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Autore: Onigiri    22/03/2011    3 recensioni
Ci sono mostri che non stanno sotto, ma sopra i letti, e i giochi pericolosi delle farfalle, e re piccolissimi, e stelle marine carnivore, e alberi che piangono, e maschere di carne, e bambole che si vedono solo ad occhi chiusi, e mongolfiere nell'acqua con pesci di carta, e donne che piangono con forza negli angoli più bui degli incubi peggiori.
E c'è una bambina. E favole da raccontare. E legami pericolosi.
Genere: Dark, Fantasy, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Legame
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(Le pietre blu) 











Capitolo 8








I vecchi subiscon le ingiurie degli anni,
non sanno distinguere il vero dai sogni,
i vecchi non sanno, nel loro pensiero,
distinguer nei sogni il falso dal vero.
[...]
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"

"Il vecchio e il bambino"- Francesco Guccini


















“…Chi è?”
 è?


“C’è qualcuno?”
qualcuno?


“Sei tu che mi chiami?”
chiami?


“Chi sei tu?”
tu?


“Non io, tu!”
tu! Io! Non c’è differenza


“Perché?”
perché io sono te


“E che significa?”
significa quello che ho detto


“… che anche tu ti chiami Mila?”

Mila siamo noi


“Siamo noi?!”
noi.


“Tu e io?”
io e tu.


“Ma dove Sei?”
sei…

“Sei qui?”
…qui…

“Sei qui dentro, Mila?”
…Mila







Non la toccare!

 

Ancor più di quella voce, a farla sussultare tanto da spalancare gli occhi fu il ritrovarsi Kala Nag tra i piedi e inciampare fino a reggersi con le mani sul terreno.

L’erba dentro la grotta era marrone, secca e friabile come grissini sottilissimi, e quando Mila la schiacciò col suo peso ne respirò un pugno di polvere dal sapore disgustoso

Tossicchiò, sorpresa, e strinse le palpebre quando granelli più piccoli di erba minacciarono di entrarle negli occhi. Si pulì con le mani la bocca e la faccia e si alzò barcollando così malamente sui piedi che per poco non ricadde di nuovo all’indietro. Nello scorgere Kala Nag a terra (quando le era caduto?) si affrettò a recuperarlo e a stringerlo al petto prima di alzare lo sguardo.

 

Il buio terribile che ricordava di quando le farfalle l’avevano lasciata cadere non c’era più: o almeno era più lieve, e stranamente morbido, come un velo di seta, grazie al fuoco  -un fuoco debolissimo dentro un cerchio di sassolini, che dondolava pigramente in un’unica fiamma seminascosta da due tronchi troppo grossi. Mila riuscì a guardarsi attorno e a restare interdetta dal curioso arredamento di quel posto.

Vide armi, innanzitutto: spade lance pugnali tridenti e sciabole appesi sulle pareti di roccia con spesse corde brune, splendenti, alla luce di quel fuoco, di un tale scarlatto da sembrare intrise di sangue ancora caldo. Alcune armi erano enormi, o terrificanti come il sogghigno dei mostri, altre erano buffe, con lame piccole, grandi, corte, lunghe, sottili, grosse, bianche nere rosse viola o trasparenti. Tra quelle armi, sparse in un modo disordinato, c’erano appesi tanti altri diversi oggetti  –pinze gigantesche,  tazzine da tè con i buchi,  mattonelle a forma di marsupi…  

E proprio di fronte a lei, la luce quasi accecante dell’entrata della grotta illuminava di grigio e bronzo il quadrato di terreno in cui ricordava che le farfalle l’avevano lasciata cadere prima di scappare.

Non ricordava, invece, di aver camminato. Non ricordava di aver superato l’uomo-drago-vecchio tanto da arrivare quasi alla fine di quella minuscola grotta.

E quando aveva acceso il fuoco?


Mila, trattenendo il fiato tra i denti, alzò piano lo sguardo verso il drago, e le ginocchia le tremarono furiosamente quando scorse il suo profilo in controluce.

 

Ne poteva scorgere la fronte, ampia e  -intuì-  colma di rughe:  i capelli, di un colore che non riuscì a distinguere bene, erano stretti sulla nuca per formare una strana coda che pareva un batuffolo di cotone, lasciando il resto della testa completamente calvo e lucido. Aveva anche un rivolo di barba, lungo e ondulato sulla punta di un mento piuttosto sporgente.
Quando lui raddrizzò la schiena, incrociando le gambe l’una sull’altra e tenendo le spalle un po’ curve, Mila indietreggiò senza nemmeno accorgersene. Lo sentì emettere un suono strano, basso, tra un ringhio e un sospiro, prima di vederlo afferrare qualcosa che doveva aver tenuto poggiato sulle ginocchia per tutto il tempo. Perfino con la luce fastidiosamente puntata negli occhi Mila riconobbe subito il profilo di una girandola.

Il drago scosse improvvisamente il capo, come colto da un brivido improvviso, e poi si irrigidì. Mila vide chiaramente le sue guance ossute gonfiarsi d’un tratto come palloncini fin quasi a diventare trasparenti, e poi stringere le labbra gialle e sporgerle in avanti, prima di sputare fuori tanto di quel fiato che se ne sentì perfino il suono del soffio.

La girandola che aveva avvicinato alla bocca iniziò subito a girare, e dal colore incomprensibile che aveva iniziò a diventare gialla, poi rossa, e poi brillò come una torcia di ogni più piccola sfumatura di scarlatto. Dalla girandola uscì fuori una colata di fiamme che inghiottì tutto il piccolo focolare sul pavimento, e bruciò tutti i sassolini che lo circondavano fino a renderli neri come il carbone: il tronco ancora verde si accese immediatamente e un fuoco intensissimo bruciò tutta l’aria di fumo.    

Mila ammutolì di fronte a quel prodigio, stringendo con forza Kala Nag al petto così forte da sentire dolore alle braccia. La gola le si seccò dalla paura non appena le tornarono in mente la fine che avevano fatto le farfalle dalla voce di zucchero e il gioco che volevano fare con lei.
Provò, tossendo per l’aria troppo calda e densa e sentendo gli occhi cominciare a bruciarle fastidiosamente, a guardarsi attorno, cercando la più piccola via d’uscita tra quelle inquietanti mura di pietra e terra.
Le pareti, il soffitto, le dettero l’impressione di essere finita nella bocca di un mostro, e il terrore d’essere cucinata nel fuoco e bruciata e mangiata cotta a puntino la fece tremare con forza mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

 

“…Dannazione!”  lo sentì esclamare così all’improvviso da farla sussultare.  “Un’altra volta?!”
Il drago sbuffò con forza e con rabbia, seppur l’espressione neutra del suo volto non coincidesse minimamente col tono seccato della sua voce;  portò una mano sul suo rivolo di barba e lo schiaffeggiò con forza, facendo cadere al suolo scintille rosse e frammenti leggeri di peli bianchi bruciacchiati e borbottando qualcosa su quanto poco doveva sopportare il fuoco.
Con la grotta improvvisamente illuminata Mila riuscì a vedere meglio: molti oggetti che prima non aveva visto fecero un’improvvisa bella mostra sulle pareti in tutta la loro stranezza, il terreno luccicò di riflessi amaranto molto piacevoli, e scorse persino un tappeto, piccolo e, a guardarlo, fatto di qualcosa che doveva somigliare alla paglia, non distante dal cerchio di fuoco. Poteva persino vedere meglio il drago, e quando se ne accorse si premurò di studiare il suo aspetto in ogni particolare che poteva essere in grado di cogliere.

Si stupì un poco nel trovarlo diverso da come se lo era immaginato al buio: non c’erano squame, non zanne, non ali, nemmeno quei baffi lunghissimi e riccioluti sulle punte che aveva sempre visto nelle figure del suo libro. 

A guardarlo, in effetti, non aveva quasi nulla di diverso da un normale vecchietto: le orecchie erano lunghe, a punta, ed erano rugose e raggrinzite su se stesse come fossero foglie morte d’autunno pronte a lasciarsi portar via al minimo soffio di vento. Le guance erano ossute e spigolose, e le labbra parevano risucchiate dentro una bocca che, seguendo la curva del mento, sembrava sporgere troppo in avanti.
E anche il vestito che indossava era un po’ strano, con quella stoffa a righe color nero e muschio così ben piegato e stirato, ma anche così logoro e stropicciato, e dava quasi la stessa sensazione di rispetto e di ridicolo che le incuteva il suo stesso proprietario.
Gli avambracci scoperti si poggiavano sulle ginocchia, magri e nodosi come i rami di un albero spogliato dall’inverno.


 Solo quando il vecchio la guardò a sua volta, Mila sentì un brivido di paura scontrarsi con un altro di pura trepidazione: i suoi occhi non erano veri occhi. Erano grossi, rotondi, nerissimi bottoni.

Mila, tanto concentrata su quella figura da dimenticarsi di avere Kala Nag tra le braccia, facendolo quasi cadere a terra, ingoiò a vuoto, senza riuscire a decifrare la sua espressione così neutra e priva di ogni emozione.  

 

“E comunque” borbottò improvvisamente, il tempo di distogliere l’attenzione da lei per rivolgerla a un punto impreciso del terreno “non toccare mai più quella scatola, se non vuoi perderci l’anima.”

Si curvò in avanti con la schiena, poggiò la girandola sulle ginocchia e puntò il naso lunghissimo contro il fuoco senza aggiungere altro. Rimase fermo in quella posizione, con una mano sul mento a grattare via le ultime briciole di barba bruciacchiata, e se non fosse stato per quelle dita giallognole che si muovevano lentamente sarebbe sembrato che fosse diventato una statua.

Mila, osservandolo ancora, rispose alle sue parole solamente alzando le sopracciglia  -scatola?


Si guardò attorno con Kala Nag serrato contro la pancia, ma l’unica scatola che vide fu una lunga, stretta e marcita che a una prima occhiata sembrava più una semplice asse di legno.

Era proprio dietro di lei, mangiata in parte dalla massa informe di mille altri piccoli oggetti a cui non seppe dare né un vero nome né una funzione (come il coltello con le pinne, la fisarmonica a forma di cipolla, lo schiaccianoci a righe gialle che tappava una foglia grandissima): tanti di quelli l’affascinavano al punto da farle venir voglia di toccarli, ma non si azzardò nemmeno ad allungare una mano. Era un cumulo di cose estremamente disordinato, la superava tanto in altezza che per riuscire a vederne la cima dovette storcere il collo verso l’alto fino a sentirselo fastidiosamente stiracchiare. La probabile scatola di cui parlava il vecchio era tra gli oggetti che si trovavano più in basso, così insulsa rispetto a tutte le altre cose da non destarle la minima curiosità neanche guardandola.

Aveva provato a toccarla?!


Quando si rigirò verso il vecchio, lo trovò nella medesima posizione in cui lo aveva lasciato. “Cos’è?”

“Come?” il vecchio tolse la mano dal filo di barba e voltò la faccia verso la sua. Mila notò solo in quel momento che, quando parlava, non apriva la bocca: si muoveva soltanto, senza mai staccare le labbra, come se stesse succhiando un’acidissima caramella.  “Che hai detto?”

Mila abbassò la testa in una posizione di difesa “Cosa è?”

“Come?”

“Che cos’è?”

“Eh?!”

“CHE COSA È?!”

Non interrompermi! E non urlare, ci sento benissimo!”

 

Mila non trattenne un’occhiata stupefatta mentre il vecchio tornava a guardare il fuoco mugugnando qualcosa che lei non riuscì a capire. Le fiamme scoppiettarono sulle punte con più forza, coprendo per un momento il silenzio stranamente tiepido che aveva preso subito il posto di quella breve conversazione.

Abbassò lo sguardo verso Kala Nag e lo rialzò subito verso il vecchio, studiando la sua figura con una calma che nulla aveva a che fare con la paura che aveva provato fino a quel momento.

Ma sembrava così innocuo quel vecchio, seppur strano in ogni senso: nonostante la voce seccata (una voce bizzarra, poi, non molto dissimile dal borbottio dell’acqua bollente) nulla nel suo volto accennava un qualunque segno di rabbia, o nervosismo, o anche solo di fastidio. Nessuna delle rughe del volto si era mossa in alcun tipo di espressione, il colore giallo-grigiastro della pelle non aveva accennato a cambiare neppure per un momento.

A guardarlo così bene, in realtà, non sembrava avere nulla di cattivo o spaventoso. Mila iniziò persino a dimenticare che poteva essere un mostro che voleva metterla in pentola e cucinarla.

Non aveva molta esperienza con le persone anziane: le uniche due che conosceva bene erano la signora Sebastiana che le faceva da babysitter (una vecchietta noiosa e lacrimosa che Mila aveva imparato a sopportare solamente con l’abitudine) e l’inquilino che abitava al piano di sotto.  

Capitava spesso che Daniela o la signora Sebastiana la sgridassero perché faceva troppo tumore con le scarpe quando giocava dentro casa: Così disturbi il signor Bruno, Così fai arrabbiare il signor Bruno, Forse il signor Bruno sta già dormendo e non devi svegliarlo.

Ma anche quando non obbediva il signor Bruno non si arrabbiava mai con lei, non si era mai lamentato di essere stato svegliato o tantomeno disturbato dal troppo rumore del suo soffitto. In effetti, sembrava che per lui Mila non esistesse nemmeno: quando la incrociava da sola sulle scale passava oltre senza darle più di un’occhiata, e se lei provava a salutarlo giusto per vedere cosa sarebbe successo, lui non le rispondeva neppure – in quei casi adorava grugnire, il signor Bruno, o dondolare pigramente il capo come per scrollarsi una fastidiosa mosca di dosso. Rivolgeva la parola solamente a Daniela, e quando lo faceva parlava solo della moglie già morta che adorava coltivare le rose gialle o di un misterioso nipotino che nessuno del loro palazzo diceva d’aver mai visto.

Fu pensando al signor Bruno, a tutti i capelli grigiastri che circondavano il capo pelato come un aureola, e al fatto che gli avesse sempre dato più di centocinquanta anni che le scappò la domanda senza volerlo: “Ma tu sei tanto vecchio?”

 

Il Plop che esplose come uno sparo la spaventò tanto da farla subito indietreggiare senza neanche sapere cosa fosse successo. Mila sbatté le palpebre trattenendo un verso strozzato, e quando si accorse di come gli occhi  bottone del vecchio gli stavano penzolando davanti alla faccia aprì tanto la bocca da farle male alle guance.

Rimasero così per un poco, dondolando sotto la barba bruciacchiata del mento, attaccati a dove ci sarebbero dovute essere le orbite da un sottile e lungo groviglio bianco, simile a lana, per ciascuno. Il vecchio non si mosse, né si scompose per non avere più gli occhi cuciti sulla faccia, ma staccati   come quelli di una bambola rotta. Poi, in un gesto quasi improvviso, il vecchio scrollò le spalle, alzò la fronte verso l’alto e fece un verso strano, come quando si tira su col naso, e quei fili di lana oscillarono, e si accorciarono fino a sparire come spaghetti risucchiati dalle labbra, fino a quando i bottoni non tornarono al loro posto con un contemporaneo e simile Splotc: quasi nulla fosse mai accaduto, il vecchio si incurvò verso il fuoco, e scosse appena il capo in avanti e indietro.

 

E poi, con un gesto secco e improvviso del busto, si voltò verso di lei.

“Non te lo dico”

A Mila servì qualche secondo per riprendersi dallo stupore e capire che si stava riferendo alla sua domanda. “Perché no?”

Non interrompermi! Perché sei una mocciosa antipatica che non mi ha neanche detto chi fosse quando gliel’ho chiesto, ecco!”

Lo disse con un tono di voce tale da ricordare un bambino capriccioso, tanto che Mila si aspettò quasi che le facesse la linguaccia da un momento all’altro.

 “Ah…” nascose il mento dietro la testa di Kala Nag “Io sono Mila, ma tu ti chiami come il signor Bruno?”

 

“…io?!”

Il vecchio curvò le spalle e stiracchiò il braccio con la girandola in mano per spostare un pezzo di legno più al centro del fuoco, che gli rispose con un buffo grugnito. Mila osservò quel gesto allontanandosi appena nel sentire troppo caldo pizzicarle le caviglie.

Scosse il capo, come percorso da un brivido, prima di ritirare il braccio e tornare rigido come un blocco di pietra. Se tutt’a un tratto non avesse ricominciato a parlare, Mila avrebbe creduto che si fosse addormentato.

 

“Noi non abbiamo nomi, non ne abbiamo bisogno. Sono altri a darcene uno o due e noi scegliamo quello che ci piace di più. Per tanto tempo mi chiamavano Moloch e-”

“Moccio?”

“Ho detto Moloch! Vedi di non sbagliarlo!”

“Ma questi che cosa sono?”

Mila si osservò intorno girando su sé stessa col naso rivolto verso l’alto, fino a quando non si fermò e puntò il dito contro una parete a caso. Una specie di pettine a forma di casseruola inchiodata alla roccia fu l’oggetto che la colpì più di tutti “Che cos’è?”

 

Il vecchio Moloch emise un suono simile a uno sbuffo “Non lo vedi da te? Sono cose. Le ho fatte io.”

“A che servono le cose?”

“Le cose servono a fare altre cose. Non interrompermi! Però...” Moloch puntò il naso verso il fuoco e accarezzò la girandola che aveva appena poggiato sul grembo.  “non faccio una cosa da quando la mia preferita se la sono portata via”

 

Mila distolse lo sguardo dalla parete e lo osservò “E cos’era?”

“Era…”

Per qualche momento, si sentì solo lo scricchiolare del legno sotto i denti del fuoco. Moloch era tornato immobile, la testa appena inclinata verso una spalla, come una vecchia bambola di pezza. Nonostante nulla della sua faccia senza espressione fosse cambiato, c’era comunque qualcosa che riluceva tra le rughe e a cui Mila non riuscì a dare un nome: era come se Moloch, nonostante lei non riuscisse a vederlo, avesse appena assunto un’aria dolcemente estasiata. 

“Era… era il mio capolavoro, il mio orgoglio più grande!” le mani abbandonate sulle ginocchia tremarono d’un tratto “Non si può nemmeno immaginare a quale incanto, a quale meraviglia abbia dato vita! La sua lama, la sua luce… quella spada poteva spaccare il cuore di tutta la terra con il più innocente dei suoi colpi, poteva tagliare il cielo come fosse meno di un foglio di carta. Era una spada bellissima. Era stupenda! Era magnifica! Era-”

“Ma era come Excalibur?”

 

La magia che aveva acceso il volto di Moloch si spense come un fiammifero. La testa tornò curva in avanti e le braccia rigide come manici di scopa. Le rughe della fronte si indurirono visibilmente. “io avevo costruito questa spada, e ne ero così orgoglioso che volevo fosse un degno guerriero a impugnarla. Perché nelle mani sbagliate poteva succede un disastro. E poi perché era così bella, sai lo spreco nelle mani di uno spadaccino da due soldi?” Sembrò rabbrividire dal disgusto nel pronunciare quelle ultime parole.  “un mio simile è passato di qui, gli ho chiesto di tenermela per un po’ perché non volevo che me la prendessero e lui allora l’ha tenuta con sé. Uno sciocco. Sai cosa gli piaceva fare?”

Mila scosse il capo e lui continuò “Si nascondeva tra gli umani, poi sbucava fuori e li spaventava. Quando gli umani scappavano via a lui piaceva rincorrerli, e quando li prendeva li portava da qualche parte e si mangiava le loro teste. Sciocco!”  Moloch mosse la testa come per mimare il gesto di uno sputo “Quando il cibo non ti serve per vivere diventa un divertimento. E’ la cosa più noiosa tra tutti i tipi di mangiare.”

 

Mila sbattè le palpebre e ammutolì nel sentire quelle cose. Tutto ciò a cui riuscì a pensare fu al mostro sotto il letto di Roberto: lo immaginò sbucare fuori da un armadio, o da dietro una tenda, e sogghignare nelle tenebre e risucchiare la testa di qualcuno come un’oliva dallo stuzzicadenti. Quella scena inventata le strinse la gola in un laccio, le iniettò ghiaccio nel sangue, e Kala Nag quasi le scivolò dalle braccia.

Moloch non la guardò, e se anche poteva essersi accorto del suo improvviso turbamento, non ci badò affatto. Sembrò, anzi, a sua volta turbato da chissà quale pensiero “Me l’ha custodita, poi è arrivato lui” le mani ossute ricominciarono a tremare. Persino il fuoco, d’un tratto, sembrò ammutolire, e acquietarsi, spaventato da quel soffio rabbioso. “Quel piccolo, maledetto attaccabrighe, che passa la sua eternità a far risse e a seguire femmine! Era l’ultimo a cui avrei affidato la mia meravigliosa spada! Quel…”  Mila non ne fu molto sicura, ma le sembrò che Moloch, da dietro la sua bocca serrata, avesse appena ringhiato  “…quel maledetto Susanoo!”

 

Tornò il silenzio, duro e pesante come un muro di mattoni. Il tronco del fuoco si carbonizzò quasi del tutto, e Moloch, con un movimento lento della mano rugosa, lo sostituì con un altro che prese fuoco immediatamente.

Mila osservò quel gesto con un labbro incastrato tra i denti, e poi guardò Kala Nag voltandolo verso di lei.

un campanellino lontano iniziò a risuonarla nella testa, come il sottile ronzio di un insetto.

 ...Susanoo.

Susanoo.

Susanoo quello della favola?

“Susanoo quello della favola?” ripeté ad alta voce.

 

Moloch voltò la testa così velocemente che Mila sentì chiaramente il pericolante scricchiolio delle ossa del collo. Gli occhi di bottone così puntati su di lei la misero immediatamente a disagio. “L’hai già incontrato?”

Mila strinse Kala Nag contro il petto e ingoiò un pugno di saliva, senza capire se quello fosse un rimprovero o solo un'esclamazione di stupore “C’è nel libro di papà. Mamma mi ha letto la storia di lui che uccide il drago perché vuole mangiare la fidanzata e trova la spada nella sua coda”

Non interrompermi! Ma quale coda e coda! Quello semmai è l'altro idiota. E se proprio vuoi saperlo non era nemmeno un... come si chiama? Un drago!”

 

Moloch tornò a guardare il fuoco scuotendo la testa come un pendolo “Umani! Vi basta vedere una testa in più della vostra e subito dovete ricorrere alle vostre ridicole fandonie!”

“…che vuol dire fandonie?”

“E comunque” continuò lui senza risponderle “io lo so bene cos’è successo, sai? Si sono incontrati e hanno litigato, quelle due teste calde! E quello stupido che fa? Dice al moccioso: ‘Visto che oggi masticherò la tua testa, almeno ti lascerò il primo colpo'. Peccato che le teste le abbia perdute lui, e che il moccioso si sia preso la mia spada! Oh, la mia spada meravigliosa… potrebbe spaccare in due il cosmo, ma non la saprebbe usare nemmeno per affettare un quadratino di burro. Che spreco! Che vergogna! Povero me…”

 

 Mila lo guardò dondolare la testa e nascondere la fronte tra le dita sottilissime della mano, e per un momento tornò a ricordarle il vecchio signor Bruno di quando si accomodava su una seggiola del suo terrazzo per fare le parole crociate.
L’inquietudine che aveva provato fino ad allora scappò via nel sentire la fine di quel racconto: pensò che fosse come la favola che aveva ascoltato nel suo letto, di un mostro spaventoso e terribile e di un guerriero valoroso che lo sconfiggeva. Le venne anche in mente che nel suo libro c'era un'immagine del dio Susanoo: Daniela gliel’aveva fatta vedere prima di iniziare a leggere, mostrandole un uomo adulto, robusto, con i capelli e la barba nera e gli occhi simili a dolci profili di mandorla.
“Ma allora Susanoo è piccolo?”
“ …piccolo? Che domanda è?”
“E non puoi chiedergli per piacere di ridarti la spada?”
Lo sentì sospirare, senza guardarla e senza risponderle, tornando a massaggiare la pelle elastica e gialla delle tempie e borbottando nel frattempo qualcosa che suonava come "Umani!".

 

Mila sentì le gambe iniziare a pruderle di dolore, e si guardò in basso per vedere se poteva sedersi. Alzò un piede e notò che le dita e la pianta erano sporche di erba e di terra: pensò che sua madre si sarebbe arrabbiata e l’avrebbe sgridata perché stava camminando senza scarpe  -Le avrebbe dato ancora quella medicina cattiva?

Il ricordo di Daniela la incupì. “Signor Moccio…”

“Non chiamarmi signore!”

“Posso andare a casa ora?”


Il volto di Moloch, mentre ritornava a guardarla, rimase neutro, inespressivo come una maschera senza faccia. Solo in quel momento Mila notò che il suo groviglio di barba, quel pezzo che il fuoco aveva bruciato, era tornato come prima.

“Puoi?” la voce rugosa come corteccia aveva un tono seccato.
Ragazzina, mi stai solo disturbando, e prima ti levi dai piedi prima mi fai un grosso favore! ...anzi, ora che ricordo, prendi questa e vattene!”


In un gesto velocissimo, Mila lo vide togliersi qualcosa dal collo e passarlo sopra la testa, qualcosa simile a una sottile corda marrone che poi le lanciò con un movimento brusco della mano.
Un tintinnio metallico rimbombò nelle pareti della piccola grotta, e il rumore le esplose nelle orecchie come un tuono facendola sobbalzare per lo spavento.
Moloch tornò a guardare la parete davanti a lui, grattandosi il mento senza aggiungere altro.
Mila non ci aveva fatto caso prima, ma le sue unghie erano gialle e rossicce, ed erano sottili, rivestite di piccole crepe che davano quasi l'impressione che si sarebbero spezzate da un momento all'altro; ma erano anche lunghe, affilate, simili a lame di coltelli cosparse di ruggine.
Erano mani di belva che si piegava alla vecchiaia, ma che ancora potevano colpire, e tagliare, e affondare nella carne della preda e banchettare col suo sangue. Mila deglutì.

“E' un regalo” spiegò lui, senza guardarla e distraendola dai suoi pensieri.
“Quindi vedi di accettarlo e di sparire dalla mia vista! ...e non stare a guardarlo, prenditelo! Hai paura di una chiave?”
Mila studiò il pavimento, e quando trovò l’oggetto che le aveva lanciato scoprì che aveva ragione: era una chiave.
“Davvero me la dai?”si chinò e raccolse la corda con una sola mano, cercando di farla passare sopra la testa senza far cadere Kala Nag dalle sue braccia.
La chiave le arrivava fin sotto la pancia, e lei la prese tra le mani per avvicinarla al viso, studiandola in ogni particolare.


Era nera, sporca di terra, e l'odore di sudore e metallo era troppo pesante e cattivo da respirare.
Era diversa dalla chiave di casa sua o da quella del motorino della mamma: era molto grossa, e calda, senza denti o incavi, senza una forma particolare, senza l'ombra di un granello di peso.
Nel fissarla con tanta insistenza, lo sporco, d'improvviso, sembrò farsi splendente come onice, e lei sorrise quasi avesse tra le mani il più meraviglioso dei tesori.
“Che cosa apre?” chiese, senza smettere di guardarla.
“Come sarebbe?!” la voce di Moloch le giunse quasi scandalizzata  “Voi umani non sapete nemmeno usare una chiave? Apre una porta, no?”
“E quale porta?”
Mila alzò lo sguardo verso di lui, sentendolo emettere un suono che pareva un sospiro spazientito.
“...tutte. Quella chiave apre tutte le porte, anche quelle che non vedi. E ti porta dove più di tutti i posti desideri andare”
“Ma è una chiave magica?”  il solo pensiero la mandò in visibilio.
“Non fare domande stupide e levati di torno, ragazzina! La chiave ce l'hai, usala!”

Moloch tornò alla sua immobilità, fissando un punto impreciso davanti a lui. Mila si osservò attorno, lasciando scivolare lo sguardo sulle pareti e dovunque le capitasse di posare lo sguardo.
Si soffermò a studiare una ragnatela appesa in un angolo del soffitto, simile a un disordinato groviglio di lana, e la vista di un ragno nero con una coda da scorpione le bloccò il respiro e la fece indietreggiare di qualche passo.
Non distolse lo sguardo dall'animale fino a quando quello non si dissolse in un punto più buio della grotta.
“E dov'è la porta?”
“Qui non ce ne sono.”
“...e come ci torno a casa?”

La testa di Moloch cadde in avanti, come se stesse per staccarsi dal collo, e il mento sbatté con violenza contro la gola. Rimase pietrificato in quella posizione, e Mila lo guardò confusa. Se a un certo punto lui non avesse ricominciato a parlare, avrebbe creduto che si fosse addormentato.
“Ti ci porto io” mugolò il vecchio, sbuffando da dietro le labbra incollate.
“Se riesci a stare zitta per un po', ti riporto io a casa tua. Va bene?”
“Mi porti tu?”
Zitta, ti ho detto! Siediti lì e aspetta.”
Mila guardò lo strano tappeto di paglia che le stava indicando con la punta del naso, quello che, quando l'aveva visto entrando nella grotta, le era sembrato una specie di brutto zerbino.
“Cosa devo aspettare?”
Non interrompermi! Che mi venga la voglia di portarti a casa”

Mila, prendendo molto seriamente le sue parole, si coprì la bocca per non dire nulla, reggendo Kala Nag per la punta della proboscide con due dita dell'altra mano.
Quando passò davanti a Moloch, si accorse che odorava di cenere, e di acqua calda, e che il collo era lungo e molliccio come quello di una tartaruga.
Si sedette sul tappeto, scoprendolo più morbido di quanto sembrasse, e fece accomodare il suo sorridente peluche sulla stoffa dei pantaloni del pigiama.
incrociando le gambe, lasciò che il suo sguardo annegasse nel fuoco, mentre le fiamme si stiracchiavano incrinandosi e spaccandosi in schegge di luce fino a dissolversi nell’aria con sbuffi silenziosi, simili a mani tremanti che cercavano di allungarsi per afferrare il soffitto.
Sembravano schiocchi di lingua, colpi di frusta, serpenti imprigionati nella loro danza d'amore, e Mila si cullò di quei movimenti e del calore che la stava avvolgendo come una soffice coperta.
Non erano gialle e arancioni, come il fuoco di un caminetto, e non erano verdi e azzurre come quello di un fornello.
Non riusciva a trovare la più piccola sfumatura in quelle fiamme di rubino, dense come il sangue e dall’aria tenera come petali di rosa.   -...rosse! Se avesse potuto scegliere il colore, avrebbe chiesto alle farfalle delle ali rosse.


Si stese senza nemmeno pensarci, usando un braccio come cuscino, e chiuse gli occhi, cercando di capire come fosse quella luce cremisi se guardata da sotto le palpebre.
Si ricordò della chiave, e la prese senza guardarla, studiandola al tatto mentre la rigirava tra le dita delineandone i contorni con i piccoli polpastrelli; pensò che non aveva ancora detto "Grazie" al signor Moccio  (la mamma le diceva che bisogna sempre farlo quando si riceve un regalo)  , ma lui le aveva detto che se non avesse fatto silenzio non l'avrebbe portata a casa  -forse anche quella era una magia? 
Decise che lo avrebbe fatto dopo, e che gli avrebbe regalato qualcosa a sua volta.
Ma non Kala Nag; e nemmeno i libri che aveva portato a casa dello zio. Gli avrebbe dato il suo pacchetto di caramelle, se non le avesse già mangiate tutte.
Decise che la sua palla di Cip&Ciop gli sarebbe piaciuta, e che lei non ne avrebbe sentito troppo la mancanza.

Un silenzio piacevole regnò nella grotta per un tempo che lei non riuscì a contare, cullandola fin quasi a farla addormentare

 

 

“Quando mi ha detto che l'avrei incontrata, credevo stesse solo delirando”
La voce di Moloch le giunse lontana, come se stesse parlando da dietro una parete. Lei lo ascoltò senza aprire gli occhi, coccolata dal piacevole calore del fuoco e del sonno.
“E invece aveva ragione! Comincia un po' a farmi paura questa bambina.”

“Le hai dato la chiave?”


Pioveva?

Della polvere di roccia si staccò dal soffitto e volo sulla sua guancia, in granelli gelidi come gocce d’inverno.

Mila sussultò in silenzio e aprì gli occhi di scatto, mentre una voce, quella voce che sembrava il sussurro di un demonio o il fiato della morte dentro l'orecchio, le tagliò il respiro dentro la gola fino a farla sentire soffocare.
In un primo impulso, avrebbe voluto alzarsi e guardare chi avesse appena parlato, ma le gambe, serrate dalla paura fino al dolore, si rifiutarono di muoversi.
Quando Moloch ricominciò a parlare, si affrettò a richiudere gli occhi.

“Sì, sì, tranquillo. Tanto io non me ne facevo niente, non sono mai riuscito a usarla. Una volta ho barattato apposta una porta in cambio di un caccia cappelli da niente, ma non sono riuscito neppure a farla entrare nella serratura. Allora l'ho gettata nel fuoco, e con la maniglia ci ho fatto il manico di un coltello”
Ci fu silenzio, ed era tiepido e confortevole rispetto alla voce ghiacciata che Mila aveva sentito poco prima. La gola le si seccò tanto da bruciarle.

“...piuttosto, che ci fai qui? Non era mica in pericolo con me. Cioè... sì, stava per toccare la tua arma, ma l'ho fermata. E ci avrò anche fatto un pensierino quando l'ho vista, ma non l'ho nemmeno sfiorata.”
Silenzio.
Gelido, stavolta.
“…non guardarmi così! E' solo che è da un po' che non mangio, a volte ho voglia di sentire il sapore di un po' di carne tenera. Ma io odio i bambini! Gli umani me portavano sempre i loro figli in quei loro Tofet, ma mangiarli era terribile: puoi strappargli la lingua, e puoi anche bruciarla o affettarla e gettarla via lasciandola a marcire da qualche parte   -o almeno, io ho sempre fatto così- , ma ti sembra di sentirli ancora parlare e frignare fin dal fondo dello stomaco. Una cosa disgustosa!"
Mila lo sentì sbuffare, e per un attimo immaginò di vedere i suoi occhi di bottone staccarsi in un Plop come tappi di champagne e poi lasciarsi risucchiare dai fili dentro quelle inesistenti orbite di carne.
Rimase immobile, come se anche il suono troppo forte di un respiro avesse potuto ucciderla.
“E più piccoli sono, peggio è. Peccato che quelli dell'età giusta abbiano già la carne troppo dura per i miei denti. ...Ma dimmi, ho sentito che anche il moccioso vuole qualcosa da questa bambina. L'hai visto, per caso? Come sta la mia spada?”
Si sentì un ringhio sprezzante, leggero quanto uno spiffero di vento, bruciante come neve sulla pelle nuda.
Mila rabbrividì, cercando di non muoversi, stringendo le mani sudaticce in due piccoli pugni tremolanti.
“Va bene, ho capito, non andate ancora d'accordo. Ma fai piano...” la voce di Moloch si ridusse a un ruvido sussurro.
“Così la svegli.”


“E' già sveglia.”

 

 


Mila spalancò gli occhi scossa da un sussulto di terrore che le colpì il petto come un pugno, e le mani si artigliarono con forza sul lenzuolo.
Alzò la testa dal cuscino, cercando di riprendere fiato, guardando i pendenti del lampadario vorticarle sulla testa mentre si lasciavano schiaffeggiare da uno sbuffo più forte di corrente.
Quella stanza, come sempre, era troppo bianca per lei.
E i personaggi del quadro appeso alla parete erano come li aveva lasciati.


“...Mila!”

Si voltò, e fece giusto in tempo a vedere il volto della mamma, gli occhi spalancati e un pallore sulle guance piuttosto accentuato, prima di lasciarsi avvolgere dalle sue braccia e affondare il viso nella sua spalla e tra i capelli profumati di arancia.
“Oddio, Mila! Amore, Tesoro! Menomale, menomale...”


Da dietro la finestra , invece della luce tiepida del primo pomeriggio, iniziarono ad accendersi i bagliori dorati dell'alba.

 

 

 

 

 

 

 

 

 










 


 




Onigiri






note autrice:




Spiegazione : Moloch è associato alle culture di tutto il Medio Oriente, compresa Cartagine: a questo dio (che fose dio non era: forse Moloch è solo il nome che veniva dato ai sacrifici che facevano) venivano offerti bambini in luoghi sacri chiamati Tofet, luoghi che si possono trovare anche in Italia e che vengono menzionati anche nella Bibbia.
Per maggiori informazioni, potete guardare QUI


...stavolta ci ho messo davvero più tempo del previsto! °_° Il capitolo è stato un parto, a dispetto di quel che pensassi, e mi è anche venuto orrendo -.-" . I prossimi però dovrebbero arrivare molto più velocemente, o almeno lo spero ^^"
 
Ed ora: grazie infinite a... *-*



Hellister : Grazie! Davvero *_* quel capitolo era uno dei miei preferiti, e sapere che ti è piaciuto mi rende felicissima! Grazie ancora =)


 darllenwr  : Sei sempre gentile e attento nei tuoi commenti, e io non posso non adorarli ^^! Mi sento più ripetitiva di un disco rotto >>", ma non posso fare a meno di ringraziarti in continuazione. Spero che questo capitolo sia uscito un po' decente ^^" . Grazie ancora di cuore  =3

 S a r s a: eheheh, sono contenta che le farfalle siano state inquietanti e spaventose! +_+ Mi dispiace che in certi capitoli non ci sia molta azione, ma per quando c'è cerco di rifarmi di tutti i capitoli noiosi che hanno preteso la vostra pazienza >>". Grazie ancora ^_^


Ovviamente, grazie anche a tutti i lettori: Buon carnevale in tremendo ritardo XD, e grazie, grazie e grazie infinite!
*fugge*,

*onigiri






   
 
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