Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Laura Sparrow    11/04/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5
Emergenza


Quella mattina mi svegliai da sola nel letto: le lenzuola erano state calciate via, e non c'era traccia di Jack in cabina.
Quando entrai caracollando nella sala degli ufficiali, ancora mezza intontita dal sonno, notai un vassoio appoggiato sul tavolo. Qualcuno aveva anche raccattato e ammucchiato sullo stesso tavolo le carte che avevamo sparpagliato dappertutto la sera prima. Sul vassoio c'era quella che doveva essere la mia colazione, e i resti di quella di Jack: una fetta di pane, una striscia di carne salata, una mela verde integra, una ridotta ad un torsolo. C'era una scia di briciole che andava dal tavolo fino alla porta della cabina. Notai anche due coppe e una bottiglia; controllandola, fui felice di constatare che si trattava solo di acqua.
Avevo una fame da lupo ma trangugiai tutto il più in fretta possibile, notando, dalla luce che entrava dalle vetrate, che doveva essere già mattina inoltrata.
Non appena ebbi finito di mangiare scesi sottocoperta, guidata dal chiacchiericcio: buona parte della ciurma era radunata lì sotto a fare colazione, approfittando della tranquillità -e del cibo migliore- che potevamo permetterci essendo ancora in porto.
- Guarda un po' chi si è svegliata, finalmente!- Valerie mi chiamò, sporgendosi e facendo dei gran cenni per salutarmi al di sopra del chiasso. Ricambiai e mi avvicinai, allungando il collo per vedere chi altri ci fosse: al suo fianco c'era Faith, mentre dall'altra parte dell'asse appoggiata sopra uno dei cannoni e usata come tavola torreggiava la figura di Ettore, che mi dava le spalle. Di fianco a lui c'era l'inconfondibile testa rossiccia di Connor Donovan.
- Buongiorno anche a voi, eh?- li salutai, fermandomi accanto alla tavolata. In quel momento, fra il viavai di pirati che andavano avanti e indietro, mi passò di fianco Jonathan, il quale mi rivolse un cenno di saluto ma poi proseguì senza fermarsi. La cosa un po' mi sorprese. Anche se non ero mai stata particolarmente in confidenza con il giovane Wood, lo conoscevo abbastanza da sapere come stavano le cose tra lui e Valerie da un po' di tempo a questa parte: non era un mistero per nessuno che da alcune settimane la ragazza e il carpentiere si imboscavano regolarmente sottocoperta. Io, personalmente, non ci avevo visto niente di male; la cosa non sembrava disturbare gli altri uomini della ciurma, e io sapevo per certo che Valerie era abbastanza sveglia da permetterselo.
Adesso invece, ora che ci pensavo, era da un po' che non mi capitava di vederli insieme. Magari stavano attraversando un periodo di magra.
Mentre ero ancora persa nelle mie elucubrazioni, qualcuno mi arrivò alle spalle e mi circondò la vita con le braccia: sussultai, ma solo per accorgermi che era Jack, appena comparso dal nulla come al solito.
- Buongiorno!- mi fece, affacciandosi da sopra la mia spalla con un sorrisetto inequivocabile. - Non mi aspettavo di trovarti già in piedi. -
- No? Buongiorno anche te, comunque... avresti anche potuto svegliarmi!-
- Non era il caso. - rincarò lui, sporgendosi per un bacio. D'accordo, ce l'avevo ancora con lui per come si era comportato il giorno prima, ma diciamo che era difficile trascorrere insieme una nottata del genere e poi tenersi il broncio. Sorrisi e lo baciai da sopra la spalla. Ad un tratto mi sentii addosso gli occhi di tutti quanti.
Jack mi lasciò andare e si congedò dagli altri portandosi due dita alla fronte, poi si diresse verso la scala che portava in coperta, fischiettando. Guardando altrove, mi schiarii la gola e mi appoggiai alla tavola. Mi stavano fissando tutti e quattro. Connor alzò vistosamente un sopracciglio e fece un sorriso strano.
- Che capitani affettuosi che abbiamo stamattina. - commentò Faith, rompendo il silenzio nel modo peggiore che le potesse venire in mente.
- Sembra che stanotte qualcuno abbia fatto pace. - commentò Valerie, dando un morso alla propria mela.
- Piantatela. Subito. - le zittii, fulminandole con uno sguardo omicida. Ettore ridacchiò sottovoce, scrollando le spalle: diavolo, avrei accettato i loro scherzi se fossimo stati tra di noi, ma non davanti a Donovan. Diavolo, che razza di figura mi avevano appena fatto fare?
In quel momento Michael passò dietro di me, reggendo tra le mani una scodella con la sua razione di cibo. Ci superò senza fermarsi, ma ero riuscita a scorgerlo in faccia per un attimo prima che mi voltasse le spalle: aveva gli occhi pesti di chi non aveva dormito affatto, ed era terreo.
Faith si alzò bruscamente in piedi e si sporse da sopra la tavola. - Che faccia, Mickey!- gli gridò dietro. - A stare in porto ti è venuto il mal di terra?-
- Lasciami in pace!- sbottò lui per tutta risposta, e il tono della sua voce non suggeriva niente di buono.
- Mickey?- insistette la mia mica, ora più preoccupata. - Che cos'hai? Sei sicuro di sentirti bene?-
Il ragazzo non si fermò, facendosi largo tra gli altri pirati che consumavano il rancio. Mentre lo guardavo ebbi un brivido di paura. Forse fu proprio quello l'istante in cui lo vidi barcollare, malfermo sulle gambe.
- Mickey?!-
Le sue braccia furono percorse da un tremito tanto violento da fargli sfuggire la ciotola dalle mani. Il ragazzo si piegò in due. La ciotola cadde per terra, e Michael finì in ginocchio sulle assi del ponte.
- MICKEY!-
Si raggomitolò a terra, in lacrime, stringendosi le braccia attorno al ventre.

*

Quando lo portammo in infermeria, Michael ancora gemeva per il dolore.
Avevamo agito in fretta e furia: con quanta più delicatezza possibile, Ettore si era caricato in spalla Michael, poegato in due da un dolore che gli massacrava le viscere; Faith li seguiva stringendo forte la mano di suo fratello, che ricambiava quasi convulsamente la stretta. Quella che li seguì fino in infermeria fu una vera e propria processione: c'eravamo io, Jack, Valerie, e perfino Connor, che oramai sembrava starci costantemente alle costole ovunque andassimo.
Faith stese il fratello sul tavolo e, dopo averlo convinto a lasciarle la mano, gli sbottonò la camicia e cominciò a tastargli la pancia. Era tesa come una corda di violino, e stava sudando: per quanto mi fidassi delle sue capacità, cominciavo a temere che il panico potesse avere la meglio su di lei. Appena le sue dita toccarono il basso ventre del ragazzino, questo si mise ad urlare e a dimenarsi, tanto che Ettore dovette bloccarlo e chinarsi su di lui, parlandogli sottovoce per calmarlo.
- Scusami, Mickey!- gemette Faith, mortificata. - Scusami, ti prego, io non volevo, non... -
- Faith! Calmati!- dovetti riprenderla bruscamente mentre vedevo avverarsi i miei timori: con suo fratello ridotto in quello stato, non sarebbe mai rimasta lucida abbastanza per aiutarlo. - Così non lo aiuti. Pensa in fretta adesso; che cos'ha?-
- Non lo so!- sbottò lei, allargando le braccia con aria impotente. - Non è ferito, e niente di quel che ha mangiato può essere la causa di un dolore simile!-
Alle nostre spalle, Connor si schiarì la gola per attirare la nostra attenzione. Ci voltammo, e lo trovammo a guardare noi e Michael con volto corrucciato. - Ha i muscoli della pancia contratti?- domandò, cogliendoci tutti alla sprovvista.
- Duri come una tavola di legno. - replicò debolmente la mia amica.
- E ha urlato appena l'hai toccato... - mormorò tra sé. - Sentite... Io ne ho visti altri così. Può capitare, credo. Per curarli, alcuni medici... be'... - esitò, gettando un'occhiata su di noi come a chiedere il nostro parere. - ...aprivano la pancia. -
Mi sembrò di sentire tutti quanti trattenere il respiro. Tranne Jack, che fece una smorfia disgustata e commentò: - Ehw. E per tirare fuori cosa?-
Faith emise un gemito e impallidì: io, che ero di fianco a lei, le strinsi una spalla cercando di farle un po' di coraggio, per quanto comprendessi quanto fosse critica la situazione. Ci trovavamo davanti a qualcosa che nessuno di noi sapeva come trattare, e se Michael doveva proprio finire sotto i ferri del chirurgo era evidente che quel chirurgo non poteva essere sua sorella, sconvolta com'era. - Ascoltate, non sappiamo nemmeno di che cosa si tratta. - obiettai, sforzandomi di pensare. - E di certo Faith non può occuparsene da sola. Dobbiamo cercare aiuto, in città ci sarà pure qualcuno che... Frate Matthew!-
- Cosa?- Jack e tutti i presenti si voltarono verso di me, senza capire.
- Frate Matthew! Bill Night ha detto che è un chirurgo, no? L'ha chiamato trinciapolli... - quello forse non avrei dovuto dirlo davanti a Faith. Troppo tardi. - Oh insomma, forse si intende di certi malanni! Potrebbe aiutare Michael! Dobbiamo portarlo subito all'Albatro, adesso!-
Mentre pronunciavo l'ultima frase lanciai uno sguardo supplichevole a Jack. Lui esitò un solo istante, con le mani bloccate a mezz'aria come per fermare gli eventi che ci stavano precipitando addosso, quindi sembrò recuperare il controllo, si fece serissimo in volto e indicò Ettore. - Ce la fai a portarlo a terra?-
Per tutta risposta, il pirata sollevò senza sforzo Michael tra le braccia e fece un cenno di assenso col capo.
- Bene. Tu, invece. - l'indice di Jack si puntò su Connor, che era rimasto in disparte in un angolo dell'infermeria. - Renditi utile e accompagnaci: voglio che tu dica al frate tutto quello che sai riguardo l'aprire le pance, comprendi? Ottimo. Valerie, avvisa Gibbs e il resto della ciurma che siamo all'Albatro per un'emergenza. Muoviamoci, forza!-
Così, in fretta e furia noi cinque lasciammo la Perla trasportando un sofferente Michael per le strade appena sveglie di Tortuga, fino ad arrivare davanti alla porta principale dell'Albatro, alla quale bussammo furiosamente prima che Bill Night venisse ad aprire, rischiando anche di beccarsi le nostre nocche in piena faccia. Quando ci vide fece tanto d'occhi e rimase a fissarci a bocca aperta.
- Parola mia, per voi sembra essere diventata un'abitudine spuntare fuori nei momenti più impensati!- fece, stupito.
- Il ragazzo sta male. - tagliò corto Jack, indicando Michael che giaceva tra le braccia di Ettore. - Dov'è il tuo frate? Ci serve aiuto, e ci serve subito. -
Piuttosto scombussolato, Bill che fece entrare e poi si assentò per andare a chiamare frate Matthew, che dormiva da qualche parte nel retro della locanda. Quando entrambi tornarono, Ettore aveva già adagiato il ragazzino su uno dei tavoli più grandi. Mickey non stava per niente bene: il suo colorito era passato da pallido a grigiastro, ansimava, e i suoi occhi erano pieni di lacrime. Guardarlo mi provocò una fitta al cuore, nonché una punta di panico.
- Cosa gli è accaduto?- domandò frate Matthew senza tanti convenevoli, allacciandosi il cordone della tunica. Si chinò su Michael con occhio critico, osservandolo con attenzione e posandogli gentilmente una mano sulla fronte sudata.
- Non stava bene da qualche giorno, e questa mattina la pancia gli faceva così male che non si reggeva in piedi. - la voce di Faith tremava, mentre lei fissava con aria tesa prima il frate e poi Michael. - Temiamo... che abbia qualche malanno dentro. Io non sono riuscita a capire di che cosa si tratta. -
Frate Matthew annuì, sempre più serio, quindi cominciò a tastare la pancia del ragazzo come aveva fatto Faith: lui però cominciò delicatamente dalla parte sinistra per poi procedere verso il lato destro. Solo dopo che le sue dita si mossero oltre l'ombelico, Michael ebbe un sussulto e si lamentò per il dolore.
- Coraggio, coraggio... - lo confortò a mezza voce, mentre una ruga gli si formava fra le sopracciglia aggrottate. Connor gli si avvicinò e disse qualcosa a bassa voce, accennando al ragazzino con il capo: i due parlottarono per pochi istanti, quindi frate Matthew si voltò di nuovo verso di noi. - Sfortunatamente avete ragione: il ragazzo soffre di una brutta infiammazione alle viscere, e potrebbe aggravarsi seriamente se non facciamo subito qualcosa. -
- E allora... cosa intendete fare?- domandai con una cera titubanza, anche se immaginavo e temevo la risposta. Gli occhi del frate si strinsero, mentre fissava noi e Bill radunati attorno al tavolo. - Devo operarlo e non posso farlo da solo. C'è qualcuno qui tra voi che si intende almeno un po' di chirurgia?-
Istintivamente i nostri sguardi si volsero a Faith, la quale ricambiò con un'espressione che definire atterrita era dire poco: dopotutto era lei che conosceva le erbe medicinali, lei che fin da ragazza aveva potuto informarsi su ingialliti libri di medicina, lei che sapeva come cauterizzare e cucire una ferita.
- Non direte sul serio?- pigolò. - Mi state chiedendo di... non... non posso operare mio fratello!-
- Invece potete lasciarlo morire?- mi sorprese la cruda freddezza con la quale frate Matthew le rispose. La mia amica si zittì, mordendosi un labbro. - Rischia così tanto?-
Il frate annuì lentamente, quindi si chinò su Michael. - Non te lo nasconderò, ragazzo: il tuo è un malanno grave e dobbiamo muoverci adesso. Ma tu sei un giovanotto coraggioso, non è vero?-
- No. - gracchiò Mickey, con la voce rotta dalla paura. - Per niente... Ho paura, cazzo!- le lacrime gli colarono dagli angoli degli occhi, bagnandogli i capelli. Quello spettacolo riuscì a spaventarmi più di tutto quel che avevo visto finora: per un attimo mi sentii accartocciare lo stomaco, e le ginocchia rischiarono di cedermi. Jack era dietro di me; mi strinse un braccio, senza dire nulla, e non mi lasciò andare finché il tremore alle mie gambe non accennò a diminuire.
Faith fece un respiro profondo e si avvicinò a suo fratello, carezzandogli la fronte. - Ci penserò io, Mickey. Andrà tutto bene. - sussurrò, rassegnata. I due fratelli si guardarono negli occhi per qualche istante, poi lui mormorò in un soffio: - Mi fido, Faith... -
Da quel momento frate Matthew prese ufficialmente il comando della situazione, e ci chiese aiuto per improvvisare una camera operatoria: Bill ci diede una tovaglia pulita che stendemmo sul tavolo prima di rimetterci Michael, - “E insomma, lì sopra la gente ci mangia!” aveva brontolato mentre lo faceva, ma non aveva protestato- io e Faith fummo mandate nella stanza di frate Matthew a prendere i suoi ferri da lavoro e alcuni medicinali; quando tornammo trovammo Michael steso a petto nudo sul tavolo, i pantaloni aperti e abbassati fin dove era possibile, mentre il frate gli faceva bere una generosa dose di rum da una fiaschetta. Jack, Ettore, Connor e Bill erano seduti in disparte sulle panche; il che poteva voler dire soltanto che non potevano più dare nessun aiuto, e che era arrivato il momento di fidarsi unicamente del ferro del chirurgo.
Michael tossì, ma il frate non smise di farlo bere fino a che non gli ebbe vuotato in gola un terzo della bottiglia: era un metodo molto usato anche a bordo, poiché una buona dose di rum era un vero toccasana contro il dolore.
- Tu. - si rivolse a Faith. - Mi serve dell'oppio per farlo dormire. -
Lei gli porse una delle boccette che contenevano le sue sostanze, e il frate ne versò qualche goccia sulla lingua di Michael. In pochi minuti il ragazzo era sprofondato in un sonno drogato, e pregai con tutto il cuore che il suo sonno fosse abbastanza profondo da non fargli sentire troppo dolore. Frate Matthew si lavò febbrilmente le mani in un catino, quindi srotolò una sacca di pelle che conteneva alcuni ferri medici dall'aria micidiale. - Cominciamo. - disse, senza neanche un'ombra di esitazione nella voce, mentre passava un sottile coltello sulla fiamma di una candela per arroventare la lama. Anche Faith cominciò a lavarsi le mani, ma vedevo le dita che le tremavano.
Non sapendo che altro fare, andai a sedermi accanto a Jack per non rischiare di intralciare il lavoro del frate: gli occhi di tutti erano puntati inevitabilmente su Michael, carichi di tensione e di macabro interesse. Frate Matthew strofinò la pelle del ragazzo con un panno imbevuto nel rum, quindi abbassò con mano ferma il coltellino e cominciò ad incidere la carne. Un tremito terribile mi scossa da capo a piedi quando lo vidi sanguinare: sarebbe stato più sensato distogliere gli occhi, ma non ne fui capace. Ero come paralizzata. La mia mano tremante trovò improvvisamente quella di Jack, e mi ci aggrappai con tutte le mie forze.
La lama aprì un taglio perfetto, profondo e obliquo dall'ombelico di Michael scendendo verso il fianco, quindi il frate passò il coltello insanguinato a Faith e prese una piccola pinza metallica con la quale divaricò i due lembi di pelle. Jack contorse la bocca come stesse per avere un conato. Con infinita attenzione, Faith asciugò la ferita, poi il frate passò a lei la pinza e le disse di tenere aperto il taglio. Lei obbedì senza emettere un fiato, mentre frate Matthew, con estrema lentezza, infilava altri due piccoli attrezzi metallici nella ferita.
Come il frate cominciò a frugare nelle carni di Michael, io vidi che cosa c'era sotto la sua pelle, oltre al sangue: ebbi una rapida visione fin troppo dettagliata di una roba viscida e carnosa, di un rosa lucido e nauseante, smossa dagli attrezzi del frate. Non ce la feci più e mi piegai in due, sentendo una stretta terribile alla bocca dello stomaco.
- Basta... - sibilai, implorante, stringendo la mano di Jack. - Per favore, basta... -
Per fortuna il capitano fu svelto a farmi alzare e a condurmi in tutta fretta fuori dalla porta, dove rovesciai in strada il contenuto del mio stomaco. Mentre rimettevo l'anima mi ripromisi che mai, mai più avrei voluto assistere ad una scena del genere.
Le dita di Faith erano immobili, ma il suo cuore era lì lì per sfondarle la gabbia toracica. Il sangue che inzuppava i suoi ferri era quello di suo fratello, quelli che la pinza e il bisturi di frate Matthew stavano pungolando erano i suoi visceri. Non doveva guardarlo in faccia. Se guardava soltanto il taglio e i lembi di pelle che doveva tenere ben divaricati riusciva a rimanere fredda e concentrata, ma sapeva che se avesse alzato gli occhi sul suo volto avrebbe perso il controllo. Avrebbero dovuto buttargli addosso un panno, o qualcosa del genere. Perché non ci aveva pensato prima?
Ora frate Matthew teneva tra le pinze una piccola protuberanza rosea e carnosa, lunga più di un pollice umano. Cominciò ad inciderla con il bisturi, e per un attimo le mani di Faith tremarono di nuovo, ma durò solo un istante. Imponendosi la più totale freddezza, eseguì gli ordini del frate alla perfezione, e in poco tempo il filamento carnoso venne reciso e ricucito.
Frate Matthew si concesse un sospiro di sollievo. - Fatto. -
Spettò a lei il compito di ricucire il taglio, e in un certo senso fu un sollievo: ogni punto nella carne viva era un peso che le veniva tolto dal cuore, perché era un passo verso la conclusione. Quando la ferita fu richiusa a dovere, il frate si preoccupò di lavarla e ripulire tutto dal sangue, quindi porse a Faith il catino con l'acqua perché pulisse i suoi attrezzi.
Io e Jack rientrammo mentre frate Matthew stava dicendo, in tono molto più vivace di quando eravamo arrivati: - Sembra che sia andato tutto bene; il ragazzo si riprenderà entro qualche giorno. - si rigirò tra le mani un barattolo di vetro dove aveva riposto qualunque cosa avesse tolto dalle viscere di Michael, come se fosse stato un trofeo. - Questa è la causa del suo malore. -
Gli altri si protesero in avanti per guardare quella novità, io invece distolsi lo sguardo con una smorfia di disgusto. - Oh no, ti prego, non di nuovo. - brontolai, sentendomi ancora lo stomaco in subbuglio.
Jack si piegò e inclinò il capo, guardando il barattolo da sotto per osservarne meglio il contenuto. - Sembra un verme delle mele. Michael ha mangiato un verme e quello gli ha...?-
- Non è un verme. - lo corresse il frate, con tono paziente. - E non l'ha ingoiato; non ho nemmeno toccato lo stomaco. Questo è un piccolo pezzo che gioca brutti scherzi quando si infiamma, e in casi come questo è meglio toglierlo e non pensarci più. Lo chiamano “tiflite”... ma non vi preoccupate, non è niente di cui il vostro ragazzo sentirà la mancanza. -
Il capitano aggrottò ancora di più le sopracciglia, più confuso di prima, e scrutò con sospetto il barattolo prima di commentare con un: - Oh. - e tirarsi indietro, tastandosi nervosamente la pancia come a sincerarsi che nelle sue, di viscere, fosse tutto al suo posto.
Il frate si voltò allora verso Faith, che si stava lavando le mani nel catino tirando lunghi, lenti respiri per calmarsi. Le rivolse un sorriso incoraggiante e le posò una mano sulla spalla. - Vostro fratello non avrà più motivo di preoccuparsi per questo: siete stata di grande aiuto, e vi ringrazio. -
Lei si voltò a guardarlo con un sorriso tremante; il suo viso era terribilmente pallido. - Non... non avremmo potuto fare niente senza di voi. Sono io che vi ringrazio. - mormorò, con gli occhi pieni di riconoscenza.
Poi, del tutto senza preavviso, le ginocchia le cedettero, la vista le si annebbiò e cadde svenuta sul pavimento.

*

Quando aprì gli occhi, tutto quello che vide fu un mare di lucine danzanti che le diedero il mal di testa.
Dopo che ebbe battuto ripetutamente le palpebre, le luci tornarono ad essere le candele consumate che bruciavano all'interno delle lanterne di sottocoperta, e poco lontano da sé udì il gorgoglio del rum versato in un boccale.
- Niente rum per me, grazie. - furono le prime parole che la sua mente annebbiata le fece farfugliare.
- A qualcuno fa addormentare, a te basta sentirne il rumore per svegliarti!- commentai io, ridendo, mentre prendevo il boccale che Ettore aveva appena riempito per me. Eravamo seduti su due casse, l'uno davanti all'altra: avevamo portato Faith nella cabina che condivideva con il pirata e l'avevamo stesa sulla cuccetta, in attesa che riprendesse i sensi. Faith si guardò intorno, con aria ancora confusa, poi domandò: - Mickey sta bene?-
- Sì. Si sta riprendendo. - rispose Ettore, posando a terra la bottiglia e spingendo la cassa un po' più vicina alla cuccetta. - Dovrà stare a riposo per un po', ma sta bene, grazie a te e a frate Matthew. Tu invece come ti senti?-
Lei strizzò gli occhi un'ultima volta, e sembrò tornale del tutto lucida. - Adesso meglio. - rispose, in tono un po' più vivace.
- E sì che direi che ne hai viste di peggiori!- commentai, prima di bere un sorso dal mio boccale colmo. La mia amica si girò verso di me e inarcò le sopracciglia con espressione smarrita. - Sì, lo so... ma... c'era mio fratello lì, con la pancia aperta, che sarebbe potuto morire da un momento all'altro se solo avessi fatto un errore... -
- Lo so. - la interruppi, appoggiandole una mano sulla spalla per confortarla. - Non devi preoccuparti. Le viscere non dovrebbero mai vedere la luce del sole... ma Mickey sta bene, e tu sei stata molto coraggiosa. -
- E' stata una fortuna che ci fosse Donovan. - disse ad un tratto Ettore, con una scrollata di spalle. - E' strano, no? Forse è solo grazie a lui se ci siamo mossi in tempo. Senza di lui avremmo rischiato di perdere un sacco di tempo a capire di cosa si trattava. -
Deglutii in silenzio; per qualche motivo, il pensiero di soccorrere Michael troppo tardi e il fatto di dovere a Connor la sua salvezza mi inquietava nello stesso modo. Faith annuì lentamente, poi incrociò lo sguardo di suo marito, e li vidi sorridersi con fare incoraggiante. Pensai che fosse opportuno lasciarli soli, così mi alzai e, con il mio boccale di rum ancora pieno, lasciai la cabina per salire in coperta. Finii di bere salendo le scale, e intanto mi chiedevo pigramente se non fosse scomodo per i due piccioncini condividere una cuccetta pensata per accogliere un solo marinaio. Certo, avevano ottenuto una cabina tutta per loro, ma il privilegio di un letto vero e proprio era un lusso che, a quanto pareva, potevano concedersi soltanto i capitani.
Quando uscii sul ponte della Perla, sotto il sole cocente del mezzogiorno, e lo trovai vuoto, non me ne stupii più di tanto: i pirati si erano ormai adattati all'idea di una sosta molto più prolungata del normale, così che erano ben pochi quelli che rimanevano a bordo durante il giorno, preferendo cercare fresco e svago a terra.
Alzai lo sguardo sul cassero di poppa e, come mi aspettavo, vidi Jack da solo, in piedi accanto al timone: mi dava le spalle, ma vidi che stava guardando la sua bussola.
Salii le scalette del cassero e lo raggiunsi, fermandomi a sbirciare in silenzio da sopra la sua spalla. L'ago della bussola puntò alla sua sinistra, verso il mare aperto. Poi si spostò e puntò verso Tortuga. Poi cominciò a girare su sé stessa.
- Cosa guardi?- gli chiesi in tono divertito, dopo avere seguito con lo sguardo i sussulti dell'ago, sebbene sapessi benissimo che consultava la sua bussola quando aveva bisogno di schiarirsi le idee. Lui la richiuse con uno scatto e si voltò appena verso di me. - Niente. - riabbassò per un attimo gli occhi sulla bussola chiusa, quindi li rialzò. - Lei come sta?-
- Adesso bene. - gli girai attorno e mi appoggiai con la schiena contro il timone, posando il boccale vuoto sul parapetto. - Piuttosto... abbiamo intenzione di restare in questo porto ancora a lungo?-
Jack inarcò un sopracciglio, giocherellando con la bussola. - Devo dedurre che hai così tanta fretta di abbandonare Mickey a terra, perché, diciamocelo, è escluso che il ragazzo prenda il mare in quelle condizioni, o di lasciare qui Faith, giacché di certo lei non ne vorrà sapere di stare lontana da suo fratello? Lodevole proposito davvero: lo dico sempre che non è il caso di attaccarsi troppo alle persone di salute cagionevole!-
- Non sei spiritoso. - lo rimbeccai, secca. La voglia di scherzare mi era completamente passata da quando avevo visto Michael steso su un tavolo, con la pancia aperta in due. Jack incassò scrollando le spalle.
- Non abbiamo nessuna meta, per il momento, inoltre la ciurma è contenta di passare un po' di tempo a Tortuga. -
- E tu lo sei?- ribattei a bruciapelo. Lui mi fissò di sottecchi per qualche attimo come cercando di indovinare dove intendessi arrivare, poi fece un cenno vago col capo. - Oh, lo sai che io sto meglio in mare. -
- E allora che cosa stiamo facendo ancora qui? Stiamo aspettando un ordine di Silehard, come cagnolini obbedienti?- il mio tono fu forse un po' più acido di quanto avrei voluto, ma fece comunque il suo effetto. Il capitano mi scrutò, sorpreso, per qualche istante, poi però rispose con un semplice sorriso. - Abbiamo pur sempre un accordo con lui, comprendi?-
- “Abbiamo”?- d'accordo, se era il momento di buttare fuori tutti i miei dubbi, che fosse.
- Ho la sensazione che continui a non garbarti la nostra alleanza... sbaglio?-
- Oh, figuriamoci... - replicai, sardonica. - E se, per esempio, ti dicessi che è proprio Silehard a non piacermi per niente?-
Jack abbandonò per un momento il suo fare scherzoso e abbassò gli occhi per un istante. - Ti risponderei che anch'io non è che adori lui, o il suo operato. -
- Un passo avanti. - gli concessi con un gesto secco del capo. - E allora chiarisci un po' questo, capitano: non ti fidi di Silehard, non ti piace lavorare per qualcuno, non ti interessa quante autorità la sua gilda possa corrompere perché a te piace agire senza il mandato di nessuno, e finora l'unica cosa che ce n'è venuta in tasca è stato un po' d'oro e dei liquori... perché questa alleanza?-
Lui mi squadrò dall'alto in basso, come se mi stesse soppesando, quindi stirò le labbra in uno dei suoi mezzi sogghigni dal dente d'oro e mi si avvicinò pericolosamente. - Sei rapida a mettermi con le spalle al muro... - sussurrò, ammiccando.
Non mi ritrassi da lui, ma nemmeno mi lasciai abbindolare. - Meno moine e più risposte, capitano. - ribattei, con lo stesso sogghigno. - E guarda che non te lo chiedo solo per curiosità; te lo sto chiedendo come capitano in seconda. -
- Oh, certo. - Jack alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia in un gesto di stizza, appoggiandosi col gomito al timone accanto a me. - Adesso parliamo come capitano e il suo ufficiale. Ovvio, no?-
Di punto in bianco sembrava davvero offeso, e quasi mi dispiacque di avere usato un tono così duro con lui. Ma che altro potevo fare? Pensavo che quanto era accaduto a Mickey ci avesse lasciati entrambi piuttosto scossi, e invece lui non aveva ancora smesso di scherzare e di sottrarsi alle mie domande.
- Non so cos'altro fare. - risposi, seria. Jack rimase per un po' ad occhi bassi, senza smettere di cincischiare con la bussola che teneva stretta per il laccio; infine si decise a dire: - Faccio dei sogni. -
Aggrottai le sopracciglia. Questa decisamente era l'ultima cosa che mi sarei aspettata di sentirgli dire. - Sogni?-
- Sogni. E ho ragione di credere che... qualcuno... stia cercando di ottenere qualcosa... - si picchiettò l'indice su una tempia. - L'alleanza che ho appena stretto può aiutarmi a sciogliere questo dubbio, e a togliermi definitivamente il pensiero. -
- Ha a che fare con il sogno di cui mi hai parlato alcune notti fa, vero? Quello sull'Isla de Muerta?-
- Esattamente. Diciamo che è da lì che è cominciata tutta la faccenda. -
- Che tipo di sogni?-
Tentennò, scrollando di nuovo le spalle. - Non ricordo precisamente. -
- Bugiardo. - lo rimbeccai, e lui rise sotto i baffi, prima di tornare serio: - Ascoltami; devi capire che tutto quello che sto facendo è solo per saperne qualcosa di più su questa storia. Devo sapere cosa sta succedendo, e soprattutto chi c'è dietro. Tutto qui. Non mi piace particolarmente l'idea che mi si frughi qua dentro. - si puntò nuovamente l'indice alla fronte.
- Stai dicendo che è Silehard che si intromette nei tuoi sogni? E perché dovrebbe?- sbottai, ma proprio mentre lo dicevo mi ricordai degli appunti scritti in fretta sulle carte accumulate sul tavolo di Jack, quelle che parlavano di streghe, di donne impiccate e di uomini assaliti dagli incubi... Lui, infatti, si fece se possibile ancora più serio e abbassò perfino la voce, come se temesse che potesse esserci qualcuno ad ascoltarci anche lassù sul cassero. - Lo sai chi si dice che ci sia dietro Silehard. -
- Una... “strega”, o qualcosa di simile. L'ho sentito da Daphne. -
- Giusto. - fece lui, guardandomi come a dirmi di tirare da sola le conclusioni. - Possibilità che offre degli sbocchi interessanti e inquietanti al tempo stesso. Se esiste qualcuno in grado di rovinarmi il sonno in questo modo, e questo qualcuno lavora per Silehard, non posso chiedere di meglio se non di incontrarlo di persona. Comprendi? Tutto il resto non è che pura formalità. Lascia che mi lavori Silehard ancora per un po'... solo il tempo di avere qualche risposta. Dopo saremo di nuovo liberi come l'aria. -
Mi lasciai sfuggire un piccolo sospiro, poi mi strinsi nelle spalle, impotente. - Solo... ho paura che la tua ricerca ti porterà a scavare fin troppo a fondo, Jack. Ti prego solo di non lasciarti invischiare troppo negli affari di Silehard. Non ci lascerà scappare tanto facilmente. -
Jack sfoderò un sorriso soddisfatto e si chinò verso di me. - Promesso, gioia. - mi disse in tono solenne, dandomi un buffetto affettuoso sul mento. Stava per aggiungere qualcos'altro quando, all'improvviso, sbarrò gli occhi e rizzò la testa, arricciando il naso per annusare l'aria.
- Ma che... - annusò di nuovo, facendo scattare la testa a destra e a sinistra.
Ora lo sentivo anch'io. Mi voltai verso il parapetto mentre un pungente puzzo di bruciato mi riempiva le narici. - Cosa diavolo...?!- tossii, sentendomi la gola completamente secca quando una zaffata rovente mi investii in piena faccia. Poi vidi il fumo.
- Oh no!- mi precipitai sul ponte, chiamando a raccolta tutti i pirati rimasti. - Al fuoco! Svelti, uomini! Allarme! Al fuoco!-

*

William sedeva in cabina alla sua scrivania, chino su di una mappa ingiallita, alla luce del sole che entrava dalla vetrata disegnando pozze di luce sul pavimento. Dai documenti del precedente capitano aveva recuperato un bel po' di mappe ancora in buono stato, e pensava che alcune delle vecchie rotte potessero rivelarsi interessanti.
Dava le spalle alla porta. Quando entrammo, sollevò gli occhi dal suo lavoro con un attimo di ritardo, per voltarsi verso di noi e farci un cenno di saluto.
- Salve. Come mai qui?- ci disse, ma il suo tono diventò improvvisamente più serio quando si accorse delle nostre facce. - ...Che cosa è successo?-
- Abbiamo un problema. - rispose Jack, tetro.

*

Grazie al tempestivo intervento con secchiate d'acqua , il fuoco era stato domato in fretta, ma ci ritrovammo con un bel pezzo bruciato sulla chiglia, sul lato di babordo, appena sopra alla linea di galleggiamento.
La cosa veramente curiosa era come era stato appiccato l'incendio: avevamo visto le fiamme e il fumo all'esterno della nave, e solo dopo avevamo capito perché. Qualcuno, dal molo, era riuscito ad essere abbastanza furtivo da aprire uno dei portelli dei cannoni e infilarci dentro un lungo straccio arrotolato imbevuto nell'olio: quando ne avevamo recuperato i resti, lo avevamo identificato come uno scampolo di stoffa da vela. Poi, chiunque fosse stato, vi aveva dato fuoco, lasciando la sua miccia infilata a metà nel portello, con un capo all'interno e uno penzolante all'esterno. Era un modo assurdo per tentare di dare fuoco ad una nave, se questa era davvero l'intenzione. La stoffa era bruciata in fretta, mandando un bel po' di fumo e un sacco di puzza, e le fiamme avevano attaccato solo parte del legno duro del portello, spesso e lento a bruciare.
Jack era furioso. Lo avevo visto poche volte così arrabbiato, tanto da rispondere con scatti rabbiosi a Gibbs, il quale cercava di spiegargli che, chiunque fosse stato, era riuscito ad essere abbastanza furtivo da non farsi notare mentre si acquattava sul molo accanto alla nave e preparava la sua trappola. Una volta domato l'incendio, io e Jack eravamo corsi alla nave di William, temendo che qualsiasi nemico ci fossimo fatti lì a Tortuga potesse andare a minacciare anche la Sputafuoco. Tuttavia, i nostri timori si rivelarono infondati: nulla di brutto era accaduto alla nave né alla ciurma, da quando avevamo fatto porto.
- Non abbiamo assolutamente nessun nemico qui a Tortuga... almeno, nessuno di importante. - avevo detto, dopo che finimmo di raccontare a Will l'accaduto e tornammo sul molo per dare un'altra occhiata ai danni. - In secondo luogo, l'attentatore ha colpito solo la Perla, mentre tutti sanno che le nostre navi viaggiano insieme. Ma l'ultima cosa, la più importante, è che questo non era di certo un vero attacco o un tentativo di distruggerci la nave... -
- Oh! Non era un tentativo di distruggerci la nave!- sbottò Jack, indicando furiosamente il legno annerito e fumante che spiccava contro la fiancata della sua adorata Perla. - Magari ti è sfuggito, eh, ma nella mia nave ora c'è un bel dannatissimo buco!- rincarò il concetto agitando la mano col pollice e l'indice uniti.
- Lo so, lo so. - concessi, cercando di farlo calmare. - Quello che volevo dire è che se fosse stato che intendeva danneggiarci sul serio, non lo avrebbe fatto in questo modo. Questo non è un attacco. E' una ripicca. Un gesto di sfida. -
Tutta quell'agitazione sul molo stava cominciando ad attirare un po' troppo l'attenzione della gente che girava nel porto: al momento sulla banchina c'eravamo io, Jack, Gibbs, William ed Elizabeth, mentre Ettore e Faith si affacciavano dal parapetto per guardare il danno. David scorrazzava annoiato sul ponte, deluso per non avere trovato Michael, il quale era ancora privo di sensi in infermeria.
- Un gesto di sfida, eh?- replicò Jack, mettendosi a camminare avanti e indietro proprio davanti al portello bruciato, incapace di smettere di gesticolare. - Oh, certo, un gesto di sfida o una grandissima fregatura... a meno che... - si immobilizzò di colpo, ad occhi sgranati. - ...Dov'è Donovan? Trovatemi Donovan! Dov'è quel maledettissimo testarossa?-
Gibbs si accigliò. - Sospettate di lui, capitano?-
- Dammi un motivo per non sospettare!-
- E' molto improbabile, Jack. - fu Ettore a rispondergli, appoggiato al parapetto qualche metro sopra di noi. - Nessuno l'ha visto scendere dalla nave, anzi, pochi attimi dopo l'allarme io stesso l'ho visto correre sul ponte insieme a tutti gli altri. Non penso che c'entri con questa storia. -
Il tono di Jack cambiò improvvisamente e si fece calmissimo, quasi allegro... cosa che mi inquietò ancora di più. - Ettore... - fece in tutta calma, appoggiandosi con una mano al fianco bruciacchiato della nave. - Solo per curiosità, ma, ti sembro forse dell'umore di lasciar correre e non pensarci più? Adesso portami qui quell'irlandese e vedi di fare in fretta!-
Forse notando che il capitano era prossimo ad avere un attacco isterico, Ettore si defilò alla svelta e ritornò sul molo con Connor, il quale ci guardò tutti con la consueta espressione fin troppo tranquilla di chi non aveva capito bene che cosa ci facesse lì. Quando si fermò, con Ettore alle spalle e noi altri schierati di fronte a lui, neanche fosse un condannato mandato al patibolo, Jack si fece avanti con le mani sui fianchi.
- Come preferite che cominciamo, signor Donovan? Devo chiedervi che cosa stavate facendo circa mezz'ora fa, quando un portello della mia nave è andato in fumo?-
- Immagino che questo significhi che sospettate di me. - replicò Connor senza mezzi termini.
- Sospetto di chiunque possa avere avuto qualche insano interesse nel dare fuoco alla mia Perla. -
Lui fece un cenno d'assenso col capo. - Non posso certo biasimarvi per questo. Tuttavia, capitano, vi posso assicurare che mezz'ora fa ero sottocoperta, e ci sono molti uomini della ciurma che si trovavano là sotto con me e possono confermarlo. Sono corso sul ponte con gli altri quando avete dato l'allarme. -
Jack lo squadrò ancora per qualche secondo, poi lo vidi sospirare molto lentamente e molto di malavoglia, tra i denti. Stava ancora torcendo tra le mani il pezzo di stoffa bruciata che aveva appiccato il fuoco, e quando Connor lo notò sembrò improvvisamente interessato.
- Capitano, posso vedere?- chiese, tendendogli la mano. Jack si accigliò per un attimo, poi fece spallucce e gli passò il rotolo di stoffa.
Tutti restammo a guardare, incuriositi, mentre l'uomo si faceva rigirare tra le mani l'oggetto annerito; poi se lo portò al naso e annusò, stringendo gli occhi.
- Molto curioso. - commentò, rialzando lo sguardo su di noi. - Non hanno badato a spese pur di fare qualche piccolo danno... -
- Che intendete dire?- sbottai.
- Giudicate voi. Ecco, annusate... - mi porse il rotolo di stoffa, ed io, dopo un attimo di esitazione, feci come mi chiedeva: annusai, ma, a parte l'odore di olio bruciato, non sentii niente. Al mio sguardo interrogativo, Connor quasi rise. - L'odore non vi dice nulla? No? Allora ve lo dico io: questo è del costoso olio di balena, e mi sembra molto strano che qualcuno l'abbia sprecato per appiccare un incendio che praticamente è morto sul nascere. Vista così, la cosa non ha senso. Ma se ci fosse sotto qualcos'altro? Se qualcuno lo avesse fatto apposta, per dare un messaggio ben preciso?-
Sgranai gli occhi. - Chi c'è in città di così ricco da poter usare dell'olio di balena?-
Faith, a pochi passi da me, fece un piccolo respiro improvviso come se si fosse appena trattenuta a forza dal dire qualcosa. Mi voltai verso di lei, e il suo sguardo agitato la tradì. - Faith?- la invitai.
- I Mercanti. - mormorò lei in un soffio, scoccando rapide occhiate a Donovan.
- Oh cielo. Probabile. - replicò quest'ultimo, in tono improvvisamente più grave. Restò a guardare il pezzo di stoffa ancora per un secondo, poi sembrò sussultare per un'improvvisa intuizione e, con attenzione, cercò con le dita gli angoli della stoffa, cercando di non distruggere ulteriormente il tessuto già mezzo carbonizzato. Dopo qualche tentativo riuscì a srotolare il tutto e lo sollevò davanti a sé, tendendolo al massimo per cercare di capire che cosa fosse... come lo vedemmo, tutti quanti capimmo molto in fretta di cosa si trattava: anche se mezza mangiata dal fuoco e zuppa di olio, quella non poteva essere altro che una bandiera. Non avevamo notato subito il disegno, perché in quel pasticcio arrotolato non si vedevano altro che sottili righe nere su uno sfondo bianco: come Donovan stese quello che restava della bandiera, poco a poco riuscimmo a decifrarne l'effige; assomigliava ad un grosso pesce panciuto, la coda era stata bruciata via.
Mi ci volle qualche istante per riconoscere la balena usata come stemma ufficiale della Gilda dei Mercanti. Di colpo mi resi conto come nulla di quel piccolo “scherzo” fosse stato lasciato al caso, e sentii un fastidioso senso di oppressione allo stomaco, indice del mio nervosismo crescente.
- Mercanti. Il quadro della situazione migliora ad ogni minuto. - borbottò Jack, sprezzante. William, però, sembrava dubbioso: si avvicinò a Connor e studiò il pezzo di stoffa bruciata per qualche istante, con una strana espressione.
- Come hanno saputo che ti sei affiliato alla Gilda? Le voci corrono così in fretta?-
- Sì, quando sono importanti. - ammise il capitano, annuendo. Will però non sembrava ancora del tutto convinto, perché insistette: - Ma perché organizzare un colpo del genere, anche se fosse solo un avvertimento? Non ha senso. Avvertimento di cosa? Vogliono “avvertirti” che da adesso ti sei inimicato i Mercanti? Non mi sembra che sia la mossa più astuta da fare, considerando quanto potere ha la Gilda in città: se sei un membro, adesso colpire te significa colpire indirettamente anche Silehard. Davvero pensi che i Mercanti sarebbero così sicuri di loro da fare una cosa del genere?-
Per un momento soltanto, sul volto di Jack la stizza lasciò il posto ad un'espressione dubbiosa almeno quanto quella di Will, e il capitano allargò le braccia senza sapere che dire. - Non lo so, William. E' questo il punto. Solo che questo è un bel pasticcio con tanto di firma, e io ho bisogno di sapere chi vuole colpirmi e perché. -
Per un po' sembrò che nessuno sapesse più che dire, poi Ettore si decise a parlare, e quando lo fece fu come se le parole per lui pesassero come piombo. - Come ha detto che si chiamava il proprietario di quell'armeria, quello a cui dobbiamo rivolgerci se vogliamo tornare a parlare con Silehard?-



Note (sempre più telegrafiche) dell'autrice:
Della serie, quando i personaggi cominciano veramente a fare di testa propria come se sapessero benissimo a chi sono ispirati: non era nei miei piani dare a Connor una spiccata vena investigativa. Aiuto! Nel frattempo le idee si accavallano, la scrittura va, Jack è tornato più o meno sui binari e finalmente vedo un po' più chiaramente dove va questa storia. Confido di aggiornare ancora in breve tempo!
  
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