza, percorrendo il corridoio in pochi rapidi passi. L’aveva vista subito la luce: fioca ma sufficiente ad attirarla in cucina. Individuò il frigorifero aperto e scosse la testa, sbuffando in modo impercettibile mentre si appoggiava allo stipite della porta. Signore, aveva bisogno di forza.
Osservò la figura di Matteo mettersi in ginocchio e aprire il congelatore, il frigorifero ancora aperto. Forza. Forza e pazienza.
Inarcò un sopracciglio mentre il ragazzo infilava il capo all’interno del freezer, cercando qualcosa con assiduità. La ricerca sembrò avere scarsi risultati: Matteo mugugnò qualcosa, facendo per alzarsi in piedi; e nel farlo sbatté la testa contro l’anta sempre aperta del frigo. 
Veronica sentì le imprecazioni soffocate che seguirono e strinse le labbra, tentando con ardore di non scoppiare a ridere. Non sarebbe stato carino: infierire su un povero fanciullo già acciaccato di per sé; avrebbe influito negativamente sul suo karma, si disse. 
Eppure la risata eruppe: improvvisa, fragrante e intrattenibile. Matteo sgranò gli occhi, fissandola con risentimento: “Ragazzina,” soffiò, carezzandosi il punto contuso “che hai tanto da ridere?”
Veronica scosse la testa, non trovando le parole ma solo altre risatine convulse.
“Il ghiaccio.” ringhiò Matteo, incrociando le braccia al petto “Mi serve del ghiaccio.”
“Ghiaccio.” approvò lei, avvicinandosi, il viso arrossato “… non abbiamo del ghiaccio.”
“Com’è possibile?!” s’intestardì il ragazzo, una smorfia di dolore a contrargli il volto.
“Mickey.” spiegò lei, stringendosi nelle spalle e riprendendo fiato “Gli piace masticarlo.”
“E lo ha masticato tutto?”
“Lo ha finito oggi.” sorrise Veronica “Davanti alla tv.”
Matteo alzò gli occhi al cielo, esasperato: “Mi si sta gonfiando.” borbottò, la voce che gli usciva a stento. Veronica inarcò un sopracciglio, l’espressione di nuovo seria: “Come?” chiese, la luce del congelatore a colorarle il viso bizzarramente. 
“Il labbro, Ronnie.” sorrise malizioso lui, rilassando le spalle “Pulsa in maniera spaventosa: ci vuole del ghiaccio o domattina sarà inguardabile.”
E lei annuì, distogliendo poco dopo gli occhi da quelli di Matteo: rimise la testa nel freezer, le mani che si muovevano esperte e decise. Ne uscì una manciata di secondi dopo, chiudendo l’anta con un piccolo tonfo. Allungò la mano piena nella sua direzione e sorrise, ironica e altezzosa: “Piselli congelati.” sussurrò, un ghigno sulle labbra “Vanno bene lo stesso?”
“Sono sicuro di sì.” sorrise Matteo, afferrando il pacchetto colorato e portandoselo alla bocca. Lo poggiò sul labbro, mentre una smorfia rubava il posto al  sorriso.
“Cosa c’è lì fuori?”
Veronica seguì lo sguardo di Matteo, superando la cucina e guardando fuori dalla finestra:
“Il terrazzo.” rispose poi, stringendosi nelle spalle.
Annuirono entrambi, non sapendo bene cosa fare. Persi, decisamente smarriti.
“Usciamo?”
E lei smise di annuire. “Come?”
Matteo non aveva smesso, anzi, accentuò il movimento del capo: “Sul terrazzo.” mormorò, deciso.
“Siamo in Dicembre.” balbettò Veronica, scuotendo la testa.
“Lo so.”
“Ci saranno sì e no dodici gradi, lì fuori.” continuò la biondina, incredula.
“Anche di meno.” concordò lui, muovendo appena il pacco di piselli sulla bocca.
E Veronica non trovò più niente da ribattere.
“Aspetta.” disse, sparendo in direzione del salotto. 
Matteo sospirò, chiudendo gli occhi per qualche istante. Non si aspettava di vederla tornare: non per uscire in terrazzo. Con lui. A Dicembre e con meno di dodici gradi. 
No e basta.
“Eccomi.”
Sussultò, spalancando gli occhi. Li fissò sulla figura che era appena riapparsa: bloccato su di lei, lei che sorrideva, una coperta di pile stretta fra le mani e un cappello calcato in testa.
Continuò a guardarla mentre attraversava la cucina e poi la seguì, fuori. Rabbrividì quando una folata di vento lo colpì in pieno.
“E tu che volevi il ghiaccio.” ridacchiò Veronica, afferrandolo per un braccio e tirandolo verso di sé. Non si vedeva granché: la luna era nascosta da cupe nuvole nere, così come le stelle, già rare da trovarsi. Solo le luci della città sotto di loro, evanescenti e rarefatte, rischiaravano lo spazio circostante. Matteo si lasciò trascinare, sedendosi al suo fianco, la schiena poggiata al muro più vicino. Non si mosse, non proferì parola, a stento respirò: aspettò che Veronica stendesse la coperta su entrambi, rimboccandola con cura. Quindi riprese aria.
“E’ bellissimo.” mormorò.
“Se lo dici tu.” rispose lei, stringendosi nelle spalle, le mani fra le gambe per avere un po’ di calore.
Matteo socchiuse gli occhi, reclinando il capo all’indietro. Cosa, cosa sbagliava con quella ragazza?
“Veronica.” sussurrò “Veronica e poi?”
“Merogliesi.” disse lei, annullando del tutto la distanza fra i loro corpi “Troppo freddo.” borbottò, a mo’ di spiegazione, ignorando lo sguardo di lui.
“Merogliesi come i Merogliesi delle pompe funebri?” chiese Matteo “Merogliesi il miliardario?”
“Mio padre.”
Matteo annuì, chiudendo finalmente gli occhi: “Così almeno si spiega l’appartamento.”
“Troppo grande?.” s’informò Veronica, curiosa.
“Troppo grande, bello, costoso. Troppo tutto. Troppo troppo.”
Ci volle qualche secondo, riempito solamente dai tenui rumori della strada, prima che lei sussurrasse: “Il fatto che mio padre abbia i soldi,” cominciò, poggiando indolente il capo sulla spalla di Matteo “il fatto che lui sia pieno di soldi, non significa per forza che debba esserlo anch’io.”
“Hai appena affermato un controsenso.” ribatté Matteo, allontanando i piselli dal labbro.
“Potrei anche non avere un buon rapporto con lui.”
“In tal caso non si spiegherebbe l’appartamento.”
Veronica prese un bel respiro, chiudendo gli occhi a sua volta:
“Non potrebbe essere che Cinzia o Michele siano ricchi?” chiese, la voce impastata.
“Non direi.” rispose Matteo, il sorriso nella voce “Più che altro, mi sembra improbabile. Per quanto lei possa essere una brava escort e per quanto lui… cosa farebbe il topo?”
“Smettila.” soffiò Veronica, il tono duro “Non devi fare così.” lo riprese, irritata, sollevandosi per guardarlo negli occhi “Non puoi permetterti di criticare persone che non conosci. Sono i miei migliori amici, Matteo. Le persone a cui tengo di più e non riesco a sopportare che qualcuno le insulti, anche solo velatamente.”
Matteo fece per alzare le mani in segno di scuse, uno sguardo contrito ad illuminargli gli occhi, ma lei non gli diede il tempo di aprire bocca, riprendendo subito e con maggiore decisione:
“Non sai niente di loro.” sibilò, lo sguardo truce “E quando non si conosce il passato di qualcuno è una terribile sconsideratezza azzardare giudizi. Soprattutto in mia presenza.”
“Scusami.” riuscì finalmente a sussurrare lui, poggiandole le mani sulle braccia “Davvero, scusami. Non intendevo offendere nessuno. E’… è la stanchezza, Ronnie, mi dispiace.”
Veronica annuì, placandosi di colpo. Merito forse del tocco di Matteo, o del suono che aveva il suo nuovo soprannome sulle labbra del ragazzo. Qualunque cosa fosse, ebbe il potere di farla annuire, un mezzo sorriso sulla bocca. Tornò ad appoggiarsi a lui, la testa che trovava di nuovo un posto perfetto nell’incavo della sua spalla. Avrebbe chiuso lì la conversazione, ma come sempre, niente va mai come dovrebbe andare. 
“La pantera?” chiese, senza spostarsi di un millimetro “E’ vero che è Bagheera?”
“Simone.” sospirò Matteo, il petto che sussultava scosso da una tenue risatina “La rana dalla bocca larga, lo chiamo io. Non gli si può dire niente che la notizia vola.”
“Bagheera?”
“Ti sconsiglio vivamente di rivelargli un segreto.”
“Bagheera?”
“Farà una brutta fine, prima o poi, Pel di Carota.”
“Bagheera?”
“Bagheera.” si arrese Matteo, poggiando a sua volta il capo su quello di Veronica.
“Come mai?”
“Storia vecchia.”
“Ho tempo.”
“Non è il caso.” borbottò lui, scuotendo la testa “Risale alla mia infanzia.”
“Ho tempo.”
“Io però non ho voglia.”
Veronica aprì appena un po’ gli occhi, lasciando perdere, conscia di non dover tirare troppo la corda.
“Non mi dici mai niente.” si lamentò, dimentica del pensiero di pochi istanti prima.
“Nemmeno tu.”
“Ad esempio?” chiesero in contemporaneo, guardandosi negli occhi con aria di sfida.
“L’occhio, il labbro, lo sfratto, Bagheera.” elencò lei, contando anche sulle dita.
“L’alfiere, la regina di cuori, le pompe funebri, i tuoi amici.” le fece il verso Matteo.
E rimasero tutti e due in silenzio, senza parole.
Non era facile, non quando i punti deboli e più delicati venivano esposti così: senza preavviso, di notte, quando la distanza era troppo poca e i respiri accavallati non facevano altro che confondere le idee. Forse era il freddo, o il buio. Forse era il profumo di vaniglia, oppure l’assenza di fumo…
“Tregua?”
“Un punto e virgola?”
Si fissarono, le labbra livide chi per il freddo e chi per altre, ignote, motivazioni.
“Andata.” sussurro impercettibile.
Tornarono ad acquietarsi, calmi in modo quasi improbabile.
“Sai una cosa, Teo?” chiese Veronica, accucciandosi contro il suo petto.
“Cosa?”
“Ho sempre pensato che mancasse una cosa, qui fuori.”
Matteo aspettò. Attese che continuasse, rimboccando nel frattempo le coperte su di lei. Le tirò fino al collo, strusciandoci poi sotto. Sospirò, avvolgendola con un braccio e chiudendo gli occhi.
“Una doccia.” sussurrò Veronica, seria.
“Sul terrazzo?” chiese Matteo, il sonno ad impastargli la voce.
“Già, una doccia.” approvò lei “Hai idea di come sarebbe carino?”
“Fare la doccia qui fuori?” borbottò il ragazzo, pensieroso.
“Sì.”
Matteo sorrise, un’immagine che gli si proponeva nella mente.
“Hai ragione.” disse “Si può fare.”
“Dici?” sorrise lei, reprimendo uno sbadiglio.
“Certo.”
Veronica non disse niente, gli occhi che le si chiudevano. Ma non poteva dormire ancora: sapeva che non era finita. Mancava qualcosa…
Mancava una battuta.
“E’ implicito che la inaugureremo insieme, eh, Ronnie?”
Ecco, si compiacque lei.
Era finita.

 

*

 

 

“Veronica.”
Era stato un sussurro, niente di più.
Non il primo, nemmeno il decimo: era il ventiduesimo. 
Matteo sospirò, dandole un colpetto con il gomito: aveva messo da parte la gentilezza, sperando così di ottenere una qualche reazione. Niente da fare.
Grugnì, poggiandole il palmo della mano su un fianco: la pizzicò, le fece il solletico. Nessuna reazione.
Gemette, reclinando il capo all’indietro e chiudendo gli occhi. Ancora poco e avrebbe cominciato ad urlare. Si inumidì le labbra, irrigidendosi maggiormente per il dolore che si procurò, ma era nulla in confronto al terrore che lo attanagliava in quel momento. Cercò di distrarsi, immobile; e ci stava anche riuscendo, quando quel suono pacato cominciò a diffondersi nella casa.
La prima cosa che vide furono i piedi, scalzi, con le unghie dipinte di rosso. Subito dopo poté godere della visione del corpo della ragazza, coperto unicamente da un aderente completo intimo.
“Sono le sette.”
“L’ho scelto io.”
Si zittirono entrambi, guardandosi perplessi.
Cinzia inarcò un sopracciglio, reprimendo uno sbadiglio. Si aggiustò i capelli, tranquilla e riposata.
Matteo assottigliò lo sguardo, cercando di non guardare altro che il viso di lei.
“Dormito bene?” domandò Cinzia, piegando il capo per osservare meglio la scena.
“Benissimo.” confermò lui, un briciolo di esasperazione nella voce “Non si sveglia.”
“Che hai detto prima?”
“Che l’ho scelto io.”
“Cosa?”
“Il completino che indossi.” ghignò Matteo, concedendosi una lunga occhiata all’indumento.
“Sei un porco.” sibilò lei, trattenendo un sorriso “Un porco con un ottimo gusto.”
“Ti ringrazio.”
“Sono le sette.” sospirò Cinzia, dandogli le spalle “In piedi, pigroni!”
“Cinzia!” chiamò Matteo, alzando la voce “Non si sveglia, Cinzia!”
La ragazza, sparita nella cucina, si affacciò appena, l’espressione scocciata:
“Soffia sul collo.”
Il giovane aprì la bocca per dire qualcosa, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Si voltò verso la biondina, fissandole sconcertato il collo: doveva soffiare? Cinzia gli passò di nuovo affianco, una fetta biscottata in una mano e un bicchiere di aranciata nell’altra:
“Che aspetti?”
Matteo la fulminò con lo sguardo, stringendo i denti.
“Devo soffiare?!”
“Neanche i cannoni la svegliano, altrimenti.” annuì la ragazza, convinta.
“Ho notato.” borbottò Matteo, incenerendo entrambe “Perché non soffi tu?”
“Non ho dormito io con lei.” affermò Cinzia con ovvietà, incamminandosi verso il bagno “Per ben due volte.” aggiunse, chiudendosi la porta alle spalle.
“Non abbiamo dormito insieme.” sbottò il ragazzo, gemendo per l’inutilità delle proprie parole.
Chiudendo gli occhi, conscio di non poter fare altrimenti, si piegò verso Veronica. Avvicinò la bocca al collo di lei, il cervello che, impazzito, gli mandava immagini confuse di vampiri e gesti impulsivi.
Soffiò, delicatamente, poco sotto l’orecchio di lei. E quel soffio leggero riuscì in ciò che non avevano fatto estenuanti richiami, pizzichi, solletico e calci ben assestati. Veronica sorrise, mugolando suoni incomprensibili. Si strinse maggiormente a Matteo, sistemandosi meglio: le gambe aggrovigliate con le sue, il volto nascosto sulla spalla di lui e un braccio a circondargli il petto.
“Ronnie.” sussurrò Matteo, cercando con tutte le sue forze di ignorare il corpo della ragazza. E Veronica spalancò gli occhi, fissandolo come se avesse appena annunciato l’imminente fine del mondo. Schiuse le labbra, realizzando poco alla volta la posizione compromettente in cui si trovava.
Liberò il giovane dall’abbraccio, tentando inutilmente di mettere più spazio fra di loro.
“Siamo sul divano.” biascicò incredula “Insieme.”
“Sì.”
“Perché siamo sul divano?”
“E’ quello che ci chiedevamo tutti, ti assicuro.” ghignò Michele, accecandoli con un flash sospetto.
Veronica serrò gli occhi, cercando con difficoltà di liberare le gambe dal groviglio in cui erano. E fu uno squittio a farglieli riaprire di scatto: Michele allontanò la macchina fotografica e sorrise ancor di più, avvicinandosi di un passo al divano. Ridacchiò, scuotendo piano il capo:
“Ecco dov’era finito.” esclamò estasiato “Vado a preparargli la colazione.” mormorò, sbadigliando.
“Cos’è?” piagnucolò Matteo, accennando all’animale con espressione sofferente.
“Perché siamo sul divano?”
“Cos’è?!”
“Il divano?!”
Matteo sospirò, raccogliendo le forze. Non aveva speranze di vincere con lei.
“Ti sei addormentata mentre eravamo fuori.” spiegò “Così ti ho portata dentro.”
“Sul divano.” s’insospettì lei “Perché non il letto?”
“Era più vicino.”
“E perché tu sei qui?”
“Non lo so!” esclamò il ragazzo, sconsolato “Non lo so, davvero. Mi sono svegliato qui, con te che mi stringevi neanche fossi il tuo orsetto di peluche e quell’essere ai piedi!” si sollevò sui gomiti, riducendo lo spazio che li divideva “Mi dici che cos’è, per favore?” soffiò, fissandola negli occhi.
“Mouse.” balbettò Veronica “E’ Mouse.”
“Chi… cos’è Mouse?”
“Il mio topolino.” rispose candidamente Michele, sedendosi sul pavimento a gambe incrociate, una tazza di latte e cereali in mano “Gli ho preparato la colazione, fra un po’ se ne va, tranquillo.”
“Il tuo topo?” sbottò Matteo “Quello non è un topo!”
Guardò l’animale: una massa soffice di pelo bianco e nero, enorme, grande quanto il suo pugno senza contare le orecchie che erano due antenne satellitari. Lo aveva fissato per quasi venti minuti, ridendo sotto i baffi, Matteo ne era convinto. Più lui cercava di scostarsi, finendo irrimediabilmente per stringersi a Veronica, più l’essere peloso si avvicinava e gli si poggiava contro la gamba. Odiava i roditori.
“Ti assicuro che è un topo.” sorrise Veronica, prendendolo in mano.
Lo reggeva tranquillamente, carezzandolo con affetto: il presunto roditore socchiuse gli occhietti, soddisfatto. Veronica lo avvicinò a Matteo, poggiandoglielo di colpo sul petto: il giovane gemette, facendo per scuoterselo di dosso, ma la ragazza non glielo permise. Gli prese una mano, sistemandola poi sul pelo dell’animale: lo fissò, sfidandolo a muoversi.
“Fate amicizia."
“No.” mugolò Matteo “Non è un topo.”
“E’ un topo.”
“E’ troppo grande.”
“E’ un topo.”
“Mi guarda.” soffiò Matteo “E ride sotto i baffi.”
“E’ un topo simpatico.”
“Sembra che capisca cosa succede e che mi voglia prendere in giro.”
“E’ un topo intelligente.” sospirò Veronica “Anche più di una parte dei presenti.”
Matteo sospirò, vinto. Doveva cedere le armi.
Fissò la propria mano immobile sul dorso dell’animale. L’orrore iniziale si tramutò lentamente in sorpresa mentre le dita affondavano nel soffice pelo. Il ragazzo inclinò il capo, osservando quelle orecchie che sembravano imitare e seguire ogni suo movimento.
“E’ morbidissimo.” sussurrò, incredulo.
E Veronica sorrise, annuendo contenta, divertita dall’espressione di lui.
“Ora che vi siete conosciuti,” approvò Michele, afferrando il topo “andiamo a fare colazione Mouse, si sta facendo tardi.”
“Sei in ritardo, Mickey.” borbottò Veronica, cercando di alzarsi.
“Sono in perfetto orario.” ribatté lui, sparendo nella cucina.
“Fammi capire.” fece Matteo, stringendo un braccio della ragazza “Il topo si chiama Mouse e il padroncino è Mickey?”
“Già.” sospirò lei, alzando gli occhi al cielo “Stai attento.”
“A cosa?” chiese il ragazzo, esilarato.
“Il troppo ridere potrebbe portarti a scontrarti con un altro muro a breve.”
“Oh, ma dai!” sbottò lui, alzandosi e tirando in piedi anche lei “Mouse e Mickey! Mickey Mouse! Ma come si fa? Sono… sono cose da pazzi.”
Veronica si lasciò sfuggire un sorriso, scuotendo lievemente il capo: fissò il ragazzo e il sorriso le morì sulle labbra. Guardava i vestiti sgualciti, i jeans bassi, la felpa tutta storta; scrutava quel viso svagato, il riso che si rifletteva dalle labbra contuse agli occhioni scuri. Cercava di trovarvi qualcosa di errato, un minimo segno che vi fosse uno sbaglio, che non fosse così. Perché non era possibile che a farle quell’effetto fosse lui: con i capelli inguardabili, arruffati e scarmigliati; lui con un alone nero attorno all’occhio e uno ancora più scuro dentro di sé. Veronica abbassò lo sguardo, tormentandosi le mani.
“Che c’è?”
Sussultò, sfuggendo i suoi occhi, facendo per allontanarsi.
“Che ho fatto questa volta?” domandò ancora Matteo, fermandola, stringendole un polso.
“Niente.” sillabò lei, liberandosi dalla stretta del ragazzo e fulminandolo, severa.
Matteo arretrò, sollevando le mani. E Veronica abbassò le difese.
“Dormito bene?” chiese lui, provando un’ultima volta.
“Sì.” sussurrò la biondina, un vago rossore a colorarle le guance.
“Se mai avessi ancora bisogno di un orsacchiotto…”
Lo spalancarsi della porta del bagno gli troncò la frase, facendo girare entrambi verso una Cinzia truccata e profumata che li scrutava con disapprovazione blandamente ostentata:
“La smettiamo con queste romanticherie di prima mattina?” sbottò, fissandoli con aria torva “Vi ricordo che è giornata lavorativa, non avete tempo per tornare a rotolarvi fra le lenzuola.”
“Chi è che si rotola?” biascicò Simone, uscendo in quel momento dalla sua stanza.
Cinzia inarcò un sopracciglio, le braccia incrociate sul petto, la lingua già pronta a scattare.
Simone osservò un attimo la scena, lo sbadiglio che gli moriva penosamente in gola alla vista della brunetta in intimo; s’infiammò, divenendo rosso quanto il pigiama, gli occhi che correvano a fissare il pavimento in legno. Matteo sbuffò, sospingendolo brutalmente verso la cucina:
“Nessuno si rotola con nessuno.” soffiò, lapidario, seguito dalla risata sarcastica di Cinzia.
Veronica li guardò sparire, chiedendosi se avrebbe mai trovato il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare quello dell’amica. Fu lei a risolvere la situazione, avvicinandosi in pochi passi e fermandosi davanti a Veronica, le mani ancorate saldamente sui fianchi.
“Che combini?”
“Niente.” esalò, alzando timorosa gli occhi.
“Sembravi un koala in calore.”
“Cicì!” scattò Veronica, colpita da quella sentenza che andava dritta al sodo come sempre.
“E’ vero.” fece l’altra, stringendosi nelle spalle “E lui non sembrava affatto infastidito.”
“Davvero?”
Cinzia sorrise, aspettandosi quella domanda. Veronica si strinse nelle spalle: era inutile e decisamente troppo presto per continuare con la farsa del non mi interessa niente.
“Davvero. Sembrava più che altro concentrato nell’intento di non far svegliare qualcun altro.”
All’espressione interrogativa dell’amica, Cinzia rispose brontolando:
“Qualcuno dei piani bassi.” sospirò, alzando gli occhi al cielo “Lo stesso qualcuno che a quanto pare si sveglia tutte le mattine. E in particolar modo le mattine in cui ci sei tu nelle vicinanze.”
Veronica non riuscì a reprimere un sorriso, malamente imitato dalle labbra dell’amica.
“Stai attenta, Vero.” mormorò, un lampo di preoccupazione che le passava negli occhi scuri.
“Sì, mamma.” ridacchiò “Non stare in ansia per me.” aggiunse, scoccandole un tenero bacetto sulla guancia.
“Come se potessi fare altrimenti.” sospirò Cinzia, scuotendo il capo e chiudendosi in camera.
Veronica sorrise, i pensieri che, irriverenti, convergevano tutti sull’amichetto dei piani bassi.
“Sono le sette e ventinove.” scandì Michele, passandole in fretta accanto “Svegliamoci, Bella Addormentata.” ghignò “Sì, ho deciso che dobbiamo vedere anche questo.”
“Come vai a scuola?”
“Se faccio in tempo, con Giacomo.” si strinse nelle spalle il ragazzino.
“Cerca di fare in tempo.” lo redarguì Veronica, affacciandosi dalla porta della sua stanza.
Michele finse un’espressione offesa, infilandosi maldestramente una felpa arancione: tirò su il cappuccio, lanciandole un’occhiata preoccupata.
“Cosa…?” Veronica sgranò gli occhi “Oh! Il compito di fisica.”
“Tanto vale che glielo consegni in bianco” mugugnò Michele, sconsolato.
“No.” gli si avvicinò “Non dire così. Andrà bene.”
“Come no.”
“Sei un genio della matematica, Mickey.”
“Questo non implica che capisca la fisica.” spiegò il ragazzino.
Veronica si mordicchiò il labbro, esitante: “E se va male?”
“Sono cazzi.”
“E io, poi, non devo essere sboccato di prima mattina.” intervenne Matteo, inarcando divertito un sopracciglio. Entrò nella stanza, incurante, osservando con sguardo clinico il disordine che regnava sovrano: raggiunse sorprendentemente incolume la scrivania, frugando tra i fogli con curiosità.
“Qualcuno che ti possa aiutare?”
“Solo copiando posso combinare qualcosa, Vero.” sospirò lui, afferrando uno zaino multicolore. Vi scagliò dentro libri, fogli, oggetti vari non meglio identificati. Si accostò a Matteo, togliendogli la calcolatrice di mano e gettandola nello zainetto: “Come va l’occhio, amico?”
“Meglio. Qual è il problema?”
“La fisica.”
“Brutta bestia.” approvò Matteo, grave “Ti può far comodo una mano?”
“Capisci la fisica?”
“Abbastanza.”
Michele lo fissò, esitante, diffidente quasi quanto Veronica alle sue spalle. 
Matteo sorrise, svagato:
“Se hai problemi,” disse, passandosi una mano sull’avambraccio “vai in bagno e chiamami, vedo se posso aiutarti.”
“Sul serio?” boccheggiò il ragazzino, incredulo.
“Certo.” sorrise Matteo, prendendo un foglietto e una penna dalla scrivania “Questo,” mormorò, scribacchiando qualcosa “è il mio numero.”
Michele sgranò gli occhi, afferrando il piccolo pezzo di carta; fece per dire qualcosa ma un fischio acuto lo frenò. Al fischiò seguì la voce di Silvestro, perfettamente udibile:
“E’ arrivato Giacomo!” il fievole eco di un clacson li raggiunse “Muoviti, Mickey!”
“Devo andare.” sorrise il ragazzino “Grazie ancora.” ghignò, assestando una pacca sulla spalla di Matteo. Un bacio veloce sulla guancia di Veronica e corse fuori, lo zaino in una mano e il numero del ragazzo nell’altra. Veronica, le braccia incrociate sul petto, fissò truce Matteo:
“Tu capiresti qualcosa di fisica?”
“Non sono un’ameba, sai?”
“Non ho…” sospirò lei “Non ho mai detto che sei scemo, ma…”
“Bugiarda.” sorrise lui, un’occhiata veloce all’orologio “A che anno è Michele?”
“L’ultimo.” disse Veronica, un lampo che le passava negli occhi; un lampo che sembrava tanto orgoglio, notò Matteo, senza capire. “Spero per te che tu riesca veramente ad aiutarlo.” aggiunse lei, uscendo dalla camera sovrappensiero.
Matteo la seguì con lo sguardo, una serie di domande che gli si affollavano nella mente. 
Scosse il capo, in contemporanea con la porta del bagno che si chiudeva dietro di lei, sperando che la curiosità si spegnesse così come era nata. Non doveva farsi coinvolgere. 
Non erano fatti suoi.
Cosa diavolo gli prendeva?
“Lavori stamattina?”
Matteo annuì, osservando di sbieco l’amico. Simone lo prese a braccetto, trascinandolo in camera con sé: “Dove hai dormito?” chiese, bevendo un altro sorso dalla tazza che stringeva fra le mani.
“Qui.”
Rischiò di strozzarsi, Simone.
“Non avevamo deciso che avresti diviso la camera con me?”
“Infatti.” confermò Matteo.
“Ma…”
“Mi sono addormentato sul divano.”
Simone annuì, grattandosi il naso e sistemandosi gli occhiali.
“Stavo pensando di cercare un altro posto, Simo.”
“Perché?”
Matteo si strinse nelle spalle, esasperato come al solito dalla pacatezza dell’altro.
“Non lo so.” borbottò “Io… porto sempre guai, lo sai. Non vorrei dare fastidio.”
“Ti hanno invitato loro.”
“Non mi conoscono.”
“A me è sembrato il contrario.”
Matteo sospirò, chiudendo gli occhi. Doveva andarsene.
“C’è spazio, Matt.” ricominciò Simone “Tanto spazio. E’ un posto fantastico, pulito. Sono brave persone, certo particolari, ma chi non lo è? E pagheremo, è naturale.”
“Non abbiamo soldi.”
“Appena li avremo.” si corresse Simone “E’ naturale.”
Matteo agitò una mano come per scacciare una mosca. Simone represse un sorriso, riconoscendo quelli che erano i segni di una resa. Non disse niente, limitandosi a fare spallucce. Aveva vinto.
“Vado a lavarmi.” borbottò Matteo, dandogli le spalle.
Entrò nel bagno più piccolo e si abbassò la zip dei jeans; stava per sbottonarli quando, casualmente, si voltò verso la finestra: incontrò due paia d’occhi che lo fissavano, esilarati. Arretrò di scatto, una risata che partiva dai due che lo guardavano:
“Non ti fermare, dai!” esclamò il biondino, sorridendo languido.
“Scusalo.” ridacchiò Silvestro, carezzandosi la pelata e continuando a sciacquarsi le mani “Matteo, lui è Giovanni. Giovanni, Matteo.”
Il biondino fece il gesto di sollevarsi un cappello immaginario. Matteo arretrò ancora.
“E’ un piacere conoscerti.”
“Non altrettanto.” soffiò Matteo, stringendo i denti.
Con un cenno del capo li salutò, uscendo rapidamente dal bagno: si scontrò con Simone, spazzolino in mano, che lo fissò senza capire.
“Problemi?” chiese Simone. 
Un sorrisetto gli incurvò le labbra quando le risatine lo raggiunsero, fioche. Matteo si scurì in volto, procedendo a lunghi passi per il corridoio: “No.” sbraitò, riuscendo unicamente a far allargare il sorriso di Simone “Ti lascio il bagno.”
Il rosso si strinse nelle spalle, guardandolo mentre apriva la porta dell’altro bagno. Rispose al saluto dei due giovani dirimpettai e, lavandosi i denti, intrattenne svagato una conversazione. Non sentì l’urlo. Semplicemente, non lo sentì.
“Matteo!”
“Sì.” annuì lui, prendendo posto davanti allo specchio “E’ il mio nome, brava.”
Veronica aprì la bocca, un nuovo grido che le solleticava la gola.
“Sei pazzo?” domandò, il timbro di voce fin troppo acuto “No, dimmelo ti prego, che diavolo ci fai qui?!”
“Mi devo fare la barba, ragazzina.”
“Ci sono io in bagno!” sbraitò la biondina, l’acqua che continuava a scorrere “Sai cosa significa occupato? E’ un modo come un altro per dire che non puoi entrare. Soprattutto se io sono sotto la doccia, porca di quella miseriaccia!”
“Non scaldarti tanto.” sospirò lui, piegandosi per frugare nei mobiletti bianchi “C’è un rasoio da queste parti, Ronnie?”
“Non chiamarmi Ronnie!” gridò “Esci fuori!”
Matteo sbuffò, alzandosi, un rasoio blu stretto nella destra.
“Qual è il problema?”
“Stai scherzando, vero?” sibilò lei “Lo spero per te.”
Vedendo che non accennava a spiccicare parola, continuò, furente:
“Sono sotto la doccia.”
“Ho notato.” annuì il ragazzo.
Le pareti di vetro della doccia, trasparenti, erano opache per via del vapore: incontrò gli occhioni azzurri della ragazza e si strinse nelle spalle, fingendo noncuranza.
“Ripeto, non scandalizzarti così.” sorrise, girandosi e dandole le spalle “Siamo pur sempre coinquilini, no? Non sarà l’ultima volta.”
“Che entri in bagno mentre ci sono io?”
“No.” ghignò Matteo, bagnando il rasoio e spalmandosi la schiuma sul viso “Che ti guardo mentre fai la doccia, ragazzina.”
L’urlo che seguì era rabbia pura. La boccetta di shampoo mancò l’orecchio del ragazzo di pochissimi millimetri, andando a schiantarsi con lo specchio nel quale si stava guardando.
“Stai attenta.” mormorò lui, calmissimo, incontrando lo sguardo di Veronica riflesso nello specchio “Ti cola il balsamo negli occhi.”
Si aspettava altre grida, eppure non arrivarono. Matteo aggrottò le sopracciglia, cercando di scorgere l’espressione di lei: si era zittita, riprendendo a lavarsi con apparente serenità. Calma.
Era quello, esattamente, a spaventarlo.
“Tutto bene?” chiese, sospettoso, una smorfia sul volto mentre si radeva il mento “Bruciano gli occhi, per caso?”
Veronica non rispose, chiudendo piano il getto dell’acqua.
“Io vado.” giunse la voce di Cinzia da fuori la porta “Cercate di fare un po’ meno rumore, voi due, lì dentro. Non siamo in un bordello, ragazzi.”
Matteo fece per dire qualcosa, ma il suono della porta d’ingresso che si chiudeva lo fece desistere.
“Mi passi un asciugamano, Teo?”
Si girò, preso in contropiede, trovandosi a fronteggiare il sorriso beffardo di Veronica: un braccio fuori della doccia, il palmo della mano aperto verso l’alto, in attesa.
“Certo.” balbettò, allungandole un panno bianco.
La biondina lo prese, portandoselo malamente a coprire il petto. Uscì dalla doccia, un asciugamano decisamente troppo piccolo addosso. Matteo si girò, dandole di nuovo le spalle: non parlava più.
Veronica represse un sorriso, chiedendosi se almeno respirasse.
Si pettinò i capelli, lasciandoli sciolti sulle spalle. Fece per aggiustare l’asciugamano, riuscendo unicamente a scoprire maggiormente le cosce. Si avvicinò al lavandino, i piedi scalzi, spintonando gentilmente Matteo e posizionandosi a sua volta davanti allo specchio.
“Che fai?” chiese lui, la mano bloccata a mezz’aria.
“Mi lavo i denti.” rispose Veronica, piegandosi contro di lui per raggiungere lo spazzolino.
“E’ necessario?”
Veronica inarcò un sopracciglio, l’espressione sorpresa.
“Direi di sì.” mormorò, spremendo il dentifricio a menta “Ti disturbo, per caso?”
Matteo serrò la mascella, negando impercettibilmente.
“Non hai fatto colazione.”
“Non la faccio, di solito.”
“E’ il pasto più importante.” sentenziò lui, guardando ovunque tranne che verso di lei.
“Sì, papà.” lo canzonò Veronica, un rivolo bianco all’angolo delle labbra rosse.
Matteo continuò a radersi, l’occhio che troppo spesso deviava a sinistra, verso di lei.
Avrebbe perso, su tutta la linea. Ne fu certo quando sentì il cuore che mancava un battito.
“Ti scende…” balbettò, chiudendo per un istante gli occhi “Ti scende l’asciugamano.”
Veronica annuì appena, senza affrettarsi ad aggiustarlo: si piegò sul lavandino, riempiendo la bocca d’acqua per sciacquarsi. I capelli che sfioravano la mano di lui, l’asciugamano che decisamente non era al suo posto. Si tirò su con calma, stringendo il nodo del panno e inclinando il capo verso di lui.
“Hai mancato questo angolino.” soffiò, sfiorandogli la parte alta della mascella.
Incrociò gli occhi di Matteo, soddisfatta, e si avvicinò ancora di un passo. Pochi centimetri, solo pochi centimetri a separarli. Veronica lo guardò, dal basso in alto, sorridendo prima di calpestargli con forza il piede.
“E non entrare più in bagno quando ci sono io.” sibilò, uscendo rapida, un profumo di vaniglia unica scia dietro di sé. Ignorò il mugolio di protesta, per niente scalfita dalle parole che seguirono: “Piccola vipera sfrontata!”
Veronica incrociò Simone in corridoio, sorridendogli luminosa. 
Lui rispose al saluto, aggrottando le sopracciglia quando le urla di Matteo lo raggiunsero. Guardò Veronica, lo sguardo interrogativo.
Lei ammiccò, superandolo tranquillamente.
“Stiamo facendo amicizia.”

 

 

§







 

   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: miseichan