Capitolo
Sedici
u
Pov
Elena
Era passata una settimana,
una dannata settimana da quando Damon era rinchiusa nello scantinato insieme a
Katherine e purtroppo io e gli altri non avevano fatto passi avanti. Al momento
il modo, sempre se c’era uno, per spezzare quel maledetto incantesimo che
teneva unite me e la vampira era per tutti un mistero.
Avevo pregato Bonnie e
tutti gli altri perché facessero uscire Damon anche se questo avrebbe
comportato far uscire anche Katherine, ma nessuno era dalla mia parte, neppure
quel testone del mio fidanzato. Era meglio così, dicevano tutti, ma io non ci
vedevo niente di buono in tutto quello che stava succedendo.
Una settimana senza poter
stare con Damon, senza potermi fare cullare tra le sue braccia, una settimana
da quando mi svegliavo la mattina senza averlo accanto e sinceramente quella
situazione mi faceva soffrire più del normale.
Ero certa di amare Damon,
lo ero già da un bel po’, ma credevo che non l’avrei mai potuto amare più di
quanto già non facessi, invece, quei sette giorni lontana da lui mi avevano
fatto capire quanto, invece, mi sbagliassi. A volte mi domandavo se il mio
fosse un amore malato, non nel senso dispregiativo del termine, ma
semplicemente un modo un po’ troppo eccessivo di amare qualcuno.
Avevo già affrontato una
situazione del genere. Si, proprio un anno prima quando Stefan, per salvare
Jeremy, era entrato nella cripta restando imprigionato con Katherine. Stavolta
era diverso, però. Era terribilmente diverso e faceva troppo male, molto di più
di quanto avessi dovuto sopportare allora.
E stavolta, a differenza
di allora, nessuno mi impediva di scendere giù e restare ore e ore davanti alla
porta di quella dannata stanza a guardare l’uomo che amavo, a fargli capire a
sguardi che io ero lì e non me ne sarei andata. Damon, né gli altri, volevano
che entrassi lì dentro. Dicevano che era pericoloso soprattutto adesso che la
verbena in circolo nel mio corpo era stata espulsa. Katherine poteva attaccarmi
nonostante fosse debole per via del sangue che noi rifiutavamo di darle e Damon
lo stesso, visto che rifiutava tutto ciò che gli davamo dicendo che avrebbe
dovuto condividerlo con lei e non ne aveva nessuna intenzione.
E così era trascorsa una
settimana, una lunga ed estenuante settimana in cui non avevamo fatto un misero
passo avanti. Stefan e gli altri non trovavano una soluzione e io, io ero
completamente assente, come rinchiusa in una bolla dalla quale solo Damon
avrebbe potuto farmi uscire, ma lui non c’era e seppur sentivo la sua presenza
non riuscivo a reagire come avrei dovuto.
Poco mi importava di come
il mio comportamento stesse influendo sugli altri, né tanto meno mi importavano
le parole di Bonnie che non si spiegava i motivi del mio comportamento e
sinceramente non ero neppure in vena di cercare di spiegarglieli anche perché
erano rari i momenti in cui stavo con lei o con gli altri. Trascorrevo le mie
giornate in camera di Damon, oppure seduta a terra vicino all’entrata dello
scantinato.
Erano solo quelle due le
mie mete giornaliere e me ne fregavo altamente che tutti fossero preoccupati,
che tutti avessero un problema in più visto il mio assurdo e poco responsabile
comportamento.
“Elena ti prego sali su e
vai a riposare” mi disse Damon debolmente per la centesima volta nel giro di
qualche ora.
Non mi ci voleva un genio
per capire che non era nel pieno delle forze e mi faceva soffrire molto vederlo
in quel modo.
Stava iniziando a
diventare grigio come il cemento e sapevo che questo era solo l’inizio. Se non
avrebbe bevuto sangue sarebbe solo peggiorato.
“Resto ancora un pò”.
“Sono ore che sei qui” si
lamentò.
Lo so che lo faceva per
me. Non voleva che lo vedessi in quello stato e non voleva che trascurassi così
tanto me stessa.
“Ti do fastidio?” urlai
quasi.
Non sopportavo più nulla,
ogni minima parola, anche detta da lui, la interpretavo sempre nel modo
sbagliato.
“Non sto dicendo questo”.
“Bene”.
Ci fu silenzio per qualche
istante, poi lui riprese a parlare.
“Ti prego, sali su a
mangiare”.
“Non ho fame”.
“Non fare la stupida e
comunque restare qui non migliorerà la situazione”.
“Non mi importa”.
“Perché devi essere così
testarda?” mi domandò sfinito.
“Per lo stesso motivo per
cui lo sei tu”.
“Elena…” tentò ancora.
“Damon non mi muoverò di
qui fin quando non lo deciderò io, fine del discorso” gli dissi cercando di
mostrarmi dolce per quanto potevo vista la situazione e soprattutto alla vista
del sorriso beffardo di Katherine.
“Bene” disse lui
arrendendosi.
“Bene” ripetei io mentre
lui abbassò di nuovo la testa portandola in mezzo alle ginocchia. Era tutto il
giorno che era fermo in quella posizione: seduto a terra con la testa tra le
gambe.
Mi voltai e guardai
Katherine. Lei a differenza di Damon era comodamente seduta sulla sedia e
nonostante fosse pallida come un lenzuolo manteneva la sua aria diabolica e il
suo sorrisino malizioso.
Restai lì ancora per un
bel po’ di tempo, poi mi decisi a salire su. Non dissi nulla, non serviva,
tanto sarei tornata tra qualche ora.
Mi alzai e mi diressi
verso l’uscita, ma sentii Katherine iniziare a parlare. Allora mi nascosi
cercando di non fare rumore per non farmi sentire.
I loro sensi si erano
indeboliti leggermente per via della mancanza di sangue, quindi potevo sperare
che ciò unito al fatto che stavano per intavolare una discussione li avrebbe
fatti distrarre dal capire che ero ancora lì.
“E così adesso state
insieme” gli disse lei.
“Scusa?” domandò lui non
comprendendo le sue parole.
“L’ho capito sai. Tu ed
Elena, voi state insieme. L’ho osservata in questi giorni e ti guarda come se
non esistesse nessuno al di fuori di te. Non le ho visto guardare nemmeno
Stefan con quell’intensità”.
Damon non disse nulla e
lei riprese.
“Ero sicura che ci saresti
riuscito. Ti conosco molto bene e so che quando vuoi qualcosa trovi sempre il
modo di prendertela”.
“Katherine sta zitta”.
“Mi domando solo fino a
che punto sei riuscito a spingerti per ottenerla”.
“Non sono cose che ti
riguardano”.
“Invece si, tesoro. Tutto
quello che riguarda te e Stefan riguarda anche me”.
Potei leggere una nota di
malizia in quella frase, ma non ci badai più di tanto.
“La amate così tanto che
sareste disposti a tutto pur di salvarla. Guardati. Damon Salvatore, costretto
dentro una stanza solo per aver salvato una donzella dalla grinfie della
cattiva” disse con fare teatrale.
“Katherine chiudi quella
dannata bocca. Non ho voglia di fare conversazione”.
“Di cosa hai paura Damon?”
Rabbrividì a quelle parole
pensando a quello che poteva avere in mente quella stronza psicopatica.
“Io non so nemmeno cosa
sia la paura”.
“Oh si, invece. Te ne stai
raggomitolato in quell’angolino da giorni, senza dire né fare nulla e sappiamo
entrambi perché lo fai”.
“Ah si? E sentiamo
perché?”
“Hai paura di me, di
quello che potrebbe succedere. Lo sappiamo entrambi che tu non mi hai mai
dimenticata, così come non l’ha fatto Stefan. Con lui c’era amore, con te, con
te c’era la passione” fece un attimo di pausa, poi mi sembrò sentirla muoversi
“ricordi come ci divertivamo io e te?”
Un moto di rabbia mi
percorse tutto il corpo. Ero certa che questo momento sarebbe arrivato.
Katherine doveva pur trascorrere il suo tempo lì dentro in qualche modo e quale
miglior modo per giocare?
“Katherine sta zitta”
ripeté nuovamente lui.
“A volte tu e Stefan siete
così simili” sbuffò lei, ma poi riprese a parlare “però vi divide una grossa
differenza. Stefan è razionale ed è perfettamente in grado di controllarsi, tu,
invece sei irrazionale, non sei in grado di gestire i tuoi istinti”.
Damon dovette fare
un’espressione strana in volto, perché la vampira continuò.
“Cos’è non ci credi? Posso
dimostrartelo”.
Dopo quelle parole sentii
un rumore sordo, come di due massi che si scaraventano a terra. Affacciai
leggermente la testa per vedere cosa era successo e ciò che vidi mi raggelò
all’istante, mentre lacrime mute e silenziose presero a scendere copiose sul
mio volto.
Katherine lo aveva buttato
a terra e si era messa a cavalcioni su di lui accarezzandogli il petto con fare
suadente. Il suo viso si avvicinava sempre di più a quello di lui e la mia
gelosia cresceva a vista d’occhio. Non riuscivo a tollerare una scena del
genere.
Damon era a terra
immobile. Sembrava anche aver smesso di respirare.
“Lo so che mi desideri e
so che non puoi resistermi. Tu mi ami ancora anche se non lo ammetterai mai”
gli soffiò a qualche centimetro dalle labbra.
Damon non disse, né fece
nulla e la mia rabbia ribolliva sempre di più. Io qui a soffrire per lui e loro
lì che stavano per dare inizio al divertimento.
“Avanti Damon, possiamo
trascorrere il nostro tempo qui in modo decisamente più utile”.
Dopo aver pronunciato
quelle parole avvicinò le sua labbra a quelle di Damon, ma lui in quel momento
sembrò come risvegliarsi dalla trans in cui era caduto.
In una frazione di secondo
invertì le posizione e adesso era lui a trovarsi sopra di lei e ad avvicinare
pericolosamente le sue labbra a quelle di lei.
Dio non ci potevo credere,
non ci volevo credere.
“C’è una donna che
desidero ed è la stessa donna che amo. E sai una cosa? Ti somiglia molto
nell’aspetto, decisamente troppo, ma spiacente per il resto è totalmente
opposta a te e vuoi o non vuoi tu non sei lei, quindi rimettiti a sedere e
chiudi quella fogna che ti ritrovi al posto della bocca” gli disse glaciale
prima di prenderla per il braccio e scaraventarla al muro.
Una gioia inumana,
inspiegabile, qualcosa che non avevo mai provato si impossessò di me. Lui amava
me, solo me. Katherine era solo un lontano ricordo, ormai.
Avrei voluto correre da
lui e abbracciarlo, baciarlo, farci l’amore, ma non potevo e mi sentivo perfino
in colpa per non essermi fidata di lui, per aver pensato anche solo per un
istante che lui avrebbe ceduto.
Katherine assunse
un’espressione furiosa. Non credeva che Damon l’avrebbe rifiutata.
“Che diavolo vi ha fatto
quella spocchiosa umana?” urlò furente.
Damon scattò verso di lei
e la bloccò al muro.
“Chiamala di nuovo così e
ti farò passare qui dentro le peggiori giornate della tua vita”.
“La ami così tanto da
rinnegare l’amore che provi per me?” continuò lei imperterrita.
“È qui che ti sbagli. Non
rinnego l’amore che ho provato per te” sottolineò la parola provato per farle capire meglio il fatto
che adesso non era più così “rinnego solo la parte di me stesso che lo ha
fatto, la parte che avrebbe fatto di tutto pur di riportarti alla vita”.
La lasciò andare e lei
rimase a terra immobile prendendo però a ridere sguaiatamente.
“Mi fa piacere che lo
trovi divertente”.
“Trovo divertente il fatto
che tu credi che lei razionalmente ricambi i tuoi sentimenti. L’ho vista. In
questi giorni l’ho osservata, ho sentito tutti i discorsi che fa su con gli
altri e l’ho capito che state insieme, ho capito che anche Stefan ha accettato
la cosa, ma ciò che con capisci è che il suo amore non può essere duraturo. Non
potrà mai amarti per sempre. Lei ama questa umanità che ti ha fatto uscire
fuori, ma lo sappiamo entrambi che è falsa. Tu sei crudele e spietato come me e
quando lei se ne renderà conto, quando lei capirà che questa di adesso è solo
una maschera ti lascerà solo e ti ritroverai di nuovo il cuore a pezzi” gli
urlò contro.
Avrei voluto correre da
lei e dirgli che erano tutte bugie. Io amavo Damon in tutto, anche nella sua
parte crudele e sapevo che quella parte non sarebbe più uscita fuori. Lui non
era il cattivo che tutti e perfino lui stesso avevano dipinto, era quella la
maschera, non quello che era adesso.
“Correrò il rischio”
furono le uniche parole di lui.
“Non impari mai, non è
vero?” chiese lei sprezzante.
“Se hai ragione tu avrò
tutta l’eternità per ricucire queste ferite. Adesso chiudi il becco e fai
silenzio. Non ho più voglia di ascoltarti” gli urlò contro riuscendo a zittirla
stavolta.
Katherine non aveva capito
nulla e ringraziai con tutta me stessa Damon per non essersi fatto abbindolare
da quelle parole. Ero orgogliosa di lui, di quello che era e di come aveva
affrontato la situazione.
I due tornarono a fare
silenzio e così mi decisi a salire in camera, ma incontrai Caroline che
vedendomi in uno stato pietoso mi portò nella sua camera. Poco dopo sentimmo
bussare piano alla porta e non ci volle molto per capire che fosse Bonnie.
Quando entrò vidi che
aveva con sé un vassoio con del cibo.
Lo posò sul comodino, poi
si sedette sul letto e mi abbracciò forte. A noi si unii anche Caroline e ci
stringemmo in uno dei nostri abbracci collettivi, quelli che ci facevamo per
darci forza l’una con l’altra, per dimostrarci che ognuna di noi c’era per
l’altra indipendentemente da tutto e tutti.
Mi sentii un po’ in colpa
per come le avevo trattate in quei giorni, ma se pensavo a Damon non potevo non
fare così. In fondo era anche colpa loro se lui restava chiuso lì dentro, visto
che nessuno era intenzionato a spezzare via l’incantesimo.
Poco dopo ci staccammo e
tutte e tre ci mettemmo con le gambe incrociate sul grande letto che da più di
un mese era diventato il rifugio di Caroline in quella grande casa.
Non dicemmo nulla.
Restammo in silenzio per un tempo sconsiderevole. Spiegarmi il motivo era
facile. Succedeva sempre così quando qualcuno di noi stava male e le altre non
volevamo essere pesanti nei discorsi e nelle prediche, quindi ci limitavamo al
silenzio consapevoli che era un modo per far sentire la propria presenza a chi
tra noi stava male.
Quel silenzio, però, in
quel momento non mi faceva affatto bene perché mi permetteva di ripensare a
tutto quello che stava succedendo, a tutto quello che pian piano si stava
sgretolando sotto le mie mani, a tutto quello che mi stavo perdendo con Damon
spaventata più che mai che sarebbe rimasto lontano da me chissà ancora per
quanto tempo.
“Elena, perchè non mangi
qualcosa?” chiese poi Caroline all’improvviso indicando il vassoio che aveva
portato Bonnie.
Scossi la testa, senza
dire nulla.
“Non hai toccato niente
oggi” mi informò l’altra.
“Non ho fame”.
“Non magiare non ci
aiuterà a sistemare questa assurda situazione”.
“Non ho fame” ripetei
insistente.
“Io non capisco perché
stai reagendo così male alla cosa. In fondo sta bene lì sotto, più o meno” mi
disse pacatamente Bonnie.
Alzai lo sguardo fino ad
allora posato sulla coperta del letto e la guardai negli occhi notando davvero
le sue perplessità. Fu a quel punto che non riuscii più a trattenere le
lacrime, le ennesime lacrime di quella settimana.
“Tu non capisci mai nulla”
sbottai e mi alzai dal letto correndo verso il mio unico rifugio: la camera di
Damon.
Possibile che davvero
fosse tanto ottusa su ciò che riguardava Damon da non capire davvero come
stavano le cose?
Prima di arrivare a
destinazione mi sentii bloccare per un polso. Era Stefan, avrei riconosciuto la
sua stretta tra tante.
Mi voltai e incontrai il
verde dei suoi occhi. Mi bastò leggergli dentro per capire che in fondo tra
tutti lui era quello che mi capiva di più. La mia sofferenza era la sua
sofferenza. Sapeva di non poter fare nulla per suo fratello, sapeva di non
poter fare nulla per me. La stessa situazione in cui si era trovato Damon tempo
prima, solo che lui e suo fratello era diversi e certo Stefan era quello meno
combattivo tra i due.
In una frazione di secondo
si avvicinò a me e senza dire nulla mi abbracciò più forte che poté.
Restai un attimo basita
non aspettandomi quella reazione da parte sua, ma alla fine ricambiai
l’abbraccio stringendomi a lui fortissimo, come se quelle braccia fossero la
mia unica ancora di salvezza e, forse, forse lo erano.
Stefan in quella settimana
c’era sempre stato, con uno sguardo, una parola, un abbraccio. Lo sentivo
costantemente. Era lui che ogni notte entrava in camera di Damon per consolare
le mie lacrime, era lui che mi teneva stretta a sé cercando per quanto gli era
possibile di farmi stare meglio, era lui che usava il suo potere per incantare
i miei sogni nonostante le immagini che metteva nella mia mente fossero per lui
dannose.
E io ero un’egoista, ero
egoista perché non lo scacciavo via, perché mi stringevo a lui come in quel
momento e mi lasciavo cullare senza curarmi di quanto male lui dovesse sentirsi
nel vedermi soffrire per qualcuno che non era lui. Sapevo bene tutte quelle
cose, ma non riuscivo a mandarlo via. Io avevo bisogno di lui, avevo bisogno
che mi sussurrasse piano che andava tutto bene, che si sarebbe risolto tutto,
che Damon sarebbe uscito da lì dentro tornando a fare lo sbruffone di sempre.
“Lo farò uscire da lì, te lo prometto” furono le sue uniche parole
mentre io lo strinsi più forte.
Poco dopo senza nemmeno
che me ne accorgessi mi ritrovai sdraiata in camera di Damon con Stefan che mi
stringeva a lui infondendomi quel coraggio che sembravo avere perso e mentre
ancora le lacrime rigavano i miei occhi mi addormentai sperando che quando i
miei occhi si fossero riaperti tutto sarebbe cambiato.
E invece, invece, non
cambiò nulla. Qualche ora dopo mi svegliai accorgendomi che era notte fonda.
Stefan era andato via e in quella grande stanza c’eravamo solo io, il mio
dolore e le mie lacrime, quelle lacrime che continuavano a scendere copiose sul
mio volto ogni misero secondo che pensavo a quegli occhi ghiaccio che mi
avevano stregato.
Vidi una sua camicia
appoggiata ai piedi del letto. Mi avvicinai e la presi annusandone il profumo.
Sapeva ancora maledettamente di lui. C’era impresso sopra l’odore del profumo
che usava, ma soprattutto l’odore naturale della sua pelle, quell’odore che
accompagnava tutte le mie notti da un po’ di tempo a questa parte.
Mi domandavo cosa avessi
fatto per meritarmi tutto quello che mi era successo nella mia vita. Possibile
che meritassi tutte quelle sofferenze? Possibile che non potessi godermi un po’
di meritata felicità?
Tolsi la mia maglietta e
infilai la sua camicia, ne avevo maledettamente bisogno, poi tornai a letto e
mi rannicchiai in posizione fetale continuando a piangere cercando di non farmi
sentire. Ero certa che ogni minimo rumore, anche il meno impercettibile fosse
saltato all’orecchio di Stefan e Caroline, ma anche di Damon nonostante fosse
notte fonda e di certo erano tutti addormentanti. Avrai tanto voluto non
piangere, eppure non
riuscivo a trattenerle
quelle lacrime. Ero disperata, una disperazione che non ero certa se ne sarebbe
andata facilmente, non senza di lui di nuovo al mio fianco.
Restai tra quelle lenzuola
bagnate di lacrime ancora per un po’, ferma immobile cercando di scacciare le
lacrime, di mandarle lontane, ma mi veniva difficile, troppo.
Dopo non so quanto tempo
mi alzai dal letto e uscii da quella camera, quella camera che mi ricordava i
momenti più belli di tutta la mia vita, tutti quei preziosi momenti con lui.
Silenziosamente mi diressi
verso la cucina e mi versai un po’ d’acqua, poi andai in salone, quel salone
che in quei giorni era gremito di gente e che adesso era vuoto. Vicino al
camino ormai quasi spento vidi un paio di libri aperti e dei fogli qua e là e
non mi fu difficile capire che servivano per fare ricerche in merito a quel
dannato incantesimo che mi teneva unita a Katherine, o almeno così credevo.
Provai a sfogliare qualche
foglio, ma mi resi conto che era scritto tutto in perfetto latino e per quanto
mi sforzassi, non riuscivo a capirci nulla. I fogli sparsi per terra erano
invece pezzi di traduzione dei libri e sembravano vecchie maledizioni o
informazioni varie su alcuni incantesimi.
Sistemai di nuovo tutto
come lo avevo trovato e mi diressi nel corridoio pronta a salire in camera, ma
qualcosa mi bloccò. Era come una spinta che mi diceva che non era quello il mio
posto e io sapevo bene, invece, qual’era quello giusto, per questo cercando di
non far rumore scesi le scale che conducevano al seminterrato.
Quando arrivai a
destinazione mi avvicinai alla stanza e mi resi conto che sia Katherine che
Damon dormivano.
Lei era sdraiata nella
parete di fronte alla porta, mentre Damon era molto più vicino all’uscio, ma
era seduto con le spalle al muro, le ginocchia quasi al petto, le braccia sulla
pancia e la testa leggermente inclinata di lato. Doveva stare scomodissimo.
La sua espressione era
comunque angelica, ma era stanco e sfinito. Il suo volto
sembrava essere diventato
un pezzo di cemento.
Senza pensarci due volte
varcai quella soglia che durante tutta la settimana mi era stata vietato da
chiunque di oltrepassare e a passo felpato mi avvicinai al mio ragazzo. Mi
sedetti poco vicino a lui e gli baciai una guancia prima di prendere la sua
mano e portarla nella mia rendendomi conto che era fredda come il ghiaccio.
Dio da quanto desideravo
un contatto con lui.
Non feci in tempo a
stringermi al petto quella mano che vidi i suoi occhi aprirsi e due iridi
zaffiro fissarmi intensamente, ma allo stesso tempo con sorpresa.
“Cosa ci fai qui dentro?”
mi mimò con le labbra.
Non poteva parlare, farlo
avrebbe fatto svegliare i sensi acuti della vampira a qualche metro da noi.
Non risposi alla sua
domanda, ma feci quello che avrei voluto fare da tanto tempo. Gli buttai le
braccia al collo e lo stritolai in un abbraccio.
Lui rimase fermo, non
aveva nemmeno più la forza di parlare e non potevo fargliene una colpa. Era
abituato a nutrirsi regolarmente e una settimana senza sangue era inconcepibile
anche solo da pensare.
Lo strinsi a me più forte
che potei, ma senti subito che c’era qualcosa di diverso. In quell’abbraccio
per quanto mi sentissi a casa mancava qualcosa, mancava quel calore che solo
lui riusciva a darmi.
Avrei tanto voluto correre
a prendergli del sangue, ma sapevo che non me l’avrebbe permesso. Avrebbe
dovuto condividerlo con Katherine e al momento ciò che più ci serviva era una
Katherine sfinita, stanca e attaccabile.
Fu questione di pochi
secondi prima che mi venne un’idea.
Mi staccai dall’abbraccio
e lo guardai dritto negli occhi.
“Ti amo” gli mimai e lui
mi sorrise debolmente.
“Non dovresti essere qui”
mi disse a fatica.
Non gli risposi, ma mi
avvicinai a lui e posai le mie labbra sulle sue. Un bacio stampo molto casto,
forse il più casto che ci eravamo mai dati.
Mi era mancato da morire
quel contatto.
Quando ci staccammo
avvicinai il mio polso alle sue labbra sorridendogli fiduciosa, ma lui
allontanò il suo viso voltandolo dall’altro lato.
Appoggiai la mia mano alla
sua faccia costringendolo a voltarsi. Lui fece resistenza, ma alla fine mi
guardò.
“Ne hai bisogno”.
“Ma anche no”.
“Perché sei così
testardo?”
Lui sorrise e non mi
rispose, ma ciò che fece mi mandò in tilt.
Si avvicinò nuovamente a
me e mi fece appoggiare la mia testa nell’incavo tra il suo collo e il suo
petto, poi appoggiò una mano sulla mia testa e mi strinse forte lasciandomi un
delicato bacio sulla testa.
In quel momento il mondo
si sarebbe anche potuto fermare, non mi interessava nulla. Avevo tutto ciò di
cui avevo bisogno.
E strano come a volte stai
accanto ad una persona per tanto tempo e magari non ci fai neppure caso, poi un
giorno sembra come se per magia i tuoi occhi si fossero aperti e ti rendi conto
che quella persona che hai avuto accanto è l’unica della quale non puoi più
fare a meno.
“Ti prego, fallo”
sussurrai appena.
Ero certa che capisse a
cosa mi stavo riferendo.
“No”.
“Amore, ti prego. Ne hai
dannatamente bisogno”.
“Forse o forse no”.
Mi scansai leggermente per
poterlo guardare negli occhi e alzai un sopracciglio come a fargli capire che
sapevamo tutti e due come stavano le cose.
“Ok, ne ho bisogno, ma non
lo farò”.
“Te lo sto chiedendo io”.
“Elena potrei…” provò a
dire, ma lo interruppi.
“Non dire che potresti
farmi male, non lo farai”.
“Ne sembri certa”.
“Lo sono infatti. Io mi
fido di te”.
“Non so se questo sia un
bene o un male”.
“La smetti di parlare? Mi
fido di te più di chiunque altro. Stop. Io mi fido, io credo in te”.
Gli feci una leggera
carezza, poi avvicinai di nuovo il mio braccio alle sue labbra.
“Ti prego” lo esortai
ancora.
Lui non si mosse, ma mi
guardò negli occhi forse cercando di capire cosa davvero pensavo. Non so cosa
ci vide, ma mi sorrise debolmente.
“Non ti farò del male, te
lo prometto”.
“Non serve che tu lo
prometta, io lo so già”.
Gli sorrisi cercando di
infondere in quel movimento di labbra tutto il mio amore, poi sentii qualcosa
di appuntito perforarmi la carne del polso. Credevo che sarebbe stato doloroso,
eppure non sentii nulla, forse perché in quel momento il dolore fisico non
aveva importanza in paragone a quello che stavo facendo per Damon.
Sentii il mio sangue
scorrere via e in quel momento mi sembrò come se il rapporto con Damon stesse
diventando più profondo. Donargli spontaneamente il mio sangue era un gesto
forte, me lo aveva detto Stefan una volta, diceva che per gli esseri come loro
ricevere sangue volontariamente era qualcosa di intimo, qualcosa che creava un
rapporto intenso con una persona.
Quando Damon si staccò
vidi finalmente l’uomo di cui mi ero innamorata. I suoi occhi erano tornati a
brillare, la sua pelle aveva ripreso bene o male il solito colorito e il suo
sorriso e la sua espressione era tornata ad essere quella spavalda di sempre.
Mi guardò e poi si
avvicinò baciando le mie labbra in un bacio che di casto non aveva nulla e ad
essere sincera non aspettavo altro. Era una settimana intera che bramavo quelle
labbra.
“Prendine ancora un po’”
gli dissi quando poi ci staccammo.
“Questo basta”.
“Damon…” lo rimproverai.
“Mi sento molto meglio.
Giuro che questo mi basta”.
“Sicuro?”
“Ti amo Elena” mi disse
all’improvviso ignorando bellamente quanto gli avevo appena detto.
Sorrisi a quelle parole.
Sapevo che mi amava, ma era sempre bello sentirselo dire, soprattutto da lui
che difficilmente riusciva ad esternare a parole i suoi sentimenti.
“Mi sei mancato” riuscii a
dire io appoggiando di nuovo il mio volto al suo petto.
“Ah si?” mi sussurrò
malizioso al mio orecchio prima di baciarlo.
Sembrava come se lì dentro
adesso ci fossimo solo noi. Ci eravamo completamente dimenticati di Katherine
che per fortuna era troppo debole per riuscire a sentire i nostri sussurri
visto che dormiva.
Mi avvicinai e lo baciai
una volta, due, tre e poi ancora e ancora. Non desideravo altro.
“Mi sei mancata anche tu”
mi disse poi.
“E dovrei crederci? Direi
che sei stato in ottima compagnia” lo provocai lanciando uno sguardo veloce a
Katherine.
“Sei gelosa della
stronza?” mi domandò sorridendo.
“Dovrei esserlo?”
“In effetti diciamo che ci
siamo divertiti in questi giorni” mi provocò.
“Stronzo” gli risposi
dandogli uno sberla sul petto, ma senza staccarmi dalle sue braccia.
“Me lo dicono in tanti in
effetti” mi disse sorridendo soddisfatto per poi baciarmi la fronte.
“Non mi fa ridere”.
“Per me esisti solo tu e
nessun’altra” mi sussurrò appena.
A quel punto lo guardai e
sorrisi sincera prima di tuffarmi nelle sue labbra morbide, invitanti e
tremendamente sexy.
In quel momento sentii un
mugolio e mi voltai a guardare Katherine. Si era spostata mugugnando qualcosa
di incomprensibile. Damon che, ormai, grazie al mio sangue aveva i sensi di
nuovo più o meno acuti assunse un’espressione strana.
“Si sta per svegliare”.
Mi strinsi di più a lui
perché sapevo il significato di quelle parole. Dovevo andare.
“Non mandarmi via” lo
pregai.
“Non saresti nemmeno
dovuta entrare. È pericoloso” mi rispose prima di buttare gli occhi di nuovo
sulla vampira “fra due minuti esatti si sveglierà” concluse poi forse notando
che il respiro della psicopatica stava tornando regolare.
“Non mandarmi via” ripetei
di nuovo.
“Vorrei non doverlo fare”.
“Non farlo allora”.
“Devo”.
“Solo fino a domattina, ti
prego. Sei più forte di lei adesso e non mi potrà fare nulla”.
“Elena…” provò a dire.
“Ti prego” lo supplicai
scansandomi da lui e guardandolo negli occhi.
“Non posso correre questo
rischio. È di Katherine che stiamo parlando e sai quanto può essere
imprevedibile”.
“Ho bisogno di te, lo
capisci? Senza di te non riesco a sostenerla più questa situazione”.
“Elena…” tentò di nuovo lui.
“Damon hai idea di cosa
significhi trascorrere una settimana lontano dalla persona che ami più di ogni
altra cosa? Vederla, ma non poterla toccare, sentirla, ma non poterla baciare?
Non c’è la faccio più. Se correre pericoli, se rischiare di finire cibo per
vampiro è il prezzo da pagare per doverti stare accanto allora sono pronta a
pagarlo” gli sussurrai a qualche centimetro dalle sue labbra.
“Lo so cosa significa, lo
so benissimo” mi disse interrompendosi con sguardo sofferente e non potei fare
a meno di capire che lui lo sapeva meglio di me cosa significasse.
Lui stava vivendo la mia
stessa situazione, ma soprattutto lui l’aveva già vissuta in passato quando mi
era stato accanto per tanto tempo restando nell’ombra e solo adesso riuscivo a
capire davvero cosa questo significasse.
Senza nemmeno volerlo
davvero ero stata un’egoista, mi ero comportata male ferendo i suoi sentimenti
molto più di quanto avessi mai potuto credere.
Poi riprese a parlare.
“Ti prometto che troveremo
una soluzione, che uscirò da qui, ma adesso devi andartene”.
“Damon…” tentai ancora.
“È difficile per te tanto
quanto lo è per me. Cosa credi che non vorrei che restassi qui? Che non ti
vorrei accanto?”
Katherine mugugnò
nuovamente e al quel punto Damon si alzò in piedi facendo alzare anche me.
“Ti amo Elena, ti amo più
di ogni altra cosa al mondo e se anche tu mi ami ti prego vai via adesso” mi
disse guardandomi serio e disperato prendendo il mio volto tra le mani.
Puntò proprio sull’unica
cosa che sapeva mi avrebbe fatto cedere.
“Quando finirà tutto
questo?” domandai mentre le lacrime iniziarono di nuovo a bagnarmi il viso.
“Presto, finirà presto, è
una promessa”.
“Una di quelle che non sei
certo di poter mantenere”.
“Non faccio mai una
promessa che so di non poter mantenere, dovresti saperlo”.
Mi avvicinai e lo baciai a
fior di labbra in quello che sembrò essere un bacio di disperazione, ma allo
stesso tempo di amore, tanto amore.
“Staremo insieme per
sempre, promettimelo?”
Damon stava per aprire la
bocca, ma vidi la sua espressione cambiare radicalmente e prima ancora che una
risata malefica si diffuse nell’aria mi ritrovai schiacciata al muro dal suo
corpo.
Non ci volle molto per
capire che Katherine si era svegliata e mi aveva sentito, per questo adesso
rideva, mentre Damon si era parato di fronte a me per farmi da scudo.
Il mio sangue non aveva
più verbena. Se solo Katherine si fosse avvicinata si sarebbe potuta cibare di
me, in men che non si dica.
“Sciocca, non te l’hanno
mai insegnato che per quelli come te è vietato dire per sempre? Il per sempre
per voi umani è un’illusione. Voi siete per l’adesso” disse alzandosi da terra
e avvicinandosi.
Non riuscii a dire nulla.
Ero troppo spaventata, ma sapevo che c’erano Damon. Lui aveva bevuto il mio
sangue ed era certamente più forte di lei.
In una frazione le fu
accanto e la scaraventò al muro parandosi davanti per non farla muovere.
“Elena esci” mi disse
Damon.
Io ero come impietrita. Le
parole di Katherine risuonavano ancora nella mia testa e mi impedivano di
essere lucida.
“Adesso” urlò lui di nuovo
e solo in quel momento sembrai tornare in me.
Corsi fuori e quando
superai l’uscio Damon era già tornato dove era prima lasciando Katherine a
terra più debole che mai. Il suo volto però, nonostante tutto, mostrava lo
stesso un’espressione diabolica.
“Stupida umana” si lamentò
riuscendo a fatica a parlare.
A quel punto non c’è la feci
più e scoppiai. Ero stanca di restare in silenzio nel vedere quella situazione,
ero stanca di dover restare ferma ad aspettare che qualcosa cambiasse, ma
soprattutto ero stanca di dover rinunciare alla mia felicità per colpa di
quella sua stupida vendetta.
“Sai che c’è Katherine?
C’è che puoi continuare a fare la stronza quanto vuoi, c’è che puoi continuare
ad elaborare tutti i piani di vendetta che più desideri, ma non riuscirai mai a
togliermi quello che mi appartiene. Io non ti ho rubato nulla, non è colpa mia
se Damon e Stefan non ti amano più, è solo colpa tua e dei tuoi giochetti. Hai
fatto la burattinaia fin quando hai voluto e adesso i burattini sono stanchi di
correre dietro ai tuoi capricci. Continua pure a credere di avere la vittoria
in pugno, continua a credere di potermi rendere infelice come stai facendo, ma
sappi che prima o poi le cose cambieranno. Riavrò indietro la mia vita, riavrò
indietro Damon. Non può piovere per sempre” dissi alzando leggermente il tono
di voce.
Il mio ragazzo era stupito
da quella mia reazione, ma mi regalò un sorriso beffardo da ritenersi illegale,
un sorriso che sembrò dirmi “sono fiero di te”, mentre la psicopatica mi guardò
sconvolta da quelle mie parole, come se non se le aspettasse, ma fu solo un
attimo perché poi riprese a ridere malefica.
“L’importante è crederci”
mi disse solamente.
Non risposi, non avevo
nient’altro che aggiungere. Avremmo vinto noi, non sapevo come né quando, ma
sapevo che sarebbe successo.
“Buonanotte amore” dissi
poi rivolgendomi a Damon.
Lui mi sorrise e mi mimò
qualcosa con le labbra. Non mi fu difficile capire cosa mi stessi dicendo.
“Te lo prometto”.
Sapevo che era la risposta
alla richiesta che gli avevo fatto poco prima.
Saremmo stati insieme per
sempre e se lo aveva promesso significava che era la verità.
Se c’era una cosa in cui
potevi fidarti in modo assoluto era della parola di Damon.
A malincuore mi allontanai
per salire in camera.
“Elena” mi sentii chiamare
da Damon e mi voltai di nuovo per capire cosa volesse.
“Si?”
“Bella questa camicia” mi
disse indicando ciò che avevo addosso.
Solo allora mi ricordai
che sopra i jeans indossavo la sua camicia.
Sorrisi alle sue parole,
poi ne presi un lembo e ne annusai il profumo, il suo profumo.
“Concordo mister modestia”
scherzai io.
Anche lui mi sorrise, poi
mi fece cenno con la testa di tornare su e non me lo feci più ripetere.
Girai i tacchi e salii in
camera sua, mentre sentii la vampira lamentarsi, ma non riuscii a capire cosa
diceva. Parlava troppo piano.
Arrivai in camera di lui con
una consapevolezza nuova. Qualunque cosa fosse successa Damon sarebbe stato al
mio fianco e avrebbe continuato ad amarmi, ma soprattutto sarebbe uscito da lì
presto, me lo aveva promesso e lui manteneva sempre fede alla promesse fatte.
Era fatto così, sarebbe
morto pur di mantenere una promessa.
Robsten23
SPAZIO AUTRICE:
Eccomi qui con un nuovo capitolo.
Ho notato dalle recensioni che tutti
eravate molto preoccupate da come si sarebbe comportato Damon e, invece, come
avete notato è stato perfetto.
Ha dato il ben servito a Katherine e
questo credo sia stata una grande dimostrazione nei confronti di Elena, anche
se lui non aveva idea che lei stesse assistendo a tutta la scena.
Damon ha promesso a Elena che uscirà e
lui mantiene sempre le promesse fatte. Ci riuscirà anche stavolta? Anche Stefan
ha promesso la stessa cosa. Ci riuscirà anche lui a mantenere fede alla parola
data?
Non possiamo che sperarlo.
Come sempre vi lascio sempre una
piccola immagine come spoiler del nuovo capitolo e anche un piccolo pezzettino:
“Vuoi la verità? La vuoi davvero? Bene, ti
accontento. Non è stato Stefan a dare del sangue a Damon” dissi quasi in un
sussurro.
“Scusa?”
Era stupita, non riusciva a capire.
[…]
“Sono stata
io” riuscii a sussurrare sperando che mi sentisse.
Il suo sguardo divenne una maschera di terrore.
Rimase in silenzio per qualche secondo poi mi guardò furiosa mentre io misi di
nuovo il polsino per nascondere la ferita.
“Che diavolo ti salta in mente si può sapere? E se
non si fosse controllato? Dio Elena, ti avrebbe potuta uccidere. Tu sei
completamente fuori di testa” mi urlò contro.
“Io mi fido di lui e faresti bene a farlo anche
tu”.
“Ti fidi? Tu sei pazza. Era a digiuno da una
settimana, avrebbe potuto non sapersi fermare. Ti rendi conto che grande rischio
hai corso? Damon non ha l’autocontrollo di Stefan”.
“Damon e Stefan sono due persone distinte, sono
diversi in tutto, non serve che li metti sempre a paragone”.
“Ecco appunto, sono due opposti”.
“Uno è buono e l’altro è cattivo, non è vero? Non è
forse questo quello che pensi? Se al posto di Damon ci fosse stato Stefan non
ci sarebbero stati problemi se gli avessi dato il mio sangue per farlo stare
meglio, non è forse così?”
“Stefan non ti avrebbe mai fatto del male”.
“E invece Damon si?” gli urlai più arrabbiata che
mai.
Era ottusa, ecco cos’era.
Volevo ringraziare tutti coloro che
leggono la mia storia, chi l’ha inserita nelle preferite, nelle seguite e in
quelle da ricordare. Ringrazio anche tutti i lettori silenziosi e anche tutti
coloro che recensiscono.
Un bacione e grazie ancora.
Prossimo aggiornamento: Martedì 19 Aprile