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Autore: Strega_Mogana    30/01/2006    39 recensioni
Una guerra e un destino che nessuno vuole accettare.
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il villaggio era piccolo e povero, Köyum si chiamava, situato ai piedi dei Monti Ululanti, chiamati così perché quando soffiava il forte vento del nord tra le numerose gole ed intercapedini, le montagne ululavano come lupi affamati.

Il villaggio era costituito da cinquecento anime, gente semplice che viveva con quello che riusciva a coltivare dalle aride terre montane. Le botteghe erano poche e molto scarse, l’oro non era prezioso come nelle città, a Köyum la cosa più preziosa che un contadino possedeva era la forza per continuare a lavorare a lungo e il cibo con cui sfamare la sua famiglia.

Quel poco d’oro che potevano ricavare dal commercio del raccolto, lo dovevano usare per pagare le altissime tasse del re Xazumi.

Xazumi governava la maggior parte dei regni da tantissimi anni, talmente tanti che le leggende narravano che la sua vita non poteva avere fine, in quanto lui non era del tutto umano. Il re aveva sfidato le antiche alleanze dell’uomo, quando sulla terra regnava solo la pace e la prosperità, quando non c’erano conflitti, non c’era povertà, non c’era misera e neppure carestia, quando gli esseri umani non dovevano rubare per poter pagare il pane.

Le antiche profezie narravano di un giuramento di sangue con un demone che gli aveva promesso fortune e ricchezze in cambio del suo aiuto per aprire i cancelli neri dell’oblio. I demoni e i non morti si erano riversati sulla terra, e come un fiume in piena avevano travolto e distrutto tutto.

Dove prima c’era vita, ora c’era solo morte e distruzione.

I sovrani dei regni cercarono di arginare la potenza conquistatrice di Xazumi, ma molti soldati perirono di fronte alle forze oscure del nemico, altri impazzirono, altri ancora disertarono e iniziarono a lottare contro quelli che una volta erano i loro compagni.

Gli abitanti si sentirono immediatamente abbandonati, nacque il rancore e l’odio verso i vecchi sovrani che li avevano lasciati morire inermi.

Ma c’era un periodo dell’anno, una piccola settimana che coincideva con il solstizio di primavera, quando gli alberi si riempivano di frutti e colori, quando gli animali tornavano nei boschi.

Un periodo dove si riusciva a dimenticare la guerra, dove il dolore era messo da parte, dove la povertà e la stanchezza non sembravano più delle barriere così insormontabili, un breve periodo di pace dove gli abitanti del paese ricordavano i vecchi tempi… quando tutto era migliore.

I bambini correvano nel grande campo che c’era fuori dai confini del paese, dove vari mercanti avevano sistemato le loro bancherelle con la speranza di vedere qualcosa, dove si respirava un’armonia di gioia e spensieratezza, i piccoli e i grandi si sedevano attorno ai cantastorie, vecchi che ricordavano con nostalgia i bei tempi ormai troppo lontani.

E la nostra storia inizia proprio dal racconto di uno di questi menestrelli.

 

Sedetevi e ascoltate

la storia della nostra gente

vi debbo narrare.

 

Voi tutti sapete che anni fa,

questo era un regno di pace e tranquillità.

I nostri sovrani per eccellenza,

guidavano il popolo con grande saggezza.

 

Le alleanze con i regni vicini,

quelli dalla bellezza elfica e quelli più piccini.

C’era la regina più bella del mondo,

così bella che nessuno poteva mettersi a confronto.

E poi il re saggio e forte,

che amava il suo popolo in qualsiasi sorte.

 

Tutti noi eravamo felici,

perché lo sapevamo: nessuno poteva ferirci.

 

Ma un giorno tutto questo è cambiato,

un cattivo nemico ci ha attaccato.

Xazumi col suo esercito ci attaccò,

nulla abbiamo fatto per fermare ciò.

I nostri amati sovrani sono scappati,

soli ci hanno lasciati.

E noi siamo qui in queste terre deserte,

patendo la fame ed elemosinando qualche offerte.

Non possiamo più lottare,

il nostro nemico ci ha tolto tutto,

anche le unghie per graffiare.

 

Ma non disperiamo io lo so!

Da un regno lontano arriverà,

qualcuno che presto  ci salverà.

 

I bambini applaudirono entusiasti mentre gli adulti si asciugavano le lacrime commossi, chi perché ricordava i vecchi tempi, chi le sofferenze patite per tanti anni.

Il vecchio mendicante passò con il proprio barattolo di latta ammaccato e arrugginito per racimolare qualche moneta per il pasto.

Nessuno gli diede del denaro ma alcuni gli porsero un piccolo fagotto con viveri, il vecchio ringraziava con un caloroso sorriso che gli spianava le profonde rughe della vecchiaia, e poi nascondeva il prezioso fagotto sotto il mantello da viaggio tutto rattoppato che indossava.

- Ecco…- fece una fanciulla mettendo qualche moneta d’argento nel barattolo che il mendicante porgeva – compratevi qualcosa di caldo.

Il cantastorie svuotò il barattolo sulla mano incredulo: quattro monete d’argento.

Gli sarebbero bastate per un mese, magari due se le usava nel modo giusto. Non aveva mai visto quattro monete d’argento tutte assieme. Ne strinse una coi pochi denti gialli che gli erano rimasti ancora incerto, convinto che fossero false, ma quando si assicurò che fossero vere monete le strinse nella mano rugosa ed ossuta e alzò lo sguardo verso quella stravagante benefattrice.

Tra la folla di contadini riconobbe una giovane ragazza che camminava spedita verso una locanda, aveva lunghi capelli d’oro, era alta e molto snella, un fisco atletico ma anche delicato, indossava in completo di pelle marrone e aveva legate sulla schiena due spade dalle lame argentate che si incrociavano formando una grande X.

- Grazie straniera!- urlò il vecchio agitando il suo lungo bastone da passeggio ricavato dalla radice di un albero secolare – Grazie mille! E che il cielo ti protegga!

La ragazza bionda alzò un braccio come silenziosa risposta ed entrò nella locanda, il mendicante nascose con cura le monete e tornò al suo lavoro sperando di ricavare qualcos’altro.

 

La locanda non era molto grande, era costituita solo da un locale, il bancone era in fondo, dietro si vedevano i barili di birra scura, alcune bottiglie su un ripiano e i boccali appoggiati su un tavolo, c’era degli animali impagliati alla parete, un forte odore di pipa e chiuso, ogni cosa era in legno, sedie, tavoli, anche i calici della birra erano ricavati dal legno, levigati e perfetti non facevano cadere neppure un goccio di birra e non ti ferivi mentre bevevi. Il soffitto era alto, attraversato dalle travi portanti grosse quanto un albero intero, scendevano delicate qualche lampada ad olio che veniva accesa la sera e qualche salame e prosciutto lasciato appeso ad affumicare con i fumi delle pipe e della brace della stufa posta nell’angolo vicino al bancone.

C’erano poche persone all’interno, si sarebbe riempito verso sera quando tutti avrebbero voluto continuare i festeggiamenti all’interno.

Un paio di uomini stavano seduti ad un tavolo giocando con dei dadi, mentre quattro ragazze erano sedute nell’ultimo tavolo all’angolo, lontano da occhi ed orecchie indiscrete, erano chine su qualcosa e sembrava che complottassero tra di loro.

Il barista, un uomo burbero che si chiamava Jang, le fissava sospettoso, erano forestiere e, a giudicare dalle armi che portavano, erano guerriere... ma dell’Impero o di Xazumi?

Erano lì da quattro giorni, dormivano nei boschi, in un piccolo accampamento che si erano costruite da sole, avevano fatto rifornimenti, avevano aggiustato le armi e avevo pagato con monete d’argento.

Nel loro villaggio non si vedevano monete come quelle da anni.

Tutto questo era sospetto per dei semplici contadini come loro.

Ma, fino a quando avrebbero pagato con monete d’argento e fino a quando non avrebbero creato scompiglio, potevano restare.

Il barista le aveva osservate bene, passavano quasi tutto il pomeriggio nella sua locanda, bevendo e parlottando tra di loro. Nessuno si avvicinava, quelle cinque spaventavano tutti, lui serviva solo da bere, una volta aveva visto uno stralcio della pergamena che tutte osservavano così avidamente: era una mappa del regno, molto probabilmente quelle ragazze erano combattenti… strane combattenti.

La porta della locanda si aprì ed entrò la quinta delle ragazze, la più strana di tutte su avviso di Jang.

Era una bellissima donna, con lunghi capelli biondi, occhi blu e penetranti, i lineamenti erano leggeri, dolci e il suo portamento non era quello di una guerriera. La sua figura era sottile, inadatta per portare le due grosse spade pesanti che aveva dietro la schiena, quelle spade da cui non si separava mai.

Eppure sembrava avere più potere tra quelle ragazze, tutte le chiedevano consiglio, tutte aspettavano ogni sua mossa, ogni sua decisione, se dava un ordine era immediatamente svolto, alla fine Jang aveva capito che quell’esile figura aggraziata era il capo di quelle stravaganti donne guerriere.

Si era spesso chiesto cosa avesse portato un’apparentemente innocua ragazzina a comando di quattro ragazze armate fino ai denti.

Il barista abbassò immediatamente lo sguardo quando vide che la ragazza bionda lo stava fissando incuriosita, come se stesse leggendo i suoi pensieri.

La giovane distolse lo sguardo e andò verso le sue amiche, prese una sedia da un tavolo vicino e si mise a sedere a cavalcioni osservando la mappa che una delle altre ragazze teneva aperta mentre indicava un punto nero.

Una delle quattro si alzò e andò verso il bancone.

- Quattro birre scure. – fece decisa osservando il barista.

A differenza di quella che era appena entrata, questa aveva una corporatura molto più muscolosa, aveva visto la ragazza all’opera due sere prima quando aveva diviso due dei contadini più forti del villaggio durante una rissa. Aveva lunghi capelli castani legati assieme in una folta coda e gli occhi verdi come smeraldi, lei non aveva spade ma portava sempre con se un lungo bastone dove alle estremità erano fissate due lame affilate.

- Ehi hai capito? – chiese la ragazza guardando intensamente Jang.

L’uomo si riscosse dal suo torpore, borbottò qualche scusa, riempì i cinque calici e li sistemò su un vassoio rotondo, stava quasi per portarlo al tavolo quando la ragazzona glielo strappò dalle mani.

- Faccio io. – disse con un tono quasi minaccioso – Non vorrai ficcare il naso di nuovo in cose che non ti riguardano vero?

- No, signora. – rispose lui con voce inclinata.

- Bene…- fece afferrando un sacchetto che aveva legato alla cinta di cuoio nera e prendendo due monete – ecco qua. – lanciò i soldi e prese il vassoio dal bancone prima di dirigersi verso le compagne.

Jang sistemò le monete al sicuro e riprese il suo lavoro stando ben attendo ad evitare quelle cinque suonate.

- Non dovresti esser così scortese. – l’ammonì la ragazza bionda quando l’altra tornò con le birre.

- Si meritava una lezione. – rispose lei sistemando i boccali davanti alle altre – Aveva ficcato il naso in cose che non gli riguardavano.

- Beh… dobbiamo anche ammettere che attiriamo parecchio l’attenzione. – fece un’altra sorseggiando la bevanda scura.

Questa ragazza aveva lunghi capelli mori e occhi color nocciola, aveva un vestito di pelle tinto di rosso, alla cinta aveva appesi quattro pugnali molto affilati.

- E’ gente semplice, - echeggiò la quarta ragazza che scrutava attentamente la cartina e, ogni tanto, annotava qualche appunto o calcolo su un quadernetto che aveva accanto, aveva i capelli color turchese e gli occhi neri, appoggiati al tavolo c’erano un grande arco di legno chiaro con delicati intarsi d’argento e una faretra con all’interno molte frecce, il piumaggio all’estremità era nero come le piume di un corvo – li abbiamo molto incuriositi con il nostro arrivo.

- Già. – disse l’ultima, anche lei aveva lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri ma, a differenza della prima, i suoi lineamenti erano molto più decisi e il suo fisico molto più atletico, alla cinta aveva arrotolata una lunga catena d’argento, scintillante e molto resistente, spezzava gli alberi come grissini ed era utilissima per cacciare.

- Dobbiamo tenere gli occhi aperti,- si giustificò la ragazza castana incoraggiata dai commenti delle sue compagne di viaggio- i nemici sono ovunque.

- Beh questo non è un buon motivo per incutere paura Makoto. – la sgridò la prima ragazza – La prossima volta gradirei che usassi più diplomazia.

- Come desideri Usagi. – rispose l’altra imbarazzata.

- Potremmo pensare al modo in cui arrivare alla Valle ora?- chiese la ragazza con i capelli neri.

- Da qui non possiamo passare. – rispose l‘altra con i capelli turchesi.

- Perché no Ami? – domandò Usagi facendosi attenta al discorso.

- Sono i Monti Ululanti, - spiegò l’amica – sono un labirinto e ci sono gole profonde molti metri…

- Troppo rischioso insomma, ma mi sembra che abbiamo già superato situazioni critiche. – echeggiò l‘altra ragazza bionda a cui non mancava il coraggio.

- La luce scarseggia lassù Minako, - spiegò la ragazza mora guardando cupa la compagna – il luogo ideale per i demoni. Noi siamo solo in cinque, siamo in poche e siamo anche deboli, non ne usciremmo vive.

- Rei perché devi esser sempre così fatalista?

- Sono solo realista. – ribatté l’altra – Usagi tu cosa ne dici?

La ragazza di nome Usagi guardò la cartina in silenzio per parecchi minuti.

- Qual’è l’altra strada Ami?- chiese pacata senza staccare gli occhi dalla mappa.

Ami segnò silenziosamente un altro percorso, molto più lungo, che attraversava la foresta di Hung Jan e le pianure fredde del regno di Tobias, uno dei vecchi alleati ora nascosto chissà dove.

- Quelle pianure brulicano di non morti, vampiri e demoni. – ragionò Rei osservando i cerchi neri che Ami aveva segnato durante i loro viaggi – Sarà pericoloso quanto i Monti ma, almeno, potremmo lottare più facilmente e ci saranno maggiori nascondigli, sopratutto nella foresta. 

- E’ l’unica alternativa? – chiese Usagi.

- Sì.

- In entrambi i casi è molto rischioso. – valutò Makoto – Ma con i monti troveremmo molte più difficoltà, non potremmo scappare dove vogliamo, saremo esposte e poi…

- Abbiamo capito… abbiamo capito. – fece Minako fermando l’amica.

- Di quanto allunghiamo il percorso?

- Due settimane all’incirca, demoni permettendo ovviamente. Se ci saranno delle deviazioni durante il viaggio potrebbe volerci un mese prima di raggiungere la Valle.

- Un mese?- quasi urlò Minako che non vedeva l’ora di tornare a casa.

- Non é l’unico problema,- continuò Ami sorvolando sulle smorfie di disapprovazione di Minako - ci sono solo due villaggi per fare rifornimenti e noi non possiamo caricarci troppo o rallenteremo.

Usagi annuì taciturna, occhi ostinatamente fissi sulla mappa, sentiva lo sguardo delle altre quattro ragazze puntate su di lei, sapeva che stavano aspettando una sua decisione.

Prese il calice con la birra e ne buttò giù un lungo sorso, aveva imparato a combattere come un uomo e a bere come un uomo. Aveva compreso i benefici di un buon boccale di birra da poco, e, ogni volta che le sue labbra toccavano quella bevanda, sentiva i rimproveri della madre sul comportamento che avrebbe dovuto tenere in certe situazioni...o meglio, in tutte le situazioni in cui si trovava.

Ma lei non ascoltava più sua madre da molto tempo. 

Ignorò quella fastidiosa voce autoritaria che le rimbombava nella testa e buttò giù la birra, gustandosi quel sapore amaro e quel retrogusto quasi dolce che aveva solo la birra scura di Jang. Posò il boccale e si tolse la schiuma dalle labbra con il dorso della mano.

- I monti sono troppo rischiosi… hai ragione Minako quando dici che abbiamo superato ostacoli peggiori, - aggiunse subito notando l’occhiata di disapprovazione che l’altra le aveva lanciato – ma siamo arrivate fino a qui. Abbiamo raccolto informazioni preziose e dobbiamo consegnarle alla Regina. E non voglio rischiare proprio ora, andremo attraverso la foresta e le pianure, staremo attente, vigili e pronte ad ogni attaccato. Makoto abbiamo provviste a sufficienza?

- In questo posto ho potuto comprare cibo solo per una settimana, dovremmo cacciare.

- Questo non è un problema. Rei.. le armi sono riparate?

- I fabbri sono stati molto abili.

- Minako… tu sei in forma?

- Mai stata meglio.

- Ami, quanto ci metti a tracciare il percorso più adatto e meno pericoloso.

- E’ già pronto.

- Benissimo, - fece Usagi osservando attentamente le sue amiche – partiremo domani mattina all’alba.

 

Il palazzo era immenso, una volta era splendete, con un ricco parco che lo circondava, fontane che sprizzavano acqua cristallina, ora molto poco era rimasto degli antichi splendori, l’erba era annerita e secca, le fontane asciutte, perfino il maniero sembrava molto più scuro e cupo.

Il comandante delle guardie armate entrò quasi correndo nella stanza principale del trono dove i quattro generali, nonché i suoi più cari amici, stavano scrutando con attenzione una riproduzione dell’intero regno. Il plastico mostrava il castello e i villaggi vicini, quasi tutti avevano una bandierina nera posta in cima: segno che il villaggio era stato saccheggiato e preso d’assalto dai nemici. 

- Siamo nei guai. – lo accolse immediatamente il più alto di grado dei quattro. Si chiamava Kunzite, aveva lunghi capelli argentati e gli occhi color del ghiaccio.

- I nemici ci hanno attaccato da tutti i fronti. – fece lo stratega del gruppo. Il suo nome era Zoisite: lunghi capelli biondi legati assieme da un rozzo cordoncino di juta, gli occhi erano verdi e luminosi.

- E i soldati non hanno più le forze di combattere. – echeggiò il terzo, il più abile nel combattimento. Nephrite era il suo nome, aveva una lunga chioma castana e occhi nocciola.

- Jadeite...- fece il ragazzo osservando la schiena del quarto generale – cosa ci consigli?

Il generale si voltò lentamente, aveva i capelli biondi molto più corti rispetto ai suoi compagni e occhi neri come l’ossidiana. Era il più pacato di tutti loro, razionale e molto attento, il consigliere come amavano prenderlo in giro i suoi amici.

- Dobbiamo andarcene da qua. – dichiarò Jadeite sicuro– Siamo in pochi e i demoni aumentano ogni giorno... tra poco loro saranno troppo forti.

L’altro annuì solamente cominciando a camminare su e giù per la stanza.

- Dobbiamo chiedere aiuto.

- A chi?- chiese Nephrite per nulla propenso ad ammettere che erano stati sconfitti, il suo orgoglio a volte superava anche l’odio per Xazumi.

Il comandante camminava ininterrottamente cercando la soluzione giusta, a dire il vero pensava a questa ipotesi già da un paio di settimane ma sperava di riuscire ad evitare questa parte: i suoi generali non avrebbero visto di buon occhio quella soluzione.

- Io… io avevo pensato…- mormorò esitante il ragazzo, gli altri quattro allungarono il collo cercando di vederlo bene, era raro leggere l’imbarazzo su quel volto sempre di ghiaccio e pacato - Al regno d’argento. – finì scrutando le reazioni degli altri.

Per un attimo i quattro generali rimasero sbigottiti di fronte a quella dichiarazione.

Già.. il Regno Argentato.. chiamato così grazie agli innumerevoli giacimenti d’argento che vi erano nel sottosuolo, ogni oggetto era fatto d’argento e gli abitanti del luogo erano esperti nella sua lavorazione, i manufatti più pregiati e costosi provenivano da quelle terre. Era un loro antico alleato, avevano cooperato per decenni, avevano schierato in campo gli stessi soldati come se fossero fratelli e poi la Regina, la donna forte che tutti temevano, si era arresa, si era ritirata dalle sue terre, abbandonando gli antichi alleati al loro crudele destino. Ed ora stava isolata nel suo piccolo territorio che era riuscita a tenersi stretto, non combatteva più, non comunicava più con nessuno, dava rifugio ai combattenti ma solo per un breve periodo.

Non era più considerata una minaccia dal loro nemico.

Il loro rancore era del tutto giustificato, non avrebbero più voluto sentire nulla riguardo la regina che li aveva traditi e il Regno Argentato, ma lui era del parere contrario. 

- Tu sei pazzo Mamoru! – fece sbigottito Kunzite dando conferma ai timori del comandante – Quella ci ha tradito... ci ha venduto al nostro nemico e ora voi che strisciamo da lei a chiedere asilo?

- Non ho detto di chiederle asilo. – rispose l’altro adirandosi subito – Voglio andare da lei e chiederle il motivo del suo ritiro. Voglio capire perché l’ha fatto... e voglio una risposta convincente. Non credo che possa essersi ritirata per puro egoismo o paura.

- Lo so che ti senti legato a quel posto ma... – iniziò Zoisite.

- Ma non mi sembra saggio tornarci. – finì Jadeite.

Mamoru scosse gravemente il capo, si era aspettato questa reazione... me lui doveva andarci, non solo per la guerra... c’erano anche fatti personali.

Doveva andare nel Regno Argentato, c’era in gioco la riuscita di quella guerra. 

- Voglio che i soldati rimasti raggiungano le famiglie nei colli dove abbiamo radunato i pochi superstiti, là saranno al sicuro. Se volete andate con loro, io mi dirigo a ovest con o senza di voi.

I tre generali abbassarono il capo perplessi.

- Io vengo con te. - dichiarò Nephrite dopo pochi attimi di riflessione – Non ho nessuna famiglia da raggiungere sui colli, da solo periresti in un viaggio così lungo. In due possiamo almeno provare ad arrivare a Lei.

- Uff... va bene..- sbuffò Jadeite – avrete bisogno di qualcuno che vi aiuti a trasportare la roba no?

- E vi servirà qualcuno che tracci il percorso più sicuro. – sorrise Zoisite.

Tutti e quattro si voltarono a guardare Kunzite che non aveva ancora proferito parola.

- Io dico che é una stupidaggine! – replicò deciso incrociando le braccia al petto – Ma non posso neppure lasciarvi andare via da soli... altrimenti potrei perdermi l’opportunità di dirvi: Ve l’avevo detto!

Mamoru sorrise e guardò grato i suoi amici.

- Benissimo... partiamo tra due giorni.

 

Bene, bene, bene... eccomi qua con una nuova fic.

Come al solito non c’entra nulla con la storia originale! Ma sono fatta così mi piace creare nuovi scenari per i miei personaggi preferiti ^^.

Attendo con ansia i vostri commenti e spero che riesca ad incuriosirvi come le altre fic!

Al prossimo cappy!

Un bacione

Elena

 

   
 
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