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Autore: Jerry93    27/03/2011    13 recensioni
Lunga è la via per la redenzione. Sofferenza, dubbi, odio. Gioia, certezze, amore. Hermione e Draco. You and Me.
"Lo Slytherin alzò un sopracciglio. Lei arrossì.
-Posso baciarti?-
Il sorriso che si aprì sulla sua bocca fu il più bello che Hermione avesse mai visto.
Gioioso, gentile, grato.
-Accomodati- le rispose, come ad invitarla ad entrare in una casa in cui, da tempo, aveva lasciato le sue valige.
Soddisfatto, solare, semplice.
Lei si alzò sulle punta dei piedi, così da poter essere alla sua altezza.
Dolce, desideroso, destabilizzato.
Cercò, improvvisamente spaesata, il contatto con le sue mani. Lui gliele fece trovare subito.
Le loro dita si intrecciarono in un nodo indissolubile.
Afrodisiaco, ansioso, attratto.
Hermione si sporse, instabile sul suo appoggio improvvisato.
Posò la sua bocca su quella di lui.
Indeciso, impressionato, innamorato."

[Chapter 12, Abstinence and Satisfy]
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Becoming Us'
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Missing Moment: Christabel's Tragedy

A tutte le mie lettrici.

A chi non mi ha mai abbandonato,

a chi mi ha appena trovato e

a chi mi ha perso e mi perderà


Spesso, quando mi svegliavo la mattina, il mio unico desiderio era toccarlo, perché, da quando era diventata la sua fidanzata, vederlo non mi bastava più. Avevo bisogno di sentirlo, di sapere che quello che stavo vivendo non era un bel sogno che sarebbe svanito al primo battito d’ali d’un angelo lunatico. E lo so, sono stata un’illusa.

Ho creduto più di una volta che il non sentire il calore della sua pelle mi avrebbe potuto condurre ad una morte certa ed è stata proprio l’assenza di vita, solamente quella, a dividerci e a spiegare un velo nero per tenere divise le nostre labbra. Oramai, le acque invalicabili del fiume Acheronte dividono i nostri corpi da troppo tempo.

La verità è che quell’amore era riuscito a imprigionare il mio cuore con le sue radici, che solo ora, dopo anni di solitudine, sono riuscita ad estirpare. Non lo rimpiango, non mi sono pentita della mia decisione.

Lui era il mio unico pensiero, la mia insostituibile necessità.

Lui fu il mio primo ed ultimo vero amore.

Questa che mi appresto a raccontarvi è la mia storia, il racconto di come l’amore mi ha donato la vita e, poi, me l’ha tolta.

Questa è la Tragedia di Christabel.

 

Anche la fine ha un inizio.

 

Non riuscivo a smettere di guardarlo. Eravamo lì, lui ancora assopito ed io stretta al suo corpo caldo. Era una torrida mattina d’estate, ma il quando non aveva importanza. Solo un morbido lenzuolo bianco copriva la nostra nudità.

Il suo petto si alzava ed abbassava piano, seguendo il ritmo del suo cuore. Ogni battito risuonava potente nella sua cassa toracica, permettendomi di scandire il trascorrere il tempo.

Lo accarezzavo piano, sfiorandolo appena con la punta delle dita. Lentamente i miei polpastrelli avanzavano sul suo corpo, memorizzando ogni centimetro della sua pelle. L’addome sbozzato da muscoli rilassati, i fianchi tonici, quel piccolo neo vicino al suo ombelico.

Era bellissimo, era perfetto.

Anche nel sonno mi teneva stretta a sé con il braccio destro ed io lo lasciavo fare. Io ne avevo bisogno.

Presi a baciarlo. Piano, cercando di non svegliarlo. Con quella lunga scia di baci lievi presto, troppo presto, raggiunsi l’incavo del suo collo.

Respirai il suo odore. Una nota salata, causata dal sudore che aveva accompagnato quella notte bruciata troppo presto, celava il suo sapore. Eppure lo percepii. Sapeva di una folata di vento che piega gli steli d’erba in alta montagna, sapeva della salsedine di un mare cristallino che accarezza la sabbia, sapeva di un bastoncino d’incenso dolciastro lasciato bruciare nel salotto di una famiglia numerosa.

Si svegliò. La sua mano gentile mi fece alzare la testa e le nostre labbra si incontrarono. Non sciolse quel legame per molto tempo. Poi, dopo essersi staccato per permettermi di riprendere fiato, cominciò a sussurrare.

“Il più bel buongiorno della mia vita” mi disse “Ora permettimi di ricambiare il favore”.

Non ebbi il tempo per acconsentire. A volte le sue labbra sottili cedevano il posto a morsi gentili, a volte la sua bocca si allontanava dal mio corpo per mormorare qualcosa.

Poi, si allontanò. Uscì da quel letto, sfilandosi dal lenzuolo e assicurandosi che io fossi completamente coperta. Vederlo infilarsi i pantaloni della tuta fu una tortura.

Lo volevo ancora. Lo avrei voluto sempre.

Indossò una maglietta nera e la schiena larga si tese in quel movimento. Il rilievo appena accennato delle scapole sembrava invitare lo sguardo a scivolare verso il basso, verso quella zona proibita in cui io, Eva tentata, avevo colto il mio peccato.

Armeggiò nella cucina per alcuni minuti, per poi ritornare nella nostra camera reggendo un vassoio. Si sedette sul letto incrociando le gambe.

“La colazione” mi disse, sorridendo.

Presi un biscotto, gli diedi un morso e, mentre con lo sguardo cercavo qualcosa con cui coprirmi, lo riposi sul piattino da cui lo avevo preso.

Indossai la mia vestaglia e, poi, mossi la mano per riprendere il frollino che avevo lasciato a metà. Non lo trovai o, meglio, lo vidi chiaramente mentre veniva addentato dalla sua bocca.

“Lo volevi tu?” mi chiese. Rimasi in silenzio. Lui, allora, ne prese un altro, ne mangiò metà e mi diede quella restante.

Sorrisi e lo accontentai.

“Sei bellissima” mi disse, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.

Sentii le guance bruciare e abbassai lo sguardo. Quelle parole, pronunciate da lui, avrebbero steso chiunque.

Un fruscio e mi ritrovai stretta tra le sue braccia.

“Da quando la mia gattina selvatica è così timida?” insistette, divertito dal mio imbarazzo.

Lo pregai di smettere.

“Per un bacio, forse, potrei anche decidere di rimanere in silenzio”.

Chiusi gli occhi. Fu solo luce. Quel buio si illuminò di colori e la mia mente divenne la tela su cui lui, talentuoso pittore, dipinse l’amore con pennellate rapide e precise.

“Ti amo, Drew”

Volevo dirglielo, volevo gridarlo al mondo: perché lui mi saziava con la sua dolcezza, mi riempiva con i suoi gesti, mi donava uno scopo con ogni parola.

Mi afferrò il viso con entrambe le mani. Il mio sguardo si perse nel blu dei suoi occhi ed io stessa mi smarrii mentre nuotavo con tutta la forza della mia disperazione verso il fondale di quell’oceano, certa che, raggiunto il trono di Atlantide e ricongiunte le mie labbra con quelle del mio sovrano, avrei potuto assaporare la mia priva vera boccata d’aria.

“Sposami, allora”                                                                                                                                                    

 

Condanna e assoluzione: Amore.

 

Progettammo una vita perfetta, disegnammo la casa dei nostri desideri e stabilimmo la data delle nozze. Pochi mesi, necessari per organizzare il matrimonio, e in una calda sera di settembre avrei potuto guardare il mio riflesso in uno specchio e vedere in questo la signora Kennan. Volevamo avere anche dei figli, ma decidemmo di aspettare che Drew divenisse Auror, così da poter avere una certa stabilità economica.

Pensai che, senza rendermene conto, avevo trovato l’incantesimo per la Felicità. Mi sbagliavo.

Me ne parlò una sera. Conoscevo il suo passato, sapevo che tutti i suoi successi scolastici erano finalizzati ad un unico scopo ed ero certa che anche la scelta di entrare nel corpo speciale del Ministero era finalizzata a raggiungere quel maledetto obbiettivo. Eppure, speravo d’essere sufficiente per allontanare quello spettro da lui.

Mi auguravo che le mie carezze gli facessero dimenticare il volto morente di sua madre. Auspicavo che, d’improvviso, capisse quanto stupido fosse il suo desiderio di vendicarsi su Lord Voldemort. Mi illudevo.

Decisi d’aiutarlo. Decisi di proteggerlo lungo quel sentiero tortuoso che aveva deciso di percorrere. Decisi d’essere pronta a tutto per lui.

Ne parlammo a lungo. Sapevamo che il Signore Oscuro si trovava in Albania, in cui, dopo la morte dei coniugi Potter, sembrava essersi rifugiato. Si narrava che il Bambino Sopravissuto lo avesse ridotto ad un ibrido continuamente in balia tra la vita e la morte. Potevamo finirlo, era debole.

Ma noi eravamo solamente due ragazzi appena usciti da Hogwarts, noi non eravamo abbastanza forti. Cercai di convincerlo a chiedere aiuto a qualcuno. Gli suggerii Silente. Era risaputo, infatti, che l’anziano Preside volesse eliminare il Signore Oscuro.

Ma Drew era troppo testardo e, nonostante fossero trascorsi quasi otto anni, non riusciva ancora a perdonarlo per essersi intromesso nella scelta del Cappello Parlante. Condividevo la scelta di Silente, ma solo io e pochi altri sapevamo quanto quel piccolo orfano avesse sofferto per quella scelta.

Madama McGranitt gli aveva fatto da madre e il Preside, così facendo, lo aveva privato, per la seconda volta, dell’affetto materno di cui aveva bisogno.

“Christy, è in fin di vita, non abbiamo bisogno di quel vecchio pazzo di Silente!” mi aveva detto “Chiederemo a Derrick e Phoebe, loro saranno più che sufficienti”.

 Alla fine, avevo accettato. Forse con quel suo sguardo magnetico e con quel suo comportamento da leader mi aveva convinto, forse semplicemente non volevo contraddirlo. Temevo di ferirlo, avevo paura di perderlo. Mi sono comportata come una bambina sciocca. Ma, in fondo, eravamo bambini sciocchi.

 

Giovani incoscienti

 

Camminavamo vicini, tenendoci per mano. La Londra Magica, quel giorno, sembrava essere più affollata del solito. Bambini tiravano i genitori per i pantaloni, implorandoli di comprare loro una confezione di Api Frizzole. Il più delle volte il padre, dopo aver scambiato un’occhiata complice con la coniuge, prendeva in braccio il pargoletto ed entrava nel primo negozio di dolciumi. Le risate argentine di quella nuova generazione prometteva un futuro migliore, lontano dal periodo di Terrore causato da quel decerebrato di Voldemort. Un avvenire che non sarebbe mai stato tale se il Signore Oscuro non fosse stato sconfitto definitivamente.

“Presto anche noi avremo un marmocchio pestifero quasi diabetico” disse Drew.
Non potei non ridere, mentre immediatamente rivedevo quella scena a cui avevo appena assistito con nuovi protagonisti. Vidi l’uomo della mia vita ed i suoi capelli spettinati, vidi il mio grembo coperto a stento da una larga maglia rosa e vidi un bimbo con i miei ricci e con lo sguardo di suo padre.

Fu in quel momento che non ebbi più dubbi. Dovevamo farlo.

Per quel noi che sarebbe stato sinonimo di famiglia e per quella bambina che, in quell’illusione, cresceva rapida dentro di me.

Lo fermai e lo baciai. Improvvisamente mi parve che le sue parole fossero ispirate da un’inspiegabile conoscenza del futuro e la mia fiducia nei suoi riguardi crebbe incontrollata.

E divenni cieca, come lui.

Raggiungemmo il bar in cui Phoebe e Derrick ci aspettavano. Oramai, facevano coppia fissa da quasi quattro anni. Galeotta fu un’amicizia in comune e due fidanzatini che passano le ore a tenere le proprie labbra incollate. Io e Drew.

Phoebe era rimasta la ragazzina minuta che avevo conosciuto al secondo anno. Piccola ed agile, una delle migliori Cercatrici della squadra di Quidditch dei Ravenclaw. Come al solito, teneva i capelli corvini legati in una coda alta. Quella era la sua tenuta di battaglia. Con quello stesso elastico arancione era finita in Infermeria dopo che un Bolide le aveva rifatto i connotati e con il medesimo era uscita vittoriosa e affaticata dalla stanza in cui aveva tenuto l’esame pratico di Pozioni per i MAGO. Derrick, invece, sembrava aver deciso di sostituire gli occhiali con un paio di più comode lenti a contatto Babbane. I suoi occhi scaltri, anche quella volta, mi misero in imbarazzo. Nonostante fosse il tipico topo di biblioteca, era palese che non fosse uno sprovveduto. Ho creduto spesso, in passato, che fosse in grado di elencare i pregi ed i difetti di una persona anche solo dopo un’occhiata rapida. Spesso ho avuto paura del suo parere e dell’influenza che quel ragazzo aveva su Drew. In realtà capii, con un grande ritardo, che il signor Kennan era un deciso sostenitore dell’indipendenza delle proprie idee e che, in realtà, tra i due, Derrick era decisamente rimasto stordito dalla grande figura di leader celata dietro il sorriso di Drew.

Assieme Derrick e Phoebe formavano una coppia alquanto improbabile. Lei, atletica e vivace, e lui, pacato e scaltro. Eppure, nonostante venissero dati per sconfitti già in partenza, erano ogni giorno più affiatati di quello precedente. Niente li aveva potuti dividere, neppure quegli inconciliabili interessi che sembravano voler porre un bivio sulla loro strada. L’occasione irripetibile di giocare in una vera squadra femminile per Phoebe e una borsa di studio per una delle più antiche scuole di Magia dell’intera Europa per Derrick. Avevano deciso di abbandonare i loro sogni, pur di poter avere la possibilità di coronare il loro amore.

Ma il destino, per un’unica opportunità che seppero cogliere al momento adatto, sorrise loro, regalando loro una promettente carriera politica ed un sempre più grande negozio di articoli sportivi.

Phoebe, quando ci vide arrivare, mi saltò praticamente addosso, mentre Derrick, dopo aver lanciato un’occhiata disperata alla propria fidanzata, si alzò per stringere la mano a Drew, il quale preferì abbracciarlo.

“Allora quali sono queste novità di cui dovevate assolutamente parlarci?” ci domandò la ragazza, dopo aver bevuto un sorso del suo caffè.

Lui mi prese la mano. Mi voltai e incrociai il suo sguardo. Mi sorrise, ricambiai. Trattenni a stento l’impulso di immergere le mani nei suoi capelli e di riappropriarmi di quelle sue morbide labbra.

“Io e Christy ci sposiamo” disse a tradimento.

Derrick prese a tossire, cercando di deglutire la sorsata di liquido bollente che aveva bevuto. Phoebe, invece, dopo un iniziale silenzio, incrociò le braccia al petto ben poco prosperoso e sbuffò spazientita.

“E quando sarebbe, questo matrimonio?” chiese acida.

“A settembre” mormorai spaventata dalla sua reazione. Pensai, per un istante lungo quanto un battito di ciglia, che lei non ci approvasse. Ma, subito dopo, cominciai a fregarmene. Non volevo la sua benedizione, io volevo solo Drew.

Si alzò in piedi, sbatté violentemente le mani aperte sul tavolo e cominciò ad urlare.

“Hai capito, Derrick? Questi due stronzi si sposano! A settembre!” gracchiò teatrale rivolgendosi al ragazzo, che sembrava essere preso a constatare che, probabilmente, l’interno del suo esofago, scottato, si stava riempiendo di bolle “E secondo te, amore, quanto avrebbero aspettato per dare questa notizia alla loro damigella e al loro testimone?”

L’altro le assestò una gomitata gentile nel fianco sinistro e, per contrasto, cercò di tranquillizzarla sussurrando.

“Amore, sai che ti stanno guardando tutti, vero? E, comunque, ce lo stanno dicendo ora, smettila di sbraitare come un orango urlatore dello Zimbabwe!”

L’altra abbassò le braccia che aveva cominciato ad agitare in aria e ricadde sulla sedia.

“Ah già” disse, quasi a volersi scusare. Poi, ridacchiando, si era voltata verso Derrick.

“Ma esiste l’orango urlatore dello Zimbabwe?” gli chiese.

“Forse?” le rispose l’altro, alzando le spalle.

Non lo negherò. Credetti che fossero ammattiti.

“State bene?” domandai.

“Credo che ci sia qualche strana droga nei loro caffè” mi bisbigliò Drew all’orecchio.

Scoppiammo a ridere tutti e quattro. Eravamo ancora uniti, nonostante tutto.

In quel momento, però, io non prestai attenzione a nulla se non al calore del suo fiato sulla pelle. Dio solo sa quanto l’amavo, ma all’epoca, ignoravo ancora a quale fine ci avrebbe condotto la nostra stoltezza.

Superato quell’argomento, parlammo loro della nostra decisione di uccidere il Signore Oscuro.

Convincerli fu facile. Non ci avrebbero mai lasciati soli in una missione così rischiosa e, come solo ora capisco, anche loro furono vittime delle debolezze umane. La gloria, la fama, il successo. Tutte cose che in quel momento potevano solo percepire senza toccare. E le desideravano, come ogni uomo le vuole. Come io le volli.

 

Sbaragliati dal sibilo di un infido serpente

 

Tutto era cominciato con un bacio. Le mie mani avevano slacciato vogliose la sua camicia bianca che, con uno strattone deciso, si era ammucchiata ai suoi piedi. Mi strinse a sè, continuando ad intrecciare le nostre labbra.

Il dubbio si era insinuato strisciando nella mia testa, avvolgendo nelle sue spire le mie certezze. Capii troppo tardi che quella momentanea insicurezza altro non fu che un barlume di ragione. Eppure, mi erano bastati il suo profumo, il suo tono comprensivo e la dolcezza della sua labbra per ricondurmi a quella che, scioccamente, pensavo fosse lucidità.

Fui pazza e, come tale, fortemente convinta della sensatezza della mia follia. Mi accontentai della mia daltonica visione della vita, pur di averlo. E, purtroppo, lo farei ancora.

Quando il mattino seguente mi svegliai, mi ritrovai sola in quel letto che, senza il suo corpo caldo, mi sembrava gelido ed immenso. Lo chiamai, lo cercai e temetti che fosse partito verso l’Albania senza di me. Il crudele Destino celò sotto le spoglie del mio peggior incubo la mia unica speranza ed io, ovviamente, non lo capii.

Uscì affannato dal bagno, con un asciugamano stretto attorno ai fianchi e spaventato.

“Cosa succede?” mi domandò.

Minuscole gocciole si rincorrevano sui suoi capelli bagnati, spiccando rovinosi salti nel vuoto che, nel migliore dei casi, terminavano sul suo corpo atletico.

“Nulla, scusami” gli risposi, abbassando la testa imbarazzata.

Drew mi prese una mano e se la portò al viso.

“Non ti preoccupare, non me ne vado senza di te” sussurrò.

Poi, si diresse verso la nostra camera, tirandomi piano.

“Ora dormi, presto avremo bisogno di averti al massimo delle tue capacità” continuò, dopo aver scostato le coperte ed avermi invitato a rientrare nel tepore del nostro giaciglio.

Mi rimboccò le coperte ridendo. La mia piccolina, diceva. Mi schioccò un bacio rumoroso sulla fronte e una goccia d’acqua rotolò dal suo al mio viso.

Poi si allontanò. Lo vidi troppo lontano, troppo distante. Da me, da noi.

Mi sentivo indifesa, fragile e stranamente bisognosa d’affetto.

Lo ammetto, non ero mai stata un ragazza forte, lasciavo sempre quel ruolo a Phoebe, ben più adatta di me. Eppure, fino a quel momento, non mi ero mai sentita così debole: una di quelle donzellette delle favole che non riescono a liberarsi della strega cattiva o di un inferocito Petardo Cinese e che, per scappare dalla torre in cui vengono tenute prigioniere, devono attendere pazienti, magari ingannando il tempo con un cruciverba, il bel principe stretto in una calzamaglia azzurra e, il più delle volte, troppo timoroso di rompersi un’unghia per poter mandare all’altro mondo l’antagonista di turno.

“Non resti qui?” gli domandai.

Lui mi guardò colpito. Probabilmente anche lui capì che qualcosa stava cambiando in me. La mia celebre razionalità Ravenclaw era stata smussata dall’istinto di sopravvivenza. Non il mio.

“Non ti preoccupare, finisco di asciugarmi e ti raggiungo” mi rassicurò Drew, rivolgendomi, ancora, uno di quei suoi bellissimi sorrisi. Quel suo gesto aveva qualcosa di magico. Non c’era preoccupazione che non fosse in grado di sciogliere, non c’era paura che non poteva spaventare e non c’era incubo che non riusciva a tramutare in un sogno.

Non si fece attendere a lungo. Percepii solo le sue braccia muscolose che, prendendomi di spalle, mi strinsero in una stretta rassicurante. Mi addormentai, vivendo troppo rapidamente le ultime ore che mi restavano.

Partimmo la sera stessa, con un bagaglio leggero. Decidemmo di prendere una delle numerose Passaporte Internazionali di cui erano colmi tutti i cestini di un qualsiasi Aeroporto Babbano. Così, in un angolo oscuro di un reparto magico dell’edificio, un fazzoletto usato ci smaterializzò direttamente dove eravamo diretti: Albania.

In precedenza, Drew aveva fatto molteplici ricerche. Forse, questo avrebbe farmi intuire quanto pericolosa fosse questa sua ossessione. Eppure, lì, ad un passo dalla fine della seconda epoca di terrore che Voldemort sembrava deciso a riproporre dopo quella che si era conclusa con la morte dei coniugi Potter, tutto ciò non aveva importanza. Potevamo essere i nuovi eroi del mondo magico, scrivendo il finale di quel racconto dell’orrore che, dopo un’interruzione troppo breve, sembrava essere sul punto di ricominciare con i brusii della gente. Perché la gente mormorava e ciò di cui parlava era di un Signore Oscuro debole e abbandonato da tutti i suoi fedeli Mangiamorte.

Chiacchiere, appunto.

Sapevamo che si stava nascondendo dove nessun uomo si era spinto, là dove la natura regnava sovrana incontrastata. Fitte foreste, dove i rami degli alberi si avvolgevano in intricati grovigli che non permettevano neppure alla luce del sole di illuminare i sentieri impervi che percorremmo. Lo trovammo ma, quando lo vedemmo, scoprimmo che non era più solo.

La fatica, la stanchezza ed i vari attacchi dei pericolosi animali che abitavano quel luogo ci avevano sfiancati. Volevamo uccidere quello che era stato uno dei più potenti Stregoni Oscuri di tutta la storia magica, ma riuscivamo a stento a stare in piedi sorreggendoci a vicenda.

Drew fece un passò avanti. Quel gesto sicuro diede a tutti a noi una scarica di coraggio. Fu quello, probabilmente, il nostro errore. Quattro Ravenclaw hanno bisogno di pensare, non di farsi influenzare da stupide sensazioni da Gryffindor.

Il nostro leader scambiò una lunga occhiata con quell’uomo di cui Voldemort era divenuto il parassita. Sembrava essere non molto più anziano di noi, eppure, come presto capimmo a nostre spese, lui conosceva la Magia Nera. Indossava una lunga tunica nera e il suo volto era sconquassato da una terribile espressione divertita.

Drew prese a parlare, urlando per avere la certezza d’essere sentito dal suo peggior nemico.

“Io sono Drew Yvor Kennan, figlio di Sheila Rosalie Bright e sono qui per vendicare la sua morte” disse sicuro.

La bocca sulla nuca di quell’uomo si spalancò in una risata malvagia.

“Quella stupida di tua madre avrebbe dovuto diventare una mia serva e avrebbe avuto salva la vita!” esclamò quell’essere.

Poi, vedemmo solo il movimento troppo rapido della mano di quell’uomo. Avvertii solamente che la bacchetta mi veniva sfilata dalla mano da una forza invisibile e che, come attirata da una calamita, raggiungeva la mano del nostro avversario. Non era la sola ad essere disarmata.

Come me, anche ai miei compagni, Drew compreso, era toccato lo stesso destino.

Il buio sopraggiunse subito.

 

Sospirò un bambino, si spense un incendio

 

Fui la prima ad essere risvegliata.

Percepii le strette catene magiche attorno al mio corpo e, disperata, sforzai i miei occhi, la cui vista era ancora offuscata dal sonno magico in cui Voldemort e il suo tirapiedi mi avevano fatto cadere, per riuscire ad osservare il luogo in cui eravamo stati condotti.

Una piccola radura ombrosa, circondata da una fitta boscaglia. A pochi centimetri dal mio corpo, notai un crine di unicorno avvolto attorno ad alcune schegge di ciliegio. La mia bacchetta. Seppi, in quell’istante, che non avrei più rivisto il cielo plumbeo che circondava Hogwarts nei primi giorni d’inverno. Constatai che alle armi di Phoebe e Derrick era toccata la stessa sorte.

Non sarei stata l’unica a perire.

A quasi un metro dal corpo di Drew, invece, la sua stecca di legno era stata conficcata nel terreno. Compresi che quell’oggetto, il quale rappresentava la nostra unica salvezza, era stato posto affinché fungesse da macabra lapide per i nostri corpi insepolti e divorati dalle bestie. Poi, la mia attenzione si focalizzò sull'uomo che aveva offerto il proprio corpo come dimora al Signore Oscuro. Lo avevo già percepito in precedenza ma più che mai, in quell’istante, fui certa che quell’anima, che si palesava con una fessura ed alcune protuberanze sulla nuca di un folle, altro non era che un’essenza spolpata a cui erano stati strappati a morsi brani interi.

Provai quasi pietà per quel povero pazzo che, pur di divenire immortale, aveva deciso di spingersi a tanto. Fu un sentimento fugace, prontamente sostituito dalla rabbia.

“Stai bene, Christy?” mi domandò Drew, cercando di guardarmi negli occhi. La sua preoccupazione mi incupì. Lui era il nostro leader, lui doveva guidarci.

Annuii piano. Poi, la voce gracchiante di Voldemort richiamò la nostra attenzione. Il suo servo, intanto, manteneva attivo senza alcuna difficoltà l’incantesimo Incarcerante.

“Offrii a Sheila la possibilità di unirsi a me, ma lei disse di preferire la morte ed io la accontentai” cominciò, annaspando quasi ad ogni parola “Oggi, pongo a te la stessa domanda. Diventa un mio servo e avrai gloria, fama e potere o rifiuta la mia offerta e pagherai con la vita”.

Quella era la nostra unica speranza per sopravvivere, per far si che quel futuro che avevamo progettato potesse avverarsi. Mi aggrappai a quel barlume di luce, pregando, in cuor mio, che Drew fosse a conoscenza della gravità della situazione. La rapidità con cui riacquistò la solita fermezza mi preannunciò la risposta a quel quesito.

“Preferisco morire con onore che vivere all’ombra di un verme affetto da manie di protagonismo” gli disse con un sorriso sarcastico sul volto.

Distinsi solo il raggio verde che, dopo un movimento fluente, fuoriusciva dalla punta della sua bacchetta. Trascorsero instanti interminabili, durante i quali il mio sguardo ispezionò il corpo di Drew in cerca di una ferita mortale. Non la trovai e sospirai sollevata.

Poi, le urla disperate di Phoebe mi riscossero. L’incantesimo si era infranto in minuscole scintille sul petto di Derrick e, a causa dell’urto, il suo corpo era stato sbalzato all’indietro. Sbatté violentemente contro la dura corteccia di un albero centenario e, infine, si accasciò, senza vita, poco distante dalle robuste radici della pianta.

Non avevo ancora concepito ciò che era successo quando quella domanda giunse nuovamente.

“Allora, Drew?”

Lo implorai silenziosamente affinché abbassasse il capo e accettasse, ma non fu così. Derrick era il suo miglior amico e il vederlo morire lo aveva scosso profondamente. Rimase in silenzio, gli occhi sbarrati e lo sguardo assente.

“Crucio!” gridò soddisfatto il servo di Voldemort.

In quella foresta, cadde un silenzio innaturale. Le grida di Phoebe si erano acquietate, fino a trasformarsi in un mormorio sofferente. La vidi conficcarsi le unghia nei palmi delle mani fino a far sbiancare completamente le nocche. Il dolore doveva essere insopportabile.

Eppure, aveva preso a muoversi in modo scoordinato, nel disperato tentativo di raggiungere il proprio fidanzato. Quelle maledette catene le impedivano ogni movimento e, ben presto, si ritrovò con il viso a terra, sbucciato e sporco.

Pensai che non si sarebbe più rialzata. Con mia enorme sorpresa, invece, la vidi rimettersi a carponi e procedere. Quell’uomo intensificò la potenza dell’incanto e, ben presto, gli scricchiolii delle ossa di Phoebe che si spezzavano riempirono l’aria.

Quel ticchettio perverso non si fermò per interi minuti, come interrotte furono le risate di Voldemort.

Chiamai Drew, cercando di riportarlo alla ragione. Mi fu chiaro da subito che non sarei riuscita a farlo rinsavire prima della morte della mia amica, così presi ad urlare contro il diretto interessato.

“Smettila, mostro!” urlai.

 Non un rumore giunse alle mie orecchie. Sperai, per un tempo troppo lungo, d’essere riuscita a far ragionare quella bestia. Illusa.

Mi voltai e la vidi.

Il corpo minuto devastato dalla crudeltà di quella Magia Proibita, il viso immerso nell’erba verde scuro di quella radura e le dita conficcate nella terra come se fosse persino disposta a morire nuovamente pur di raggiungere il suo amato.

La disperazione mi colse impreparata. Phoebe, la mia unica vera amica, giaceva riversa sulla terra e senza vita, lontana dalla sua casa, dalla sua famiglia e dal suo amato.

Non avevo bisogno di altre conferme: la prossima sarei stata io. Ma Drew no, lui doveva assolutamente salvarsi.

Volevo riuscire a metterlo in salvo, volevo essere certa che, piante le nostre morti, avrebbe potuto ricominciare a vivere, lontano dall’incubo di Lord Voldemort e dagli spettri dal suo passato. La verità è che percepii solamente la sofferenza causata da una lama invisibile che, all’improvviso, mi squarciò il polpaccio della gamba destra, recidendo muscoli e tendini. Poi, il dolore crebbe fino ad intontirmi e non potei fare altro che urlare per il dolore. Percorsi rapidamente il mio corpo con le mani, fino a raggiungere la ferita. Quando non trovai nulla oltre al ginocchio destro, però, riacquistai improvvisamente lucidità. Mi restava solo una cosa da fare: mettere in salvo Drew. E lo avrei fatto.

Il mio urlo parve avergli ridato lucidità, così, senza rifletterci a lungo, agii.

Gli dissi solamente tre parole. Con poche lettere, rifiutai l’ultima possibilità che il Destino mi diede. Un uomo gentile, il cui viso era coperto dal cappuccio di un mantello nero, avevo reciso la mia speranza, candida rosa bianca, e l’aveva riposta in una sacca che portava a tracolla. Spuntò su un registro il mio nome e si mosse verso un altro roseto. Tra le sue mani vi era un paio di cesoie affilate.

“Ti amo, scappa”

Invocai un incantesimo senza utilizzare la bacchetta e, ciò che ottenni, fu un Ardemonio completamente privo di controllo che, con le sue fiamme cominciò a divorare tutto ciò che incontrò. Raggiunse anche il Signore Oscuro, il quale, prima che quelle lingue infuocate lambissero il suo corpo, evocò una barriera protettiva.

L’incantesimo Incarcerante si sciolse e Drew, pienamente cosciente, scattò subito verso la propria bacchetta. Lo vidi afferrare l’oggetto e, poi, muoversi verso di me.

Prima di percepire le sue braccia accoglienti attorno al mio corpo, però, la stanchezza, data dall’inarrestabile quantità di sangue che sgorgava dalla mia ferita, prese il sopravvento e mi sentii svenire. La mia testa non sbatté al suolo. Lui era arrivato, lui mi stava stringendo.

Mi sussurrò di non preoccuparmi, rassicurandomi sulla mia salute con spudorate bugie. Eppure, volli credere nelle sue parole e un piccolo barlume, lucciola in una notte d’estate, mi diede la forza per obbedire ai suoi ordini.

Mi alzò, cercando di farmi stare in posizione eretta. Il sangue prese a correre più rapidamente.

Avvertii la sensazione d’essere spinta a forza in un tubo troppo stretto per il mio corpo ed un improvviso bisogno d’aria. Forse la Smaterializzazione Congiunta sarebbe andata a buon fine, forse Drew sarebbe riuscito a richiudere i lembi tagliati di netto del mio corpo monco. Forse saremmo riusciti a raggiungere un ospedale e, poi, dopo alcuni giorni di convalescenza, saremmo potuti ritornare nel nostro appartamento. Forse avremmo potuto realizzare i nostri sogni e sposarci entro la fine dell’estate.

Sentii la stretta di una mano sicura attorno alla mia caviglia sinistra e tutti quei sogni, uno dopo l’altro, caddero.

Avrai potuto stringermi più forte a Drew e trasportare quell’essere con noi, ma questo avrebbe causato la morte dell’uomo che amavo. Sapevo, sebbene lo avessi capito troppo tardi, che nonostante fosse ridotto ad essere poco più che un parassita, Voldemort era ancora un mago potente. Troppo anche per un duellante abile come Drew.

Non avrei più sfiorato il suo corpo con le mie labbra. Non lo avrei più baciato. Non avrei più immerso le mani nei suoi capelli. Non mi sarei più persa nei suoi occhi blu scuro.

Sciolsi la presa che avevo sul suo corpo per lasciarmi cadere.

E le fiamme di quell’Inferno magico, che io stessa avevo creato, ci accolsero.

 

Ultimo atto: Epilogo

 

Avrei voluto essere in grado di trattenerlo il tempo sufficiente affinché quella pietra si chiudesse su entrambi, imprigionandoci per sempre insieme in quel sarcofago, ma non ne fui capace. Voldemort riuscì facilmente a mettersi in salvo.

I corpi di Phoebe e Derrick vennero divorati completamente da quelle fiamme. Per il mio, invece, vi fu una sorte diversa. Il fuoco mi bruciò la pelle ma, quando morii dopo una lunga agonia, l’incantesimo, privato del suo evocatore, si interruppe.

Il mio cadavere rimase in quella radura di terra bruciata a lungo. Subì la furia delle intemperie e l’assalto di molti animale. Ma, alla fine, ottenne una degna sepoltura.

Qui la mia storia troverebbe la sua conclusione, se in punto di morte non avessi compiuto l’ennesimo errore.

Fui codarda e sperai che rimanere mi permettesse di vivere per sempre con Drew.

Divenni un fantasma.

Il mio corpo fluttuante e luminescente mi bastò per capire che non potevo pretendere che l’uomo che amavo restasse con me.

Ora so solo che è ancora vivo e questo mi basta.

 

Seduta su una pietra gelida, ma il cui freddo non avverto, aspetto. Giorno e notte si inseguono senza sosta ed io resto qui immobile. Attendo qualcuno che come voi mi stia ad ascoltare e con cui poter condividere ciò che io ho imparato dalla mia tragedia.

Oramai io e questo luogo siamo un’unica essenza. Qui Voldemort, ammaliata la Dama Grigia, ritrovò il Diadema di Rowena Ravenclaw e, dopo un cruento omicidio, ne fece un Horcrux; qui lo stesso si rifugiò dopo essere stato sconfitto dal bambino Sopravvissuto; qui il giovane professore di Difesa contro le Arti Oscure Quirinus Raptor rimase affascinato dal potere di un rimasuglio d’anima; qui venne stretto in modo indissolubile il nodo tra Derrick e Phoebe, che furono inseparabili in vita e in morte; qui io dissi addio all’amore e abbandonai la vita; qui Drew Yvor Kennan perse il suo primogenito.

Capite? Abbandonare questo luogo, per me, è impossibile. Anche io, come tutti gli alberi che mi circondano, ho posto qui le mie radici.

Questo è il racconto di come l’amore è in grado di renderti stupido, facendo in modo di darti veramente la vita. Questo è il racconto di due adolescenti innamorati.

Io sono Christabel e quella che vi ho narrato è la mia storia.

La storia di come l’amore può vincere su morte e paura.

 

Io sono Christabel e sono un fantasma. Seduta all’ombra di un albero, aspetto viaggiatori che hanno perso la via e a cui poter raccontare le mie vicissitudini. Perché ho molte cose da dire e molti eventi da narrare.

Io sono Christabel e sono una cantastorie.

Se vuoi siediti e fammi compagnia, in cambio ti racconterò la mia fiaba …

Note dell’Autore

Comincio subito scusandomi. Lo so, vi avevo detto che non avrei aggiornato prima di aprile ma, in effetti, questo capitolo è, per ovvi motivi, ben lontano dalla trama attuale di You and Me. Non riguarda Hermione e Draco, per intenderci.

Forse non condividerete il mio pensiero, ma per me, Dramionista ben poco convinto, era giunto il momento di cambiare un po’ l’aria e mi pare che questo, tutto sommato, sia stato un buon modo per farlo.

È stato un capitolo complesso, ma soprattutto è stato causato.

Colei che per prima legge questi capitoli e che molte volte mi ha evitato brutte figure ortografiche (pur conoscendo la regola continuo insistentemente o sbagliare quei maledetti “li” e “gli”) ha richiesto un po’ di fan service. Il punto è che lei è una fan scatenata (ossessiva compulsiva e possessiva) di Drew. Ho rimandato a lungo ma, alla fine, ho deciso di accontentarla per il suo compleanno (chiaramente il capitolo lo concluso con almeno mezza settimana di ritardo).

Sorse dunque un problema. Come faccio ad accontentarla senza svelare i molteplici segreti irrisolti del caro prof Kennan? La soluzione l’ho trovata nel riscrivere, in modo più particolareggiato e da un diverso punto di vista, un evento già citato da Drew stesso.
Così è nato questo “Missing Moment” durante il quale Christabel, la fidanzata di Drew uccisa da Voldemort, ha avuto modo di parlare. Per farvi un po’ di chiarezza: siamo nell’estate precedente al primo anno di Harry ad Hogwarts, quindi Voldy è poco meno che un parassita sulla testa di Raptor; Christy e Drew, coetanei, si godono la prima estate dopo il loro settimo anno ad Hogwarts. Tutto il Missing, dunque, è ambientato sei anni e mezzo prima della solita narrazione di You and Me.

Se avete dubbi, sono disponibile a chiarimenti. Se ho sbagliato qualche cosa (intendo errori Rowliniani), vi pregherei di farmeli notare, così che possa, se possibile, attuare le opportune modifiche.

Ovviamente, mongolo quale sono, ho deciso che il capitolo non era sufficientemente complesso, così ho deciso di narrarlo in prima persona e dal punto di vista di una donna morta. Problema non da poco, visto che sono un ragazzo e per ora (e spero ancora per molto) sono vivo.

Il capitolo potrebbe farvi schifo. Di nuovo, vi prego di dirmelo. Preferisco una critica pesante piuttosto che una sparizione senza parole, credetemi.

Approfitto di questo spazio per ringraziare SweetTaiga che ha pubblicizzato questa storia e la mitica Hollina che mi segue dal primo capitolo con relative recensioni. Grazie di cuore ad entrambe.

Visto che ho già risposto a tutte le persone che mi hanno recensito, mi eclisso con la stessa rapidità con cui mi sono palesato.

Grazie a chi legge, segue, preferisce e ricorda.

Spero a presto (scuola permettendo),

Jerry

P.S.: Auguri Lady Annette!!!

   
 
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