{ Capitolo 1
~ Tuonare non è
compito mio, ma di Zeus1
Alessandria
d’Egitto,
48 a.C.
-Una nave! Una nave!-
Il giovane corse lungo la
strada polverosa di Alessandria, senza curarsi delle persone che urtava nel suo
lanciarsi verso il porto. Anzi, rideva, rideva di gusto per ogni insulto che
gli cozzava contro le orecchie, perché il solo sentire tutte quelle lingue
diverse mescolarsi ai profumi della sua città riusciva a scaldargli il cuore.
Superò con un salto alcuni
vasi che erano rotolati lungo la strada e raggiunse finalmente lo spiazzo
ingombro del porto: teste da ogni dove e d’ogni colore brulicavano davanti alle
grandi navi, sbatacchiate qua e là da qualche corrente più forte delle altre.
Le onde si infrangevano lungo i fianchi con uno sbocciare di creste candide,
rese ancora più luminose dal carro del sole, i cui cavalli scalpitavano
ardenti, grattando la volta azzurra del cielo con gli zoccoli. Di lontano si
ergeva il profilo nero del Faro, alto e imponente: cominciato sotto il Sotere e
concluso col Filadelfo2, ricordava a chiunque abitasse e sostasse ad
Alessandria la maestosità del Regno dei Tolomei.
Il giovane riuscì a
passare fra i mercanti e i curiosi ammassati nel porto, fino a che non
raggiunse la passerella della nave appena attraccata e rimase ritto ad
aspettare che i primi uomini scendessero da essa. Gettò un’occhiata veloce al
mare e aggrottò la fronte: lontano, tra le onde, un’altra nave, un punto nero
contro l’orizzonte, pareva attendere il suo destino. Così, in balia delle onde,
veniva sbattuta a destra e a sinistra dalla corrente impietosa e i gabbiani
dalle ampie ali vi passavano veloce accanto, sfiorandone appena il profilo e
allontanandosi subito dopo.
Si udì scricchiolare ed
imprecare, e il giovane tornò immediatamente a concentrarsi sull’uomo che stava
scendendo la passerella. Attese che mettesse i piedi traballanti sul porto e
subito gli fu accanto
-Portate libri con voi? Se portare dei libri vi chiedo di consegnarmeli
immediatamente. Verranno portati alla Biblioteca e.3.- ma non
poté continuare perché l’uomo, con un ringhio, lo gettò a terra,
indirizzandogli un pugno allo stomaco.
Il ragazzo crollò sulle
ginocchia, stringendosi il ventre con le braccia ; faceva fatica a respirare ed
un rivolo gli colava dagli angoli della bocca; rialzò lo sguardo e, da dietro
le ciocche scure, gli occhi di colore diverso l’uno dall’altro si strinsero,
lampeggiando d’ira.
-Come osi- sibilò,
tornando inconsciamente alla sua lingua natia –Come osi..-
L’uomo gli rivolse
un’occhiata colma di disprezzo: le labbra rese livide dal salino si
sollevarono, rivelando denti storti e neri. Si chinò davanti al giovane e lo
afferrò al collo, sollevandolo senza sforzo.
-Hn..- gemette il ragazzo,
cominciando a scalciare e artigliando il polso dell’altro; questi storse la
bocca e lo lanciò via. Gli sputò contro e si allontanò veloce dal porto.
Il giovane tossì una, due,
tre volte, massaggiandosi il collo: le dita dell’uomo erano callose, di chi ha
tenuto a lungo una spada fra le mani. Non era un mercante, era un soldato.
Alzò gli occhi e vide
tutti gli sguardi puntati su di lui; si rimise in piedi e se ne andò, diretto
al palazzo.
***
-Ammone-
Il giovane si voltò.
-Ammone Tolomeo, Madre- la corresse con
gentilezza.
Gli occhi della donna
fremettero ed il ragazzo sentì la vergogna stringergli il cuore; chinò quindi
il capo, succhiandosi appena le labbra, mentre con lo sguardo seguiva l’ombra
della Madre, resa flessuosa e liquida dalla luce che sgorgava dalle colonne.
-Chi ti fece quei segni,
figlio mio?-
Ammone rialzò il viso,
passandosi istintivamente la mano sul collo; mentre sotto le sue dita si
delineavano i segni lividi delle mani callose dell’uomo, i suoi occhi si
posarono sulla figura della vecchia Madre.
Divino Zeus pensò il giovane E’ davvero anziana.
Era esile, più esile di
quanto si ricordasse: il viso, triangolare e ben modellato, era circondato
dalle ciocche d’ebano della parrucca tripartita4; gli occhi, così
intensi da fare male, erano ancora più scuri e profondi per la linea nera del kohl, che le arrivava sino alle tempie.
Le labbra, rosse come il sangue di Iside, avevano la medesima espressione
ieratica di Hatshepsut, sollevate
nell’affascinante sorriso della bella Nefertiti.
Il collo esile, bruno,
sosteneva il mento regale, e il collare d’oro e lapislazzuli che le cadeva
dalle spalle spigolose lo rendevano assai più lungo ed elegante, simile a
quello candido degli Ibis sacri al dio Thot; i seni cadenti erano lasciati
scoperti e viticci e foglie e gocce d’acqua delineati con l’henné sbocciavano dai capezzoli bronzei.
Dal petto fino alle caviglie, il corpo sottile era fasciato da una veste
scarlatta; tutta la sua figura baluginava d’oro per le ali d’avvoltoio che si spiegavano
sul suo capo, unite al bracciale che portava sopra il gomito ed ai sandali ai
piedi, così belli e preziosi che nessuna Grande Regina poteva vantarsi di aver
posseduto in vita.
Era splendida, ma soffusa
di un’aria decadente, offuscata della sabbia che lenta si sollevava dalle dune
e ricadeva poi in silenzio, stendendosi morente sul corpo assetato della Terra
Rossa5.
Stava morendo, Ammone lo
sapeva. E ogni giorno lo sentiva sempre più chiaramente. E il suo cuore si
stringeva con un gelido singulto.
-Nulla di cui
preoccuparsi, Madre. Solo un soldato che non aveva libri da donare alla
Biblioteca. Voi, piuttosto- le disse, fissandola con un sorriso –Ancora non
avete indossato il chitone che vi ho regalato-
La donna non perse
l’espressione serafica che le aleggiava leggera sul viso
-Ancora non è giunto il
momento-
-E quando sarà?- le chiese
Ammone, non potendo trattenersi dal dare a quella domanda una sfumatura
infastidita.
Gli occhi della Madre
furono offuscati da un velo di tristezza
-L’oracolo di Amon me lo
rivelò- sussurrò, stringendo il sistro che stringeva nella mano sinistra –Ma
non ho parole e cuore per risponderti-
Il giovane fece per dire
qualcosa, ma uno scalpiccio di passi dietro di sé lo costrinse a voltarsi: una
piccola serva veniva nella sua direzione, trafelata e col viso arrossato per la
corsa.
-Mio Signore- boccheggiò
la bambina, a malapena doveva avere tredici anni –Il Faraone vi vuole nella
Sala del Trono-
Ammone gettò un’occhiata
veloce alla Madre, poi alla servetta
-Così sia- rispose dopo
poco –Se questo è il desiderio del Faraone- e fece per avviarsi, ma la bambina
lo fermò
-No, mio Signore! Il
Faraone ha ordinato che vi presentiate al suo cospetto lavato, profumato e
vestito come si conviene ad una persona del vostro rango-
Un brivido corse lungo la
schiena del giovane, che non poté trattenersi dall’inarcare un sopracciglio
-Per quale motivo?-
La servetta si guardò
all’intorno, per essere sicura di non essere ascoltata da orecchie indiscrete,
poi mormorò
-Uno straniero è venuto a
chiedere udienza al Faraone. Un soldato dall’oltremare-
***
Quando Ammone fece il suo
ingresso nella Sala del Trono notò subito la mancanza della Madre: era come
fissare le vaste distese della Terra Rossa e non vedere i raggi del sole
ondeggiare simili a vipere cornute sul profilo delle dune. Era una parte
essenziale dell’Egitto, era l’Egitto. Un Egitto antico quanto il Mondo ed
escluderlo significava chiudere gli occhi al volto del passato e gettarsi cieco
e nudo in un futuro privo di storia.
-Dove si trova Madre
Egitto?- domandò immediatamente il giovane –Per quale motivo non è qui?-
Tolomeo XIII, con
le sue grasse labbra ed il viso congestionato6, lo fissò assottigliando lo sguardo.
Accanto a lui il fedele Potino, viscido come i mangiatori di carogne, fremette;
lo si sarebbe potuto trovare piacente coi capelli neri che scendevano in
morbidi riccioli sulle tempie, col corpo ben proporzionato reso ancora più
appetibile dai raggi del sole che si incuneavano lungo le pieghe della veste
alla greca, ma c’erano quegli occhi sempre scrutatori, sempre ingannevoli, che
non stavano mai fermi, così concentrati a cogliere la più piccola fiamma da
sfruttare nell’oscurità degli intrighi di corte. E quelle labbra sottili, morse
dai denti affilati..No, Ammone detestava quell’uomo. Lo odiava con tutte le sue
forze, ma fino a quando il Faraone non avesse smesso di gridare roco il suo nome
nel silenzio delle sue stanze, allora non ci sarebbe stato modo di allontanarlo
da Palazzo7.
-La presenza di tua Madre
non era necessaria- rispose Tolomeo, tornando a fissare la porta principale
della Sala, ancora chiusa. Al giovane quel patetico tentativo di assumere il
volto eterno delle statue di Ramses II fece
sgorgare un singhiozzante riso sulle labbra; Potino lo fulminò con lo sguardo
ed egli si affrettò a tornare serio, senza però cancellare il ghigno sprezzante
che gli inclinava la bocca.
-Mia Madre non deve essere
tenuta lontana dalle questioni di Palazzo- commentò comunque Ammone,
avvicinandosi al trono –Non si può tenere lontano l’Egitto e lo sapete-
-Sei tu l’Egitto, ora-
sibilò il Faraone, roteando le iridi scure verso di lui –E tu sei qui. Ora
siedi e fa’ silenzio-
Il giovane avrebbe
preferito ribattere, ma l’occhiata di Potino e lo schiudersi delle porte lo
fecero zittire all’istante.
Quale fu poi il suo
stupore nel vedere entrare proprio il soldato che quella mattina lo aveva afferrato
al collo e gettato di malagrazia sullo spiazzo del porto!
E la meraviglia dell’altro doveva essere la
stessa, se non superiore, pensò ad un tratto Ammone immaginandosi come doveva
essere vedersi con occhi estranei, di lasciar scorrere lo sguardo sulla tiara
d’oro, sull’ureo sibilante di
granato, sul chitoniskos8 talmente
candido da abbacinare la vista, sul collare d’Horus con le ali spiegate e sulla
spilla con incisa la saetta di Zeus. Si chiese cosa si provasse nel vedere il
ragazzetto sporco di polvere e di terra tramutato d’improvviso in una divinità
dalle iridi di diverso colore l’una dall’altra.
***
-Mai!- urlò Ammone, gli
occhi che traboccavano d’ira –Mai! Voi non sapete! Non sapete!- si portò le
mani ai capelli, stringendo con forza le ciocche –Nulla voglio avere a che fare
con Roma, né con ciò che la circonda! Ogni cosa che tocca..! Voi non sapete,
non sapete! Non avete mai sentito i vostri fratelli…Voi non sapete, non sapete
nulla!-
Il giovane cadde bocconi,
il respiro che gli mordeva i polmoni, il corpo scosso da brividi e singhiozzi,
la bocca che vomitava parole sconnesse e gemiti e urla. Ricordava, ricordava
con viva forza tutta la distruzione che Roma aveva portato ai suoi fratelli,
tutto il male che aveva fatto loro, il sangue, le sevizie, il dolore.
-Voi!- gridò ancora,
alzando faticosamente il volto –Voi non avete mai sentito una lama gelida
conficcarsi nel ventre tremulo d’un bambino!-
Oh Polinice, Polinice, fratello mio Polinice9! Come piangesti
e gridasti quando gli artigli di Roma t’afferrarono il cuore e te lo
strapparono dal petto! Quante lacrime rigavano il tuo volto di fanciullo a
Pidna e come fu, come fu tremendo sentire il suo giogo stringerti il collo,
quel collo che tanto ricordava quello di Nicoforo10, nostro padre!
Si accasciò di nuovo,
stringendosi il ventre con le mani, urlando come mai aveva urlato prima,
nemmeno quando Apollonio11 si era allontanato, facendo vela verso
Rodi, lasciandolo solo sul porto con la sola compagnia di una recitazione
pubblica conclusasi nel silenzio e nei fischi e in sguardi d’astio e disprezzo.
Seleuco, fiero Seleuco12 dalla spada ardente! Non ebbe pietà
di te, Roma, quando a Magnesia ti schiacciò il petto e t’afferrò per i bei
capelli e ti premette il viso contro il terreno e--
Ricordava, Zeus, come ricordava le fauci ardenti
che dal basso della schiena gli avevano afferrato il ventre e da lì un fiammeggiare
impietoso fino alla gola, da dove aveva vomitato lacrime e sangue, sconvolto
nella mente e nell’anima, mentre da dietro le palpebre chiuse riusciva a vedere
il fratello bocconi sulla terra di Magnesia e Roma sopra di lui che lo umiliava
tra le risa, una sconfitta resa ancora più amara da quelle dita callose che lo
costringevano a terra.
Ricordava, Ammone, le
notti passate nella febbre e nel delirio, quando di ogni frammento dell’anima
di Nicoforo che ancora perduravano, lui era rimasto solo, quando anche Pegamo
si prostituì a Roma, lei con le sue capre e con le sue pelli che l’avevano
sfidato nell’unico campo in cui egli potesse ancora rivaleggiare: quello della
cultura13. In quegli incubi scarlatti di sangue nemmeno gli infusi
del Fiore Rosso avevano qualche potere, nemmeno le fresche mani di sua Madre
che lo aveva vegliato senza mai distogliere lo sguardo.
-Voi non sapete!- concluse
con un gemito strozzato, tentando di riprendere fiato –Voi non sapete..-
Ci fu silenzio, rotto solo
dai sospiri del giovane e dal sibilo sprezzante di Potino.
-Non sarai tu a decidere,
Egitto- disse freddamente Tolomeo.
Ammone alzò lo sguardo,
gli occhi sbarrati
-Come..?-
-Che ne vuoi capire tu di guerra e alleanze? Guarda, guarda
le tue dita, Egitto! Non spada, non scudo esse hanno afferrato, ma papiri e
stili! Torna alle tue amate carte, ai tuoi poeti dalle ossa sabbiose e dalle
voci silenti e lascia che sia io ad occuparmi di tutto. E io esigo l’alleanza con Caio Giulio Cesare
e sono certo che questi troverà di suo gusto il dono che ho intenzione di
portargli..- la frase sfumò in un ghigno ferino.
Il giovane tentò di nuovo
-No! Per gli Dei, no! Voi
non..-
-Tuonare è compito di Zeus, dico bene?-
Ammone rimase zitto e gli
occhi fissarono con odio sia il Faraone che Potino; poi se ne andò senza
aggiungere altro. Fuori dalla Sala incontrò lo sguardo ardente di Cleopatra;
non le disse nulla, ma fu sicuro che la donna avesse compreso comunque ogni
cosa.
***
Alessandria d’Egitto,
29 Settembre 48
a.C.
La luna piangeva e le sue
lacrime cadevano argentee nello specchio d’acqua del Museo14. Ammone
sedeva sulla base marmorea ed ogni tanto andava ad increspare la superficie altrimenti
liscia, facendo ondeggiare la fluente e dorata chioma di Berenice15,
che tremolava nella volta nera della notte.
-Il Faraone non ha voluto
ascoltarmi- mormorò il giovane, sicuro della presenza della Madre dietro di sé –Mi
ha ricordato quanto poco sappia delle armi e della guerra-
La donna gli sedette
accanto e Ammone, come quando era bambino, posò il capo sulle sue ginocchia,
aspirando con le lacrime agli occhi l’intenso profumo dell’incenso. Le dita della
Madre andarono ad affondare nei suoi capelli, cominciando ad accarezzargli la
nuca, mormorando di tanto in tanto una parola o un accenno di canzone che lui
non capiva.
-Splende la Luna e Bastet15 fa sentire il suo
miagolio per le vie addormentate-
-Dovevate essere
splendida, Madre, quando cavalcavate in battaglia accanto ai Grandi Re- mormorò
il giovane in risposta –Vi immagino, bella e terribile come Sekhmet16, col disco solare
sul capo reso ancora più incandescente dalla sabbia e dal sole. Qualunque
nemico si sarebbe inginocchiato al solo vedervi-
Ancora silenzio, tale che
la Madre non sembrava intenzionata a sciogliere.
-Com’era Nicoforo, Madre
mia? Com’era mio padre?-
-T’assomigliava nello
sguardo e nello spirito. Si presentò a me recitando un verso d’Omero e si accomiatò
come quell’Ettore di cui tanto mi parli, quando saluta la moglie diletta sulle
mura della città. Ricordo la sua voce e le sue mani, fatte per impugnare le
spada; il suo cuore come quello d’un bambino, ed il suo aspetto di uomo, o
meglio, di ragazzo costretto a crescere troppo in fretta-
-Lo amavate, Madre?-
-Miseri, miseri noi- gemette
la donna –Misero chi condivide il nostro destino. Noi cui è negata l’immortalità,
ma non è concesso essere umani. Per noi, figlio mio, non esiste l’amore. Non
esiste neppure l’odio. Esistono solo la pace ed il fuggevole momento vissuto
fra i veli d’un talamo, e la guerra, dove la furia acceca anche chi, solo il
giorno prima, si era professato amante e amato. La vittoria ci porta ad
aggiogare i nemici, la sconfitta ad essere aggiogati. Dove prima c’erano
carezze e sussurri, non restano che lame di pugnali e ordini di battaglia-
Ammone tremò a quelle
parole e strofinò il viso contro le ginocchia della Madre.
-A quanti avete concesso
il vostro talamo, Madre mia?-
Un venticello fresco stormì
nel silenzio della notte e nell’assenza di parole.
-Non è questa la domanda
giusta da pormi, figlio mio- fu la risposta, appena mormorata –Ma a quanti tagliai
la gola quando Khepri18
ancora velava d’argento le nostre labbra, dischiuse nell’ardore d’un bacio-
***
La nave era nera contro l’orizzonte,
sbatacchiata da una parte e dall’altra dalle correnti.
Ammone non corse come suo
solito verso il porto, ad altri lasciò il compito di prelevare i libri delle
imbarcazioni appena attraccate.
Continuò a fissare quel
punto lontano, la nave di Gneo Pompeo
Magno. Continuò a guardare lontano fino a quando, alzate le mani, non le
vide macchiate di sangue.19
Poco tempo dopo arrivò l’ordine perentorio di Cesare
di presentarsi al suo cospetto.
{~***~}
- 1Callimaco, Àitia,
I
- 2Rispettivamente
Tolomeo I e II
- 3In greco nel testo
- 4L’aspetto fisico di Madre Egitto richiama quello di Nefertari (parrucca tripartita
sormontata da spoglia di avvoltoio). In Madre Egitto ho voluto far confluire
tre delle più importanti Grandi Regine dell’Antico Egitto: Hatshepsut,la donna che osò raffigurarsi con gli emblemi del
Faraone, Nefertiti, moglie di
Akhenaton, Il “Faraone Eretico” e infine Nefertari,
Grande Sposa Reale del Faraone Ramses II, la Sposa Guerriera dalla spiccata
intelligenza.
- 5Terra Rossa = Terra non fecondata dalle esondazioni
del Nilo = Deserto
- 6"Deh! Avevo fatto un casino immane e avevo confuso l'Aulete col figlio. Non è Tolomeo XII, ma XIII.
- 7Potino era il consigliere più fidato del XIII e,
si dice, anche il suo amante
- 8Tipica veste greca maschile. Il chitone era, insieme
al peplo, l’abito femminile.
- 9”Che vince molte battaglie”, OC! Regno Ellenistico
di Macedonia. Perseo viene sconfitto a
Pidna del 168 a.C. da Lucio Emilio Paolo e nel 146 a.C. il Regno di Macedonia
diventa provincia romana.
- 10 “Che porta la vittoria”, OC! Impero Macedone
- 11Autore delle “Argonautiche”. Il soprannome “Rodio”
gli deriva proprio dall’esilio volontario cui egli si costrinse dopo che una
sua lettura pubblica dell’opera non incontrò il favore del pubblico.
- 12OC! Regno Ellenistico di Siria, divenuto dominio di
Roma con la battaglia di Magnesia del 189 a.C.
- 13 OC! Regno di Pergamo, che divenne possedimento di
Roma attraverso il testamento di Attalo III. Quando l’Egitto blocca le
esportazioni di papiro, Pergamo utilizza le pelli di pecora come nuovo
materiale scrittorio (la pergamena, appunto). A Pergamo vi era anche l’altra
grande Biblioteca d’età Ellenistica. E molte erano le diattribe tra gli
studiosi Alessandrini e quelli di Pergamo
- 14Il “Museo” è la “Casa delle Muse” che affiancava la
Biblioteca
- 15Callimaco, La
Chioma di Berenice
- 16Dea Gatta, divinità
lunare
- 17Dea Leonessa, divinità guerriera per eccellenza
- 18Forma di Ra al mattino
- 19Convinto di avere in tale modo l’alleanza con
Cesare, Tolomeo ordinò che Pompeo, che aveva chiesto rifugio al Faraone,
venisse ucciso tagliandogli la testa, che venne presentata al futuro imperator in un cesto di vimini, insieme
all’anello.
Grazie a Claw e a Pik, davvero non so
che dire! ^V^
E scusate per le note finali kilometriche XD