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Autore: bluemary    27/03/2011    3 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune'
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-Capitolo 17: Il tormento dei demoni-

Devil spronò per l’ennesima volta il suo destriero, incurante dell’evidente fatica con cui l’animale stava proseguendo la sua corsa. I corti capelli biondi, orfani dell’elmo nero che aveva legato alla sella, venivano flagellati del vento ed i suoi occhi di ghiaccio socchiusi in un’espressione infastidita fissavano lo sfocato panorama circostante senza realmente vederlo.
Due giorni prima si era risvegliato all’alba, contemplando con una smorfia la giovane donna che gli dormiva a fianco.
Quel corpo nudo di fanciulla aderente al suo torace non era riuscito a trattenerlo, perfino i capelli simili ad una cascata di oro rosso che tanto lo avevano attirato la sera prima avevano già perso il loro fascino, soffocati da pensieri ed incarichi ben più pressanti. Del tutto indifferente ai suoi tentativi di risvegliare il proprio interesse, si era vestito senza nemmeno guardarla e, dopo averla congedata più bruscamente del solito, aveva cominciato a viaggiare verso Huan.
Le sue intenzioni di indagare a fondo sulla distruzione di quel villaggio secondo gli ordini ricevuti, tuttavia, erano presto venute a mancare, sconfitte da un opprimente senso di disagio che lo aveva spinto a cambiare direzione e spronare il suo destriero verso l’ignoto.
Quell’incessante cavalcata senza meta, con cui sperava di poter calmare i suoi pensieri, lo aveva portato al confine con il regno di Lotar e tuttavia ancora non era riuscito a soffocare quel fastidioso turbamento dalle sembianze di una ragazza addormentata tranquillamente davanti ai suoi occhi.
Dopo l’ultimo scontro in cui l’aveva minacciata di morte non aveva più fatto visita alla sua prigioniera, stranamente restio a scoprire quale sarebbe stata la sua risposta, e tuttavia incapace di bandirla dai propri pensieri.
Non era l’attrazione per lei a tormentarlo, ma un fantasma del passato che si nascondeva nel suo volto e lo infastidiva con ricordi troppo umani per chi aveva scelto di consacrarsi all’oscurità. Il limpido sguardo con cui lei l’aveva fissato rispecchiava in maniera fin troppo fedele la sua adolescenza, richiamando l’ombra del ragazzo che aveva vissuto nel nome di ideali a cui sarebbe stato pronto a donare la vita ed invece era stato ucciso dall’ambizione e dalla magia. E, anche quando si era dilettato con un’altra donna, quegli occhi azzurri non avevano smesso di tormentarlo, conficcati in un angolo della sua mente come una scheggia appena percettibile eppure fastidiosamente difficile da ignorare.
A volte lo prendeva l’impulso di tornare indietro per scoprire se quella fragile ragazzina avesse davvero il coraggio di scegliere la morte e mantener fede alla sua parola, ma allo stesso tempo c’era sempre qualcosa a bloccarlo e prolungare l’attesa di quell’elettrizzante gioco che gli pareva sempre più difficile da concludere. A dispetto di ogni suo tentativo, rimaneva inesorabile in lui quel pensiero insidioso, un oscuro inquilino della sua mente ripudiato da ogni barlume di razionalità, eppure sempre presente e pronto ad emergere al minimo accenno di debolezza. Il timore che una fragile ragazzina senza magia, una prigioniera incapace di difendersi, una mocciosa dimostrasse un coraggio superiore al suo.
E, nonostante il disgusto di poter anche solo ammettere quell’eventualità, nel più profondo baratro del suo animo sapeva con assoluta certezza di non poter sopportare che Kysa compisse quella scelta a cui lui aveva rinunciato, preferendo la morte alla resa.
Un’improvvisa esplosione di energia penetrò tra i suoi pensieri, frantumandoli.
Prima ancora di ritrovarne i brandelli e continuare in quella lotta con se stesso, aveva già girato il cavallo, spronandolo verso il luogo da cui era provenuto quell’immenso potere.
Gli ci vollero diversi minuti per arrivare in quella zona ed una volta fermo si stupì di averlo percepito chiaramente, nonostante la distanza.
Scese da cavallo, contemplando la devastazione che lo circondava senza tuttavia rivelare la sorpresa nascosta dietro le sue iridi di ghiaccio. Il suo sguardo impassibile scivolò sui resti degli alberi carbonizzati, un tempo parte di un bosco fitto e rigoglioso, soffermandosi poi sul suolo annerito, da cui si alzavano ancora piccole volute di fumo. Solchi profondi quanto il suo braccio lo attraversavano, tracce di un violento scoppio di collera che aveva lacerato assieme terra e corteccia ed era stato seguito da un silenzio innaturale. Gli alberi che erano scampati al fuoco giacevano in un raggio di parecchi metri, dilaniati da artigliate di magia inferte con una furia cieca e irrazionale, mentre al centro di quello scempio un piccolo cratere dimostrava l’esatto punto da cui era divampata quella distruzione.
Devil aggrottò la fronte, nel tentativo di localizzarne l’autore, e poi lo percepì, un potere che si stava dolcemente spegnendo dietro l’unica parte del bosco rimasta intatta.
Si diresse subito verso di esso, senza nemmeno risalire a cavallo.
Giunto nei pressi di un limpido laghetto si fermò, stupito di vedere una figura femminile vestita di bianco immersa nell’acqua fino alle spalle; dalla sua posizione poteva scorgere solo i capelli corvini, dolcemente accarezzati dalle leggere increspature che turbavano la superficie di quel pacifico bacino.
Come consapevole di quel soldato silenzioso che la stava fissando, la donna si volse, permettendogli di riconoscere le sue fattezze: un viso bellissimo, dai lineamenti scolpiti nel più prezioso dei marmi e dalle labbra perfette, il cui rosso risaltava in misura ancora maggiore se confrontato con le guance pallide, segnate da gocce d’acqua impossibili da scambiare per lacrime. I capelli neri, bagnati unicamente sulle punte arricciate, scendevano in onde morbide fino alle spalle e nascondevano il collo esile e proporzionato. Grazie al perlaceo candore della sua pelle e la delicata armonia dei suoi tratti, pareva la scultura di una divinità che avesse voluto rappresentare le sembianze stesse della bellezza, tuttavia quella maschera di perfezione si infrangeva nel turbamento che trapelava dal suo volto.
Gli occhi di Devil si intrecciarono con le bianche pupille della donna e nella sua mente balenò improvvisa la spiegazione per quel potere quasi incalcolabile percepito poco prima.
- L’umano di Daygon. - commentò l’Oscura con un velo di disprezzo, mentre i suoi lineamenti si ricomponevano in un’espressione imperturbabile - Cosa ci fai tanto distante dal tuo padrone?
- Potrei chiederti la stessa cosa, Sawhanna. Se non sbaglio, queste terre appartengono a Lotar.
Rimasero a scrutarsi in silenzio, esitanti nel riconoscersi come amici od avversari, in quella prima volta che i loro cammini si incrociavano senza la presenza del più forte tra i Cinque Re.
Fu la voce dura di Devil a spezzare quei brevi secondi di studio reciproco.
- Immagino che la devastazione di quel boschetto sia opera tua. Cosa può essere successo per aver incollerito a tal punto l’unica regina di Sylune?
Lentamente Sawhanna uscì dal lago con passo aggraziato, accarezzando l’acqua anziché fenderla, senza sollevare la minima increspatura mentre centimetro dopo centimetro rivelava le sue sembianze. Un vestito leggero, sottile e tanto impalpabile da sembrare intessuto nelle nuvole le fasciava il corpo, lasciando intravedere la gambe nude ancora gocciolanti e la curvatura del seno.
- E’ un peccato che tu non sia arrivato prima, in tal caso avrei evitato queste tue fastidiose domande e gli alberi sarebbero ancora al loro posto. - replicò con un sorriso, fermandosi ad un paio di metri dal generale.
Si fronteggiarono in silenzio, nonostante l’uomo la superasse di tutta la testa, quel confronto non scalfiva in minima parte l’impressione di potere che la maga incuteva a qualunque umano avesse la sventura di incrociare il suo cammino; entrambi temuti dall’intera Sylune, questi due membri dell’impero rappresentavano il ghiaccio ed il fuoco della stessa oscurità.
Sawhanna fece un altro passo verso di lui e Devil si sforzò di rimanere impassibile, suo malgrado perfettamente conscio delle forme perfette che tendevano l’abito bianco, reso trasparente dal contatto con l’acqua, e del calore stranamente intenso irradiato dal suo corpo, per la prima volta così vicino al proprio.
- Io non sarei rimasto immobile a subire i colpi, li avrei rispediti al mittente. - commentò infine, con la voce indurita dall’irritazione per essersi riscoperto velatamente attratto da quella pericolosa avversaria.
Il sorriso della donna assunse una sfumatura ironica.
- Non riusciresti nemmeno a sfiorarmi contro la mia volontà.
Senza abbassare gli occhi accarezzò il vestito fradicio con la mano sinistra, partendo dalla spalla fino al fianco, e subito la stoffa si contorse sotto il suo tocco, asciugandosi e cambiando repentinamente sembianze come il mare improvvisamente solcato dall’onda. A ricoprirla adesso era un abito nero che le lasciava le spalle scoperte e scendeva fino alle caviglie, terminando in uno strascico trasparente dello stesso colore.
Devil mantenne alto lo sguardo, concentrandosi sulle bianche pupille della donna; al contrario di quelli di Daygon, gli occhi di Sawhanna erano animati da una fiamma violenta, simile ad un fuoco di vita ed ambizione che si sarebbe spento solo con la vittoria o con la morte, e tuttavia erano pervasi dallo stesso spietato ed inumano riflesso. Lo riconobbe con un’ironica piega delle labbra, indeciso se quella scoperta gli fosse indifferente o avesse un retrogusto amaro.
Questi occhi rappresentavano la scelta che aveva effettuato, ben diversi dalle innocenti iridi della sua prigioniera, in cui, a dispetto di ogni avversità, si ostinava a comparire il bagliore lontano della speranza.
Il pensiero di Kysa lo colse alla sprovvista, facendo vacillare la sua sicurezza e attraversando con un guizzo di sorpresa il suo volto.
L’espressione dell’Oscura si velò di malizia.
- Sei turbato, umano?- lo derise - Il sicario di Daygon ha forse dei rimorsi di coscienza? O è paura questa angoscia che trapela dal tuo volto?
- Nulla di tutto ciò, Sawhanna, io non possiedo tali debolezze. - ribatté il soldato con una certa asprezza, ricomponendo i lineamenti in una maschera impassibile.
Una risata argentina accolse le sue parole.
- Stai mentendo Devil, e ne sei consapevole. Cerchi di occultarle, ma io vedo delle ombre profonde nei tuoi occhi.
- Non possono nascere ombre nello sguardo di chi vive nell’oscurità.
- Questo è vero per i Cinque Re di Sylune, non per te. La debolezza è insita nella natura di voi umani, nessuno escluso, e questo turbamento che trapela dal tuo volto ne è la prova.
Il soldato contrasse le mascelle, accarezzando inconsciamente la spada che portava al fianco sinistro.
- Sei così ansiosa di ribadire la diversità presente tra noi forse perché dentro di te percepisci la stessa debolezza di cui mi accusi? Perdere il controllo e distruggere un bosco intero non mi sembra una grande dimostrazione di imperturbabilità.
- Attento Devil, la mia collera potrebbe non essersi ancora placata. - replicò la donna, con una voce suadente da cui trapelava appena una nota d’irritazione.
- Uccidermi sarebbe un atto di ribellione nei confronti di Daygon. - ripose il soldato, accennando un sorriso carico di minacce - E comunque non te ne darei la possibilità.
Sawhanna contrasse le labbra in una smorfia stizzita.
- I tuoi poteri sono di gran lunga inferiori ai miei.
- Ne sei certa?
- Osi forse sfidare uno degli Oscuri, umano? - minacciò, pronunciando l’ultima parola con tono sprezzante.
- Solo quando Daygon me lo ordinerà. - replicò il soldato, mentre una nota d’avvertimento arricchiva la sua voce - Non credere che sia ignaro delle vostre intenzioni, Sawhanna, lui sa tutto sull’ambizione che vi governa. Finora vi ha lasciato agire a vostro piacimento solamente perché confida nel vostro buon senso.
Se la donna fu sorpresa da questa rivelazione non lo diede a vedere, si limitò a scuotere la testa, facendo ondeggiare leggermente i capelli neri.
- Daygon è uno sciocco a fidarsi di te, verrà il giorno in cui lo colpirai alle spalle.
La risata divertita di Devil esplose attorno a loro in un suono quasi violento, prima di spegnersi in un ghigno di sfida.
- Al contrario di te, Lotar e Ghedan, il potere che già possiedo mi soddisfa. Per quale ragione dovrei scontrarmi con colui che me ne ha fatto dono?
L’Oscura sostenne senza alcuna difficoltà il suo sguardo di ghiaccio.
- La gratitudine non ha alcun significato per quelli come te. - fece una pausa, incurvando le labbra in un sorriso ironico - O come me.
- Non è certo la gratitudine che mi tiene legato al suo fianco.
- Lo immaginavo. E dunque perché dovresti continuare a servire Daygon? Proprio tu, un umano tanto estraneo al concetto di lealtà che spesso la tua razza va predicando.
- Cosa intendi dire?
Sawhanna colse il brusco cambiamento della sua voce con un luccichio sinistro nelle iridi di tenebra.
- Conosco la tua storia, Mizar di Hoken. - fece una pausa, assaporando fino all’ultima stilla il veleno che trapelava dalle sue parole e adesso era penetrato nel volto impassibile del soldato, provocandogli uno spasmo quasi simile ad un sussulto di dolore - L’uomo che ha tradito la sua stessa città per il potere. Per quale ragione dovresti farti degli scrupoli a tradire un Oscuro?
A quelle parole di fiele i lineamenti di Devil si contrassero in preda ad una collera profonda. Fu un attimo, prima che l’espressione glaciale con cui solitamente guardava alleati e nemici riprendesse il dominio sul suo volto
- Perché non ho alcun motivo che mi spinge a mettermi contro di lui. - fece una pausa, ritrovando la sicurezza ed il sorriso ironico che per un solo secondo l’avevano abbandonato - Per essere soddisfatti non serve avere un predominio assoluto, ma voi non riuscite a comprenderlo, desiderate primeggiare ad ogni costo, pronti a mettere in gioco la vita anche quando non è necessario.
Sorrise quando vide lo sguardo della donna vacillare come in preda al dubbio.
- Ed è questo il motivo per cui tu, Lotar e Ghedan verrete distrutti. - concluse con un ghigno, lasciando che il silenzio scendesse a confermare le sue parole.
Si irrigidì impercettibilmente, in attesa di un attacco improvviso, e vide chiaramente le bianche pupille della donna illuminarsi di una collera a stento trattenuta, tuttavia lei gli sorrise.
- Porgi i miei saluti al tuo padrone. - disse, mentre gli si avvicinava col chiaro intento di congedarsi da lui.
Quando lo affiancò, si fermò un attimo solo, il tempo necessario per accostare le sue labbra all’orecchio del soldato.
- Ed al nostro prossimo incontro impara a frenare la lingua. - mormorò, prima di superarlo e svanire nel vento.
Mizar cadde in ginocchio, tenendosi con un braccio l’addome dove la magia della donna, un lampo tanto rapido da averlo colto di sorpresa, aveva lasciato la sua impronta. Rimase qualche secondo accasciato su se stesso, ad ansimare per il dolore senza concedersi alcuno sfogo, mentre il sangue gli imbrattava la mano stretta alla ferita donandogli una sensazione di cui aveva quasi perso il ricordo.
Erano passati degli anni da quando qualcuno si era dimostrato capace di ferirlo.
Lentamente sollevò il volto, lasciando che il sole illuminasse il suo sorriso sarcastico.
- La tua fama è meritata, regina di Sylune. - mormorò mentre si alzava cautamente in piedi - Ma quando combatteremo sul serio non ti sarà tanto facile colpirmi.
Dopo essersi curato quel poco che bastava per arrestare la perdita di sangue, tornò dove aveva lasciato il cavallo e gli salì in groppa senza un gemito, nonostante l’addome presentasse ancora il bruciante segno della magia.
Con decisione indossò l’elmo nero che solitamente riservava alle battaglie e spronò l’animale alla massima velocità, dirigendosi verso il castello di Daygon.
Questa volta nessun turbamento l’avrebbe fermato, nessuna esitazione sarebbe riuscita a penetrare la sua mente, segnata dalla gelida derisione di quell’Oscura.
Il gioco era finito.

Rafi stava camminando ai confini di Darconn, la mano destra appoggiata all’elsa della sua spada e lo sguardo duro.
Troppo a lungo aveva vissuto in solitudine, dimenticando cosa significasse viaggiare con qualcuno, e l’incontro con Sky, eco inconsapevole del suo passato, aveva già cominciato ad erodere il suo isolamento. A causa sua perfino l’Etereo pareva essersi dimenticato dell’ostilità presente tra loro, iniziando a trattarla come una compagna anziché una nemica, e lei questo non poteva accettarlo.
L’aveva provocato di proposito, percependo quell’atmosfera di pace presente tra loro che avrebbe potuto intralciare i suoi piani, senza crederlo capace di una risposta tanto pericolosa. Nonostante tutti gli insulti ed i litigi dei giorni passati, era la prima volta che l’Etereo riusciva ad infrangere il suo autocontrollo.
Strinse i pugni.
Sapeva con agghiacciante certezza che se fosse rimasta in quella stanza l’avrebbe ucciso a mani nude, e questo, per una semplice questione d’orgoglio, non se lo poteva permettere. Aveva calcolato fin dall’inizio l’assassinio del suo compagno, assieme a tutta la stirpe a cui lui apparteneva, tuttavia non avrebbe potuto tollerare di ucciderlo in preda alla rabbia, dimostrando in tal modo la propria sconfitta dinanzi alle emozioni.
In quegli ultimi anni, trascorsi in una soffocante spirale di odio e angoscia, i giorni erano passati lenti, con una ripetitività tale da aver preso le sembianze di un eterno limbo di dannazione, e solo grazie al rancore che ardeva senza sosta dentro di lei era riuscita a sopravvivere. Si era impegnata con ogni mezzo per divenire un’assassina priva di identità e passato, indifferente ad ogni cosa, in modo da sconfiggere quella paura gelida e strisciante che si insinuava in ogni suo pensiero, avvelenando anche i rari momenti in cui la pace le graziava la mente con il suo tocco.
Soffocare ogni singola emozione era stato facile, nella solitudine che aveva imparato a ricercare come il tesoro più prezioso i sentimenti tipici di una giovane donna avevano assunto le effimere sembianze di sbiaditi fantasmi, pallide imitazioni di un’umanità che si era costretta a rinnegare per una pura questione di sopravvivenza; solo la rabbia bruciante che talvolta la investiva, mettendo a dura prova l’indifferenza con cui affrontava la vita, riusciva a beffare il suo autocontrollo, ma era un ben misero prezzo per mantenere ardente il fuoco di una vendetta che avrebbe perseguito ad ogni costo.
Strinse l’elsa della spada con entrambe la mani, socchiudendo gli occhi verdi nell’espressione gelida che caratterizzava la sua natura da assassina, e si apprestò ad un solitario combattimento con i suoi incubi.
Vibrò un primo affondo, sfiorando appena la foglia dell’albero più vicino, le dita aderenti all’impugnatura nell’esatta posizione che le aveva insegnato il suo maestro. Un secondo attacco lo seguì, più violento e deciso del precedente, poi un terzo. Cercò di concentrarsi sul sibilo della sua lama che lacerava il vento, ma le parole di quell’Etereo si sovrapponevano al rumore di quelle stoccate rabbiose, scavando nella sua mente più implacabili di un nemico, nel tentativo di trovare una crepa nelle sue difese. Infine la raggiunsero, quella scintilla occultata tra strati di rancore ed indifferenza, in cui ancora pulsavano deboli delle emozioni.
Come se fosse aperta una breccia nelle sue difese, le immagini del suo passato cominciarono a fluire tra i suoi pensieri annebbiando ogni altra sensazione, incessanti ed abbastanza crudeli da farle contrarre il volto in un’espressione di sofferenza.
Dopo mesi interi in cui era riuscita a sopprimere ogni ricordo di quegli anni, quella semplice frase di Kilik era riuscita a riportare a galla ogni cosa.
Si ritrovò a vivere il momento in cui aveva deciso di lottare a fianco di quei combattenti che tanto ammirava, consacrandosi anima e corpo ad una giustizia di cui non era mai riuscita a scoprire le sembianze.
All’epoca aveva appena compiuto vent’anni e non si era mai sentita più felice.
Aveva accettato il lieve dolore al petto con un sorriso d’orgoglio, mentre millimetro per millimetro gli ideali e la speranza in cui credeva si incidevano sulla sua pelle, senza nemmeno guardare in volto il fiero guerriero di fronte a lei, che rappresentava assieme il giudice ed il testimone del suo giuramento.
Non ricordava il suo nome, ma le parole con cui le si era rivolto quella prima ed ultima volta echeggiavano ancora nella sua testa.
- Adesso sei una di noi. Impegnati con la vita a salvare Sylune.
A quell’inesorabile frase si era morsa un labbro, conscia delle responsabilità che aveva appena accettato e tuttavia determinata a seguire fino in fondo quel cammino. Anche senza voltarsi era sempre rimasta consapevole di una figura nascosta nell’ombra, che aveva osservato tutta la scena con un lieve sorriso sulle labbra.
Poi era giunta la sua risposta, due parole tanto insignificanti in confronto alla promessa che implicavano.
- Lo farò.
La spada sibilò nuovamente nell’aria, abbattendo un nemico immaginario nella speranza di mettere a tacere gli echi del passato, ma quella porta dentro di lei ormai era aperta, e attraverso essa continuavano a tormentarla i volti di una vita che aveva deciso di dimenticare. Piano piano quelle ombre cominciarono ad assumere le fisionomie di soldati duri ed orgogliosi, di sguardi remoti, appartenenti a chi troppe volte si è macchiato le mani di sangue ma che continua a credere nella speranza, di fuggevoli sorrisi scambiati accanto ad una morte sempre incombente.
Rivide Erian, l’invincibile guerriera alta quanto un uomo, il capo del piccolo gruppo di combattenti a cui era stata assegnata, poi il gigantesco mercenario senza nome, da anni al suo fianco come un muto angelo protettore, ed infine Locket, il biondo ragazzo sfrontato che durante la vigilia di quella sua prima missione si era divertito a schernirla, subito redarguito dalla donna.
- Non dirmi che sei spaventata, mocciosa! Perché diavolo ti sei unita a noi se poi non hai abbastanza coraggio per morire?
- Lasciala stare, Locket, è normale aver paura la prima volta. Rafi, hai ricevuto un ottimo addestramento, non devi preoccuparti.

Chiuse gli occhi.
Come se gli ultimi quattro anni si fossero cancellati in un battito d’ali, si ritrovò in una stanza scura, in piedi di fronte a quei tre guerrieri che la attendevano per cominciare la missione.
Nuovamente sentì quel ridicolo groppo in gola che la tormentava da quando si era resa conto di poter davvero perdere la vita, la gelida consapevolezza della precarietà della propria esistenza ed infine la pacca sulle spalle che Locket le aveva dato appena prima della battaglia, una via di mezzo tra la presa in giro e l’incoraggiamento.
- Mocciosa, guarda che noi saremo al tuo fianco, non sarai sola.
La spada nelle sue mani divenne un lampo grigio di distruzione, immaginari nemici cadevano a pezzi davanti a lei, mentre i suoi occhi guizzavano verso ogni lato, nel tentativo di trovare un avversario in carne ed ossa per poter annegare nel sangue le rinate emozioni da cui si sentiva lacerata, ed utilizzare le sue grida d’agonia per coprire le voci di quel passato che avrebbe desiderato poter dimenticare per sempre.
Con tutta la sua forza vibrò un fendente contro l’albero più vicino, accompagnando il violento impatto con un urlo roco da animale ferito, un suono pervaso da un dolore che lacerava l’anima, incessante e tanto violento da non poter essere lenito con il pianto.
- Io non sono sola!
Si accasciò su se stessa, la mano ancora stretta alla spada conficcata nel tronco dell’albero fino a metà lama, mentre l’espressione le tornava di ghiaccio.
- Io non sono mai sola.
   
 
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