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Autore: bluemary    23/04/2011    2 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune'
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Grazie mille a chi segue questa storia, che ormai è agli sgoccioli, a chi l'ha inserita in una delle tre liste e soprattutto a chi è tanto gentile da lasciare un commento. Inoltre auguro a tutti tanti auguri di buona Pasqua!




-Capitolo 20: L’alba dei guerrieri-

Lotar si svegliò poco dopo l’alba.
Con le palpebre ancora sigillate dagli ultimi strascichi di sonno e la mente avvolta da un piacevole torpore cercò il corpo dell’Oscura accanto al proprio, ma la sua mano incontrò solo un materasso gelido. Uno strano presentimento lo colse, quando si rese conto di non udire alcun suono nella stanza, nemmeno il respiro sommesso e appena percettibile che si era divertito a studiare la sera prima ed ora avrebbe dovuto intrecciarsi col suo.
Finalmente si decise ad aprire gli occhi.
Lei era in piedi, accanto al suo letto, pronta a trafiggerlo con una lama avvolta dall’azzurro bagliore della magia.
Subito cercò di muoversi e sfuggire a quell’attacco inaspettato, ma si rese conto che il potere della donna l’aveva già avvolto tra le sue spire, impedendogli di reagire.
Con una freddezza nata dalla paura della morte imminente cercò di studiare un piano per salvarsi da una fine che non era mai stata tanto vicina. Sapeva che, se solo fosse riuscito a mantenere la lucidità che lo caratterizzava, avrebbe trovato un modo per liberarsi da quella situazione ed uscire vincitore com’era sempre successo, ma il volto bellissimo dell’Oscura stava adesso occupando ogni angolo della sua mente, soffocando qualunque suo pensiero come un impalpabile incantesimo da cui non riusciva a sottrarsi.
Senza nemmeno cercare un punto debole in quegli anelli di magia che lo tenevano prigioniero, si abbandonò sul letto, incapace di distogliere lo sguardo da lei.
- Perché, Sawhanna?
La donna sollevò il pugnale.
Una lacrima scese a deturpare la levigatezza di quelle guance color della luna e s’infranse sul petto nudo del mago.
- Bisogna distruggere ciò che ci rende deboli.
Il suo bel volto si trasfigurò in una maschera di violenza, in modo da soffocare qualunque emozione stesse turbando i suoi lineamenti, e quella lama di acciaio e magia seguì lo stesso percorso della lacrima, penetrando nel torace dell’uomo per raggiungere quel muscolo pulsante che la sera prima aveva battuto con tale rapidità da regalargli l’illusione di poter assaporare, sia pure per qualche minuto, uno sconosciuto calore.
Incapace di reagire, Lotar sentì il freddo metallo farsi strada attraverso i suoi tessuti, lacerare la pelle e la carne con una violenza insopportabile, costringendolo a mordersi le labbra per non urlare il suo dolore.
La magia che lo imprigionava si indebolì all’improvviso e gli regalò un secondo di libertà.
Subito afferrò il polso della sua assassina, senza nemmeno la forza o la volontà di allontanare da sé quella mano che lo avrebbe ucciso. Con le ultime energie cercò di mantenere lo sguardo fisso su di lei, ma già la vista cominciava ad offuscarsi assieme alla sua mente, mentre il sangue caldo che usciva a fiotti dalla profonda ferita al petto inzuppava le coperte immacolate ed una chiazza rossa si allargava sul materasso sul quale era disteso.
Un unico pensiero gli folgorò la mente in quell’ultimo respiro, l’inaspettata certezza che il dolore fisico era stato soverchiato da un’amarezza inspiegabile e carica di rimpianto; poi il pugnale giunse a reclamare la sua vita e lui cadde in un abisso di incoscienza, verso un’oscurità senza fine.

Ghedan stava leggendo un libro senza troppo interesse.
Il suo maniero era rimasto quasi totalmente sguarnito a causa dell’ultima guerra di conquista contro la vicina città di Turik ed i pochi soldati di guardia non avevano alcuna notizia da riferirgli, così troppo spesso il suo sguardo si sollevava dalle pagine ingiallite di quell’antico tomo per soffermarsi sulle sfarzose decorazioni che adornavano quell’ampia sala o sui dipinti appesi alle pareti.
Nonostante tutti i suoi sforzi, il suo castello non riusciva a ricreare la raffinata eleganza della dimora di Sawhanna, né l’impressione di lusso ed autorità che caratterizzavano la gigantesca fortezza di Daygon, tuttavia, in quella stanza dove aveva riunito tutte le sue ricchezze, forse l’unica a non rappresentare le ombre crudeli della sua personalità, poteva mantenere l’illusione di essere il più potente e temuto tra i dominatori di Sylune.
Un sorriso sarcastico si dipinse sulle sue labbra, al consolante pensiero che, almeno in confronto al sobrio stile con cui Lotar aveva arredato le sue stanze, la sua reggia pareva appartenere ad un sovrano di lignaggio di gran lunga superiore.
Non era mai stato nel castello di Kyzler ed aveva fondati sospetti che, a parte il più forte di tutti loro, nemmeno gli altri Re l’avessero mai visitato. Nonostante fosse stato l’ultimo ad unirsi a loro come sovrano di Sylune, quel taciturno ragazzo dai capelli bianchi rimaneva ancora un mistero ai suoi occhi, uno strano quanto inquietante alleato che solamente Daygon pareva in grado di comprendere o, quantomeno, controllare. Non conosceva le sue origini, né il motivo per cui avesse deciso di affiancarli nelle loro lotte di conquista, vista la sua totale indifferenza per il potere e le ricchezze; l’unica cosa certa era che Kyzler pareva interessarsi solamente allo sviluppo della propria magia, disdegnando qualunque tipo di contatto con gli altri Re di Sylune.
Correva voce che fosse stato lui stesso, da solo, a conquistare ogni singola città di cui adesso era il sovrano e, nonostante lo scetticismo con cui aveva accolto queste dicerie, Ghedan non poteva esimersi dal considerare che forse quel giovane Oscuro ne sarebbe stato davvero capace.
Rabbrividì istintivamente nel ripensare a quella prova di forza che neppure il più potente di loro aveva mai compiuto.
Quell’albino lo intimoriva quasi quanto Daygon.
L’aveva incontrato una sola volta ed in quell’occasione i suoi occhi chiarissimi gli avevano causato un disagio tanto intenso da spingerlo a distogliere lo sguardo, come se quel ragazzino dall’espressione imperscrutabile potesse davvero rappresentare una minaccia per lui.
Si agitò nervosamente sul suo scranno, preferendo riportare la sua mente su argomenti di riflessioni ben più piacevoli ed attraenti.
Come mille altre volte nei giorni passati ripensò al futuro, quando finalmente sarebbe riuscito a trovare una magia abbastanza potente da sconfiggere Daygon e gli altri Oscuri, ed ottenere in tal modo la sua rivalsa su quei maghi presuntuosi ed arroganti da cui veniva disprezzato; ormai dimentico del libro che giaceva scompostamente ai suoi piedi, lasciò vagare la mente su quei progetti di vendetta che lo avrebbero reso il dominatore incontrastato di Sylune, cullandosi in questa speranza di cui non si permetteva nemmeno di dubitare.
Un discreto rumore di passi interruppe le riflessioni con cui stava lentamente scivolando nel sonno.
- Per quale motivo osi disturbarmi? - chiese con un velo di irritazione, mentre uno dei suoi cortigiani entrava e si inchinava profondamente davanti a lui, dimostrando l’evidente servilismo di cui amava circondarsi.
- Mio signore, una ragazza chiede di vedervi.
L’Oscuro rimase in silenzio, tanto sorpreso da non sapere cosa replicare. Abituato ad essere temuto da tutti gli abitanti di Sylune non si aspettava certo che qualcuno lo cercasse volontariamente e non era sicuro se dover provare irritazione o semplice curiosità per questo strano avvenimento.
- Sei sicuro che sia una semplice ragazza? Non è agli ordini degli altri Re?
- No, mio signore, viene da un villaggio qui vicino.
- E cosa vuole?
- Ha detto che solo voi potevate aiutarla, è giunta con un’ancella ed il fratello. Volete che li mandi via?
Il mago si accarezzò il corto pizzetto nero con la mano, riflettendo un paio di secondi.
La sua natura egoista non gli avrebbe mai permesso di aiutare qualcuno senza un tornaconto personale, in particolar modo se a chiederglielo era l’esponente di una razza che lui disprezzava con tutto se stesso. Non provava alcuna pietà per gli umani, ritenendoli esseri deboli e inferiori, atti solo a servirlo o a soddisfare i suoi desideri, e l’idea che una ragazza avesse potuto anche solo sperare nel suo aiuto lo faceva sorridere; tuttavia dare un’occhiata a chi aveva osato andare fin nel suo castello avrebbe potuto spezzare la noia che lo avvolgeva.
- Fateli passare. - ordinò.
Pochi secondi più tardi tre persone entrarono nella sala, scortate da un piccolo drappello di soldati.
L’Oscuro li studiò in silenzio per qualche secondo mentre si inchinavano.
La ragazza aveva un volto molto grazioso e decorato da piccole lentiggini, che donavano alla sua espressione una sfumatura allegra, nonostante i suoi occhi castani fossero rivolti rispettosamente verso il pavimento. Dietro di lei, con una vistosa benda che gli copriva gli occhi, stava un giovane di poco più grande, con i capelli neri dalla frangia disordinata ed il fisico troppo magro per essere un soldato, mentre la terza componente del gruppo, un’ancella bionda che indossava abiti maschili, gli era accanto, pronta a guidare i suoi passi.
Ghedan congedò i soldati con un cenno; secondo i suoi ordini ogni visitatore doveva essere perquisito prima di poter entrare nel castello ed i tre umani di fronte a lui non sarebbero stati una minaccia nemmeno armati.
Rimase in silenzio per quasi un minuto, non tanto per riflettere, quanto per il perverso piacere di accrescere la loro tensione, prima di soffermare il proprio sguardo sull’umana da capelli lunghi.
- Avvicinati. - ordinò all’improvviso.
Con un freddo sorriso la vide deglutire e poi compiere incerta un paio di passi in avanti, le mani aderenti ai fianchi e contratte come per trattenere il nervosismo che la attanagliava e la testa china in segno di rispetto o, più probabilmente, paura.
- Perché siete qui?
La ragazza si morse un labbro, prima di ritrovare la voce per rispondergli.
- Vi prego, mio signore, aiutate mio fratello a recuperare la vista. - supplicò, osando infine sollevare gli occhi castani sull’Oscuro.
Ghedan sorrise nel leggerci un’intensa sensazione di timore.
Si alzò dal suo trono, lisciandosi la sfarzosa veste ricamata che quella mattina aveva scelto accuratamente tra i tanti abiti in suo possesso, conscio di averne sporcato di sangue un numero ancora maggiore a causa del suo passatempo preferito.
La percezione di un potere poco distante lo colpì all’improvviso, come un piccolo richiamo nelle sua mente abbastanza flebile da poter essere ignorato, ma, non appena cercò di comprenderne la provenienza, essa scomparve, lasciandogli solamente la frustrante consapevolezza dei propri limiti.
Strinse i pugni, soffocando quello sgradito pensiero e riportando la propria attenzione sulla giovane che continuava a fissarlo intimorita, ancora in attesa della sua risposta
Incrociò le braccia al petto, mentre la squadrava dall’alto in basso.
- Potrei farlo. Ma cosa ci guadagnerei?
- I nostri genitori ci hanno lasciato delle terre e del denaro, vi darò ogni cosa se accetterete di curarlo.
L’Oscuro rimase in silenzio per qualche secondo, come se avesse realmente l’intenzione di riflettere su quell’ingenua proposta.
- Mi daresti anche la tua persona? - le chiese poi, allargando le labbra in un ghigno poco rassicurante.
Quel gioco lo divertiva, aveva da sempre amato infliggere la paura ed il dolore ad esseri più deboli di lui, ormai non contava più le giovani donne che avevano perso la loro innocenza nel suo letto, tra pianti e suppliche disperate rimasti sempre inascoltati.
Come previsto, la ragazza impallidì, sgranando gli occhi in un’espressione sorpresa e lanciando uno sguardo ai due compagni alle sue spalle in una muta richiesta d’aiuto che lo fece sorridere perversamente.
- Tutto quello che vuoi offrirmi me lo posso prendere senza alcun problema. - sibilò, con un lampo di soddisfazione - Te compresa.
Le si avvicinò di un paio di passi, divertito dai suoi occhi sbarrati per lo stesso terrore che le aveva congelato le gambe, lasciandola incapace di muoversi. Con un movimento falsamente dolce le sfiorò i capelli castani pettinati in una coda alta, che metteva in risalto il viso dai tratti delicati, quasi da bambina, percependo anche senza toccarla la lacerante tensione da cui era pervasa. Lei non fece alcun tentativo di ribellarsi, si limitò a contrarre i pugni fin quasi a ferirsi con le sue stesse unghie, mentre l’ombra scura del panico si allargava nel suo sguardo.
Ghedan sorrise ancora.
L’ancella ed il fratello presto avrebbero fatto la conoscenza delle sue segrete, erano giorni ormai che non aveva prigionieri in buone condizioni da torturare a suo piacimento; in quanto a quella fragile ragazza dai capelli castani, avrebbe potuto essere un ottimo passatempo per quella notte.
Le appoggiò una mano sulla spalla, avvicinandola a sé con un movimento brusco che le fece quasi perdere l’equilibrio, lanciando nel contempo un’occhiata agli altri due giovani, nella speranza di una reazione che avrebbe dato inizio ad un combattimento interessante quanto scontato.
In realtà non aveva bisogno di alcun pretesto per assecondare i propri desideri, tuttavia un attacco suicida da parte loro lo avrebbe divertito; già si immaginava la scena, pregustando l’orrore e la paura di quella ragazzina che avrebbe visto il fratello e la sua accompagnatrice agonizzanti in un lago di sangue, con le membra dilaniate dalla magia, prima di ritrovarsi nel suo letto, costretta a compiacerlo.
Bruscamente le afferrò il mento, in attesa di trovare in quegli occhi castani carichi di innocenza e paura la lucente scia delle lacrime, senza però perdere di vista gli altri due giovani.
Subito l’ancella fece un passo in avanti, insinuando la mano sotto l’ampio mantello che, come quello degli altri ragazzi, era chiuso sul davanti da due fibbie poste all’altezza del torace e della vita.
Di nuovo tornò quello strano presentimento, una percezione di potere tanto debole da poter essere frutto della sua immaginazione, ma Ghedan, più interessato allo scontro imminente che a scoprirne la provenienza, lo ignorò.
Con la bocca contorta in un orribile sorriso allentò la presa sulla ragazza per fronteggiare la giovane bionda e la sfidò con lo sguardo a fare un altro passo, indispettito di non trovare nei suoi occhi alcuna esitazione.
Proprio quando stava per richiamare a sé la magia ed avvolgere tra le fiamme quella ragazza arrogante, comprese la fonte di quella sensazione che gli aveva accarezzato la mente per ben due volte nei minuti precedenti, ma si mosse un attimo troppo tardi.
Con un movimento fulmineo, Sky afferrò le due spade che teneva nascoste sotto il mantello e lo trafisse profondamente al petto.
Non sentì nemmeno l’urlo di dolore di Ghedan; mentre gli appoggiava l’altra lama alla gola, tutta la sua attenzione era rivolta verso il battito troppo veloce del proprio cuore ed il tremito che la pervadeva senza sosta.
Respirò a fondo per calmarsi.
Durante quei lunghi secondi in cui si era trovata tanto vicina all’Oscuro era stata sicura che presto lui sarebbe riuscito ad avvertire la magia con cui Kilik aveva occultato le loro armi, e questa certezza le era penetrata fin nelle ossa, sussurrando nella sua mente parole di morte e disperazione ed indebolendo la sua volontà. Ancora non sapeva come fosse riuscita a sopprimere l’impulso quasi irresistibile di attaccare Ghedan e porre fine così a quel momento di angoscia ed tensione, attendendo invece il momento più opportuno.
Aumentò la stretta sull’impugnatura delle due spade, confortata da quel peso familiare che le restituiva il coraggio di cui, per un attimo, si era sentita priva, e subito si rivolse ai compagni.
- Le porte! - urlò, mentre Kilik si toglieva le bende e Rafi, dopo essersi liberata del mantello, correva a barricare le due entrate della sala, utilizzando come assi alcune delle lance ornamentali appese alle pareti.
Attraverso le terribili fitte di dolore che lo attraversavano, Ghedan riconobbe le iridi viola del giovane.
- Un Etereo! - esclamò, per un attimo dimentico dei propri propositi di vendetta.
Subito Rafi si volse, lanciando uno sguardo alla compagna che aveva spinto il mago contro la parete più vicina e continuava a tenerlo sotto la minaccia delle proprie armi.
- Perchè non l’hai ancora ucciso? - urlò, mentre si allontanava dalle porte principali appena chiuse per andare a sbarrare anche quelle laterali.
Secondo il piano studiato i giorni precedenti, il loro attacco a sorpresa avrebbe dovuto concludersi con la morte dell’Oscuro, non certo con una sua cattura.
- Prima deve rispondere alle mie domande. - rispose Kilik con la voce pervasa da una rabbia gelida ed implacabile, raggiungendo Sky.
In totale contrasto con le istruzioni ricevute da Rafi, aveva chiesto alla spadaccina di lasciare in vita il loro avversario almeno per qualche minuto invece di ucciderlo subito, così lei gli aveva inflitto una ferita profonda e forse mortale, ma senza colpire direttamente il cuore.
Dopo un muto ringraziamento all’amica, l’Etereo portò la sua attenzione sull’Oscuro, del tutto indifferente ai suoi lineamenti contorti dal dolore e del respiro roco sempre più affaticato con cui rivelava l’ingente danno ai polmoni subito.
- Dov’è mio fratello? - chiese, ignorando le imprecazioni e gli ordini che Rafi, momentaneamente occupata a sbarrare le porte laterali, gli stava rivolgendo.
- Fratello? - chiese Ghedan, sputando a terra del sangue.
- Un ragazzo con la magia che hai catturato qualche settimana fa.
L’Oscuro scoppiò a ridere proprio nell’esatto momento in cui l’assassina, con il volto pervaso da una collera omicida, finiva di sbarrare anche la seconda coppia di porte e correva a raggiungerli, chiaramente intenzionata a compiere una carneficina.
- Se vuoi puoi trovare il suo cadavere nelle segrete. - disse il mago, prima di afferrare la spada che gli trapassava il petto - E presto lo raggiungerete.
Sollevò una mano ed una forza invisibile colpì Sky allo stomaco, scagliandola violentemente contro la parete, mentre sotto gli occhi sconvolti dell’Etereo finiva di togliersi la lama dalle carni.
Subito Rafi scattò verso di lui, con un movimento tanto improvviso che a Kilik parve di vederla volare, ma l’Oscuro sollevò il braccio sinistro ed un muro di energia trasparente comparve a proteggerlo, regalandogli il tempo necessario per riprendersi dalla ferita e respingendo l’assassina, che cozzò violentemente contro di esso e terminò a terra con una capriola per attutire la caduta.
Con la mano stretta attorno alla ferita che si stava già richiudendo, Ghedan mormorò qualche parola incomprensibile e davanti a lui comparve una spada nera, con l’impugnatura ricurva e scavata in modo da aderire alla perfezione alle sue dita.
La afferrò con un sogghigno, liberandosi poi dalla pesante veste ricamata, che ricadde ai suoi piedi rivelando una tunica sporca di sangue e strappata all’altezza del petto, lì dove la spada di Sky l’aveva trafitto.
Sotto la stoffa lacerata, la pelle era intatta.
Kilik lo guardò inorridito.
Nemmeno i Custodi, gli Eterei più anziani e potenti di Sylune, sarebbero mai riusciti a rimarginare alla perfezione una ferita di tale entità in così breve tempo, in particolar modo se essa coinvolgeva il loro stesso corpo.
All’improvviso ricordò la sua infanzia, gli insegnamenti ricevuti assieme ad altri bambini della sua stirpe, primo fra tutti la consapevolezza di come la magia che li caratterizzava non fosse un potere particolare, ma una componente essenziale per la loro esistenza, la parte complementare del loro organismo; al contrario di ciò che gli umani pensavano, gli Eterei non possedevano la magia, era la magia ad essere parte di essi, allo stesso modo del sangue e delle ossa.
Per questo motivo se il corpo veniva danneggiato, anche la magia ne risultava compromessa, in misura proporzionale alla gravità della ferita subita.
Inghiottì a fatica la poca saliva ancora presente nella sua bocca e gli parve che una soffocante ragnatela gli avesse invaso la gola, impedendogli di respirare.
Fino a quel momento aveva sempre creduto che il potere degli Oscuri fosse affine a quello della sua stirpe.
Che quei maghi misteriosi possedessero le debolezze proprie di ogni altro essere vivente.
Che fossero mortali.
Erano state queste certezze a fargli arrischiare una mossa tanto pericolosa come quella di tenere in vita un simile avversario, sicuro che, con una ferita di tale entità, la sua magia sarebbe risultata smorzata e priva di efficacia.
Ed ora, tutte le informazioni su cui aveva fatto affidamento, si rivelavano errate.
Si morse a sangue un labbro, nel tentativo di arginare la disperazione che lo stava attanagliando assieme al rimorso per la situazione a cui aveva condannato le sue due alleate.
Se quell’Oscuro possedeva una magia superiore ai Custodi, sarebbero morti tutti.
Attirati dal rumore dello scontro, alcuni soldati stavano cercando di sfondare le porte, ma un ordine mentale del mago li fermò: Ghedan aveva deciso di occuparsi personalmente di quei ribelli che avevano osato sfidarlo.
Si prese qualche secondo per studiare ognuno di loro, puntando il suo sguardo su Kilik, con il volto distorto dall’orrore e dal rimorso, su Rafi, impassibile nella sua posizione di guardia, come se quel combattimento all’ultimo sangue fosse solo la naturale prosecuzione della giornata, su Sky, ancora a terra dopo il colpo ricevuto.
- Morirete tutti. - li minacciò, con gli occhi dalla pupilla bianca che brillavano di collera e malvagità - E lo farete supplicandomi di abbreviare la vostra agonia.

In un altro castello, miglia e miglia lontano da quello di Ghedan, una pace assoluta regnava nella camera del sovrano, l’unica ancora avvolta da un silenzio quasi innaturale.
Lotar aprì gli occhi di scatto.
Le sue pupille vagarono stordite nella stanza attorno a lui, riconoscendo le pareti illuminate da un pallido sole mattutino e le delicate forme di Sawhanna, ancora accoccolata contro il suo petto, mentre comprendeva che, dopo giorni e giorni di oblio, era infine tornato a sognare.
Si passò una mano sul volto, scostandosi i capelli castani dalla fronte.
Per un attimo aveva davvero temuto di essere morto…
Con la bocca che già rivelava un sorriso, sfiorò le labbra della donna accanto a lui.
Tutto stava andando come previsto.
   
 
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