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Autore: Evil Daughter    01/04/2011    12 recensioni
Oltre ad essere rozza sei priva di delicatezza.
Pensò Vegeta. Dedicandole l’accusa.
Piegò le labbra in giù, fece maggiore pressione e l’ago schizzò fuori portandosi dietro una scia di sangue annacquato.
Ripensò al ricovero in ospedale, rimembrava ogni particolare; almeno da quando aveva riaperto gli occhi. Alcuni dettagli li avrebbe cancellati volentieri. Altri no, sedimentavano. Lo mettevano davanti a diversi interrogativi. Lei lo aveva salvato.
E sai come sprecare il tuo tempo.
Un pensiero ancora rivolto a lei.
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Vegeta? Un folle omicida. Ma Bulma lo sa bene: mai fermarsi a giudicare unicamente la coda del mostro.
La belva deve essere sempre osservata nella sua interezza.
Periodo trattato: triennio antecedente ai cyborg.
INIZIO RELAZIONE TRA BULMA E VEGETA. STORIA ILLUSTRATA.
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Nuovo capitolo, 18: PROGENIE SEGRETA SOTTO LAMPI DI GUERRA.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Dr. Gelo, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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- Questa storia fa parte della serie 'ARANCE MARCE: Bulma e Vegeta, sbagliati e quindi veri.'
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Capitolo II – Dolcetti alla Belladonna, ovvero: non voglio crederci.


 

Iniziava come un richiamo lontano, perduto. Man mano che la coscienza tornava e i sensi andavano risvegliandosi, quel che percepiva di udire assumeva toni a dir poco orribili: qualcuno bussava ininterrottamente alla sua testa. E lo faceva urlando.

Caldo, troppo, le pareva di essere scivolata in mezzo ad un’immensa folla esagitata che la stava soffocando. Mischiata in uno di quei raduni di gente scalmanata che andava ai concerti per scaricarsi.
Era un batterista schizofrenico infuriato, quello che le stava stracciando i timpani?
Terribile cacofonia, così forte da farle aprire gli occhi.

La sveglia.

La sveglia andava demolita.
Una mano resuscitò da lenzuola e coperte che l’avevano seppellita, e pose fine al rumore continuo ed esasperato.
Mai quell’oggetto tanto utile per una dormigliona come lei aveva assunto timbri e sembianze così inquietanti.

Altra nuova giornata da ingranare Bulma, fatti forza.

Di voglia per alzarsi neanche l’ombra, stava già architettando di marinare l’immenso lavoro che l’aspettava in ufficio; poteva tranquillamente permettersi il lusso di darsi malata anche per svariati giorni. Perché sin dall’adolescenza, e senza badarci, Bulma aveva nettamente oltrepassato le sciocche supposizioni che comunemente s’additavano a chi cresceva nell’agio di una famiglia illustre e benestante come la sua. Essere la figlia dell’uomo che, a livello mondiale, stava a capo della tecnologia più all’avanguardia, lasciava presupporre che fosse dotata di conoscenze e d’una intelligenza superiore alla media. E che, prima o poi, avrebbe ereditato l’impero del padre; con la solita invidiosa incognita del “se ne sarà all’altezza”Di talento ne aveva anche più del suo vecchio, ma di dare buona impressione e dimostrarsi capace di fronte all’opinione pubblica, le interessava tanto quanto strofinarsi bene le scarpe sullo zerbino prima di mettere piede in casa.
Ricca ed intelligente sì, ma non figlia di papà con la giacchetta pulita e ordinata.
Prima i capricci, dopo il lavoro: era la personale direttiva di Bulma Brief.

Il ganglio che realmente la turbava aveva tutt’altra natura: il suo fidanzato, ormai definibile solo per nome – per dargli un senso, poiché neppure lei sapeva più come collocare la sua esistenza all’interno della propria vita – quella mattina, come d’accordo, sarebbe passato a trovarla… Tragicamente per lei.
Erano settimane che non si vedevano. A causa degli allenamenti, Yamcha aveva deciso di trasferirsi dal Maestro Muten con la scusa che vicino a lei non ce l’avrebbe fatta a concentrarsi.
Ciancia che Bulma non s’era bevuta per niente.
Conosceva i vizi del lupo fin troppo bene: se lui sentiva il bisogno di allontanarsi per i suoi comodi, lei lo assecondava togliendogli il guinzaglio e, con grande piacere della propria bile, si metteva comoda a non aspettarlo.

La loro relazione s’era ridotta ad un rapporto viziato, mancante.
Perché ancora si trascinasse dietro una simile zavorra arrugginita, non sapeva spiegarselo. Forse aveva paura di cambiare: anni di fidanzamento non potevano essere depennati con tanta superficialità, ma da tempo non suonava più la stessa musica. Almeno per quanto la riguardava.
L’amore per Yamcha le faceva male come una carie.


Avrei bisogno di una pinza.

Smise di analizzare la propria vita sentimentale e decise di alzarsi. Anche se non riusciva a comprendere chiaramente quanto le importasse del suo ragazzo – le statistiche le suggerivano un precipitoso ribasso – la scienziata non voleva farsi trovare come una sciatta. L’aspetto esteriore occupava uno dei primi posti nella scala delle sue priorità.

S’alzò velocemente liberandosi di una montagna di coperte che l’avevano ridotta ad un bagno di sudore. E... Mossa sbagliata.
Il dolore arrivò puntale, insopportabile.
Aveva del tutto rimosso la stramba e singolare avventura notturna avuta col saiyan. Al ricordo, si sentì sbriciolare dentro.
Il caldo e le angoscianti sensazioni ebbero un loro perché.

In piedi e nuda davanti allo specchio, Bulma ammirò le tracce che Vegeta le aveva lasciato sul corpo: un fianco era ornato da ecchimosi violacee, ed il braccio destro portava i segni della sua presa ad artiglio.
Non ne capiva la ragione – e con questa cominciavano ad essere innumerevoli le cose che ultimamente non afferrava – ma avere quei segnacci addosso, meriti di uno stupro coi fiocchi a chi li avesse visti senza sapere, non le dava per nulla fastidio; però andavano immediatamente nascosti.

Nessuno dovrà venir a conoscenza di quel che è successo con Vegeta, oppure...
Cosa? Datti un freno, in fondo l’hai solo medicato, non ci sei andata a letto.

Il buongiorno incominciava a darselo da sola.
La sua coscienza la batteva, aveva la lingua più lunga, parlava liberamente e quando lo faceva non le risparmiava ovvietà.


Disinfettare, bendare la carne lacerata di una persona, toccarla e sporcarsi le mani col suo sangue, non è sinonimo di “farci sesso”. Anche se nel frattempo hai la temperatura alle stelle, il fiato corto e le palpitazioni.

Concetto chiave, tesoro, condensalo e staremo tutti più tranquilli.

Peccato per la sparata successiva, molto esplicita, che niente aveva lasciato all’immaginazione. Ancora si sentiva bruciare di vergogna.

Di certo, avrà compreso limpidamente i miei sentimenti.

Adesso i tuoi ormoni sull’orlo dell’incoscienza sono divenuti “sentimenti"?!
Placati.

La scienziata andò ad aprire l’armadio per scegliere cosa indossare. Fortuna per lei che la stagione stava dalla sua parte: era assodato che Bulma non andasse pazza per l’inverno, a lei piaceva vestirsi non coprirsi. Però, in quell’occasione, non poté che sfruttare la situazione a proprio vantaggio: scelse un completo dalla tinta arancione, a righe e con le maniche lunghe. Ottimo per coprire i lividi e perfettamente complementare alla sua chioma riccia e di color turchese.
Inoltre, colore e motivo del vestito adornavano la sua coscienza da evasa. Così si sentiva: come un galeotto in fuga.


Ragazza, ricorda il concetto chiave.

Ma non aveva fatto nulla per il quale era possibile imputarle un tradimento; ed era diventato talmente molle il rapporto con Yamcha che non aveva motivo di farsi scrupoli verso di lui, però...

I suoi occhi, d'improvviso, vennero calamitati verso un logoro straccio sporco e ammucchiato tra le pompose e candide lenzuola del suo letto: era la felpa insanguinata di Vegeta. Una macchia nella sua immacolata alcova.
Se l’era portata a letto e ci aveva dormito insieme, senza accorgersene.

È meglio che la fai sparire, se non vuoi problemi.

Seguì la voce, non la buttò via ma la nascose – se così poteva esser definito appallottolarla e metterla rapidamente in un angolo dell’armadio – senza darle nemmeno una sciacquata per togliere quel puzzo ferroso e sgradevole che emanava il sangue rappreso. Ma lei non lo sentiva, e se le avessero posto la domanda avrebbe addirittura risposto che le piaceva.
Possedere qualcosa appartenuto a lui, col suo odore, equivaleva ad aver messo le zampe su un tesoro inestimabile.
Forse… stai impazzendo.
A questo non diede retta.


 

  ~ ~ ~



Cucina e salotto adiacente erano già diventati teatro dei futili siparietti dei suoi genitori: la mamma era presa a preparare chissà quale leccornia mentre seguiva con distratta attenzione un programma culinario; il padre era a terra, seduto su un morbido tappeto, ad armeggiare meticolosamente con i circuiti di un piccolo robot.
In sintesi: la serena atmosfera di sempre che si respirava in casa Brief, ora condita con una piacevole fragranza di dolci appena sfornati.

«Tesoro, buongiorno! Fatto tardi ieri sera? Non t’abbiamo sentita rientrare. Dai, dopo mi racconti, adesso vieni qui e assaggia questi deliziosi pasticcini!»

Sua madre: un concentrato di gentilezza e bontà, una signora che a volte non arrivava a comprendere la gravità degli eventi. Sorrideva sempre.
Bulma non le rispose, ma allungando una mano su un dolcetto troppo invitante da rifiutare, andò a farsi un tè – il caffè l’aveva mollato da un po’: le ingarbugliava la digestione, soprattutto se lo prendeva di prima mattina – e quando il tè fu pronto, s’accomodò su uno degli sgabelli attorno al tavolo. Ma non s’appoggiò ad esso, era un impiastro di farina.
«Cara, ho saputo che ieri molte compagnie sono venute ad esporti i loro progetti, ecco, vorrei proprio sapere se c’era qualcosa d’interessante.»
La Capsule Corporation possedeva una grandezza e una ricchezza così vaste che in borsa aveva oramai raggiunto un valore da capogiro. Difatti, s’era aggiudicata il monopolio industriale nel suo settore: ogni nuova iniziativa da parte di terzi prima d’affacciarsi sul mercato doveva essere approvata e certificata dall’impresa C.Corporation, che ne ricavava una lauta percentuale sugli introiti annui complessivi.
Il padre, nel buonsenso e nell’interesse della sua fruttuosa azienda, andò a toccare uno dei tanti nervi scoperti della scienziata, la quale non aveva affatto dimenticato la giornatella ricca che lui le aveva rifilato.
«Allora, non c’era nulla?», continuò a domandarle, mentre abilmente, e con esasperante tranquillità a vederlo, proseguiva ad avvitare un bullone dopo l’altro.
«Ti interessa così tanto papà? Bene, tornaci tu in ufficio! D’ora in poi scordarti di me!»
«Ah ah, Bulma, non credi sia un po’ presto per stufarsi?»
«Mai da bambina ti ho visto lavorare al di fuori dei laboratori di casa. Richiama chi c’era prima per sbrogliare i nostri affari, non credo d’avere la pazienza necessaria per gestirli!»
Lo scienziato sorrise sotto il suo paio di baffi bianchi. Poi la illuminò.
«Perché quando eri piccola non ero così importante, cara, il successo ha un suo prezzo.»


Sì, ma dove sta scritto che devo essere io a pagarne le conseguenze?

«Uh! Stamattina Vegeta non ha fatto colazione, Bulma ti dispiace portargli questi?!»

Lo sproposito era la vera essenza della moglie del signor Brief.
Con fare insistente, sua madre le indicò un bel vassoio stracolmo di quegli intrugli di grassi e carboidrati – vere bombe energetiche – buonissimi, ma che a Bulma avevano dato la nausea immediatamente dopo il secondo assaggio.
La risposta: un netto e conciso assolutamente no!
Non si sentiva pronta per incontrarlo di nuovo. In lei aleggiavano imbarazzo e soggezione, decisamente sfavorevoli per mostrarsi d’innanzi a sua maestà “sono il figlio dell’ingratitudine”.

E poteva già dire che le era andata bene a non ritrovarselo gironzolare per casa.
Però, nel profondo, Bulma voleva vedere come stava, se la ferita aveva smesso di sanguinare e...

«Bulma, datti una mossa! Non vorrei mi svenisse per la fame, povero!»

«Figuriamoci! Se non è venuto a mettere nulla sotto i denti è perché evidentemente non ne aveva bisogno!»

Con tutto quello che aveva ingollato la notte passata, a suo parere, poteva star satollo per giorni.
Ma bisognoso o meno che fosse, la scienziata prese le bombe energetiche da portare all’ingrata bestiaccia.
Mentre rimuginava su come presentarsi a lui, sentì qualcuno parcheggiare nel giardino: era Yamcha, insieme al tedio che le avrebbe arrecato.



«Ehilà Bulma! Sono tornato!»

Perché le risultava seccante persino salutarlo?
La scienziata era in piedi, al centro della cucina, con ancora il vassoio tra le mani, mentre il ragazzo era entrato in casa tra le feste dei suoi genitori che lo stavano tempestano con i soliti calorosi convenevoli.
Lei era totalmente assente.
«Che fai, non vieni nemmeno a salutarmi?»
Aliena, la voce le giungeva aliena. E non si muovevano, le sue gambe erano saldamente ancorate al pavimento.
Sentiva di essere estranea a quella situazione, in viso le si poteva leggere il disagio: aveva un’espressione indecifrabile, ciondolante tra la riflessione e il disappunto.
Yamcha, inconsapevole di quel che frullava in testa alla sua fidanzata, immaginò, come da copione dei suoi film rosa, che il suo ritorno dopo giorni di lontananza l’avesse pietrificata dall’emozione.
Così, avanzò sicuro verso di lei. Per abbracciarla.


«Scommetto che ti sono mancato da morire!»

Sì, credici.

Soffocata dall'abbraccio del ragazzo – lui era tanto alto da sovrastarla completamente – in un’effusione che, per i suoi gusti, stava diventando troppo espansiva, Bulma gli rispose alzando il viso e abbozzando un sorriso finto come una torta nuziale. E rincarò la dose annuendo con la riccioluta testolina azzurra.
Il vassoio ricco degli squisiti biscotti e dolcetti destinati a Vegeta, lei lo teneva saldamente in mano; era utile quel poco per non farli abbracciare del tutto.

«Oh, che hai qui? Sono per me questi, vero? Grazie!»
Con innocenza e golosità, lo spilungone mosse una mano per prendere un pasticcino.

Bulma fece cadere tutto per terra.


Il vassoio di porcellana andò in mille pezzi, che schizzarono dappertutto. Le bombe energetiche di sua madre fecero la stessa brutta fine: si schiantarono spappolandosi e sbriciolandosi sul pavimento.
A darci uno sguardo, fu una vera strage fatta di briciole, granelli zucchero, crema, luccicanti frammenti del manufatto andato in frantumi, cioccolato, alcuni mirtilli e qualche scaglia di cocco e noci tritate.
Il bendiddio irrecuperabile finì dritto nel secchio della spazzatura.
Bulma provò lo strambo desiderio di essere uno dei pasticcini di quella poltiglia. E di essere presa e gettata via.


E se Vegeta avesse davvero fame... ora, che gli porto?


«Oh! Ti sei fatta male cara?»

La mamma si precipitò subito in suo soccorso.
«No… non preoccuparti, sono intera. Non so… mi è scivolato dalle mani. Scusatemi... »

Spavento per il fracasso. Unica reazione dei genitori, ma non di Yamcha. Che aveva visto il gesto nitidamente: lei aveva semplicemente mollato la presa, di proposito. Non le era scivolato un bel niente.
Che le era preso?

«Lascia stare mamma, ci penso io a pulire»
Disse Bulma che, eufemisticamente goffa, pestava i cocci senza accorgersene, con un’aria visibilmente soprappensiero.
Finito di raccattare tutto, si degnò di incontrare gli occhi del suo Yamcha che non aveva detto nulla. Tantomeno, s’era esposto a darle una mano. Rimanendo esclusivamente ad osservarla, sconvolto.

«Allora, tutto bene? Crilin, Pual e il Maestro come stanno?»
Le pesava smisuratamente tentare di nascondere lo scompiglio che provava. L’istinto l’aveva fatta reagire a quel modo e sotto il naso del suo fidanzato, il quale continuava a guardarla basito, con occhi inquisitori che l’accusavano duramente: "l’hai fatto apposta, perché?!"
Doveva rimediare, ricomporsi subito, altrimenti sarebbero giunte a tormentarla una valanga di domande. 
«Ah, stanno benone, sì… Cavolo, quasi dimenticavo, ti porgono i loro saluti… Ah, ah ah!»
Solito atteggiamento da ebete.
Inventati qualcosa Bulma, e fai in fretta.
Le venne in mente un diversivo vecchio e dall’uso banale, ma dalla presa efficace sugli uomini. Infallibile.
«Yamcha, ti andrebbe di uscire, di fare una passeggiata insieme?»
Ed esattamente come s’aspettava, l’espressione sul viso deturpato dello spilungone mutò in sorpresa. E piacere.

«Bene, vado ad infilarmi le scarpe e a prendere borsa e cappotto, aspettami qui.»

Addio Vegeta.

Lasciò il salotto per raggiungere la sua stanza.
Le andava di uscire con lui con la stessa voglia di avere una colite. Ma andava sopportato per forza: era il doveroso ed indispensabile sacrificio per rimediare al danno.
Yamcha non doveva sospettare nulla, pure se lei avesse avuto le mestruazioni; e di solito era una che lo lasciava intendere.
Avesse fatto la brava, quella mattina, silurandosi diligentemente nella caotica frenesia lavorativa, dandogli buca, non si sarebbe ritrovata in circostanze così importune.

Maledetta me.


 

«Yamcha ti trovo bene. E quindi… Come vanno gli allenamenti?»
Si pronunciò lo scienziato verso il ragazzo in attesa del ritorno di Bulma.
«Benone, non posso lamentarmi, mi sto impegnando al massimo e credo di aver raggiunto già ottimi risultati.»
«Bravo! Anche Vegeta sta facendo lo stesso. Pensa, si sta allenando con una gravità superiore a quella che usò Goku prima di raggiungere Namecc! Da non crederci, questi saiyan sì che sono dei portenti!»
Il signor Brief si rivolgeva allo spilungone in buonafede, ma Yamcha, nell'udire il nome del saiyan, provò spasmi allo stomaco. In più, sentire il padre della sua Bulma parlarne facendo faville lo infuriava: il furbo, ovvero il saiyan, era già entrato nelle grazie dei suoi prossimi futuri suoceri e questo non andava bene.
Per un attimo, lo sfiorò il dubbio che fosse lo stesso anche per la sua preziosissima Bulma.
No, no, certamente no. Li aveva lasciati che neanche si guardavano in faccia.... e la sua fidanzata era fedele: mai l’avrebbe tradito, tanto meno con quello schifoso maniaco omicida.

«Oh, accidenti! Mi sono completamente dimenticata di Vegeta, i pasticcini che Bulma doveva portargli sono andati a finire nella pattumiera. Che peccato... Fa niente, ne farò altri!»
La signora Brief, tra i mille difetti, parlava troppo.
E lo spilungone contò: uno più uno.
Una stilettata alla schiena gli avrebbe dato meno dolore.
Il paradosso a cui aveva assistito poc'anzi iniziava ad avere un certo senso, tremendo; non gli piaceva, non gli piaceva neanche un po’.

 

  ~ ~ ~

 

Grondava da ogni parte del corpo, il sudore, colava tanto da finirgli negli occhi e lasciargli un irritante bruciore.
All’interno della Gravity Room, quando l’alternatore di gravità era in funzione, la temperatura saliva vertiginosamente. Con gli esercizi a cui il saiyan si sottoponeva, oltre ad essere difficile sopportare la forza attrattiva, l’asfissia da claustrofobia e la sete; col caldo, starsene chiuso lì dentro diveniva anche una terribile prova di tenacia psicologica.
Ma il Principe dei saiyan sapeva resistere, come aveva fatto Kakaroth del resto. Anzi, lui poteva spingersi oltre… Poteva superare il suo limite. Lo sentiva, c’era quasi vicino, mancava poco e pure lui sarebbe esploso nella rabbia – repressa ne aveva parecchia – raggiungendo quello stadio di forza e superiorità da poter occupare nuovamente il suo posto di Principe della razza guerriera più temeraria e temuta dell’intero universo.
Doveva solo trovare il detonatore della sua bomba ad orologeria, perché sì, la sua era una questione di tempo.

Durante gli allenamenti, gli capitava raramente di concedersi distrazioni reclinando l’attenzione verso ciò che non lo riguardava; pertanto, una vena brutta e pulsante comparì sulla sua fronte nel momento in cui avvertì la presenza di quello smidollato farsi molto vicina.
Lo smidollato era il babbeo che, nel suo primo atterraggio sulla Terra, aveva pateticamente tentato di contrastarlo insieme al resto dell’insulsa marmaglia.
Morto, se ricordava bene, con l’autodistruzione di un Saibaman. Roba da classico perdente, pensò.

Era da tempo che Vegeta non lo avvertiva così vicino. Ossia, ne aveva sempre continuato a percepire la penosa aura, come anche quella dell’odioso Kakaroth; ma per settimane sembrava che lo smidollato si fosse tenuto alla larga dalla Capsule Corporation.
Perché era lì, adesso? Che voleva?
E perché lui, il grande Vegeta, se lo stava chiedendo?
I nervi si contrassero, troppe domande.
Decise di tornare subito alla sue flessioni e per punirsi aumentò la gravità. Tuttavia, udendo un energico avanzare di tacchi passare sullo stretto sentiero asfaltato che attraversava il grande cortile – un regolare tap-tap, da centoventi battiti sul metronomo – s’accorse di qualcos’altro. In particolare Vegeta vide, e non riuscì a credere ai propri movimenti: s’avvicinò con inconsueto interesse ad uno degli oblò della navicella, per osservare meglio un paio di gambe snelle, belle, ed in vista sotto una gonna a righe. Le seguì camminare a fianco dello smidollato, montare su un'automobile e andare via.

D’improvviso, il Principe Vegeta provò l’inaspettato ed irrefrenabile impulso di strapparsi di dosso le bende che gli fasciavano la spalla.


 

Continua…

Note:

1. L’Atropa Belladonna è una pianta tossica da cui si può ricavare un ottimo veleno. Ma come ogni cosa cattiva ha anche i suoi lati utili, in questo caso usi (e qui la smetto, non è una lezione di botanica). Nell’intitolare il capitolo ho giocato col nome.
2. La mamma di Bulma ha il pallino per i dolci e qualsivoglia frivolezza. Ho sfruttato la “singolarità” e il suo continuo cadere dal pero. E naturalmente il suo debole per Vegeta.
3. Questa non è una nota descrittiva, ma voglio ringraziare chi ha recensito e chi ha scelto di seguire la mia Fan-fiction.

 

   
 
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