E, boh, a volte mi sfido ad usare il tempo presente.
Grazie di esistere. Sì, tu.
Arrivano! Arrivano! Signore santo, Ti ringrazio... sono
arrivati!
Alla disperata ricerca di uno straccio per ripulirsi le
mani sporche d'inchiostro, Conn rischia di inciampare in più
d'uno sgabello. I conti vanno rifatti, ci si è messo d'impegno
ma non quadra nulla. Come ha fatto suo padre a svolgere tutto quel
lavoro per tanti anni e senza mai commettere errori?
Naturalmente
non gli passa nemmeno per la testa che di sbagli ne commettiamo
tutti, e che nessuno si accorgerà mai se in un villaggio due o
tre persone non hanno pagato le tasse o se qualche contadino si è
messo da parte più del consentito. Che ci volete fare? Ha
appena compiuto i quindici anni, e senza nemmeno accorgersene,
impegnato com'è. Non ha tempo per guardarsi in uno specchio
più di quanto ne abbia avuto occasione in guerra. Non sa
quanto le sue spalle si siano allargate, perché ci pensa sua
madre ad aggiustargli, nottetempo, gli abiti; né si cura della
barba che gli va spuntando, seppur morbida e rada. Quando una delle sue
sorelle glielo
fa notare per scherno, il suo primo pensiero è che, al suo
ritorno, Lady Clarissant non avrà più motivo di
rattristarsi della sua rassomiglianza con Amren, e se la lascia
crescere.
Non avrebbe ragione di preoccuparsi di non essere
all'altezza dei suoi compiti, poiché non v'è gente
meschina o approfittatrice a Lindsey. Sir Griflet si è sempre
saputo far amare e rispettare allo stesso tempo, e per fortuna anche
le virtù dei padri ricadono sui figli. In questo caso sui
figli maschi, in quanto le due giovani possiedono ben pochi
pregi.
Bene. Ha svolto al meglio che poteva le incombenze
affidategli e ora può tornare ad essere ciò che è
davvero, il bastardello di casa: e non ammetterebbe mai di provarne
dispiacere. Si strofina le mani alla bell'e meglio, scende di corsa
le scale ed esce nella corte interna, dove due servi stanno già
aprendo il portone. Ancora un po' abbagliato dal sole, gli pare di
vedere una nuvola rossa a cavallo, ma qualche istante dopo gli è
chiaro che si tratta di madamigella Eneuawc.
- Conn... - Fa per
aiutarla a smontare, ma ella lo respinge. - Fai preparare un bagno
caldo e un pranzo leggero. Le stanze di mio padre sono in ordine,
spero.
- N-naturalmente, vi attendevamo. - Non si offende per il
contegno frettoloso della cugina, comprende la situazione; nemmeno si
aspettava dimostrazioni d'affetto o ringraziamenti. Non è mai
stato una persona egoista e non comincerà ad esserlo proprio
ora. Si rallegra, invece, quando vede arrivare il carro e questa
volta gli occupanti gli lasciano dare una mano.
L'ultima
volta che
ha visto Sir Bedivere, cioè quando ha visitato l'eremo insieme
a Constantine di Cornovaglia, ha letto nei suoi occhi lo smarrimento
e il dolore di un animo schiantato. Ma ora può constatare come
quella disperazione abbia lasciato i segni anche sul fisico. Le
cicatrici della battaglia non sono che bazzecole, davvero, rispetto
al resto: il digiuno prolungato l'ha smagrito all'inverosimile, e i
capelli che ricordava brizzolati sono diventati bianchi come il cielo
d'inverno. Ciò che lo colpisce maggiormente, però, è
l'espressione di inconsapevolezza quasi assoluta. Invano cerca di
farsi riconoscere, e Lady Clarissant - quella bella, forte donna che
è riuscita a riportare a casa il suo amato, ma è consapevole ch'egli ha
lasciato su quel campo di battaglia molto più di uno scudo spezzato -
scuote la testa.
Di nuovo, Conn capisce che solo lei può aiutare il marito a
ritornare alla vita.
Carezze.
Lunghe, disperate carezze.
Baci che sfiorano la
pelle con la paura di sentirla dura e gelida come roccia.
Afferra
la sua mano e se la tiene sul seno, a riscaldarla; poi la costringe a
ripassarle il viso come un libro dimenticato.
Ma no, non ha
dimenticato: al contrario, ricorda troppo, e dentro di lui qualcosa
urla senza tregua.
- Glastonbury si era fatta... come dire? Affollata. - Eneuawc
parla
di quando si era riunita ai suoi genitori, e aveva
incontrato i cavalieri di Francia decisi a vivere in penitenza. - Mia
madre guardava Sir Lancelot con certi occhi... e
anch'io, s'intende. Ma pare sinceramente pentito, non ha senso
continuare ad odiare.
Gli occhi di Conn luccicano. Non è ancora pronto per sentir parlare
dell'assassino di suo padre in termini benevoli, ma finge di
comprendere e accettare tutto. - Certo, vostra madre è molto saggia. -
Sorride. Da qualche parte dovrà pur cominciare.
- Anche la tua; so che si è dovuta accollare molte responsabilità in
queste settimane ed entrambi siete stati davvero preziosi - risponde la
cugina, ricambiando il sorriso. Gli sembra cambiata, sebbene non sappia
dire come; c'è un'energia nuova nel suo sguardo di giovane donna, che
trascende ogni difficoltà o dispiacere.
Certamente non se ne stupirebbe tanto, se sapesse tutto ciò che le è
accaduto sull'isola di Avalon - come ha sentito la magia che scorre
nelle sue vene prendere forma e giungere
lontano, come ha ritrovato Elyan e i suoi sentimenti per lui, come ha
compreso il
suo ruolo nel dipanarsi degli eventi. Nessuna sorpresa, davvero, se
sembra un'altra persona.
Si può però immaginare che presto perderà quell'aura luminosa. Si era
illusa che rivedere Lindsey avrebbe giovato a suo padre, ma non riesce
a intravedere alcun miglioramento. Inizierà a struggersi per lui,
piangendo quel suo silenzio che lo annega come un'alta marea perenne -
poiché è l'unico uomo ch'ella ami più di Elyan.
- Quale superbia sfoggia questo vostro fidanzato! Come ha osato proporvelo?
- Forse gli ho dimostrato fin troppo quanto ancora tenga a lui - ammette Eneuawc - e pensa che abbiamo perso troppo tempo. Non sono più così giovane, in effetti; ma credo ancora che dobbiamo fare le cose per bene. Sua madre gli ha affidato una missione, e quando l'avrà portata a termine, tornerà a chiedere la mia mano.
Si aspetta che Conn le risponda "Ebbene, sono curioso di conoscerlo" ma ciò non avviene. Sarebbe ben strano, riflette poi, in quanto Elyan è pur sempre parente di Sir Lancelot...
- D'altra parte, se non dovesse tornare affatto... - sospira - sono a casa, e ho ancora una famiglia.
Spade di legno, bastoni, vecchie
armature di cuoio.
Guardate
com'è levigata questa impugnatura. E questa. Com'è
tutto consunto e logoro. Generazioni di uomini si sono allenati con
questi attrezzi. Sole o pioggia, per anni, fino al giorno in cui un
tocco sulla spalla e una formula antica li proclamavano degni di
possedere armi autenticamente letali e diventare leggenda. Ma un uomo
diventa leggenda solo dopo una morte atroce.
Corneus. Cardol.
Griflet. Amren. Lucan.
Ognuno di loro con un "perché?"
sulle labbra, un guizzo di sorpresa negli occhi, un rimpianto
strozzato nell'ultimo respiro.
Per Bedivere questa stanza racchiude
tutte le speranze della sua
famiglia. Speranze coltivate con passione ed orgoglio, ma soprattutto
con amore, e spezzate una dopo l'altra.
Qui trascorre di
nascosto le notti, si culla nell'odore di polvere e nostalgia; mentre
le sue ferite fisiche guariscono del tutto, quelle dell'anima si
riaprono e vanno in suppurazione. Accoccolato sulla terra battuta,
tossisce fuori i ricordi,
abbracciandosi le ginocchia come un bimbo non ancora
nato.
Qui
l'immagine di suo padre è scolpita nell'età
più vigorosa, quando era il suo unico eroe. E Griflet riappare
nelle vesti del giovanotto dinoccolato e ansioso di fare a pezzi i
Sassoni per dimostrare di non essere soltanto un mediocre "frutto
del ramo cadetto". In quel delirio, che non segue lo scorrere del tempo
ma il pulsare delle emozioni, Lucan e Amren sono come una persona sola,
un
brillìo incantato di pupille nere che pende dalle sue parole,
sopracciglia concentrate nel seguire le istruzioni mentre mani ancora
morbide e infantili stringono il legno.
"Anche di più, ne sono sicuro..."
"Cosa vuol dire tradimento?"
"Quando qualcuno di cui ti fidi ti fa del male"
"Io non farò mai del male. Voglio proteggere tutti."
"Siete pronti. Il giorno è arrivato. Sarò fiero di voi, sempre."
Clarissant si sveglia perché
sente freddo. O ha sognato di sentirlo, che è la stessa cosa:
o forse è peggio. Perché il caminetto si è spento da poco, le
braci luccicano ancora, e nella camera aleggia un tepore
rassicurante. Perciò quel brivido... deve trattarsi di un
presentimento. Si riveste con il cuore che accelera man mano
che i pensieri si accumulano a formare una sfera di timore pulsante
nella mente. I suoi passi si affrettano lievi a raggiungere le
stanze di suo marito, altrettanto tiepide ed accoglienti. Ma il letto è
vuoto, il silenzio incombe anche là. La paura diventa
panico. Corre per i corridoi, senza più curarsi di disturbare
gli altri occupanti del castello, anzi gridando e scuotendoli dal
sonno di proposito.
Si
setaccia ogni angolo, si interrogano le
guardie. Il signore non può essersi allontanato, è
ancora nel castello. Clarissant non sa che pensare, ordina di
controllare anche nei luoghi più impensabili: e finalmente un
servo nota una luce provenire da un locale adiacente all'armeria.
Clarissant non ha più bisogno di nessuno, sa che quella luce è la sua
meta, il filo che li lega si è solo un poco aggrovigliato, ma è
riuscita a ritrovarlo. Come quando è partita per Glastonbury, come farà
in mille altre vite, lo ha ritrovato. Eccolo, infine, la crisi è
rientrata, la notte è ancora lunga, è il momento di sciogliere la
lingua e condividere anche l'indicibile.
- Per quanto gravi fossero le mie ferite, e prolungati i miei digiuni, in breve capii che non avrebbero strappato l'anima da questo corpo, e ne piansi. Raddoppiai le penitenze, ma non mi sentii purificato né seppi espiare la mia colpa con autentica abnegazione. Poiché questo dolore era ed è tanto grande da oltrepassare persino l'amor di Dio! E i miei peccati resteranno impuniti sino al Suo Giudizio... e vivo, come se mai meritassi questa pace...
- Ma di quali peccati parlate? Cos'avreste fatto di così imperdonabile? Io non vi crederò mai capace di azioni malvagie: oso affermare di conoscervi.
Egli è certo del contrario; ha più volte indugiato di fronte al comando di disfarsi di Excalibur, e si considera un traditore, un avido e un presuntuoso. È ossessionato dall'idea che il suo re abbia compreso, in punto di morte, come non potesse fidarsi di lui in alcun modo, e di essere davvero solo, alla fine, solo nella sua terra, la sua autorità, la sua dignità insudiciate dai nemici e dagli amici insieme...
Clarissant gli prende il viso tra le mani, con dolce fermezza: - No! Non vi ascolterò! Non era l'avidità a spingervi. Speravate che un giorno qualcuno potesse impugnarla con lo stesso pieno diritto. E perché non voi? Davvero credete che sia la nobiltà del sangue l'unica ragione per cui un uomo sale al trono, ed un altro lavora i campi? Amor mio, è il destino. La vita lo decide, e potete chiamarla Dio, puoi chiamarla Dea o Sole o con qualche oscuro nome. Fa lo stesso. Non datevi colpe inesistenti.
- Io... non sono stato capace di riportarlo indietro...
Ma non sarà oggi che rivelerà cos'è davvero accaduto su quella collina a seguito del gesto infame di Melehan.
Mordred non voleva combattere quel giorno. Sapeva di non poter vincere, non senza perdere l'intero esercito... E come s'avvide del folle assassinio, si lanciò contro Melehan per strangolarlo con le mani nude. Melou, allarmato, tentò di dividerli, ma nel farlo, d'istinto, sguainò la spada...
Ci sarà tempo anche per i discorsi ufficiali, per ristabilire verità e colpe alla presenza dell'erede dei Pendragon
(il Grande Assente delle barzellette di corte)
ed accordargli, forse, una sprezzante ed ipocrita fiducia.
Ma non ora, non qui. Non è più il maresciallo del regno, il prudente e raffinato stratega, il consigliere dalla mente salda. Ha già dato al sogno della nazione quanto basta per distruggere un uomo più forte di lui. Non gli si può più chiedere nulla, davvero.
- E dire che credevo di sapere cosa significasse perdere una parte di me stesso. Non era più come a Badon Hill, non stavamo difendendo le nostre case, la nostra terra. Si trattava di pensare in grande, vostro zio sapeva di poter osare: l'Europa doveva essere nostra. Così sconfiggemmo l'esercito romano, e ognuno di noi ebbe per ricompensa quel pezzetto di mondo. Il mio si chiamava Neustria, una lingua di terra affacciata sullo Stretto. Un nome, solo un nome che nemmeno so pronunciare... Come tutti, ero pronto a morire in battaglia, ma non a restare invalido. Eppure imparai, mi reinventai, trovai un espediente per imbracciare lo scudo e non lasciar pensare a nessuno che sarebbe stato poco leale sfidarmi ad un torneo. Ma una donna non è come uno scudo, ci vogliono due mani per tenerla stretta...
- Eppure mi avete amato.
Non è una domanda. Non c'è rocca più salda del loro legame, non c'è fede consolatrice che regga il paragone.
- Vi amo ancora - azzarda lui, mentre il carico di anni e di dolore torna, beffardo, a punzecchiarlo, a farlo sentire ridicolo.
Lei strofina la testa contro il suo petto, incredibilmente tiepida e reale, gli accarezza i fianchi. La torcia crepita, sta per spegnersi. - Mi tenete.
- Vi tengo... - E la tiene davvero, mentre il buio li avvolge, stringendola a sé e balbettando il suo nome, che sembra rischiarare tutto e non solo per il suo significato... comprende che c'è ancora qualcosa per cui vivere e non è più una bestemmia pensarlo, metà di quella gioia continua a risplendere.
Qualcuno ancora lo chiama padre.
Qualcuno ancora lo chiama signore.
Qualcuno ancora lo chiama amore.
Si cercano, nel profondo di quelle tenebre, e si ritrovano. Le loro lacrime si sfiorano. In ogni senso e in ogni modo, sono di nuovo davvero insieme.
Fino a pochi istanti prima aveva avuto sopra di sé il cielo eternamente blu di Avalon, ma a Glastonbury pioveva. Si tirò il mantello sul capo, anche se ormai era completamente inzuppato, e corse sulla strada verso il monastero. Il pensiero di approfittare dell'ospitalità dei monaci non lo metteva del tutto a suo agio, dopo quanto aveva vissuto sull'isola, ma gli sembrò una prospettiva meno ingrata rispetto al morire miseramente di polmonite, considerate le belle speranze che nutriva per il proprio futuro. Sir Bors si trovava là, così come Sir Lancelot - tornato a mani vuote da quella fuga d'amore - e pochi altri nobili di Francia; comprese che non era sua intenzione vendicare Lionel combattendo contro le truppe ribelli che stavano riducendo Londra allo stremo, ma se ne sarebbe rimasto per un po' a pregare e aspettare chissà quale dono dal Cielo. Aveva rispedito i soldati sul Continente e vestito l'abito di penitenza insieme al cugino.
Nonostante queste sue scelte lo indispettissero, fu difficile sostenere il suo sguardo, specialmente quando si accorse ch'egli era pronto a ritrattare le parole dure che gli aveva rivolto. Era stato ingiusto nei suoi confronti, non aveva mostrato misericordia:
- Ho pregato di poterti rivedere, di poterti chiedere perdono. Non hai nessuna colpa, in fondo, se tua madre è una strega; e non smetto di sperare che un giorno la Vera Fede riesca a trovare la strada del tuo cuore...
No, no, no! Strinse i denti, ripetendo a se stesso di ignorare i limiti del genitore. Non gli avrebbe detto di avere conosciuto sua madre e di aver praticato la magia, naturalmente: avrebbe peggiorato la situazione, e non voleva istigarlo ad ulteriori prediche o peggio procurargli un serio malore.
Non scelgo, come voi, di rinchiudermi tra preghiere e lamenti, voglio affrontare la vita.
Guardandosi attorno, però, mentre gli veniva servito un pasto caldo e i suoi vestiti si asciugavano accanto al focolare, gli fu più facile comprendere la sua scelta di restare accanto a Sir Lancelot in quel difficile frangente, e il desiderio di pace, di approvazione da parte di un'Entità onnipotente a cui affidare la propria esistenza. Forse che lui stesso non aveva accettato di salvare Garanwyn per mezzo di un incantesimo? Quale differenza c'era tra magia e miracolo, in fondo? No, non disprezzava la Fede autentica, la coerenza, la coscienza; tutto questo aveva valore per lui: erano il bigottismo e l'ipocrisia che aveva sempre disprezzato, ciò che ci separa dal mondo anziché aprirci ad esso. Ora scopriva che persino un bigotto ipocrita ha dei sentimenti, per quanto distorti e incomprensibili.
- Così sia, padre, vi ringrazio. - Non sorrise, non si inchinò. Restarono in silenzio per un poco, ascoltando il crepitare delle fiamme e la pioggia che continuava a cadere. Poi Sir Bors ruppe il silenzio:
- Sono preoccupato per Lady Juliana, le tristi notizie devono averla già raggiunta. Sarei così sollevato se tornassi a controllare come sta la nostra gente.
Elyan ebbe un sussulto. Era dunque in quella direzione che sua madre aveva inteso spingerlo: l'oggetto che doveva recuperare si trovava in Francia, forse proprio a Benwick. Doveva lasciarsi guidare da quella traccia, accettare ogni suggerimento del destino.
- Partirò non appena possibile, non dubitate. Sono in ansia anch'io, lo sapete bene.
Quello strappo fra loro non si era ricucito, in realtà. All'alba del giorno dopo, sgombra di nuvole, non gli si strinse il cuore nel salutarlo. Si affrettò a raggiungere la costa, dove salì su una nave e sbarcò a Benwick.
La situazione nei villaggi gli parve, se non preoccupante, un poco allo sbando. Non c'era un signore a governare e la popolazione se ne approfittava decisamente. Al castello, tutti parevano sconsolati e l'accolsero con sguardi speranzosi ma spenti.
Non poté essere totalmente sincero, poiché se avesse detto loro che Sir Lancelot non sarebbe tornato, il malcontento sarebbe cresciuto a dismisura e la rivolta sarebbe stata inevitabile. Così temporeggiò e chiese di ciò che gli premeva davvero.
- Lady Juliana è morta di parto - gli risposero. - Figurarsi, è una femmina, che spreco assurdo.
Spreco.
La vita era diventata uno spreco, la civiltà un lusso a cui era facile disabituarsi.
Con gli occhi lucidi vagò per i corridoi finché, dalle stanze dove aveva abitato la famiglia di suo zio, udì un lieve pianto e una nenia. Conosceva quella voce.
- Aline! - gridò, spalancando la porta.
Due donne erano sedute accanto al focolare. Una, rubizza e in carne, con un bimbetto di poco più di un anno aggrappato alle vesti, teneva al collo un inequivocabile fagotto; l'altra, che aveva sussultato al suo ingresso, si illuminò quando lo riconobbe e gli corse incontro.
- Siete tornato, siete qui, oh Elyan! - Gli si era gettata tra le braccia, che lui aveva teso ad accoglierla. Gli sembrò dimagrita, più fragile, e quando ella alzò il viso a guardarlo, notò i pesanti segni sotto gli occhi e il pallore di lunghe notti insonni. - Vostro padre è con voi? Sir Lancelot?
Elyan scosse la testa, convinto di darle una delusione, ma Aline parve rassicurata da quella risposta. - Stanno combattendo, non è vero? Ci è stato detto che gli alleati di Sir Mordred tengono ancora in pugno Londra... ma allora perché i soldati sono tornati? Si è già concluso tutto? Li avete sconfitti?
D'improvviso non riusciva più a guardarla in volto senza provare vergogna... - Posso sedermi?
L'altra donna (la nutrice della piccola, probabilmente) ridacchiò. - Di questo passo non si addormenterà mai. Vado di là.
- Sì, Armelle - la liquidò Aline, ma Elyan allungò la mano verso la creatura per accarezzarla. Armelle, indisponente, lo guardò di storto e filò via. Lui sospirò, non potendo più rimandare la verità, e si lasciò cadere su una sedia.
- Il cugino di re Arthur, Constantine di Cornovaglia, sta mettendo insieme un esercito. Mio zio sarà vendicato, non dubitate, ma... - Arrossì. - Sir Lancelot è stato rifiutato dalla regina Ginevra e ha rinunciato al mondo, e mio padre per ora l'ha seguito in monastero.
Aline si morse le labbra. Gli sembrò, se possibile, ancora più stanca, più sfiduciata:
- Così, non ci sarà davvero più nessuno a governare Benwick? Lasceremo che i contadini occupino il castello? Ho paura, Elyan. Ho paura per la bambina. - Scoppiò a piangere. - La mia povera signora! Dovevate vederla, quando gliel'hanno detto... è stato allora che ha deciso di lasciarsi morire... l'amava così tanto!
Elyan sapeva che le lacrime di Aline non erano solo per Lady Juliana, ma non gli avrebbe mai parlato del proprio dolore, non di sua iniziativa, come se si ritenesse indegna di possedere dei sentimenti.
- Forse... voi? Resterete?
Di nuovo, distolse lo sguardo. Quante volte ancora l'avrebbe delusa? - No, amica mia, non sono qui per questo. - Ella si accigliò, fece per scostarsi, d'istinto Elyan le afferrò una mano...
E la sentì.
L'energia.
La magia.
Quando riaprì le dita, vide che Aline portava un anello. Non poteva essere altrimenti, era ciò che sua madre gli aveva ordinato di cercare. Lo percepiva chiaramente: era puro potere, gli trasmetteva una promessa invitante.