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Autore: Lady Vibeke    09/04/2011    3 recensioni
Una donna urla, la voce frammentata da singhiozzi.
Tutto è buio.
Battiti di cuore come tamburi attorno a lei, stretta tra braccia esili. Occhi innocenti di bambina si sgranano nell’angoscia dell’incapacità di comprendere quel caos improvviso.
– Dammi la bambina – Sentenzia la persona senza volto, ed è un ordine ineluttabile che impregna l’oscurità.
C’è il terrore che spadroneggia nella bimba. Troppo piccola per capire, ma abbastanza grande per rendersi conto del pericolo. E intanto quelle braccia insistono a volerla proteggere.
– Se la consegnate a me, sarà salva. Loro stanno arrivando. Se riescono a trovarla, la prenderanno e la uccideranno sotto ai vostri occhi. Datela a me. –
– Cosa vuoi da lei? –
Un lampo squarcia le tenebre. Il volto di una donna appare per un brevissimo istante al di sotto del cappuccio.
– Voglio salvarle la vita. –
Il silenzio della tensione calca sulle loro teste, impietoso. In lontananza, nitriti selvaggi si mescolano a un rumore di zoccoli in corsa.
Le braccia della ragazza si allentano attorno al corpicino indifeso della piccola. Altre due braccia sottili si aprono in un invito. Tutto è preda di una tensione innaturale. Tutto è immobile.
Poi un lampo di luce rossa divora ogni cosa.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. TRE GOCCE DI BELLADONNA

 

You've got a natural healing
How do you get so strong?

– Halflife, Lacuna Coil –

 

 

 

Le bastò annusare l’aria per capire dov’erano, sentire l’odore fresco degli alberi e il sentore lontano della neve. Con presenza di spirito maggiore rispetto alla prima volta che si era trovata lì, capì che quel luogo doveva trovarsi da qualche parte verso settentrione, e probabilmente in prossimità di Norden o addirittura entro i suoi estremi confini sudorientali, dove si esauriva il territorio montuoso e il clima si mitigava nella vicinanza con il mare.

– In che punto delle Sette Terre ci troviamo, esattamente? –

Lucius, che camminava poco avanti a lei, non le concesse che una bassa risata.

– Angina ci tiene molto alla riservatezza della sua dimora. Accontentati di avere avuto il privilegio di visitarla –

Regan era felice di essere di nuovo lì: si era spesso chiesta quando avrebbe avuto il piacere di rivedere Angina e il suo desiderio era stato avverato molto prima del previsto. Solo non si spiegava per quale preciso motivo stessero andando da lei.

– Una Myrka ti ha morso e tu non solo sei viva, ma anche incredibilmente vegeta – le rispose Lucius, quando gli chiese spiegazioni. – Il che probabilmente significherà ben poco per la tua ignorante testolina rossa, ma fino ad oggi nessuno che abbia avuto un incontro tanto ravvicinato con una di quelle graziose creaturine è mai vissuto abbastanza a lungo da raccontarlo, e voglio capire come questo sia possibile. –

– E perché siamo dovuti venire fin qui per capirlo? –

– Perché si dà il caso che Angina abbia tra i suoi l’esperta di veleni più preparata di tutte le Sette Terre. –

– Chi, quella ragazzetta pelle e ossa che mi ha curata l’altra volta? – fece lei, scettica. Non metteva in dubbio che la ragazza avesse buone conoscenze in campo medico, ma le riusciva difficile credere che fosse addirittura la più esperta.

– Venena è giovane, ma sa il fatto suo – la redarguì Lucius. – È stata istruita da un grande maestro ed è la sola erede di conoscenze di cui nessun altro è mai entrato in possesso. Se qualcuno può darci delle risposte, quella è lei. –

Quando raggiunsero lo spiazzo erboso in cui Regan ricordava di essere sbucata uscendo dal labirinto del covo di Angina, notò che vicino alla parete di roccia scura c’era la statua di un angelo di cui non si ricordava.

Stette a guardare interessata mentre Lucius si avvicinava all’angelo, fino a che la mano di marmo protesa in avanti non si adagiò sul suo petto. E allora accadde: nella pietra, lentamente, si allargò un varco tra le chiome di edera, smascherando alla vista un tunnel la cui lunghezza andava perdendosi  dalla luce nel buio. C’era una scritta consumata incisa sopra l’apertura, seminascosta dall’edera. Erano due parole la cui prima lettera era una M mauiscola dalla forma strana, incurvata verso l’esterno, a sinistra nella prima, a destra nella seconda.

– Cosa c’è scritto lassù? – domandò a Lucius.

­– Memento Mori. Ricordati che morirai. –

– Che allegria. – commentò Regan, tetra.

– Se non altro non si può dire che gli eventuali intrusi non siano stati avvisati. –

Stavano per entrare, quando un uomo apparve sulla soglia. Era anziano, ma non vecchio, perché tra i capelli grigi si intravedevano ancora ciocche castane e le rughe dell’età avevano appena iniziato a solcargli il viso e il suo corpo ancora conservava tracce di un passato vigore al di sotto della tunica grigia. Camminava appoggiandosi a un bastone nodoso, un po’ ingobbito.

– Lucius – disse, con voce roca e affaticata. – Qual buon vento, figliolo? Ho saputo che sei stato qui, giorni fa. –

Lucius gli andò incontro e lo salutò gioviale.

– Infatti. Sono qui per vedere Venena. –

La fronte dell’uomo si corrugò.

– Venena? Cosa vuoi da quella piccola impertinente? Credevo fossi qui per la mia bambina –

Lucius rise.

– La vostra bambina la incontro sempre con piacere. E poco cambia, dopotutto: Venena è quasi sempre dove è lei. –

Regan stava capendo ben poco della conversazione. Tanto per accertarsi che Lucius non si fosse scordato di lei, tossicchiò con discrezione alle sue spalle.

Lui si girò indietro come se effettivamente si fosse appena ravveduto della sua presenza.

– Oh, sì, certo – La fece avanzare e la presentò: – Mastro Vester, questa è la mia amica Regan. Sono certo che vostra figlia vi abbia parlato di lei. –

Il tizio la squadrò rapidamente da sotto un paio di folte sopracciglia incolori, soffermandosi sui suoi capelli un secondo di troppo.

– Naturalmente, sicuro – borbottò, facendosi da parte per farli entrare. – La fanciulla dalla guarigione miracolosa, certamente. –

– Mastro Vester è l’onorabile padre di Angina –

Per Regan non fu poi una gran sorpresa: gli occhi dell’uomo erano identici a quelli della figlia, e intrisi della medesima irriverenza.

Il bastone di Vester produceva un rumore secco e ritmico che rimbombava ovunque entro gli innumerevoli corridoi del dedalo sotterraneo. Zoppicò davanti a loro facendo strada, ciarlando delle cattive abitudini della sua bambina e della necessità che si trovasse un uomo degno di tale nome che mettesse qualche freno alla sua dissolutezza.

– Qualsiasi giovanotto dei nostri venderebbe la propria madre pur di avere la sua mano, e lei li tratta come cani da salotto! È tempo che pensi ad avere degli eredi, dico io. Non è più una ragazzina di quarant’anni, accidenti a lei. I miei avi hanno combattuto delle viscide sette di esaltati per conquistare questo posto e, che la Madre mi fulmini, non apparterrà mai più ad altri che a degli Isfyell, dovessi essere costretto a plasmarne di nuovi dalla nuda terra! –

Lucius ridacchiava fra sé; Regan, dal canto suo, cercava di trattenersi.

Trovarono Angina in un salone pieno di tappeti e scaffali di cui Regan si innamorò: oggetti bizzarri di ogni tipo colmavano le mensole di legno e i mobili, creando una specie di museo di stranezze che lei avrebbe volentieri studiato una a una. Tra i molti luccichii e scintilli, la colpirono in particolare una clessidra di vetro senza supporti metallici piena di un’incantevole sabbiolina cangiante e il ritratto in proporzioni reali di una splendida nobildonna appoggiato a terra in un punto della stanza in cui il soffitto irregolare era abbastanza alto da poter ospitare un quadro di tali dimensioni.

– Ma guarda chi mi onora di una visita! – cinguettò la voce estasiata di Angina.

Era abbandonata su un triclinio al centro della stanza, un grosso libro in una mano e un calice di vino nell’altra, accanto a un’enorme struttura simile a un pozzo che ospitava un vivace fuoco caldo che non emetteva fumo. Appoggiò a terra sia il libro che il calice e li accolse a braccia aperte.

 – Oh, piccola, ti hanno agghindata proprio come una vera bambolina! – commentò, abbracciando Regan con trasporto.

– Volevo tenermi i tuoi vestiti, ma Lucius ha detto che non posso andare in giro vestita come una poco di buono. –

Angina si abbandonò a una risatina deliziata.

– Lucius è solo un vile adulatore. Su, fatti un po’ vedere – fece girare Regan su sé sessa un paio di volte ed emise un lungo fischio. – Accidenti, sembri davvero una principessina. Ti stavano decisamente meglio i miei vestiti. Ma mi fa piacere trovarti così in forma, dico davvero. –

Regan provò un irresistibile moto di affetto verso di lei. Quasi non conosceva quella donna, ma era completamente conquistata dalla sua personalità così esuberante e diretta.

– Be’, a cosa devo l’immenso piacere di avervi qui? –

– Vorrei chiedere un favore a Venena – dichiarò Lucius.

– A Venena? – fece Angina, accigliata.

– Ho come la sensazione che la mia cerbiattina abbia una peculiarità nascosta e ritengo che Venena possa darmene la conferma. –

A quel “mia” Regan sentì un formicolio gradevole dietro al collo, come una carezza invisibile.

Lucius spiegò brevemente come stavano le cose e Angina parve molto interessata alla storia.

– Una fanciulla immune ai veleni, eh? – rimuginò Mastro Vester, sfregandosi il mento. – Non andare a dirlo in giro là fuori, ragazzo mio – ammonì Lucius. – Quegli stolti per cui lavori la additerebbero come un frutto del male e la sfrutterebbero come un’erba rara per i loro scopi. –

Regan, che non aveva dimenticato il modo in cui l’aveva apostrofata la sentinella a Medilana, suo malgrado si trovò d’accordo con lui.

– Personalmente la penso come il vecchio – affermò Angina.

– Bada un po’ a come parli, mocciosa! Se tua madre fosse ancora qui, saprebbe metterti al tuo posto! –

Angina, che era più alta di lui, lo prese sotto a un braccio e gli diede uno scossone.

– Non ti agitare tanto, lo sai che non ti fa bene. –

Lasciarono Mastro Vester alle sue remore contro la figlia e Angina li scortò in una nuova scarpinata attraverso una miriade di cunicoli tutti uguali. Regan non capiva come la gente che abitava là dentro potesse orientarsi senza smarrire la strada a ogni svolta. Cercò si sbirciare attraverso qualche porta lasciata aperta o socchiusa, ma Angina si muoveva svelta e Lucius teneva il passo senza problemi. L’unica ad avere il fiatone era lei.

– Coraggio, bambolina, manca poco. –

Il laboratorio di Venena doveva trovarsi molto vicino alla superficie, perché avevano salito qualche scalinata e l’aria si stava facendo meno umida e fredda.

– Mi raccomando, Regan: una volta che saremo entrati nel laboratorio, non toccare assolutamente niente. Anzi, dimentica di avere le mani – la avvertì Angina.

Quando, dopo che ebbero bussato a un portone che chiudeva la sommità del corridoio, Venena li fece entrare, Regan comprese l’ammonimento: era tutto così preciso, pulito e ordinato da essere inquietante. C’era una finestra rotonda, ricavata direttamente nel muro di roccia, che si affacciava su uno strapiombo attraverso un sipario di radici ed edere cascanti. Da lì entrava una luce lattea che gettava squarci di chiarore su decine e decine di ripiani colmi di ampolle, fiale e boccette in cui riposavano liquidi trasparenti o torbido, o galleggiavano sostanze di cui Regan preferiva non scoprire le origini. Fasci di erbe e mazzi fiori essiccati pendevano dalle travi incastrate sul soffitto e sul grande tavolo da lavoro, assieme a un’infinità di coltelli, lame e cucchiai suddivisi in scomparti di legno, c’erano un centinaio di vasetti colmi di polveri e macinati di ogni sorta e colore, tutti meticolosamente disposti in un portaspezie che occupava tutta la lunghezza del tavolo, proprio sotto alla finestra; subito accanto, una libreria massiccia dava dimora a una impressionante quantità di spessi tomi, alcuni consumati e stinti, altri molto più nuovi. L’odore che riempiva l’aria era molto simile a quello di un fienile.

– Scusa il disturbo, Neni, ma abbiamo una diagnosi da sottoporti – disse Angina mentre la ragazza li guardava sfilare uno a uno davanti a sé con aria tutt’altro che lieta.

– Non importa – replicò Venena con la sua voce strascicata. – Non stavo facendo nulla di importante. –

Regan notò che c’era un piccolo paiolo messo a bollire sul focolare ed emanava una piacevole fragranza di menta.

– Che cosa vi serviva? –

– Oh, nulla di che – Angina le sorrise allegramente. – Lucius pensa che la nostra piccola Regan possa essere immune ai veleni. –

Gli occhi piccoli e diffidenti della ragazza si spalancarono di colpo.

– Stai scherzando? –

Lucius scosse la testa.

– L’ha morsa una Myrka, ieri. –

Venena si rilassò in un riso di scherno.

– Una Myrka! Ma certo, come no! Questa non l’avevo ancora… –

Si zittì all’improvviso. Lucius le aveva sbattuto davanti alla faccia la mano aperta di Regan, su cui ancora si poteva notare il segno che la puntura della farfalla aveva lasciato, un alone azzurrino attorno a un pizzico di sangue incrostato. Venena la afferrò febbrilmente, studiandola da vicino.

– Non è possibile! –

Il suo sguardo si alzò fulmineo su Regan. La attirò verso di sé e le toccò la gola, nel punto in cui le vene principali pulsavano più in superficie, poi le esaminò gli occhi, sollevando le palpebre, e infine le controllò le labbra. Quando finalmente si decise a toglierle le mani di dosso, Regan si scostò e arretrò di un passo, infastidita, ma Venena era troppo scossa per badare a lei.

– Quanto tempo è passato da quando è stata morsa? –

– Direi una ventina di ore – rispose Lucius, con due rapidi calcoli sulle dita.

– Una ventina di ore – soffiò Venena, esterrefatta. – Ne sei assolutamente sicuro? –

– Guarda che quella cosa ha morso me, e ti assicuro che capisco la tua lingua e sono perfettamente in grado di risponderti personalmente – intervenne Regan, un po’ seccata di essere tratta come un brano di carne inerte.

– Buona, cerbiattina, sta’ calma – la blandì Lucius, senza disturbarsi a dissimulare una nota divertita. – Venena sta solo facendo il suo lavoro. –

– Siediti – le ordinò invece la ragazza, prima che lei potesse aprir bocca. Le indicò una sedia accanto al tavolo e Regan suppose di non avere altra scelta se non assecondarla.

 Venena si mise a frugare in un armadio in fondo alla stanza e tornò che reggeva una serie di ampolline opache. Le dispose rapidamente sul tavolo a coppie, accanto a una grossa bilancia in ottone, con un’attenzione che rasentava la cerimoniosità.

– Sono cinque veleni di diversa tossicità – spiegò poi ai presenti. – Mandragora, Digitale, Evonimo, Crotontiglio e Belladonna. Faremo una prova con ciascuno di essi, dal più blando al più letale. L’unico veleno più micidiale di quello di Belladonna è il veleno secreto dalle Myrkae, ma non avrei il tempo di somministrati l’antidoto, eventualmente. –

Non ci voleva un cervello particolarmente acuto per capire che tutto quel giro di parole – e gli antidoti già pronti di usare – erano un’aperta dichiarazione di malfidenza. Regan sapeva di non essere simpatica a Venena, ma avrebbe giurato che almeno per Lucius avesse una qualche considerazione, invece, ora che ci faceva caso, guardava anche lui con un velo di inspiegabile ostilità.

– Ti farò bere tre gocce di ciascuno di questi veleni e, per pura precauzione, terrò pronti i rispettivi antidoti. Ti avverto, Regan: un’intera boccetta di uno dei primi quattro può farti stare molto male e intossicarti gravemente, ma non ucciderti. Solo tre gocce di belladonna, invece, ti stroncherebbero nel giro di una manciata secondi. –

– Fa’ pure quel che devi. –

Venena gettò uno sguardo esitante verso Lucius e Angina. I due le diedero il consenso di agire con un debole cenno del capo. Rigida come un manico di scopa, Venena prese la prima ampolla. Dentro di essa ondeggiava un liquido verde torbido.

– Apri la bocca. –

Regan obbedì.

– La Madragora ha effetti molto rapidi. Causa intorpidimento, febbre e aumento repentino della frequenza cardiaca. –

Regan pensò che glielo stesse comunicando tanto per metterla un po’ in agitazione, ma, se il motivo era realmente quello, fu inutile. Vide Venena estrarre dalla boccetta un lungo stelo di vetro e accostarglielo alle labbra dischiuse. Un istante dopo sentì un sapore acre e urente sulla lingua e tre gocce di Madragora le scivolarono in gola.

Deglutì di fronte a tre facce illeggibili, e attese. Nel silenzio tombale, passò qualche secondo, e ne passarono altri, e poi un minuto.

Non successe nulla.

Senza fare complimenti, Venena ripeté lo stesso esame che le aveva imposto quando aveva appreso della puntura di Myrka: controllò gli occhi, le pulsazioni, le labbra, le toccò la fronte, ma non trovò nulla che non andasse.

– Straordinario – mormorò, più a sé stessa che a chi aveva intorno. Sembrava quasi eccitata dinnanzi a quella scoperta.

Regan si dovette rimangiare la soddisfazione di un “Te l’avevo detto”.

Senza perdere tempo, Venena passò subito alla seconda ampolla. Ripeté la medesima operazione di prima e stavolta il sapore che Regan si sentì in bocca fu quello amaro della Digitale. Anche stavolta, dopo un pio di minuti di snervante attesa, non accadde nulla.

– Hai vertigini? Nausea? Mal di testa? – le chiese Venena, riproducendo da capo l’esame.

– Mai stata meglio. –

– Il battito del cuore è regolare – constatò l’altra, strabiliata, stringendole il polso fra tre dita. – La dilatazione delle pupille è nella norma. È incredibile. –

La scena si ripeté con i successivi due veleni, che le vennero inoculati a distanza di diversi minuti l’uno dall’altro. Quando fu il momento della Belladonna, a Venena tremavano le mani.

– Questo è mortale – dichiarò a voce alta, occhieggiando significativamente anche Lucius. – È un concentrato molto potente che ti ucciderà in dieci secondi netti, quindi se dovessi avvertire un qualsiasi tipo di anomalia, beviti questo, fino all’ultima goccia – e le mise in mano la fiala aperta dell’antidoto.

Era così seria e preoccupata che Regan finì per sentirsi contagiata. Anche se sapeva di essere uscita illesa da un rischio che, a detta loro, era di gran lunga peggiore di un avvelenamento da Belladonna, si sentì comunque in diritto di lasciarsi condizionare.

In un angolo, a braccia conserte, Lucius sorvegliava la situazione senza battere ciglio, e Angina, con un gomito appoggiato alla sua spalla in un modo che Regan avrebbe solo potuto definire lascivo, aveva l’esatta espressione di una bambina di fronte a uno spettacolo di giocoleria.

– Va bene, procediamo – Tesa come una corda di violino, Venena le mise due dita sullo il mento e le fece reclinare la testa all’indietro. Gli occhi di Angina seguirono il movimento conturbati, millimetro per millimetro.

Un aroma dolce e delicato rapì all’improvviso il senso del gusto di Regan. Venena aveva lasciato cadere le tre gocce di Belladonna.

Le sentì scorrere lentamente lungo la gola, delicate come acqua, ma con quel sapore zuccherino che faceva pensare a uno sciroppo di frutta, più che a una sostanza fatale. Forse parte del potere della Belladonna stava proprio in quello: essere invitante e accattivante, ingannevole, per cogliere di sorpresa e uccidere meglio. Proprio come le Myrkae.

Come ha detto Antares.

Regan restò il ascolto del proprio corpo, domandandosi se qualcosa stesse cambiando, ma non le sembrava. Tutto ciò che sentiva i respiri degli altri, e il martellare del proprio cuore nel petto; di sintomi sospetti nemmeno una traccia.

– Allora, tra quanto dovrei morire, tanto per sapere? –

– Circa mezzo minuto fa – fu l’asciutta risposta di Venena. Verificò le condizioni di Regan per la quinta e ultima volta, e con attenzione ancora maggiore delle precedenti; quando ebbe terminato, il suo volto era un’inespressiva maschera di cera.

– A quanto pare, Lucius, avevi ragione. –

La faccia di Lucius, però, più che soddisfatta, era impensierita.

– Questa è un’informazione che non deve uscire da questa stanza – disse con fermezza. – Né dalla bocca di Mastro Vester, Gin – aggiunse, voltandosi verso Angina con eloquenza.

– Tranquillo, tesoro. Ci penso io – gli assicurò, battendogli una mano sul petto.

– Cosa credi di fare con quelli? – esclamò Regan, quando vide che Venena le si stava avvicinando con una lama sottilissima in una mano e una fiala di cristallo vuota nell’altra.

– Voglio un campione del tuo sangue. –

Cosa? –

– Voglio un campione del tuo sangue – ripeté Venena.

– Hai capito benissimo cosa intendevo! –

– Sono un’esperta di erbe e veleni, secondo te cosa ci potrei voler mai fare con del sangue immune alle intossicazioni? –

Per quanto non le piacesse la prospettiva di diventare un oggetto di studi, Regan si convinse che in fondo non c’era nulla di male. Venena era stata disponibile, d’altronde, quindi ricambiare la disponibilità sarebbe stato il minimo.

– Non fare tante storie – sbottò Venena, afferrandole il polso sinistro. – Non ho intenzione di dissanguarti. Sei sopravvissuta a molto peggio di questo. –

Regan cercò aiuto presso Lucius, ma né lui né Angina si dimostrarono sconvolti quanto lei. Il che era anche comprensibile, dato che non si trattava del loro sangue.

– Non ti farà male, piccola. Ven è magnifica con quelle mani, fidati. –

Non restava che crederle sulla parola.

Venena la guardò trionfante e le torse l’avambraccio, spingendole in su la manica dell’abito per esporre la pelle bianca. Al di sotto di essa, lunghe vene azzurrine pulsavano placide.

Ebbe l’impressione che Venena traesse piacere nel tagliuzzarla: affondò la lama nella carne tenera e incise con mano sicura. Angina aveva ragione: Regan avvertì a malapena il dolore. Subito dal taglio prese a sgorgare un copioso flusso di sangue scarlatto.

Ipnotizzata da quel colore vivo e brillante e dal suo lento fluire sul bianco della sua pelle, Regan stava scivolando in un intorpidimento simile a quello che aveva provato appena arrivata ad Aurin.

Venena raccolse scrupolosamente goccia per goccia il sangue nella sua fiala, gli occhi che le brillavano. Quando ebbe finito, prese dall’armadio un cofanetto pieno di bende; medicò il taglio con cura e le fasciò il polso. Solo allora Regan si risvegliò e riconobbe l’odore simile a the del liquido che usò per disinfettarla.

– Tienilo pulito, mi raccomando. Guarirà in fretta. –

– Mi resterà il segno? –

– Per chi mi hai preso, ragazzina? –

Regan la detestava con tutta sé stessa.

Tutto quello che voleva era tornare a Kauneus e possibilmente affondare i denti in uno dei panini all’uvetta di Eleonora, seduta sul tappeto del tinello a giocare con il fuoco assieme a Calien, anche al costo di farsi prendere in giro per la sua imbranataggine.

Lucius parlottò con Angina per tutto il tempo, mentre ritornavano all’androne principale. Regan e Venena si tennero qualche passo indietro per lasciare solo la giusta riservatezza, da un lato incuriosite dal loro tono sommesso, dall’altro consce che tentare origliare sarebbe stato inutile.

Regan non si era sbagliata nell’interpretare il modo di comportarsi di quella ragazza: anche con le poche persone che incrociarono per strada, si comportò con la medesima freddezza e indisponenza che aveva riservato a lei e a Lucius. La sola con cui si dimostrasse benevola era Angina. Fortunatamente, almeno, era un tipo taciturno: rimase immersa nei suoi pensieri per tutto il tragitto, riscuotendosi solo occasionalmente per scagliare a Regan occhiatine furtive dense di sospetto.

Una volta raggiunto il grande atrio, Angina li invitò a rimanere per il pranzo, ma loro declinarono.

– Grazie dell’aiuto, comunque. Conto sulla vostra discrezione, per la sicurezza di Regan. –

– Per la sua e per la tua – sorrise Angina. – Suvvia, Lucius, sai che mai e poi mai ti tradirei. –

Lucius ammiccò.

– Lo so – rispose, carezzevole fin quasi a sconfinare nel seducente. – Saluta, cerbiattina, da brava. Dobbiamo andare. –

– Smettila di trattarmi come un animaletto domestico! –

Lucius se la portò via ridendo.

 

 

– Credi che questa cosa dell’immunità ai veleni abbia qualcosa a che fare con il mio aspetto… diverso? – gli domandò, mentre ritornavano verso il Portale nell’albero cavo.

– Non è da escludere. Certo sarebbe proprio una gran bella coincidenza se fosse una combinazione casuale. –

– Già. –

– Regan, ascoltami bene: non devi fare parola con nessuno di quanto abbiamo appena scoperto, mi sono spiegato? –

– Non lo dirò ad anima viva. ­– promise lei.

– E nemmeno ad anima morta – precisò subito lui. – Con nessuno intendo proprio nessuno. –

Regan roteò gli occhi con un rantolo irritato. La trattava sempre come una bambina.

– Ne parlerò con Shin e con un’altra persona – proseguì Lucius. – Ma tu fidati di me. Dobbiamo trovare il modo di scoprire se è per questo che ti trovavi prigioniera alla Corte e se è per lo stesso motivo che quell’uomo ti stava cercando. Anche se sulla prima ho delle riserve. –

– Perché? –

– Nessuna delle ferite che avevi quando ti ho trovata è compatibile con prelievi di sangue. –

– Pensi che Desmond non fosse a conoscenza di questo particolare? –

– Ne sono quasi sicuro. Il problema quindi è: se non era per questo, perché eri là? E se davvero il cavaliere misterioso ti voleva per questa ragione, come faceva a saperlo? –

A Regan girava la testa.

Cercò di vedere sé stessa con gli occhi di un estraneo. Anche se non poteva non ammettere che i suoi capelli erano abbastanza inusuali, il resto della sua figura non era diverso dall’aspetto che comunemente avevano le sue coetanee. Non era magra come quella Lady Sapphire, né curvilinea come Angina, né aveva di certo la grazia di Eleonora, ma tutto questo faceva appunto di lei una ragazza del tutto ordinaria. Non contando, ovviamente, il trascurabile dettaglio che il suo sangue non subiva gli effetti dei veleni, ma quello era un segreto che si nascondeva al di sotto della superficie: nessuno lo poteva vedere e di conseguenza giudicare.

Non sono un mostro…

 

   
 
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