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Autore: Lady Vibeke    05/04/2011    4 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7. PIANI NELL’OMBRA

 

Thirty years now, sleeping so sound
War raises its head and looks slowly around
The Sinner is near, sensing the fear
Then the beast will start movin' around

– Judas Priest, Sinner –

 

 

Le Cinque Torri era una località abbandonata all’estremo confine sudorientale della Terra di Mauercast, una vecchia fortezza dei tempi delle grandi monarchie arroccata su un altopiano desolato, un tempo adibita a punto di controllo militare e deposito armi, ora da secoli lasciata a sé stessa e alla mercé dell’inclemenza dell’usura del tempo. Le mura di pietra nera che univano le quattro torri esterne in un quadrato perfetto erano in parte crollate sul lato ovest e in gran parte divorate da lunghi artigli di sterpaglie nodose che nel corso degli anni vi si erano arrampicate tortuosamente come a volerla inghiottire.

Faceva freddo in quella zona. L’elevata altitudine e la mancanza assoluta di vegetazione esponevano al rocca ai venti freddi che giungevano dal nord e, soprattutto d’inverno, le temperature si precipitavano pericolosamente, durante la notte. Era un’area particolarmente isolata e ostile, priva di attrattive di qualsiasi tipo: non c’erano città o villaggi, nei pressi, e nemmeno strade importanti. Nel raggio di miglia e miglia, da lassù, la sola cosa visibile erano i cupi rilievi rocciosi e lo snodarsi del tratto più sottile del fiume Alsir, che fuggiva rapido verso settentrione, verso Astereis, dove moriva nella più grande cascata di tutto il Mondo Occulto, tuffandosi nel Lago del Tempio della Luna.

Al sicuro nella stanza più altra della Torre Nord, Ganus Desmond sedeva di fronte al fuoco con un calice di vino in mano e lo sguardo perso tra le fiamme serpeggianti nel buio. Un braccio era fasciato dal polso alla spalla, sul viso erano ancora visibili i segni delle ferite riportate quando le mura del suo stesso castello gli erano precipitate addosso da un momento all’altro, cogliendolo di sorpresa.

Continuava a ripercorrere nella sua mente i momenti che avevano preceduto l’imprevedibile, cercando di capire se le ipotesi che si era fatto riguardo all’accaduto fossero plausibili.

La mano destra si contrasse lentamente come ad afferrare l’aria. Ricordava il pugnale stretto nella sua mano che affondava nella tenera carne, l’inebriante sensazione dei tessuti che si laceravano uno dopo l’altro sotto all’inclemente pressione della lama affilata. Il sangue gli aveva inondato la mano, caldo e denso, sporcandogli la camicia di seta, macchiando il cuoio degli stivali. Il gemito strozzato dell’angelo era rimasto inciso nella sua memoria come un piccolo trofeo sonoro. Raramente aveva provato una soddisfazione tale nel togliere la vita a qualcuno. Uccidere un’anima immonda era quasi come uccidere un fantoccio di paglia; assassinare un innocente, invece, procurava una sensazione completamente diversa: c’era la consapevolezza della profanazione deliberata di qualcosa di sacro e puro, il piacere perverso di avvertire con assoluta precisione l’esatto istante in cui la vita abbandonava le membra, lasciandole inerti a custodire un’anima destinata a marcire con esse.

Ucciderlo era stato necessario, per non dire fondamentale. Lo aveva fatto per tutelare lunghi anni di piani – decenni, addirittura – e, inaspettatamente, quel gesto si era rivelato essere la potenziale chiave che per tutto quel tempo si era tanto affannato a cercare, senza alcun risultato.

Doveva essere così, non c’era altra spiegazione. Era stato un semplicissimo rapporto di causa-effetto e le conseguenze lo avevano aiutato a capire.

L’angelo si era accasciato di fronte a lui con lo sgomento ancora intrappolato negli occhi ambrati, spegnendosi definitivamente circondato dall’eco disperata di un urlo di dolore che non gli apparteneva.

Ed era stato allora che era successo.

Era stato allora che aveva iniziato a subodorare il trucco che in quasi sette lustri di assennate ricerche e tentativi non era riuscito a scoprire.

Un ghigno scavò ai lati della sua bocca due pieghe compiaciute.

Aveva la chiave, finalmente. Tutto ciò che gli serviva era un’ultima conferma e, senza volerlo, il destino gli stava già dando una mano a ottenerla.

Due colpi secchi alla porta lo fecero riemergere dalle sue riflessioni.

– Mio signore – la voce sicura e carica di reverenza di Samael, suo braccio destro, giunse fino a lui attraverso la lama di luce che si era aperta nell’oscurità assieme alla porta. – Gerjen desidera parlare con voi. –

Desmond sorrise fra sé. Aveva il sospetto di conoscere già il motivo di quella visita inattesa, ma decise di riceverlo comunque. Gli interessava sentire le notizie che gli avrebbe portato.

– Di che si tratta? – indagò, per puro scrupolo.

I fieri occhi verde acqua di Samael non batterono ciglio. Era una fortuna che lui fosse stato lontano, la notte che la Corte era stata rasa la suolo: tutti gli uomini che aveva perso in una vita intera non valevano un dito di quel ragazzo.

– Ha detto che è qualcosa che potrebbe interessarvi. –

Il sorriso sulle labbra di Desmond si accentuò.

– Fallo entrare. –

 

 

C’era un motivo ben preciso se Medilana era la capitale di Corterra, e non si trattava soltanto del suo ruolo di centro commerciale primario delle Sette Terre, e non era nemmeno perché ospitava la loro accademia più importante. Non solo, perlomeno.

Fin dai tempi antichi, Medilana era stata culla di una vivace attività culturale, con i suoi teatri, le biblioteche pubbliche, i circoli intellettuali, letterari e filosofici, in cui giovani e anziani amavano riunirsi per discutere degli argomenti più disparati. Al tempo delle monarchie, tuttavia, era diffusa tra le famiglie regnanti la convinzione che questa libertà di confronto potesse portare certi gruppi a sviluppare idee pericolose nei confronti dell’autorevolezza della corona e pertanto qualsivoglia tipo di associazione era stato bandito e dichiarato illegale.

Da che mondo e mondo, il proibizionismo, più che inibire l’oggetto dei propri divieti, non faceva che fomentarne invece la proliferazione. Bastarono infatti pochi anni perché in ogni dove iniziassero a formarsi associazioni e sette segrete, che trasferirono le loro riunioni da luoghi pubblici e case private a sedi più nascoste e sicure, nelle cantine e nelle segrete di certi palazzi, in casali abbandonati nelle campagne appena fuori città, e perfino nelle antiche catacombe che da tempo immemore giacevano dimenticate sotto le eleganti strade lastricate della capitale.

Per anni quegli spazi angusti erano stati adibiti a covi di ritrovo, fino a che, destituita la monarchia dopo la Grande Rivolta, se n’era persa la necessità ed erano di nuovo tornati a essere nient’altro che vicoli abbandonati.

Ora, come centinaia di anni prima, in uno degli alveoli principali di questa rete di cunicoli sotterranei stava avendo luogo una riunione strettamente riservata, illuminata solo da mozziconi di candele ammassati in un piatto di rame al centro di una tavola rotonda.

– Signori – esordì un uomo dalla voce rauca e profonda, appoggiando le mani intrecciate tra loro davanti a sé con fare grave. – Penso sappiate tutti perché ci troviamo qui, stasera. –

Seduti al tavolo assieme a lui c’erano altre quattro persone, due uomini e due donne, tutti avvolti come lui in lunghi mantelli scuri, uno stemma d’argento ricamato esattamente sopra il cuore. I loro volti duri e seri non erano che macchie fioche nell’impenetrabilità del buio.

– Sono quasi quarant’anni che aspettiamo questo momento. Siamo sicuri che sia quello che stiamo cercando? – disse una delle due donne, spostandosi dal collo una ciocca di capelli scuri.

L’uomo le scagliò uno sguardo gelido.

– Dubiti della mia competenza? –

– No, Alioth, ma vorrei poter giudicare personalmente la situazione. –

– Non sta a te decidere, Niamh – dichiarò uno degli altri due uomini, con una folta barba brizzolata a incorniciargli la mandibola. – In qualità di Priore, è compito mio, da qui in poi, guidare la missione – Si rivolse all’uomo di nome Alioth. – Ripeti ai nostri fratelli ciò che hai riferito a me. –

– È stato un puro caso – cominciò Alioth. La luce tremula delle candele faceva rilucere pallidamente i graffi vecchi e nuovi che gli prendevano metà del volto. – Mi trovavo nei pressi di Somerge per concludere una trattativa con un mercante. Ero profondamente addormentato, nel cuore della notte. Sono stato svegliato di soprassalto da un improvviso sprigionarsi di energia potentissima. L’ho avvertito sulla mia pelle come una scarica di energia pura. Il tempo di rendermi conto di quanto fosse successo, ed ero già uscito. –

– Avresti dovuto avvertirci immediatamente! – si adirò il terzo uomo, il più giovane tra i presenti, piantando un pugno sulla superficie massiccia del legno.

– Rilassati, Arith, non è il caso di scaldarsi – lo blandì l’altra donna. – Genesis vuole che abbiamo tutti un quadro generale, prima di pronunciarci. Lasciamo che Alioth termini di spiegare. –

– Il motivo per cui non vi ho chiamati subito è che l’esplosione di energia si è esaurita rapidamente, senza lasciarmi il tempo di localizzarne con precisione la fonte o di riconoscerne distintamente la natura – chiarì quindi Alioth, altero. – Se mi fossi sbagliato, non credo sareste stati lieti di un inutile allarmismo, mi sbaglio, forse? –

Arith, destinatario principale di quella frecciata, non osò replicare. Essendo il più giovane di loro, pur essendo un valido elemento, doveva del rispetto gerarchico verso i confratelli più anziani.

Faceva freddo, là sotto. L’umidità nel sotterraneo era elevata, rendeva l’aria pesante e ogni loro respiro diventava nebbia bianca un attimo prima di scomparire.

– Mi sono precipitato alla Corte senza pensarci due volte. Se capita qualcosa di strano, in quei paraggi, è il primo posto in cui cercare una possibile causa. Sapete già cosa trovai, una volta giunto sul posto. –

Lo sapevano, pensò Genesis, preoccupato. Chi non lo sapeva, del resto? La notizia della misteriosa e inspiegabile caduta della Corte del temibile Desmond aveva fatto il giro delle Sette Terre, spargendosi a macchia d’olio in meno di ventiquattr’ore.

Anche se nessuno era ancora riuscito a trovare una spiegazione plausibile per quell’evento che si sarebbe potuto definire storico – e, del resto, come avrebbero potuto? – tutta la popolazione si era rallegrata dell’accaduto, guardando a esso come una liberazione, ma la verità era che il cadavere di Desmond non era stato ritrovato e, anche se la sua secolare dimora era andata distrutta, lui rimaneva una minaccia incombente, ovunque ora si trovasse.

Ma loro non si trovavano lì per discutere di quello.

Il loro compito era un altro.

– Scoprii subito che qualcun altro era sopraggiunto prima di me. Un ragazzo piuttosto giovane, ma ben addestrato. L’ho trovato chino su di lei, mentre le prestava soccorso. –

– Lucius Henker – sussurrò la seconda donna tra sé.

Lei? – esclamò invece la donna di nome Niamh. – Dunque stavolta è una ragazza? –

Alioth annuì.

– Appena l’ho vista, non ho avuto dubbi. L’avrei portata via, ma il ragazzo si è messo in mezzo. –

– È stato lui a farti questo? – volle sapere Arith, accennando al volto del compagno.

Alioth si portò istintivamente la mano allo zigomo sinistro, sfiorando la carne non ancora del tutto guarita. Poco più sopra, dove una volta c’era stato l’occhio, cadeva una livida palpebra vuota.

– Il suo corvo – ammise, pur con una certa riluttanza. – Se non fosse intervenuta quella bestiaccia, le cose sarebbero andate diversamente. Per fortuna era l’occhio già danneggiato. –

– Un Guardiano… interessante. –

– Il ragazzo portava la Stella della Lega al collo. –

– La Lega – Niamh schioccò la lingua con disappunto. – Quelli sono ovunque, non c’è angolo delle Sette Terre che non controllino. –

Dianthe si irrigidì nel suo scranno.

– È vero – intervenne l’uomo più giovane. – Se accadesse il peggio, la colpa sarebbe solo loro e della loro maledetta mania di immischiarsi ovunque! –

– Non possiamo biasimare una persona che cercava di proteggerne un’altra. Il ragazzo non poteva sapere... ­– obiettò Dianthe con fervore. I suoi occhi chiari erano stanchi e ansiosi.

– Non è la sola cosa di cui dobbiamo preoccuparci, temo – sottolineò Genesis. I suoi occhi metallici erano fissi sulle candele, nelle pupille dilatate la luce dorata sembrava perdere il suo calore, congelandosi nel nero insondabile.

Quattro sguardi attenti si posarono su di lui.

– Mi riesce difficile credere che la ragazza si trovasse alla Corte per una pura coincidenza. E se i miei sospetti sono fondati… –

I volti dei suoi compagni si oscurarono. Si scambiarono l’un l’altro occhiate allarmate.

– Pensi che Desmond sappia qualcosa? – domandò Dianthe.

– È improbabile ma non impossibile, purtroppo. Il nostro Ordine tutela da secoli il proprio Segreto, ma ci sono ancora rare testimonianze, disperse per le Sette Terre, che non siamo mai riusciti a rintracciare – commentò la voce grave di Genesis. Alle sue spalle, una moltitudine di libri, fascicoli e pergamene sciolte affollavano uno scaffale polveroso che occupava tutta la parete.  – Qualcuno si intromise, anni fa, e del nostro obiettivo svanì ogni traccia. Qualcuno che aveva mezzi e capacità per scoprire qualcosa che non avrebbe dovuto. Se Desmond sa, non abbiamo tempo da perdere. –

– Non può essere un caso. Dopotutto nessuno sa cosa accadde quella notte in cui avremmo dovuto assolvere il nostro compito – sospirò Alioth.

– La notte in cui Sharlit ci tradì. –

Il silenzio calò sulle loro teste. In lontananza si udiva il debole fischio del vento che si infiltrava nelle gallerie, intrufolandosi tra le pareti di pietra fino a giungere alla porta chiusa alle loro spalle.

Il tradimento di Sharlit era una ferita ancora aperta per tutti loro: aveva sovvertito un preciso ordine di eventi antico di secoli, rovinando un piano che in un millennio di storia non aveva mai fallito. Lei era morta, adesso, proprio come il loro codice prescriveva, e il suo posto era stato preso dal giovane Arith, ma il loro dovere era rimasto incompiuto e ora dovevano rimediare.

– Dobbiamo lavorare su due fronti – annunciò Genesis. – Grazie ad Alioth sappiamo che la ragazza ora vive con il demone che l’ha raccolta alla Corte, un membro della Lega. Bisogna trovare il modo di scoprire cosa e quanto sanno su di lei, e lo stesso con Desmond, anche se sarà nettamente più complicato. –

 Occhieggiò Dianthe e Arith significativamente. Lei serrò nervosamente le labbra, lui impallidì, ma entrambi risposero con un lento cenno di assenso del capo.

– Signori – Genesis passò in rassegna ciascuno dei compagni con un’espressione di solennità quasi religiosa. – Trentatré anni or sono il fato ha deviato il tradizionale corso degli eventi, privandoci della possibilità di adempiere al nostro dovere, ma ora la ruota ha girato di nuovo in nostro favore – chiuse gli occhi per un attimo, inspirando a fondo. Il momento era finalmente giunto. – Da questo preciso istante in avanti le sorti delle Sette Terre sono ritornate ufficialmente nelle nostre mani. –

 

 

Il fuoco ardeva senza sosta nella piccola stanza consumata dalla trascuratezza.

La poltrona in cui Desmond sedeva era lisa e polverosa, le gambe di legno rosicate dai tarli. Non c’era nulla, lì, dei lussi di cui aveva goduto alla sua Corte, ma non aveva importanza. Non aveva importanza quanto tempo ci sarebbe voluto: le cose sarebbero cambiate, e ciò che Gerjen era venuto a riferirgli aveva solo confermato certezze preesistenti.

Secondo le sue fonti più affidabili, la ragazza non aveva memoria di ciò che era stata la sua vita prima del fatidico giorno in cui era stata tratta in salvo da un cumulo di detriti, e ciò era un bene: se aveva dimenticato il dolore, sarebbe stato tutto molto più semplice.

Era straordinario come quello che poteva essere visto come un beffardo tiro mancino del destino si fosse così facilmente rivolto in suo favore. A Desmond costava ammetterlo, ma senza quel piccolo, fondamentale intoppo non sarebbe mai riuscito a venire a capo di un mistero che lo aveva afflitto per più di tre decenni. Ora doveva solo lasciare che gli eventi facessero il loro corso e poi, quando fosse arrivato il momento giusto, riprendere il mano le redini del piano da lì dove lo aveva lasciato quella notte dai risvolti imprevedibili.

Sempre ammesso che nessuno scocciatore intervenisse a rovinare tutto.

– A cosa pensate, mio signore? – gli chiese la voce ossequiosa di Gerjen.

– Al giovane Luciferus – rispose, quasi divertito. – Ero convinto che vendersi alla Lega fosse la cosa più patetica che potesse fare, ma evidentemente lo avevo sopravvalutato. Farsi carico di una ragazzina senza passato, per di più così vistosa… un bel rischio. –

– Sono disposto ad adoperarmi per riconsegnarvela viva e vegeta, ma al giusto prezzo. Non sarà facile strapparla alle grinfie di quello scavezzacollo. –

Desmond rispose con una fluida risata vellutata che gli vibrò nel petto.

– Apprezzo la vostra nobiltà d’animo, Gerjen, ma, vedete ­– prese un ozioso sorso di vino, compiaciuto della confusione che il suo atteggiamento indifferente suscitava in quell’uomo viscido.

– Ora come ora, sottrarla a quella gente è l’ultima cosa che auspico. –

 

 

Venena era nervosa, da qualche tempo. Angina aveva osservato il suo comportamento cambiare gradualmente in da quando la ragazza dai capelli di sangue era stata loro ospite. Era stato per una notte solamente, ma Venena era brava nel suo lavoro e poche ore le erano state più che sufficienti a valutare le peculiarità che Regan manifestava, la guarigione prodigiosa prima di tutto, ma anche qualcosa nell’atteggiamento di Lucius verso di lei lasciava intendere che ci fosse dell’altro, qualcosa che andava oltre la semplice apparenza di una ragazzina spaventata.

Da quella volta, Venena aveva trascorso lunghe ore nella vasta biblioteca del covo, risultato di lunghi, pazienti anni di raccolta di volumi di ogni sorta, alcuni tanto rari da essere inestimabili. Alcuni dei tomi più preziosi o pericolosi erano stati rinchiusi in una stanza scoperta da Erno, bisnonno di Angina, che ne aveva rinvenuta per caso la potentissima chiave. Nessuno aveva accesso a quella zona: Vester aveva consegnato personalmente la chiave ad Angina quando aveva passato a lei il testimone del comando della loro gente e le regole erano inflessibili: per il bene comune, nessuno doveva mai entrarne in possesso. Ciò che custodivano le Stanze Proibite non avrebbe mai dovuto vedere la luce del sole.

In dodici rintocchi della Nuova animarono per un minuto il silenzio sepolcrale della biblioteca, segnando il confine tra un giorno e l’altro. Venena sedeva a uno dei tavoli che occupavano il centro della sala, attorno a cui, a raggiera, si distribuivano gli antichi scaffali polverosi gremiti di volumi di ogni sorta. Era così assorta, china su un librone consunto che doveva pesare quanto lei, che nemmeno si accorse del sopraggiungere della sua signora.

Angina si fermò accanto a uno scaffale e vi si appoggiò con la spalla, le braccia conserte. Sorrise. Sarebbe potuta rimanere per ore a guardarla: si passava spesso le dita tra i capelli, quando la penna d’oca nera che usava per prendere appunti non era impegnata a solleticarle il mento. Era corrucciata, ombre grigie sotto agli occhi; a quanto pareva, ancora non era riuscita a trovare ciò che da giorni stava cercando. Quella sera aveva perfino saltato la cena.

– Non credi che sia ora di fare una pausa? –

Venena trasalì e si portò una mano al petto, ma i suoi occhi scintillarono alla luce delle candele non appena sollevò lo sguardo.

– Scusa, non intendevo spaventarti. –

Angina si avvicinò e allungò il collo per curiosare tra le scartoffie, ma perse subito interesse: troppi paroloni aulici. Certi brani, addirittura, erano in lingue a lei sconosciute.

Venena si sfregò stancamente gli occhi e sbadigliò, sforzandosi di sorridere.

– Nemmeno se avessi avuto le orecchie tese avrei potuto sentire il tuo passo felpato. –

– Esigo che tu metta qualcosa sotto i denti. Hilgard si è offesa a morte quando non ti ha vista in mensa: aveva cucinato lo sformato di patate solo per te – disse Angina, sorridendo a sua volta per la lusinga. Con uno schiocco delle dita, fece apparire sul tavolo un vassoio con qualche fetta di pane, del formaggio e un calice di vino rosso, che Venena occhieggiò tentata.

Vedendola esitare, Angina le prese il mento e si fece guardare negli occhi:

– Non ho intenzione di lasciarti in pace fino a che non avrai consumato fino all’ultima briciola di questo già misero pasto. Chiaro? –

Non c’era riluttanza che lei non potesse vincere, soprattutto con la sua giovane erborista. Sedette con lei mentre Venena obbediva agli ordini e faceva sparire in quattro e quattr’otto ciò che le era stato portato. Quando ebbe finito, Angina le sorrise trionfante.

– Ecco! Non va molto meglio, adesso? –

– Un po’. –

– Mai che tu mia dia una soddisfazione, vero? –

Venena scosse la testa, ridendo sommessamente. Di rado lo faceva, e solo in presenza di Angina. Davanti agli altri conservava sempre la sua maschera di austera impassibilità.

– Non ti sei ancora stancata di questa roba così noiosa? –

L’altra si massaggiò il collo con un sospiro.

– Per oggi penso di averne avuto abbastanza, effettivamente. In ogni caso dubito che anche stando qui tutta la notte troverei quello che sto cercando. –

– Sai, non credo che in qualcuno di questi manoscritti tu possa trovare un ritratto di Regan affiancato da una dettagliata descrizione della sua persona. –

– Forse no – si indispettì Venena. – Ma c’è qualcosa che non mi convince e ho tutta l’intenzione di scoprire cosa sia. –

Angina si alzò con una piccola risata.

– Conoscendo la tua cocciutaggine, so che riuscirai nell’impresa. –

Fece sparire il vassoio con uno schiocco delle dita, poi sfiorò con il dorso della mano la guancia ruvida della ragazza.

– Non esagerare, d’accordo? Io e gli altri abbiamo bisogno di te, ci servi in forma e lucida. –

La lasciò con una strizzatina d’occhio che la fece arrossire.

In cuor suo, Angina sperava che tutto ciò che di strano c’era in Regan si fermasse ai suoi capelli e alla sua capacità di guarire rapidamente, ma se c’era qualcuno in grado di scoprire se ci fosse dell’altro, quel qualcuno era senza dubbio Venena.




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A/N
: grazie mille a Hellister e Maharet per aver recensito, e soprattutto per i complimenti. :) E agli altri, grzie per aver letto. I commenti sono sempre i benvenuti, nel bene e nel male, purchè costruttivi. ;)
   
 
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