Novembre
– Dicembre 1786
Per
via delle parole contenute nella lettera di suo padre,
Ariadné cambiò
completamente umore. Si poteva leggere la determinazione nel suo
sguardo,
tuttavia non era sicuramente serena com’era stata quando
András l’aveva conosciuta.
‘Forse
dovrei dire riconosciuta…
sono io che
non mi ricordo di lei’.
“Principessa,
vi sentite bene? Siete così silenziosa in questi
giorni…”.
Ariadné
volse lo sguardo verso András e gli sorrise scuotendo la
testa.
“Stai
tranquillo, sto benissimo. Tu piuttosto, cominci a ricordare
qualcosa?”.
Aveva
fatto quella domanda con il cuore stretto in una morsa. Egoisticamente,
sperava
che il ragazzo che i suoi uomini avevano ripescato da un fiume francese
restasse senza ricordi, così da poterlo legare a
sé senza remore; il suo animo
gentile, però, non poteva che sperare che riconquistasse la
sua identità, per
vederlo infine tranquillo.
“No
principessa. Ho sognato una donna dai lunghi capelli biondi ma non ho
potuto
vederla in viso; dovunque lei andasse io ero sempre alle sue
spalle”.
“Capisco.
È già qualcosa, non trovi?”.
“Si,
avete ragione. Anche se… voi non sapete chi sia quella
donna?”, chiese András,
facendosi improvvisamente più attento.
Ariadné
ricambiò il suo sguardo, non tradendo la minima esitazione.
L’ultimatum postole
da suo padre cominciò improvvisamente a turbinarle in mente,
e le sembrò che la
via d’uscita fosse proprio davanti ai suoi occhi. Forse
András avrebbe potuto
essere la persona giusta, doveva solo convincere Zalán.
“Ti
abbiamo detto che non possiamo rivelarti ogni cosa che riguardi il tuo
passato,
comunque non conosco nessuna che corrisponda alla
descrizione… certo, potresti
averla incontrata negli anni trascorsi lontano. Rilassati, ormai
abbiamo
varcato da diversi giorni quelli che erano i confini
d’Ungheria. La nostra
prossima fermata sarà casa”.
Zalán
aveva assistito alla conversazione senza battere ciglio, preso dalle
stesse
preoccupazioni di sua moglie.
Man
mano che procedeva, la carrozza si addentrava sempre più nel
fitto degli alberi,
tanto che András ebbe quasi l’impressione che si
sarebbero smarriti in tutto
quel verde. Zalán si avvide del suo turbamento e si
affrettò a rassicurarlo.
“Non
temere, c’è un sentiero nel bosco, non stiamo
andando verso l’ignoto”.
András
si voltò a guardarlo, dandosi mentalmente dello sciocco;
doveva essere sembrato
terribilmente pavido in quei momenti.
“Ecco…
è solo che non mi ricordo questi posti e sembrano
così selvaggi”.
Ariadné
annuì ammirando il panorama esterno.
“Non
dovrebbero farti paura, tu il verde d’Ungheria lo porti negli
occhi”. Sorrise,
intenerita dal rossore che scorse sul viso di András.
“Guarda, si vede il
palazzo”.
András
portò lo sguardo nella direzione indicatagli da
Ariadné e vide le alte guglie
in mattoni rossi svettare contro il cielo al tramonto; mentre la
carrozza si
avvicinava, potè notare che il castello sorgeva su uno
sperone roccioso ma era
circondato su tre lati da quelle stesse fitte foreste che stavano
attraversando.
Il corpo dell’edificio era talmente bianco da sembrare
rilucere nella luce
morente della sera e di certo aveva poco a che spartire con gli snelli
palazzi
che aveva visto attraversando l’Austria [1].
Zalán
lo riscosse dall’osservazione posandogli una mano sulla
spalla.
“Siamo
arrivati András”.
Jan
aprì lo sportello della carrozza porgendo la mano ad
Ariadné per aiutarla a
scendere e la donna si strinse il mantello addosso. Aveva quasi
dimenticato
quanto potesse essere crudele il freddo di Transilvania. Il cuore le
mancò un
battito quando vide nei pressi delle scuderie una carrozza che portava
lo
stemma degli Hunyadi.
“Zalán,
Tibor è qui”.
“Di
già! András ascoltami: vorresti aiutarci a
risolvere un problema?”.
András,
dopo lo smarrimento iniziale per quella richiesta improvvisa,
accettò di buon
grado di aiutare i suoi benefattori.
“Qualsiasi
cosa principe, chiedete”.
Zalán
gli mise le mani sulle spalle sorridendo soddisfatto, il tutto sotto lo
sguardo
perplesso di Ariadné.
“Proprio
la risposta che volevo sentire. Ascolta attentamente, qualsiasi cosa
diremo io
e Ariadné dovrai assecondarci; so che non ricordi e non
capirai quello che
diremo ma fidati di me, d’accordo?”.
“Ma
Zalán, cosa vuoi fare?”.
“Guadagnare
tempo amore mio, ne ho bisogno se voglio prendere la decisione giusta
per noi”.
“Io
non credo che sia giusto nei confronti di András, lui non
ricorda e…”.
“Va
tutto bene principessa. Non dovete preoccuparvi per me. Posso
accompagnarvi in
casa?”.
Intervenne
András mostrando il suo sorriso più accattivante
e le porse il braccio. La
donna sembrò riluttante inizialmente, ma finì per
acconsentire. Aggrappandosi a
lui si diresse tranquilla verso il portone, dove li attendeva la
servitù
schierata.
“Bentornati
miei signori”, li apostrofò il maggiordomo,
scoccando un’occhiata perplessa
all’uomo che accompagnava la principessa.
“Ti
ringrazio Elek. Avete preparato la stanza di András come
avevo chiesto?”.
Elek
comprese immediatamente ciò che la sua padrona gli stava
indirettamente
ordinando e bisbigliò qualcosa alle cameriere più
vicine a lui che si
allontanarono con un inchino.
“Certamente
principessa”.
I
padroni di casa lo oltrepassarono ed entrarono in casa. Si trovavano
ancora
nell’atrio, dove altri servitori stavano prendendo in
consegna i loro mantelli,
quando furono raggiunti da Tibor. Sfoggiava il sorriso più
falso che avesse mai
mostrato.
“Cari
zii, finalmente! Avete fatto buon viaggio?”.
Il
tono mellifluo strideva terribilmente con quello che si vedeva nei suoi
occhi.
“Migliore
di quello che credi, Tibor”. Rispose a tono Zalán.
“Ma vieni, lascia che ti
presenti tuo cugino András. È stato via per
così tanto tempo e tu così a lungo
alla corte di Vienna, che non vi siete mai incontrati”.
Così
dicendo mise la mano sulla spalla di András che
chinò il capo in segno di
saluto. Sperava vivamente di aver fatto la cosa giusta, non capiva una
parola
di quello che aveva sentito da quando aveva messo piede in quel
palazzo, dove
evidentemente si parlava una lingua diversa dall’unica che
ricordasse.
Tibor
dal canto suo, divenne bianco come un cencio e il suo sguardo non
tentò più di
nascondere il livore nei confronti dei Beleznay; ancora una volta,
sembravano
sfuggiti ai suoi inganni, ma la faccenda gli risultava
tutt’altro che chiara.
“E
mio cugino è forse privo della parola?”.
“András
ha subito un’aggressione in Francia, dove stava studiando.
È stato malmenato da
alcuni malviventi che lo hanno derubato ed è salvo per
miracolo, ma è ancora
scosso e preferisce tacere. Anzi, ti chiedo di scusarmi, voglio
accompagnarlo
personalmente nelle sue stanze. Tu resta pure in compagnia di tuo zio,
vi
raggiungerò fra poco per la cena”.
Quando
furono giunti nella stanza a lui destinata, András decise di
chiedere
spiegazioni riguardo ciò che aveva visto. Non gli era
piaciuto lo sguardo che
lo sconosciuto aveva rivolto ai principi Beleznay e desiderava esser
loro
d’aiuto, per quanto in suo potere. Doveva loro la vita e non
solo; spesso aveva
riflettuto su quante persone, al loro posto, si sarebbero prese cura di
uno
sconosciuto con tale solerzia e tanto a lungo.
“Principessa,
chi è quell’uomo?”.
“Tu
non lo hai mai visto prima, è mio nipote, Tibor. Ti abbiamo
presentato come
nostro figlio”.
András
sbarrò gli occhi a quelle parole, chiedendosi se la
principessa non avesse
improvvisamente perso il senno.
“Vostro
figlio?! Ma come lo giustificherete? E come spiegherete a vostro nipote
che non
ha mai incontrato suo cugino?”.
Ariadné
sedette su un piccolo divano collocato davanti al camino che riscaldava
la
stanza e fece cenno a lui di raggiungerla. Il tempo delle spiegazioni
era
arrivato infine, non poteva trascinare András in quella
faccenda senza
rivelargli come stessero le cose.
“E’
semplice. Gli Asburgo ci concedono, in mancanza di figli naturali, di
adottare una
persona fidata che eredita il nostro titolo e i nostri possedimenti; ai
suoi
occhi tu sarai quella persona. Sei stato via per molto tempo e io ho
conosciuto
Tibor appena cinque anni fa, sebbene sapessi della sua esistenza. Suo
padre, mio
fratello Bertalan, mi odiava a morte per una sordida questione di
eredità e
quando è venuto a mancare, mio padre si è
incaricato di occuparsi di Tibor. È
stato lui a farmi conoscere infine mio nipote ma il ragazzo
è peggio di suo
padre, ha come unico scopo quello di arricchirsi”.
András
ascoltava attentamente il racconto della principessa, chiedendosi come
avrebbe
potuto lui ingannare quel Tibor. Ariadné non sembrava troppo
sconvolta nel
raccontare quei fatti scabrosi, che dopotutto coinvolgevano la sua
famiglia;
doveva essere una donna molto forte.
“Principessa,
posso chiedervi un’altra cosa?”.
“Qualsiasi
cosa”.
“Ecco…
non dovrebbe essere vostro nipote l’erede del titolo e del
patrimonio di
famiglia?”.
“No,
perché mio fratello, seppur primogenito maschio, non era
l’erede designato da
mio padre, quell’erede sono io. Devi sapere che i nobili
ungheresi godono di un
altro indubbio vantaggio: quello di trasmettere il titolo per
discendenza
femminile, dietro concessione dell’Imperatore
d’Austria, s’intende. Ovvero, io
avrei dovuto generare un figlio maschio il quale avrebbe ereditato di
diritto
il mio titolo”[2].
“Per
quale motivo vostro padre non ha scelto vostro fratello?”.
“Mia
madre è morta nel darmi alla luce e mio padre
l’amava a tal punto da promettere
di non risposarsi. Essendo io l’unica figlia nata da quel
matrimonio, inoltrò
subito alla corte di Vienna la richiesta di fare di me
l’erede, nonostante io
fossi solo una bambina di pochi mesi allora. Ma un uomo è
pur sempre un uomo, e
negli anni successivi mio padre non si fece mancare delle amanti fra le
dame
ungheresi. Una di loro concepì e lui decise di sposarla per
il bene del
nascituro, che questa volta fu maschio. Il titolo, però, non
può essermi tolto;
così mio padre preme perchè io adotti Tibor, dal
momento che non ho figli
miei”.
András
fissava le fiamme del camino, mentre Ariadné raccontava la
sua storia. Non
c’era davvero limite all’avidità umana
se un padre creava tanti ostacoli sulla
strada della figlia prediletta.
“Principessa…
se può servire ad aiutarvi accetterò di buon
grado di fingermi vostro figlio”.
Ariadné
sospirò appena portando lo sguardo su András.
Sembrava esitare ma infine gli
parlò stringendogli la mano nella sua, esile eppure forte.
“Tibor
potrebbe tentare di ucciderti. Non ha nessun tipo di scrupolo morale.
Per
questo motivo non volevo che Zalán ti presentasse come
nostro erede, abbiamo
fatto di te un bersaglio”.
“Non
mi ucciderà principessa, almeno non subito! Se eliminasse il
vostro erede
subito dopo l’adozione i sospetti ricadrebbero unicamente su
di lui, e anche se
restasse impunito, questo macchierebbe inevitabilmente la sua
reputazione a
Vienna”.
“Adozione?
András vorresti che ti adottassimo davvero?”.
La
donna aveva posto quella domanda mentre nella sua mente se ne poneva
un’altra.
Chi era veramente András per essere così avvezzo
agli squallidi ragionamenti
dei nobili? Nemmeno lei aveva ancora considerato
quell’aspetto e lui aveva
immediatamente tratto delle giuste conclusioni. Le sorrise ricambiando
la
stretta intorno alla sua mano.
“Soltanto
se servirà a risolvere questo problema”.
La
principessa rivolse uno sguardo colmo di gratitudine al ragazzo che le
sedeva
di fronte. Aveva visto giusto su di lui, era davvero dotato di un cuore
grande
e generoso, e non aveva esitato nell’offrirsi a quel modo
come ‘agnello
sacrificale’ all’ira di Tibor.
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Ancora i
famigerati appuntini :D
[1] Questa
è la mia personale
descrizione del Castello di Bran, che si trova effettivamente in
Transilvania. Ho
scelto di non perdermi in dettagli architettonici per non appesantire
inutilmente il racconto.
[2]
Secondo István Werbőczy (giurista ungherese e Palatino del
XVI secolo –
conosciuto maggiormente per la propria opera pubblicata, il
Tripartitum, un
insieme di leggi ungheresi d'epoca) – i diritti della nuova
nobiltà erano i
seguenti:
non
potevano essere arrestati se non con procedura penale,
dovevano
obbedienza al solo Re,
erano
esentati da tasse e gabelle,
potevano
prestare servizio militare e svolgere una carriera nell'esercito solo
in difesa
della propria patria.
Molti
dei nobili che ottennero un titolo nobiliare in questa epoca, vennero
promossi
direttamente dal Re. Vi erano due modi per garantirsi un titolo
nobiliare:
essere
adottato in una famiglia nobile col permesso del Re
per
la figlia di un nobiluomo che non aveva avuto figli maschi, di avere
specifici
diritti dal Re (col permesso di passare questo titolo ai propri figli
maschi
avuti dal matrimonio). (fonte Wikipedia)
Il
trattato precede di circa due secoli la narrazione. Dal momento che non
ho
trovato indicazioni specifiche che facessero riferimento
all’epoca asburgica,
ho pensato che dovessero essere ancora valide. Prendetele per buone.
Il
flashback è quasi terminato, dovrebbe occupare solo un altro
capitolo oltre a
questo, ma credetemi sulla parola, è importante per gli
sviluppi futuri :D