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Autore: Saralasse    07/04/2011    11 recensioni
Questa storia parte dalla tragica notte in cui il Cavaliere Nero sorprende Andrè al suo posto. Cosa sarebbe successo se piuttosto che aspettarlo fra gli alberi, avesse tranciato la corda con la quale il nostro si stava calando dalla torre? Una storia diversa da quella che conosciamo, con personaggi a volte OOC. Buona lettura ^^
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Novembre – Dicembre 1786

 

Per via delle parole contenute nella lettera di suo padre, Ariadné cambiò completamente umore. Si poteva leggere la determinazione nel suo sguardo, tuttavia non era sicuramente serena com’era stata quando András l’aveva conosciuta.

‘Forse dovrei dire riconosciuta… sono io che non mi ricordo di lei’.

“Principessa, vi sentite bene? Siete così silenziosa in questi giorni…”.

Ariadné volse lo sguardo verso András e gli sorrise scuotendo la testa.

“Stai tranquillo, sto benissimo. Tu piuttosto, cominci a ricordare qualcosa?”.

Aveva fatto quella domanda con il cuore stretto in una morsa. Egoisticamente, sperava che il ragazzo che i suoi uomini avevano ripescato da un fiume francese restasse senza ricordi, così da poterlo legare a sé senza remore; il suo animo gentile, però, non poteva che sperare che riconquistasse la sua identità, per vederlo infine tranquillo.

“No principessa. Ho sognato una donna dai lunghi capelli biondi ma non ho potuto vederla in viso; dovunque lei andasse io ero sempre alle sue spalle”.

“Capisco. È già qualcosa, non trovi?”.

“Si, avete ragione. Anche se… voi non sapete chi sia quella donna?”, chiese András, facendosi improvvisamente più attento.

Ariadné ricambiò il suo sguardo, non tradendo la minima esitazione. L’ultimatum postole da suo padre cominciò improvvisamente a turbinarle in mente, e le sembrò che la via d’uscita fosse proprio davanti ai suoi occhi. Forse András avrebbe potuto essere la persona giusta, doveva solo convincere Zalán.

“Ti abbiamo detto che non possiamo rivelarti ogni cosa che riguardi il tuo passato, comunque non conosco nessuna che corrisponda alla descrizione… certo, potresti averla incontrata negli anni trascorsi lontano. Rilassati, ormai abbiamo varcato da diversi giorni quelli che erano i confini d’Ungheria. La nostra prossima fermata sarà casa”.

Zalán aveva assistito alla conversazione senza battere ciglio, preso dalle stesse preoccupazioni di sua moglie.

 

Man mano che procedeva, la carrozza si addentrava sempre più nel fitto degli alberi, tanto che András ebbe quasi l’impressione che si sarebbero smarriti in tutto quel verde. Zalán si avvide del suo turbamento e si affrettò a rassicurarlo.

“Non temere, c’è un sentiero nel bosco, non stiamo andando verso l’ignoto”.

András si voltò a guardarlo, dandosi mentalmente dello sciocco; doveva essere sembrato terribilmente pavido in quei momenti.

“Ecco… è solo che non mi ricordo questi posti e sembrano così selvaggi”.

Ariadné annuì ammirando il panorama esterno.

“Non dovrebbero farti paura, tu il verde d’Ungheria lo porti negli occhi”. Sorrise, intenerita dal rossore che scorse sul viso di András. “Guarda, si vede il palazzo”.

András portò lo sguardo nella direzione indicatagli da Ariadné e vide le alte guglie in mattoni rossi svettare contro il cielo al tramonto; mentre la carrozza si avvicinava, potè notare che il castello sorgeva su uno sperone roccioso ma era circondato su tre lati da quelle stesse fitte foreste che stavano attraversando. Il corpo dell’edificio era talmente bianco da sembrare rilucere nella luce morente della sera e di certo aveva poco a che spartire con gli snelli palazzi che aveva visto attraversando l’Austria [1].

Zalán lo riscosse dall’osservazione posandogli una mano sulla spalla.

“Siamo arrivati András”.

Jan aprì lo sportello della carrozza porgendo la mano ad Ariadné per aiutarla a scendere e la donna si strinse il mantello addosso. Aveva quasi dimenticato quanto potesse essere crudele il freddo di Transilvania. Il cuore le mancò un battito quando vide nei pressi delle scuderie una carrozza che portava lo stemma degli Hunyadi.

“Zalán, Tibor è qui”.

“Di già! András ascoltami: vorresti aiutarci a risolvere un problema?”.

András, dopo lo smarrimento iniziale per quella richiesta improvvisa, accettò di buon grado di aiutare i suoi benefattori.

“Qualsiasi cosa principe, chiedete”.

Zalán gli mise le mani sulle spalle sorridendo soddisfatto, il tutto sotto lo sguardo perplesso di Ariadné.

“Proprio la risposta che volevo sentire. Ascolta attentamente, qualsiasi cosa diremo io e Ariadné dovrai assecondarci; so che non ricordi e non capirai quello che diremo ma fidati di me, d’accordo?”.

“Ma Zalán, cosa vuoi fare?”.

“Guadagnare tempo amore mio, ne ho bisogno se voglio prendere la decisione giusta per noi”.

“Io non credo che sia giusto nei confronti di András, lui non ricorda e…”.

“Va tutto bene principessa. Non dovete preoccuparvi per me. Posso accompagnarvi in casa?”.

Intervenne András mostrando il suo sorriso più accattivante e le porse il braccio. La donna sembrò riluttante inizialmente, ma finì per acconsentire. Aggrappandosi a lui si diresse tranquilla verso il portone, dove li attendeva la servitù schierata.

“Bentornati miei signori”, li apostrofò il maggiordomo, scoccando un’occhiata perplessa all’uomo che accompagnava la principessa.

“Ti ringrazio Elek. Avete preparato la stanza di András come avevo chiesto?”.

Elek comprese immediatamente ciò che la sua padrona gli stava indirettamente ordinando e bisbigliò qualcosa alle cameriere più vicine a lui che si allontanarono con un inchino.

“Certamente principessa”.

I padroni di casa lo oltrepassarono ed entrarono in casa. Si trovavano ancora nell’atrio, dove altri servitori stavano prendendo in consegna i loro mantelli, quando furono raggiunti da Tibor. Sfoggiava il sorriso più falso che avesse mai mostrato.

“Cari zii, finalmente! Avete fatto buon viaggio?”.

Il tono mellifluo strideva terribilmente con quello che si vedeva nei suoi occhi.

“Migliore di quello che credi, Tibor”. Rispose a tono Zalán. “Ma vieni, lascia che ti presenti tuo cugino András. È stato via per così tanto tempo e tu così a lungo alla corte di Vienna, che non vi siete mai incontrati”.

Così dicendo mise la mano sulla spalla di András che chinò il capo in segno di saluto. Sperava vivamente di aver fatto la cosa giusta, non capiva una parola di quello che aveva sentito da quando aveva messo piede in quel palazzo, dove evidentemente si parlava una lingua diversa dall’unica che ricordasse.

Tibor dal canto suo, divenne bianco come un cencio e il suo sguardo non tentò più di nascondere il livore nei confronti dei Beleznay; ancora una volta, sembravano sfuggiti ai suoi inganni, ma la faccenda gli risultava tutt’altro che chiara.

“E mio cugino è forse privo della parola?”.

“András ha subito un’aggressione in Francia, dove stava studiando. È stato malmenato da alcuni malviventi che lo hanno derubato ed è salvo per miracolo, ma è ancora scosso e preferisce tacere. Anzi, ti chiedo di scusarmi, voglio accompagnarlo personalmente nelle sue stanze. Tu resta pure in compagnia di tuo zio, vi raggiungerò fra poco per la cena”.

 

Quando furono giunti nella stanza a lui destinata, András decise di chiedere spiegazioni riguardo ciò che aveva visto. Non gli era piaciuto lo sguardo che lo sconosciuto aveva rivolto ai principi Beleznay e desiderava esser loro d’aiuto, per quanto in suo potere. Doveva loro la vita e non solo; spesso aveva riflettuto su quante persone, al loro posto, si sarebbero prese cura di uno sconosciuto con tale solerzia e tanto a lungo.

“Principessa, chi è quell’uomo?”.

“Tu non lo hai mai visto prima, è mio nipote, Tibor. Ti abbiamo presentato come nostro figlio”.

András sbarrò gli occhi a quelle parole, chiedendosi se la principessa non avesse improvvisamente perso il senno.

“Vostro figlio?! Ma come lo giustificherete? E come spiegherete a vostro nipote che non ha mai incontrato suo cugino?”.

Ariadné sedette su un piccolo divano collocato davanti al camino che riscaldava la stanza e fece cenno a lui di raggiungerla. Il tempo delle spiegazioni era arrivato infine, non poteva trascinare András in quella faccenda senza rivelargli come stessero le cose.

“E’ semplice. Gli Asburgo ci concedono, in mancanza di figli naturali, di adottare una persona fidata che eredita il nostro titolo e i nostri possedimenti; ai suoi occhi tu sarai quella persona. Sei stato via per molto tempo e io ho conosciuto Tibor appena cinque anni fa, sebbene sapessi della sua esistenza. Suo padre, mio fratello Bertalan, mi odiava a morte per una sordida questione di eredità e quando è venuto a mancare, mio padre si è incaricato di occuparsi di Tibor. È stato lui a farmi conoscere infine mio nipote ma il ragazzo è peggio di suo padre, ha come unico scopo quello di arricchirsi”.

András ascoltava attentamente il racconto della principessa, chiedendosi come avrebbe potuto lui ingannare quel Tibor. Ariadné non sembrava troppo sconvolta nel raccontare quei fatti scabrosi, che dopotutto coinvolgevano la sua famiglia; doveva essere una donna molto forte.

“Principessa, posso chiedervi un’altra cosa?”.

“Qualsiasi cosa”.

“Ecco… non dovrebbe essere vostro nipote l’erede del titolo e del patrimonio di famiglia?”.

“No, perché mio fratello, seppur primogenito maschio, non era l’erede designato da mio padre, quell’erede sono io. Devi sapere che i nobili ungheresi godono di un altro indubbio vantaggio: quello di trasmettere il titolo per discendenza femminile, dietro concessione dell’Imperatore d’Austria, s’intende. Ovvero, io avrei dovuto generare un figlio maschio il quale avrebbe ereditato di diritto il mio titolo”[2].

“Per quale motivo vostro padre non ha scelto vostro fratello?”.

“Mia madre è morta nel darmi alla luce e mio padre l’amava a tal punto da promettere di non risposarsi. Essendo io l’unica figlia nata da quel matrimonio, inoltrò subito alla corte di Vienna la richiesta di fare di me l’erede, nonostante io fossi solo una bambina di pochi mesi allora. Ma un uomo è pur sempre un uomo, e negli anni successivi mio padre non si fece mancare delle amanti fra le dame ungheresi. Una di loro concepì e lui decise di sposarla per il bene del nascituro, che questa volta fu maschio. Il titolo, però, non può essermi tolto; così mio padre preme perchè io adotti Tibor, dal momento che non ho figli miei”.

András fissava le fiamme del camino, mentre Ariadné raccontava la sua storia. Non c’era davvero limite all’avidità umana se un padre creava tanti ostacoli sulla strada della figlia prediletta.

“Principessa… se può servire ad aiutarvi accetterò di buon grado di fingermi vostro figlio”.

Ariadné sospirò appena portando lo sguardo su András. Sembrava esitare ma infine gli parlò stringendogli la mano nella sua, esile eppure forte.

“Tibor potrebbe tentare di ucciderti. Non ha nessun tipo di scrupolo morale. Per questo motivo non volevo che Zalán ti presentasse come nostro erede, abbiamo fatto di te un bersaglio”.

“Non mi ucciderà principessa, almeno non subito! Se eliminasse il vostro erede subito dopo l’adozione i sospetti ricadrebbero unicamente su di lui, e anche se restasse impunito, questo macchierebbe inevitabilmente la sua reputazione a Vienna”.

“Adozione? András vorresti che ti adottassimo davvero?”.

La donna aveva posto quella domanda mentre nella sua mente se ne poneva un’altra. Chi era veramente András per essere così avvezzo agli squallidi ragionamenti dei nobili? Nemmeno lei aveva ancora considerato quell’aspetto e lui aveva immediatamente tratto delle giuste conclusioni. Le sorrise ricambiando la stretta intorno alla sua mano.

“Soltanto se servirà a risolvere questo problema”.

La principessa rivolse uno sguardo colmo di gratitudine al ragazzo che le sedeva di fronte. Aveva visto giusto su di lui, era davvero dotato di un cuore grande e generoso, e non aveva esitato nell’offrirsi a quel modo come ‘agnello sacrificale’ all’ira di Tibor.

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Ancora i famigerati appuntini :D

[1] Questa è la mia personale descrizione del Castello di Bran, che si trova effettivamente in Transilvania. Ho scelto di non perdermi in dettagli architettonici per non appesantire inutilmente il racconto.

[2] Secondo István Werbőczy (giurista ungherese e Palatino del XVI secolo – conosciuto maggiormente per la propria opera pubblicata, il Tripartitum, un insieme di leggi ungheresi d'epoca) – i diritti della nuova nobiltà erano i seguenti:

non potevano essere arrestati se non con procedura penale,

dovevano obbedienza al solo Re,

erano esentati da tasse e gabelle,

potevano prestare servizio militare e svolgere una carriera nell'esercito solo in difesa della propria patria.

Molti dei nobili che ottennero un titolo nobiliare in questa epoca, vennero promossi direttamente dal Re. Vi erano due modi per garantirsi un titolo nobiliare:

essere adottato in una famiglia nobile col permesso del Re

per la figlia di un nobiluomo che non aveva avuto figli maschi, di avere specifici diritti dal Re (col permesso di passare questo titolo ai propri figli maschi avuti dal matrimonio). (fonte Wikipedia)

Il trattato precede di circa due secoli la narrazione. Dal momento che non ho trovato indicazioni specifiche che facessero riferimento all’epoca asburgica, ho pensato che dovessero essere ancora valide. Prendetele per buone.

Il flashback è quasi terminato, dovrebbe occupare solo un altro capitolo oltre a questo, ma credetemi sulla parola, è importante per gli sviluppi futuri :D

  
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