Per prima cosa mi scuso per un errore madornale
commesso nel precedente capitolo: non è Tolomeo XII, ma Tolomeo XIII, fratello
di Cleopatra il Faraone. Scusate, davvero. Sono orba!
Ringrazio Claw e Pik per le loro splendide
recensioni!
Grazie *V*
{ Capitolo 2
~Ille mi par esse
deo videtur
Non avrebbe mai dimenticato gli occhi di Gneo Pompeo
Magno, non la loro forma così stretta, quasi enfia, non le palpebre cadenti,
non l’iride scura sempre accesa di sdegno verso tutto e tutti, compreso se
stesso.
Come avrebbe mai potuto dimenticare quegli occhi? La
loro fiamma di sfida, mai estinta, una lingua di fuoco che né Roma né Cesare
erano riusciti a cancellare.
Aveva bisogno, Romanus,
di ricordarsi ogni singolo dettaglio dello sguardo di Pompeo, di modo che mai,
mai fino a quando Roma avesse regnato su tutta la Terra, avrebbe sovrapposto
all’immagine di quell’uomo così grande la testa gemente che un intendente del
Faraone gli stava mostrando.
Fece scorrere gli occhi sui ricci stopposi, lerci di
sangue, sulle dita tremanti del servo che tenevano la testa mozzata, poi scese
a contemplare la fronte, solitamente
sempre aggrottata in un’espressione dubbiosa, di complotto quasi,
accartocciata dall’orrore che storceva e piegava la bocca, squarciata da un
urlo di sorpresa ed orrore; si soffermò sugli occhi, rivoltati nelle orbite,
bianchi, bianchi e lividi, già incavati nel nero dell’orbita, già risucchiati
nel teschio che presto avrebbe preteso la sua pelle pallida, resa grezza e
traslucida dalla morte.
Infine, il collo. Mozzato, i bordi frastagliati
ancora incrostati di sangue rappreso, i muscoli cadenti e flaccidi, un
frammento di osso che si faceva strada, giallastro e spezzato, fra i lembi di
pelle cadente.
Romanus sentì lo stomaco torcersi a
quella vista, lui che prima di tutti aveva sentito la morte di Pompeo, l’aveva
provato sulla propria pelle, contorcendosi nel proprio alloggio, portandosi le
mani alla gola, con la voce del grande condottiero che gli dilaniava i polmoni
e gli colava dalle labbra, come il sangue, quel sangue scuro e denso che gli
aveva macchiato le dita non appena il gelo della morte gli aveva attraversato
le membra ed il collo.
Avvertì una rabbia tremenda risalirgli il petto come
un fuoco e strinse i pugni talmente forte da affondare le unghie nella carne;
fissò con ira le suonatrici di flauto nascoste nell’ombre, zitte ad osservare
quel macabro spettacolo, le mani che tremavano attorno lo strumento, poi alzò
gli occhi sul trono, serrando la mascella nel vedere il sorriso tirato
dell’uomo che stava accanto al Faraone, il quale tradiva la sua espressione di
assoluta indifferenza stringendo la stoffa del gonnellino pieghettato e
succhiandosi le labbra.
Da ultimo si soffermò sul giovane che si teneva
nascosto dietro il trono: ne riusciva a scorgere appena il profilo e lo sguardo
apatico, vuoto, freddo.
-Chi ordinò l’uccisione di Gneo Pompeo Magno?-
Romanus si voltò verso Cesare, che
ancora si rifiutava di guardare il servo negli occhi, di prendere coscienza
dell’assassinio del suo grande rivale.
-Io, Potino, lo ordinai- l’uomo accanto al Faraone
si avvicinò, un ghigno ferino sulle labbra –Ed io lo uccisi, insieme ad
Achilla, generale di grande fama ed onore- si chinò sul cesto ai piedi di
Cesare, ne estrasse qualcosa e con un gesto diede ordine al servo di deporre la
testa di Pompeo –Per voi lo feci, è questo dono gradito a Roma?- e mostrò al
condottiero ciò che teneva in mano.
Romanus sgranò gli occhi ed indietreggiò,
colmo d’orrore, scosso nelle membra e fin dentro l’animo dalla ripugnanza e
dalla disperazione: quell’uomo, quell’eunuco,
sì, poteva nascondersi dietro i bei riccioli lasciati cadere sulle tempie, ma
la voce, quella vocetta stridula e fastidiosa l’avrebbe comunque tradito,
quella serpe consigliere d’un ragazzetto2 che giocava a fare il
sovrano, quell’essere infido stava mostrando a Cesare l’anello di Pompeo.
Il condottiero prese l’oggetto dalle mani di Potino
e lo osservò in silenzio, mentre la luce mutava in fiamma la spada che il leone
stringeva fra le zampe. Alzò gli occhi e Romanus
non si stupì nel vederli colmi di lacrime1.
-Lascia che sia Roma a rispondere- sibilò Cesare.
Romanus comprese l’ordine: si avvicinò a
Potino con passi lenti, misurati, lasciando scorrere lo sguardo dai riccioli
neri alla piega del collo, dalle braccia lucide d’olio e gioielli alla veste
greca, dal bacino alle gambe ben modellate. Quando gli fu davanti, gli concesse
un accenno di sorriso, un sollevarsi enigmatico dell’angolo delle labbra,
un’espressione che avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e che Potino, a giudicare
dal socchiudersi soddisfatto degli occhi, aveva del tutto frainteso. Alzò la
mano sinistra, posandola delicatamente sulla spalla dell’uomo, senza
dimenticarsi di sfiorarne la piega del collo con le dita, in una carezza
viscida quanto il sibilare del serpente.
Potino commise l’errore che Romanus stava aspettando: chiuse gli occhi.
Afferrò il gladio, uno fischio della lama, un lampo
d’argento, un singulto strozzato, l’urlo delle suonatrici, la veste che si
tingeva di rosso, l’arma affondata nel ventre.
Romanus sorrise di nuovo, un ghigno
inequivocabile, ed estrasse il gladio con un gesto deciso; Potino boccheggiò,
le labbra sporche di sangue e saliva, gli occhi sgranati, traballò incerto sulle
gambe, cadde in ginocchio e si accasciò a terra senza vita3.
Il Faraone gemette, alzandosi di scatto dal trono e
facendo per scendere da esso e raggiungere Potino, ma il giovane accanto a lui
tese il braccio, intimandogli di fermarsi.
Un gesto che Romanus,
intento a pulire la lama del gladio tra le pieghe della veste dell’eunuco, era
riuscito a cogliere con la coda dell’occhio. E che non l’aveva lasciato
indifferente.
***
Poco tempo dopo arrivò l’ordine perentorio di Cesare
di presentarsi al suo cospetto.
***
-Non intendo
presenziare- ringhiò Ammone, fissando con disprezzo Potino, steso su una
stuoia, con una servetta intenta a massaggiargli le spalle con oli e profumi
tra i più costosi d’Egitto.
A riempire quel
silenzio c’era solo il crocchiare delle palme del giardino e il frangersi delle
creste della preziosa vasca a forma di mezzaluna; Potino, appena uscito
dall’acqua, si rilassava sotto le dita esperte della serva e Ammone non poteva
fare a meno di odiarlo, di detestare la sua stupidità se credeva davvero di
poter cancellare il sangue di Pompeo immergendosi in profumi e oli e vezzi e
massaggi.
L’uomo alzò il
viso, rivolgendogli un ghigno di sfida
-Non puoi
sottrarti, Egitto-
-Io non ho nulla a
che fare con l’assassinio di Pompeo-
Potino rise e
Ammone dovette trattenersi dal stringergli le mani attorno al collo fino a sentirne
l’ultimo respiro sciogliersi fra le dita.
-Tutto ciò che il
Faraone compie ha a che fare con te, Egitto-
-Tu non..non ho
ordinato io la morte di Pompeo!-
-Ma è per la tua
salvezza che quell’uomo è stato ucciso-
-Non voglio che la
mia vita fiorisca dal sangue!-
-Troppo tardi,
Egitto- sibilò l’uomo, socchiudendo gli occhi –Sei nato dal sangue, dal sangue
stai fiorendo e nel sangue verrai ucciso-
Il giovane
indietreggiò, spaventato da quelle parole così terribilmente vere. Ma da che
sangue, da che sangue sarebbe mai potuto nascere? Lui…era figlio della Madre e
di Nicoforo, era nato dalla loro unione, benedetta da Amon, la divinità che gli
aveva concesso il suo nome! Non vi era stato sangue, non nella sua nascita..no,
non..
-Dunque, che tu lo
voglia o no, Egitto, presenzierai all’arrivo di Caio Giulio Cesare e gli
mostrerai la testa mozzata..-
-Mai!- gridò
Ammone, facendo sobbalzare la serva che stava massaggiando la schiena di Potino
–Non presenterò a Roma tale scempio!-
-Devi farlo-
Un ordine. Un ordine
cui il giovane non avrebbe mai obbedito.
-Su una cosa hai
ragione, Potino- le labbra di Ammone si sollevarono in un ghigno appena
accennato –Io sono l’Egitto. E non puoi dominare l’Egitto a tuo piacere, non
come fai col Faraone, fuori e dentro lo lenzuola. O, almeno..- l’espressione si
fece malvagia –Fra le lenzuola in senso piuttosto figurato, considerando che lì
è il Faraone a dominare te e non il contrario, a causa della tua…mancanza-
Gli occhi di Potino
vennero avvolti dall’ira; si alzò in piedi di scatto e la serva cadde bocconi
per il gesto improvviso. Il telo che copriva i fianchi dell’uomo cadde,
rivelando il petto accaldato e furente, il collo arrossato dalla vergogna e la
sua miserabile condizione di eunuco.
Ammone gli si
avvicinò, piegò la testa di lato e lo colpì al viso con un pugno; Potino
retrocedette più per la sorpresa che per la potenza effettiva e rimase
immobile, gli occhi sgranati e il labbro spaccato.
-Ricordati chi sei,
Potino- il giovane si allontanò, incurante degli insulti che l’uomo stava
sibilando a mezza voce –Ricordati qual è il tuo posto-
Ammone alzò il viso, fino a quel momento affondato
tra le dita, e si mise ad osservare la bella Cleopatra mentre le sue serve,
Iras e Carmiana, l’aiutavano a prepararsi.
Il giovane, seduto sulla stuoia rialzata della
donna, non seppe dirsi per quale motivo avesse scelto Cleopatra, perché non
fosse rimasto col Faraone a piangere la morte di Potino. Era qualcosa che
andava al di là dell’odio personale verso Tolomeo e il suo amante: non sapeva
spiegarsi, era come avere fugaci visioni del futuro, immagini indistinte, versi
improvvisati che non rimanevano nella memoria, rifiutavano la comprensione, ma
erano impressi a fuoco nell’animo e nella mente, e lì rimanevano, uguali ad
insetti fastidiosi, al pungolo che fa avanzare una giovenca recalcitrante.
Sapeva che non avrebbe potuto scegliere altri che
Cleopatra: l’era di Tolomeo XIII si era conclusa nel momento in cui Potino era
crollato a terra, sporcandosi di sangue e saliva i bei riccioli neri.
Quando aveva alzato il braccio, quando aveva
impedito al Faraone di soccorrere il suo amante non l’aveva fatto per vendetta
nei suoi confronti e nemmeno in quelli dell’eunuco. Solo..sapeva che era la
cosa giusta da fare.
Quel gesto aveva racchiusi in sé talmente tanti
significati che persino Ammone, che ben l’aveva compiuto, faticava a trovare:
ciò che lui che provava come Ammone Tolomeo si mescolava e perdeva importanza
dinanzi a ciò che doveva essere fatto per lui, Regno d’Egitto.
Forse fu per quel motivo che si attardò a fissare
Cleopatra, il corpo esile fasciato in un abito candido, stretto in vita da una
cintura tempestata di lapislazzuli; un ricamo di henné si stendeva languido
dalla caviglia fino alle ginocchia e petali scuri sbocciavano dai capezzoli
scintillanti di polvere d’oro, e da lì allungavano gli steli e le foglie
stringendo i seni e il collo appesantito da un gioiello di turchesi, granato e
malachite.
Iras e Carmiana le avevano fatto indossare una
parrucca tintinnante di perle vetrose dai mille riflessi, sormontata non dalla
spoglia dell’avvoltoio, simbolo di regalità, ma da un cono di grasso odoroso,
che, sciogliendosi, avrebbe posato sulla donna un profumo incantevole e
prezioso.
Da ultimo, le serve avevano speso molto tempo nel
truccarle gli occhi, di modo che fossero ancora più magnetici e profondi: il
pigmento nero del kohl era sfumato d’oro e la linea che dalla palpebra le
arrivava fino alle tempia la faceva rassomigliare alla Dea Iside dalle ali
spiegate, alla Dea Maga dalle parole che incantano e incatenano. Nemmeno le
sopracciglia erano state tralasciate, anzi, erano state scurite e la piega così
creata donava al volto di Cleopatra un’espressione soffusa tra il mistero e la
malizia.
-Perché ancora non mi hai accusato di tradimento nei
confronti di mio fratello?- chiese la donna e la sua pareva semplice curiosità
–Perché non hai ancora detto nulla per farmi retrocedere dal mio proposito?-
Ammone fissò lo sguardo in quello di Cleopatra, lei,
l’unica della Dinastia Tolomea con cui sua Madre si fermasse a parlare. Lei che
conosceva la lingua degli Antichi, parole e simboli che nemmeno Ammone era in
grado di leggere o parlare. Lei che era la via di contatto tra lui e sua Madre,
tra l’Antico ed il Nuovo. Lei che non era Passaggio, ma Futuro.
Il giovane si mise in piedi e le si avvicinò; con
lentezza le prese il volto fra le mani e le sfiorò la fronte con le labbra.
Iras e Carmiana si trattennero a stento
dall’emettere un gridolino sorpreso.
Con quel gesto Ammone Tolomeo, Regno d’Egitto, aveva
appena consacrato Cleopatra VII, figlia di Tolomeo XII l’Aulete, come sua
Regina.
***
Fischiavano gli anelli del sistro.
Nel silenzio del Tempio di Hathor4, Madre Egitto danzava sotto la statua della Dea,
tenendo alto lo strumento, col capo gettato all’indietro e il viso che a tratti
appariva e scompariva tra le pieghe biancastre dell’incenso.
Era sola, danzava e pregava nel buio e nel silenzio.
-Madre..-
La donna cadde bocconi a terra, prostrandosi ai
piedi di Hathor fino a quando Ammone
non la prese per le spalle e l’aiutò a rimettersi in piedi.
Madre Egitto fissò per alcuni istanti il volto del
figlio e un sorriso le sorvolò le labbra pallide; gli carezzò una guancia con
la punta delle dita, sfiorandogli le tempie e posando la mano sulla sua spalla.
Il giovane la strinse a sé, circondandole la vita
con le braccia e affondando il viso fra i suoi capelli; la Madre sfiorò i
riccioli del figlio con una mano, mentre con l’altra si aggrappava alla sua
veste, in un pallido tentativo di trattenerlo a sé.
-Ho scelto, Madre- sussurrò Ammone, aumentando la
stretta –Ho scelto Cleopatra-
-Così sia- rispose la donna, ricordando la missiva
di Caio Giulio Cesare, il volto cinereo del Faraone, lo sguardo della
co-reggente che brillava nell’ombra della Sala –Che gli Dei ti benedicano,
figlio mio-
-Non mi interessa la loro benedizione, Madre- la
voce del giovane era rotta dal pianto –Mi basta unicamente la vostra-
Madre Egitto allontanò gentilmente il figlio da sé e
lo guardò per alcuni istanti: ne osservò il viso, i capelli d’un biondo cenere
che gli ricadevano lunghi sino alle spalle, la fronte ampia, le spalle, le
braccia magre, le mani da copista, le labbra seriche ed infine gli occhi,
quegli occhi che erano la prova tangibile del suo legame con Nicoforo di Pella5.
Le iridi di diverso colore, l’una d’un intenso azzurro e l’altra nera come il
ventre stellato di Nut6.
Erano le stesse del defunto Alessandro Magno: chiunque,
violando la Sacra Tomba7 del grande condottiero, ne avesse aperto a
forza le palpebre non avrebbe faticato a riconoscervi gli occhi di suo figlio.
Lui, Ammone Tolomeo, l’ultimo discendente ancora
libero tra i Regni smembrati dell’Antico Impero..
-Madre..?- domandò il giovane, aggrottando le
sopracciglia.
La donna gli sorrise, gli prese il volto con
entrambi le mani e gli sfiorò la fronte con le labbra.
-Hai la mia benedizione, figlio mio..-
Ammone le strinse le mani e le baciò, poi si
allontanò veloce dal Tempio, sparendo nel chiarore delle vie al crepuscolo.
Una lacrima rigò le guance di Madre Egitto,
tracciandovi una linea nera come le membra tenebrose di Seth.
-Di ankh Ra mi jet8-
pregò, alzando
gli occhi verso Atum9 che
bruciava all’orizzonte, cogliendo negli ultimi squarci di luce la Barca del
Sole che si inabissava, pronta ad affrontare il lungo viaggio verso la
rinascita10 –Che abbia vita come Ra, in eterno-
***
Romanus reclinò annoiato il capo, facendo notare a Cesare quanto
l’incontro con Tolomeo l’avesse reso nervoso.
-Deduco, Romanus-
osservò il condottiero, scoccandogli una occhiata in tralice –Che Roma non
accetta l’alleanza con Tolomeo-
-Con quel ragazzino?- ghignò l’altro –Preferirei
piuttosto avere la compagnia di Marco Tullio Cicerone per tutti i giorni e
tutte le notti da qui fino alla mia caduta!-
Cesare rise, ma Romanus
notò immediatamente come la sua fosse una risata priva di qualsivoglia
allegria, un riflesso incondizionato e freddo, manchevole d’un reale
divertimento. Doveva essere ancora forte, nel cuore e nella mente del
condottiero, l’immagine dissacrante della testa mozzata di Pompeo. Romanus lo avvertiva e tutto il dolore
dell’uomo gli gravava sulle spalle e gli gelava l’animo.
-Non possiamo deporre Tolomeo XIII, non così
d’improvviso- mormorò Cesare –Il popolo si rivolterebbe contro di noi-
-E dunque cosa intendi fare?- domandò Romanus prestando una maggior attenzione
alle parole dell’altro –Chi mettere al suo posto?-
Gli occhi del condottiero guizzavano da una parte
all’altra della stanza, due insetti scuri che ronzavano senza sosta alla
ricerca di un posto sicuro su cui posarsi; le labbra erano tormentate dai denti
e le dita tamburellavano ritmicamente contro le ginocchia, una, due, tre,
quattro volte, fino a perdere il conto.
-Fatemi passare! Fatemi passare!- gridò una voce
fuori della stanza.
Romanus si alzò dalla sedia e portò la
mano alla cintola, pronto ad estrarre il gladio; la porta si aprì, rivelando la
figura curva di un uomo vestito con abiti egiziani: sulle spalle cotte dal sole
portava un grosso tappeto, stretto da una cinghia di pelle, e le ginocchia
tremavano, non più in grado di sostenere il peso.
-Chiudete le porte- ordinò Cesare –E tu- disse,
rivolgendosi al nuovo arrivato –Posa quel tappeto-
L’uomo annuì, passandosi una mano sulla fronte sudata
e poggiando il fardello sul pavimento. Fardello che prese immediatamente a
muoversi, costringendo Romanus ad
estrarre il gladio e Cesare a fare lo stesso con la lama che teneva alla
cintola.
Lo sconosciuto, nel vedere il gesto di entrambi,
alzò le mani
-No, miei signori!- gridò –Lasciate che vi spieghi!
Lasciate che vi mostri..- e detto
questo corse con le dita a sciogliere il nodo della cinghia.
Si udì un sospiro, uno sbuffo e il tappeto si
srotolò ai loro piedi, e tra le ricche trame, tra i colori accesi, sbocciò
l’esile figura della co-reggente, vestita come una Regina. L’uomo chinò il
capo, allontanandosi e chiudendosi le grandi porte alle spalle.
Romanus indietreggiò, osservando rapito
la donna mentre si levava in piedi, in un lampeggiare d’oro e d’azzurro, con la
veste candida che le scivolava piano lungo le gambe, il petto nudo che si
sollevava rapido e ansante, il viso bronzeo tinto d’un lieve rossore.
Non era
bella, così minuta, con quel naso dritto, le ossa spigolose e la vita resa
ancora più stretta dal cinturone di pietre preziose che indossava.
Non era bella, questo era certo, ma stupiva. E a Romanus non servì guardare in direzione di Cesare per capire quanto
questi fosse rimasto incantato dalla donna; e lo stupore crebbe quando la
co-reggente si rivolse al condottiero in un latino preciso e quasi privo delle
inflessioni gutturali della koinè.
-Caio Giulio
Cesare, figlio d’Ascanio, discendente d’Enea, dono degli dei agli uomini, vengo
umile a te per chiedere aiuto. La spada del Faraone pende sopra di me, che sono
sua sorella di sangue, figlia dello stesso padre- chinò il capo e le ciocche nere
scivolarono sulle spalle aguzze –Da sola
non posso certo affrontare il figlio di Horus. Colui nelle cui vene scorre il
sangue divino di Venere mi concederà il suo aiuto? E Roma con lui?-
E quando la donna sollevò i grandi occhi scuri su
Cesare Romanus capì che la decisione
era già stata presa.
***
Ammone si tormentava le mani, incapace di rimanere
fermo, il corpo teso per l’ansia ed il terrore.
Sentiva onde di emozioni contrastanti che si
sollevavano, mugghiavano, crollavano con gran scroscio l’una sull’altra, senza
che nessuna riuscisse a prevalere. Temeva di aver preso la decisione sbagliata,
ma non aveva visto altra scelta: schierandosi con Cleopatra o rimanendo fedele
al Faraone l’alleanza con Roma era inevitabile.
Si sentì un vile, un traditore.
I suoi fratelli erano stati schiacciati dal giogo
romano e lui andava incontro a Roma spontaneamente! Che avrebbe detto il
piccolo Polinice, se avesse avuto ancora la forza di parlare col ventre
squarciato e la lingua mozzata? Che avrebbe fatto il forte Seleuco, dalla
schiena spezzata, umiliato nella violenza?
E se si fosse ridotto come Eumenide? La scrofa
Eumenide che puzzava di capra e si chinava lieta al cospetto di Roma! Avrebbe
fatto la sua stessa fine? Ad implorare uno sguardo di Roma, a chiederne un
respiro appena, felice di concedergli anima e corpo?
Mai! Mai!
No, era un folle! Non avrebbe mai dovuto seguire
Apollodoro fino alle stanze di Cesare! Oh, perché, perché aveva seguito
Cleopatra?
Decise di lasciarsi il padiglione del Romano alle
spalle ed era già lontano nel lungo colonnato quando una voce lo raggiunse, una
voce sibilante, cadente.
-Ille mi par
esse deo videtur…11-
Ammone Tolomeo si voltò: lo stava raggiungendo un
uomo, la cui figura dapprima vestita d’argento lunare, veniva inghiottita dalle
zone d’ombra del colonnato, per poi ricomparire, più vicino, col mantello di
Selene drappeggiato sulle spalle.
Il giovane ci mise più del dovuto a riconoscere il
Romano oramai a pochi passi, ma quando vi riuscì, quando gli tornò alla mente
l’ultimo, gorgogliante respiro di Potino, avvertì una fiamma lambirgli la bocca
dello stomaco e cancellare, anche solo per qualche istante, la volontà di
Cleopatra.
Dinanzi a lui, col viso piegato e un ghigno a
sollevargli le labbra, le braccia incrociate al petto e il mantello di porpora
che gli cadeva poco oltre le ginocchia, stava l’assassino di Potino. Puzzava di
sangue e non solo di quello dell’eunuco: riusciva a percepire l’odore
crepitante della pergamena, della terra di Magnesia, della polvere di Pidna e
di dieci, cento, mille altre genti che avevano macchiato di scarlatto il filo
della lama che portava alla cintola.
Davanti a lui stava l’assassino del piccolo Polinice,
del forte Seleuco, il padrone della bella Eumenide.
Davanti a lui stava Roma.
E Ammone Tolomeo si pentì amaramente di non avere
con sé una spada con cui tagliargli la gola.
{~***~}
- 1La testa mozzata, il
servo, l’anello e il pianto di Cesare ci vengono raccontati da Plutarco.
- 2Tolomeo XIII era
ancora “minorenne”
- 3Mi sono concessa una
licenza. Potino viene comunque giustiziato per ordine di Cesare, ma non sul
posto.
- 4Dea dal volto di
giovenca, Signora del Turchese, della Terra di Punt e dell’Amore Spirituale
- 5Alessandro Magno
aveva effettivamente un occhio azzurro e uno nero/marrone
- 6Dea della Volta del
Cielo
- 7Si dice che la tomba
di Alessandro si trovasse nel tempio di Ammone [Diodoro Siculo] e che Augusto,
una volta conquistato l’Egitto, fosse andato a visitarla.
- 8Formula rituale
riportata in “Il Segreto dei Geroglifici”, di Christian Jacq, Piemme Pocket
- 9Forma di Ra al
tramonto
- 10Gli Egizi credevano
che Ra, dopo il tramonto, dovesse affrontare un percorso a dodici stazioni nel
Mondo Sotterraneo e sconfiggere il Serpente Apophis prima di poter sorgere di
nuovo. E questa battaglia si svolgeva ogni giorno.
- 11Catullo, Carme 51.
Calco del frammento 31 di Saffo.