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Autore: mercutia    09/04/2011    1 recensioni
Questa fanfiction narra ciò che nelle ultime puntate della serie muta i cuori di Rei e Fukiko e il precario equilibrio tra l'odio e l'amore che le lega.
Nel totale silenzio di quella notte di luna piena, la voce malferma di Rei giunse chiaramente da fuori.
Fukiko uscì veloce sul terrazzino di camera sua, sbattendo le mani sul parapetto in marmo con fare che riconobbe collerico. Prima di guardare giù, si impose di calmarsi: incrociando le braccia sotto il petto, si rimise dritta e composta e prese un profondo respiro. Rei stava barcollando in strada, probabilmente imbottita di quei calmanti di cui abusava. Nel vedere Fukiko si bloccò e cadde in ginocchio. La consueta soddisfazione che le dava vederla in quello stato era frenata da inopportune emozioni che si insinuavano con la stessa ostinazione con cui lei le rifiutava. Era furiosa per il comportamento di Rei e ancor più per la fastidiosa morsa di inquietudine da cui non riusciva a liberarsi da quando le aveva ceduto, da quando qualcosa dentro di lei si era spezzato, ammise. Non voleva pensarci, doveva continuare a tenere lontani quei ricordi per poter essere padrona di sé stessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Quante volte era stata lì, nascosta per ore tra gli alberi del giardinetto di fronte a casa Ichinomiya? Non avrebbe mai saputo contarle. Era stata lì in cupe notti autunnali, sotto piogge primaverili, nelle fredde nevicate dell'inverno e anche in splendide nottate d'estate come quella.
La luna piena illuminava la strada che la separava dal cancello della splendida villa in stile classico occidentale quasi come fosse giorno. Di tanto in tanto le tende, gonfiate da una leggera brezza che impediva alla notte di farsi calda, nascondevano Fukiko seduta al pianoforte, così bella da far tremare Rei: indossava un sobrio vestito al ginocchio a righine oblique scure, i capelli erano trattenuti da un largo cerchietto che riproduceva la stessa fantasia, la sua espressione era serena e distesa come ogni altra volta che l'aveva vista suonare. Con la grande portafinestra della sala aperta sul terrazzo, era quasi come essere lì con lei. Stava eseguendo Clair de Lune, indubbiamente appropriato alla serata, ma Debussy non era adatto a lei: era Chopin che avrebbe dovuto suonare, le dita di Fukiko erano fatte per le note di Chopin, sentimento e passione accuratamente celati dietro un impeccabile quanto sottile velo d'eleganza e perfezione.
Le sonate pacate riempivano l'aria di quella serena notte estiva cullando la sua illusione che Fukiko stesse suonando per lei, mentre stava lì appoggiata ad un albero da chissà quanto tempo ormai, rapita da quell'angelica figura che ricattava il suo cuore. Che tormento amarla in quel modo, volerla tanto da sentirsi mancare il fiato: la sola idea di poterla toccare ancora la sconvolgeva, il desiderio di averla ribolliva così ossessivo da farle male, non poteva pensare che quello che era accaduto appena due giorni prima fosse destinato a restare solo un ricordo. Fukiko le aveva detto di aspettarla lì, era questione di poco ancora e l'avrebbe stretta ancora tra le sue braccia. Doveva essere così.
Non c'era nulla di giusto in quell'amore, era un'insana malattia da cui Rei non poteva e non voleva curarsi, a volte pensava che il dolore che ne derivava fosse la sua più normale conseguenza. Non avrebbe mai trovato pace in quel folle sentimento, ma non riusciva a farne a meno: bramava il più insignificante gesto d'affetto da parte di sua sorella, la sola idea di assecondare ogni suo capriccio pur di aver in cambio anche solo un sorriso, l'appagava come nient'altro poteva fare. Fukiko possedeva il suo cuore e ci giocava divertita ed eccitata come avrebbe fatto una bambina, incurante di poterlo rompere. Rendersene conto non serviva affatto ad impedirle di lasciarla continuare ancora e ancora: per quanto volesse convincersi del contrario, sapeva che sarebbe stata sempre disposta a sanguinare pur di avere la certezza di essere il suo giocattolo preferito.
Una stonatura e le dita di Fukiko si bloccarono bruscamente. Rei osservò sua sorella ferma a fissare le proprie mani ancora sulla tastiera del pianoforte, poi alzarsi e avanzare fino ad affacciarsi alla soglia della portafinestra, scostando la tenda che le svolazzava contro. Guardava dritto verso di lei, sapeva che era li: ai suoi occhi non sarebbe stata altro che un'ombra tra gli alberi, ma era impossibile che non la scorgesse con quel chiarore lunare. Una stretta al cuore, il respiro divenne un pesante affanno. Attimi d'attesa di un segno, di un gesto qualunque, ma niente. Con la luce del grande lampadario di cristallo della sala alle sue spalle, il viso di Fukiko era in ombra: forse era solo frutto della sua immaginazione, ma Rei avrebbe giurato di averla vista sorridere. Rientrò infine e si rimise a suonare.
Era un altro dei suoi giochi crudeli quello? Si stava divertendo a tenerla appesa alla speranza che avesse finalmente accettato il suo amore? Eppure quella mattina l'aveva ricambiata, quella mattina aveva sentito il suo cuore, il suo freddo e avido cuore battere insieme al suo, ne era certa. Ne era stata certa.
Non poteva essere solamente un altro gioco, non avrebbe potuto sopportarlo questa volta. Le aveva detto di aspettarla e a costo di passare lì tutta la notte, sarebbe rimasta appoggiata a quell'albero tormentarsi tra fiducia e angoscia fino all'alba. Com'era possibile amare e odiare tanto una persona?
Allungò una mano in tasca e ne estrasse i calmanti: una, due, tre... le pillole riuscivano sempre a farla sentire in pace. Ne era certa: Fukiko sarebbe venuta.
Ancora una nota sbagliata, questa volta Fukiko ritrasse le dita di scatto come se il pianoforte fosse all'improvviso diventato incandescente e restò immobile a fissare i tasti. Da quella distanza Rei non poteva cogliere la sua espressione, ma il gesto che fece un attimo dopo denotava il suo stato d'ira: abbattè con violenza entrambe le mani sulla tastiera, producendo un forte suono sgraziato e poi si alzò facendo cadere lo sgabello.
Una cameriera si affacciò alla sala, Fukiko la congedò con uno sprezzante gesto della mano senza nemmeno degnarla di uno sguardo, quindi si allontanò dalla sua visuale. Poco dopo la luce della sala si spense. Rei colpì con rabbia l'albero a cui era appoggiata, poi gettò in bocca altre pillole. Sarebbe venuta.
Un giramento di testa, i contorni della villa tremolarono, i calmanti presentavano sempre il loro conto, ma almeno non sentiva più il suo petto contrarsi dolorosamente nel tentativo di reprimere i battiti convulsi. Fukiko le aveva detto di aspettarla lì.
La finestra della sua camera da letto s'illuminò. Era al secondo piano, nell'ala destra della villa, proprio sopra la grande quercia sotto la quale l'aveva incontrata la prima volta, una decina di anni prima. La portafinestra, che dava su un piccolo terrazzino a semicerchio, era aperta, ma da laggiù era impossibile vedere chi era nella stanza.
Attese inerte. I grilli erano così fastidiosamente assordanti.
Ancora qualche altra pillola e anche il tremore sarebbe passato. L'albero a cui era appoggiata sembrò muoversi, facendole perdere l'equilibrio. Le gambe la sorreggevano a stento, mentre si spostava in avanti cercando un altro appiglio. La consistenza del terreno sotto i suoi piedi cambiò all'improvviso, non si era accorta di essere arrivata in strada.

“Basta giocare, Fukiko. Ti sto aspettando”
Nel totale silenzio di quella notte di luna piena, la voce malferma di Rei giunse chiaramente da fuori.
Fukiko uscì veloce sul terrazzino di camera sua, sbattendo le mani sul parapetto in marmo con fare che riconobbe collerico. Prima di guardare giù, si impose di calmarsi: incrociando le braccia sotto il petto, si rimise dritta e composta e prese un profondo respiro. Rei stava barcollando in strada, probabilmente imbottita di quei calmanti di cui abusava. Nel vedere Fukiko si bloccò e cadde in ginocchio. La consueta soddisfazione che le dava vederla in quello stato era frenata da inopportune emozioni che si insinuavano con la stessa ostinazione con cui lei le rifiutava. Era furiosa per il comportamento di Rei e ancor più per la fastidiosa morsa di inquietudine da cui non riusciva a liberarsi da quando aveva ceduto a Rei, da quando qualcosa dentro di lei si era spezzato, ammise. Non voleva pensarci, doveva continuare a tenere lontani quei ricordi per poter essere padrona di sé stessa.
La strada era deserta, il quartiere dormiva da tempo a quell'ora tarda.
Rei si rialzò e si avvicinò a passi incerti alla recinzione in muratura di casa Ichinomiya, sempre guardando in alto verso di lei. I cani dapprima abbaiarono feroci, poi la riconobbero e guairono affettuosi mentre lei allungava una mano tra le fessure del muretto per accarezzarli.
Fukiko osservava immobile, mentre Rei si issava sulla recinzione, la valicava e poi spariva sotto le fronde della quercia secolare. Dai rumori e dai movimenti dei rami capì con certo stupore che si stava arrampicando sull'albero.
Quando la rivide, a Rei mancava poco per poter arrivare al terrazzino di camera sua e raggiungerla, nei suoi occhi c'era una determinazione che le aveva visto poche altre volte. Fukiko serrò le dita attorno ai gomiti per non perdere la compostezza o almeno una parvenza di serenità, mentre dentro lottava per reprimere l'inspiegabile ebbrezza che quella visione le suscitava.
Le mancava poco, ma l'equilibrio di Rei vacillava mentre si allungava su quell'ultimo ramo. Fukiko avrebbe potuto tenderle una mano, ma non si mosse: ferma con le braccia incrociate osservò la sorella darsi un'ultima spinta e rimanere appesa al parapetto, sospesa a metri da terra.
“Aiutami” farfugliò affaticata.
Fukiko non cambiò nemmeno espressione.
Rei fece ancora uno sforzo, si sollevò faticosamente e finalmente si lasciò cadere ansante oltre il parapetto, ai suoi piedi.
Solo allora Fukiko si chinò e l'accarezzò premurosa.
“Sei impazzita? Ero così spaventata che ti facessi male, Rei. Quelle pastiglie che prendi ti fanno perdere la testa, voglio che tu smetta di farne uso. Sono stata chiara?”
Rei le afferrò il polso e la strattonò più in basso vero di lei.
“Sei tu a farmi perdere la testa! Avevi detto che saresti venuta.” disse in un ringhio.
Fukiko mascherò al sorpresa con un sorriso.
“Ti avevo solo detto di aspettare”
“Cos'avrei dovuto aspettare?”
Fukiko sorrise ancora, liberò il proprio polso dalla mano di Rei e si rialzò.

Ancora stesa a terra esausta, osservò i piedi nudi di Fukiko dirigersi all'interno della stanza. Lo sforzo fisico doveva aver ridotto gli effetti dei calmanti: la sua mente stava riprendendo lucidità e con essa la consapevolezza che in poco tempo si sarebbe fatta di nuovo attanagliare dalle spire dei suoi folli sentimenti per lei.
A fatica si sollevò ed entrò a sua volta nella stanza. Era la prima volta che vedeva la camera da letto di sua sorella. Si guardò attorno, cercando di catturare con lo sguardo ogni cosa, ogni dettaglio, ogni particolare che avrebbe potuto rivelarle anche la più piccola sfumatura dell'animo più segreto di colei che vi passava ogni notte. Con certa delusione scoprì che invece la stanza rispecchiava l'aspetto esteriore di Fukiko: ovunque guardasse erano decori e oggetti eleganti, pregiati e sicuramente di grande valore, ma nulla di più. Il tappeto con ricchi intarsi ricamati, l'antico tavolino circolare su cui troneggiava un vaso di cristallo colmo di rose rosse, l'orologio in legno mirabilmente intarsiato, quadri e arazzi di fantasie floreali, l'imponente letto a baldacchino con le tende di seta bianca legate ai pali. Era tutto così stucchevolmente perfetto, tutto sfoggio e apparenza, come l'immagine che lei voleva dare di sè.
La luce si spense e solo in quel momento vide Fukiko che la stava guardando, in piedi accanto all'interruttore vicino alla porta. Anche se il lampadario era spento, il chiaro di luna diffondeva nella stanza un uniforme riverbero azzurro che permetteva di vedere perfettamente. Fukiko indossava una sottile vestaglia di seta verde pallido con rari ricami in una tonalità più scura, lunga fino ai piedi e stretta in vita da una sottile cintura dello stesso materiale. Fremette di fronte alla sua bellezza, come ogni volta e tremò ulteriormente realizzando che era con lei nella sua camera da letto.
Doveva mantenere i nervi saldi però, non poteva permetterle di continuare a ferirla tanto deliberatamente: prima di cedere al desiderio, doleva farle ammettere che ricambiava il suo amore.
“Perchè farmi questo? Cosa vuoi dimostrarmi ancora?”
Quant'era bella quando sorrideva, anche se quel sorriso in quel momento era tagliente quanto una lama affilata sulla pelle.
“Le parole che hai detto ieri, Rei, non sono state affatto di mio gradimento.” disse avvicinandosi lentamente “Ti sei convinta che io ricambi i tuoi sentimenti, ti sei illusa che io ti desideri, mi sto forse sbagliando? Dimmelo Rei”
“Non è un'illusione, Fukiko!”
Fukiko rise piano e si avvicinò ancora. Le accarezzò una guancia con una ricercata espressione di pietà dipinta in volto.
“Non essere ridicola, Rei.”
“Non è negando quello che abbiamo fatto che lo puoi cancellare”
Fukiko rise ancora.
“Non nego nulla, così come non fuggo, sorellina. L'altra mattina ti ho solo concesso quello che volevi, quello che TU brami sopra ogni altra cosa. Non è così?”
Non le lasciò il tempo di replicare, perchè continuò.
“Devo però aver commesso un terribile errore perchè ora la mia sorellina sta pretendendo troppo. Insinuare che io desideri te! E' semplicemente ridicolo!”
Rei si stupì nel sentire la propria risata. Il sorriso scomparve dalle labbra di Fukiko.
“Sei tu ad essere ridicola!”
La maschera di serenità sul volto di sua sorella perse un po' della sua perfezione quando per un attimo sgranò gli occhi, dando coraggio a Rei.
“Non ero solo io ad amare te l'altra mattina. Dammi pure un altro schiaffo se può farti sentire meglio, ma voglio dirti quello che è successo, voglio che tu sappia che sentivo perfettamente il tuo corpo tremare di passione, le tue mani e le tue labbra cercami spinte dallo stesso desiderio che provavo io! Non negarlo!”
Era magnificamente evidente lo sforzo che Fukiko faceva per mantenersi calma. Rei scoppiò a ridere.
“Che male c'è ad ammetterlo, Fukiko? Il mio cuore sarà sempre tuo anche sapendo che lo ricambi. Perchè continuare questa farsa?”
Fukiko sorrise per nulla divertita, di nuovo padrona delle espressioni del suo volto, ma non della forza con cui le sue dita si stringevano ai gomiti. Si girò lentamente e, continuando a guardarla con la coda dell'occhio, si avvicinò al tavolino.
“Sei un'illusa, Rei. Non sono io quella che si è appena introdotta in una camera da letto arrampicandosi su un albero. Io sto solo giocando, come ho fatto tante altre volte e come continuerò a fare. Sai quello che provo per te, sai benissimo cosa ci lega, ma bada bene, non è amore.” Rubando una rosa al vaso, l'annusò chiudendo gli occhi, poi tornò a guardare Rei “Non il mio almeno”
Rei le si avvicinò e le prese la rosa.
“Se è un gioco, credo ti stia sfuggendo di mano”
“Mi stai provocando, Rei? Vuoi mettermi alla prova? Va bene, giochiamo ancora allora.”
Fukiko le voltò le spalle e avvicinandosi al letto sciolse il nodo della cintura della vestaglia, lasciando che questa scivolasse a terra in un lieve fruscio che parve un sussurro. Ora indossava soltanto una leggeva camicia da notte bianca che scendeva quasi a lambirle le ginocchia, la seta liscia, adornata appena da una striscia di merletto sopra la vita, lungo le spalline e la scollatura, creava morbide onde seguendo il movimento lento del suo corpo esile. Il chiarore lunare non celava la lieve trasparenza del tessuto, che lasciava intravedere la biancheria intima. Rei sentì il petto stringere tanto che pareva volerla soffocare, mentre Fukiko, giunta accanto al letto si fermò, si raccolse i capelli e li spostò davanti alla spalla sinistra per scoprire quella destra.
“Ora dimmi Rei, ti sembra che io stia fuggendo da te?”
Girò appena la testa per guardarla e Rei si avvicinò stregata da quello sguardo. Qualsiasi fosse lo scopo di Fukiko, Rei smise di preoccuparsene nel momento stesso in cui la toccò, di nuovo finalmente. Con dita tremanti carezzava la seta lungo i suoi fianchi, mentre con le labbra sfiorava il suo collo e la mente già era in balia di vortici di emozioni.

Lasciò che le mani di Rei salissero e le sfilassero le spalline della camicia da notte, per fargliela cadere. Mentre si sedeva sul letto davanti a lei, deliberatamente lenta, si fece ammirare da sua sorella, già chiaramente succube della propria passione. Rei quasi si strappò di dosso la giacca e prese a sbottonarsi la camicia con foga, sotto lo sguardo soddisfatto di Fukiko, poi si chinò su di lei, avvicinandosi alle sue labbra per baciarla.
Fukiko le permise appena di sfiorarla, poi si scostò.
“Puoi andare ora.” disse
Rei la guardò sbigottita.
“Il gioco finisce qui. Puoi tornare a casa.”
“Cosa significa?” la voce di Rei era un sussurro, i suoi occhi la fissavano sgranati e smarriti.
Fukiko sorrise e la respinse con una mano, costringendola a scendere dal letto.
“Pensavi che non fossi in grado di resisterti, no? Volevi mettere alla prova il mio autocontrollo, non è così? Credo che ora tu possa comprendere la differenza che c'è tra noi due, tra il desiderio e il suo oggetto.”
“Fukiko”
Le posò un dito sulle labbra per ammutolirla.
“Ho detto basta, Rei. Esci”
Rei spostò la mano di sua sorella.
“Non puoi farmi questo!”
“Cosa non posso fare, Rei? Se ti lasciassi andava oltre, ti illuderesti di nuovo e non voglio più sentirti dire quelle sciocchezze sui miei sentimenti. Spero che tu ora abbia compreso. Esci per favore.”
“No, ti prego! Ti prego Fukiko!” era inginocchiata davanti a lei, al bordo del letto.
Fukiko le prese il volto tra le mani.
“Non insistere, Rei. Ho dimostrato quel che volevo, non hai ancora capito che sei qui solo per questo? O sei ancora convinta di quelle assurdità che hai osato blaterare? Ti sembra desiderio quello che provo ora? Dimmelo Rei, ho bisogno di sentirtelo dire.”
“No” sussurrò appena, abbassando desolata lo sguardo.
“Non ho sentito bene, Rei, saresti tanto cortese da ripeterlo?”
“No! Tu non mi desideri! Non mi ami affatto!” ammise con la voce rotta dal pianto imminente.
I ricordi che con tanta ostinazione aveva represso, le calde sensazioni delle sue mani e delle sue labbra sulla sua pelle irruppero all'improvviso. Fukiko accarezzò sua sorella, controllando severamente i propri movimenti, le proprie espressioni e la propria maledetta eccitazione. Non avrebbe ceduto proprio ora che finalmente l'aveva di nuovo in pugno.
“Molto bene, Rei. Ora rivestiti e torna a casa, per favore.”
“No” con uno sguardo folle e deciso, Rei si sollevò, la spinse indietro sul letto con violenza e si portò sopra di lei. Fukiko, intrappolata da quegli occhi smaniosi e colmi di lacrime, si sentì avvampare e non oppose resistenza.
“Ti odio!” disse Rei prima di baciarla nell'impeto di passione in cui la trascinò.
Con sforzo immenso, Fukiko si sottrasse alle labbra si sua sorella poco dopo.
“Ferma!” avrebbe voluto dirlo con voce più stabile, ancora di più avrebbe voluto impedirsi di ansimare tanto, ma non le restava che sperare che Rei fosse sufficientemente ottenebrata dalla bramosia per non rendersene conto.
“Non toccarmi. Non ti concedo di andare oltre.”
“Ti prego Fukiko, non farmi questo! Cosa vuoi che ti dica ancora?”
“Ti ho detto di andartene. Obbedisci Rei!”
“Hai vinto tu Fukiko! Cos'altro mi devi dimostrare? Sono io che ti voglio, solo io! Va bene questo? Va bene?” la voce di Rei era ridotta ad un misero gemito “Hai vinto tu.”
Finalmente. Fukiko sentì le proprie labbra piegarsi in un sorriso.
“Baciami”.

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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Riyoko Ikeda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Alcune parti sono volutamente prese dalla serie animata Oniisama e... (Caro Fratello) per esigenze di trama.
Sono indicate in corsivo
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