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Autore: LaMicheCoria    23/04/2011    2 recensioni
-Ma quegli occhi, quegli occhi, non posso sostenerne la vista! Quegli occhi che decretarono la mia caduta!- si accasciò contro il petto di Gupta, che rimase allibito, incapace di stringere a sé l’antico Regno.
-Occhi, fratello? Di che occhi parli?-
-Occhi potenti, uno sguardo di sventura! Occhi di cui divenni schiavo, credendo di esserne padrone!- (…)
-Chi ti ha fatto questo?- esalò Egitto.
Un sorriso rassegnato sollevò le labbra di Ammone
-Il giogo di Roma-

(...)
-Miseri, miseri noi- gemette la donna –Misero chi condivide il nostro destino. Noi cui è negata l’immortalità, ma non è concesso essere umani. Per noi, figlio mio, non esiste l’amore. Non esiste neppure l’odio. Esistono solo la pace ed il fuggevole momento vissuto fra i veli d’un talamo, e la guerra, dove la furia acceca anche chi, solo il giorno prima, si era professato amante e amato. La vittoria ci porta ad aggiogare i nemici, la sconfitta ad essere aggiogati. Dove prima c’erano carezze e sussurri, non restano che lame di pugnali e ordini di battaglia-
Feliciano Vargas viene spesso a trovare Gupta e ogni volta lo Spirito di Ammone Tolomeo si chiude nel silenzio delle dune. Egitto non riesce a capire il comportamente del fratello maggiore e lo insegue nel deserto, per chiedergli spiegazioni..
Gli ultimi anni del Regno Ellenistico d'Egitto. Dall'arrivo di Pompeo (48 a.C.) fino alla Battaglia di Azio (31 a.C.). Fino a quando dell'Antico Egitto e del Regno dei Tolomei non resterà solo che un ricordo schiacciato dal giogo di Roma.
[Personaggi: Impero Romano, Mamma Egitto, OC!Regno Ellenistico d'Egitto, Gupta Muhammad Hassan/Egitto] [RP: Cleopatra VII, Caio Giulio Cesare, Marco Antonio] [Pairing: Impero Romano x Mamma Egitto] [Regno Ellenistico x Impero Romano]
Genere: Drammatico, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash | Personaggi: Altri, Antica Roma, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Memoriae Romae'
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Per prima cosa mi scuso per un errore madornale commesso nel precedente capitolo: non è Tolomeo XII, ma Tolomeo XIII, fratello di Cleopatra il Faraone. Scusate, davvero. Sono orba!
Altra cosa, tanto per evitare confusioni. Lo scorso capitolo si è chiuso con la morte di Pompeo vista da Ammone, questo comincia con lo stesso evento, narrato con gli occhi di Nonno Roma. I due eventi poi si riallacciano grazie al
"Poco tempo dopo arrivò l’ordine perentorio di Cesare di presentarsi al suo cospetto. già presente nello scorso capitolo.
Ringrazio Claw e Pik per le loro splendide recensioni!
Grazie *V*
 

 

 

{ Capitolo 2

~Ille mi par esse deo videtur

 
Non avrebbe mai dimenticato gli occhi di Gneo Pompeo Magno, non la loro forma così stretta, quasi enfia, non le palpebre cadenti, non l’iride scura sempre accesa di sdegno verso tutto e tutti, compreso se stesso.
Come avrebbe mai potuto dimenticare quegli occhi? La loro fiamma di sfida, mai estinta, una lingua di fuoco che né Roma né Cesare erano riusciti a cancellare.
Aveva bisogno, Romanus, di ricordarsi ogni singolo dettaglio dello sguardo di Pompeo, di modo che mai, mai fino a quando Roma avesse regnato su tutta la Terra, avrebbe sovrapposto all’immagine di quell’uomo così grande la testa gemente che un intendente del Faraone gli stava mostrando.
Fece scorrere gli occhi sui ricci stopposi, lerci di sangue, sulle dita tremanti del servo che tenevano la testa mozzata, poi scese a contemplare la fronte, solitamente sempre aggrottata in un’espressione dubbiosa, di complotto quasi, accartocciata dall’orrore che storceva e piegava la bocca, squarciata da un urlo di sorpresa ed orrore; si soffermò sugli occhi, rivoltati nelle orbite, bianchi, bianchi e lividi, già incavati nel nero dell’orbita, già risucchiati nel teschio che presto avrebbe preteso la sua pelle pallida, resa grezza e traslucida dalla morte.
Infine, il collo. Mozzato, i bordi frastagliati ancora incrostati di sangue rappreso, i muscoli cadenti e flaccidi, un frammento di osso che si faceva strada, giallastro e spezzato, fra i lembi di pelle cadente.
Romanus sentì lo stomaco torcersi a quella vista, lui che prima di tutti aveva sentito la morte di Pompeo, l’aveva provato sulla propria pelle, contorcendosi nel proprio alloggio, portandosi le mani alla gola, con la voce del grande condottiero che gli dilaniava i polmoni e gli colava dalle labbra, come il sangue, quel sangue scuro e denso che gli aveva macchiato le dita non appena il gelo della morte gli aveva attraversato le membra ed il collo.
Avvertì una rabbia tremenda risalirgli il petto come un fuoco e strinse i pugni talmente forte da affondare le unghie nella carne; fissò con ira le suonatrici di flauto nascoste nell’ombre, zitte ad osservare quel macabro spettacolo, le mani che tremavano attorno lo strumento, poi alzò gli occhi sul trono, serrando la mascella nel vedere il sorriso tirato dell’uomo che stava accanto al Faraone, il quale tradiva la sua espressione di assoluta indifferenza stringendo la stoffa del gonnellino pieghettato e succhiandosi le labbra.
Da ultimo si soffermò sul giovane che si teneva nascosto dietro il trono: ne riusciva a scorgere appena il profilo e lo sguardo apatico, vuoto, freddo.
-Chi ordinò l’uccisione di Gneo Pompeo Magno?-
Romanus si voltò verso Cesare, che ancora si rifiutava di guardare il servo negli occhi, di prendere coscienza dell’assassinio del suo grande rivale.
-Io, Potino, lo ordinai- l’uomo accanto al Faraone si avvicinò, un ghigno ferino sulle labbra –Ed io lo uccisi, insieme ad Achilla, generale di grande fama ed onore- si chinò sul cesto ai piedi di Cesare, ne estrasse qualcosa e con un gesto diede ordine al servo di deporre la testa di Pompeo –Per voi lo feci, è questo dono gradito a Roma?- e mostrò al condottiero ciò che teneva in mano.
Romanus sgranò gli occhi ed indietreggiò, colmo d’orrore, scosso nelle membra e fin dentro l’animo dalla ripugnanza e dalla disperazione: quell’uomo, quell’eunuco, sì, poteva nascondersi dietro i bei riccioli lasciati cadere sulle tempie, ma la voce, quella vocetta stridula e fastidiosa l’avrebbe comunque tradito, quella serpe consigliere d’un ragazzetto2 che giocava a fare il sovrano, quell’essere infido stava mostrando a Cesare l’anello di Pompeo.
Il condottiero prese l’oggetto dalle mani di Potino e lo osservò in silenzio, mentre la luce mutava in fiamma la spada che il leone stringeva fra le zampe. Alzò gli occhi e Romanus non si stupì nel vederli colmi di lacrime1.
-Lascia che sia Roma a rispondere- sibilò Cesare.
Romanus comprese l’ordine: si avvicinò a Potino con passi lenti, misurati, lasciando scorrere lo sguardo dai riccioli neri alla piega del collo, dalle braccia lucide d’olio e gioielli alla veste greca, dal bacino alle gambe ben modellate. Quando gli fu davanti, gli concesse un accenno di sorriso, un sollevarsi enigmatico dell’angolo delle labbra, un’espressione che avrebbe potuto dire qualsiasi cosa e che Potino, a giudicare dal socchiudersi soddisfatto degli occhi, aveva del tutto frainteso. Alzò la mano sinistra, posandola delicatamente sulla spalla dell’uomo, senza dimenticarsi di sfiorarne la piega del collo con le dita, in una carezza viscida quanto il sibilare del serpente.
Potino commise l’errore che Romanus stava aspettando: chiuse gli occhi.
Afferrò il gladio, uno fischio della lama, un lampo d’argento, un singulto strozzato, l’urlo delle suonatrici, la veste che si tingeva di rosso, l’arma affondata nel ventre.
Romanus sorrise di nuovo, un ghigno inequivocabile, ed estrasse il gladio con un gesto deciso; Potino boccheggiò, le labbra sporche di sangue e saliva, gli occhi sgranati, traballò incerto sulle gambe, cadde in ginocchio e si accasciò a terra senza vita3.
Il Faraone gemette, alzandosi di scatto dal trono e facendo per scendere da esso e raggiungere Potino, ma il giovane accanto a lui tese il braccio, intimandogli di fermarsi.
Un gesto che Romanus, intento a pulire la lama del gladio tra le pieghe della veste dell’eunuco, era riuscito a cogliere con la coda dell’occhio. E che non l’aveva lasciato indifferente.

 

***

Poco tempo dopo arrivò l’ordine perentorio di Cesare di presentarsi al suo cospetto.

 

***

-Non intendo presenziare- ringhiò Ammone, fissando con disprezzo Potino, steso su una stuoia, con una servetta intenta a massaggiargli le spalle con oli e profumi tra i più costosi d’Egitto.
A riempire quel silenzio c’era solo il crocchiare delle palme del giardino e il frangersi delle creste della preziosa vasca a forma di mezzaluna; Potino, appena uscito dall’acqua, si rilassava sotto le dita esperte della serva e Ammone non poteva fare a meno di odiarlo, di detestare la sua stupidità se credeva davvero di poter cancellare il sangue di Pompeo immergendosi in profumi e oli e vezzi e massaggi.
L’uomo alzò il viso, rivolgendogli un ghigno di sfida
-Non puoi sottrarti, Egitto-
-Io non ho nulla a che fare con l’assassinio di Pompeo-
Potino rise e Ammone dovette trattenersi dal stringergli le mani attorno al collo fino a sentirne l’ultimo respiro sciogliersi fra le dita.
-Tutto ciò che il Faraone compie ha a che fare con te, Egitto-
-Tu non..non ho ordinato io la morte di Pompeo!-
-Ma è per la tua salvezza che quell’uomo è stato ucciso-
-Non voglio che la mia vita fiorisca dal sangue!-
-Troppo tardi, Egitto- sibilò l’uomo, socchiudendo gli occhi –Sei nato dal sangue, dal sangue stai fiorendo e nel sangue verrai ucciso-
Il giovane indietreggiò, spaventato da quelle parole così terribilmente vere. Ma da che sangue, da che sangue sarebbe mai potuto nascere? Lui…era figlio della Madre e di Nicoforo, era nato dalla loro unione, benedetta da Amon, la divinità che gli aveva concesso il suo nome! Non vi era stato sangue, non nella sua nascita..no, non..
-Dunque, che tu lo voglia o no, Egitto, presenzierai all’arrivo di Caio Giulio Cesare e gli mostrerai la testa mozzata..-
-Mai!- gridò Ammone, facendo sobbalzare la serva che stava massaggiando la schiena di Potino –Non presenterò a Roma tale scempio!-
-Devi farlo-
Un ordine. Un ordine cui il giovane non avrebbe mai obbedito.
-Su una cosa hai ragione, Potino- le labbra di Ammone si sollevarono in un ghigno appena accennato –Io sono l’Egitto. E non puoi dominare l’Egitto a tuo piacere, non come fai col Faraone, fuori e dentro lo lenzuola. O, almeno..- l’espressione si fece malvagia –Fra le lenzuola in senso piuttosto figurato, considerando che lì è il Faraone a dominare te e non il contrario, a causa della tua…
mancanza-
Gli occhi di Potino vennero avvolti dall’ira; si alzò in piedi di scatto e la serva cadde bocconi per il gesto improvviso. Il telo che copriva i fianchi dell’uomo cadde, rivelando il petto accaldato e furente, il collo arrossato dalla vergogna e la sua miserabile condizione di eunuco.
Ammone gli si avvicinò, piegò la testa di lato e lo colpì al viso con un pugno; Potino retrocedette più per la sorpresa che per la potenza effettiva e rimase immobile, gli occhi sgranati e il labbro spaccato.
-Ricordati chi sei, Potino- il giovane si allontanò, incurante degli insulti che l’uomo stava sibilando a mezza voce –Ricordati qual è il tuo posto-

Ammone alzò il viso, fino a quel momento affondato tra le dita, e si mise ad osservare la bella Cleopatra mentre le sue serve, Iras e Carmiana, l’aiutavano a prepararsi.
Il giovane, seduto sulla stuoia rialzata della donna, non seppe dirsi per quale motivo avesse scelto Cleopatra, perché non fosse rimasto col Faraone a piangere la morte di Potino. Era qualcosa che andava al di là dell’odio personale verso Tolomeo e il suo amante: non sapeva spiegarsi, era come avere fugaci visioni del futuro, immagini indistinte, versi improvvisati che non rimanevano nella memoria, rifiutavano la comprensione, ma erano impressi a fuoco nell’animo e nella mente, e lì rimanevano, uguali ad insetti fastidiosi, al pungolo che fa avanzare una giovenca recalcitrante.
Sapeva che non avrebbe potuto scegliere altri che Cleopatra: l’era di Tolomeo XIII si era conclusa nel momento in cui Potino era crollato a terra, sporcandosi di sangue e saliva i bei riccioli neri.
Quando aveva alzato il braccio, quando aveva impedito al Faraone di soccorrere il suo amante non l’aveva fatto per vendetta nei suoi confronti e nemmeno in quelli dell’eunuco. Solo..sapeva che era la cosa giusta da fare.
Quel gesto aveva racchiusi in sé talmente tanti significati che persino Ammone, che ben l’aveva compiuto, faticava a trovare: ciò che lui che provava come Ammone Tolomeo si mescolava e perdeva importanza dinanzi a ciò che doveva essere fatto per lui, Regno d’Egitto.
Forse fu per quel motivo che si attardò a fissare Cleopatra, il corpo esile fasciato in un abito candido, stretto in vita da una cintura tempestata di lapislazzuli; un ricamo di henné si stendeva languido dalla caviglia fino alle ginocchia e petali scuri sbocciavano dai capezzoli scintillanti di polvere d’oro, e da lì allungavano gli steli e le foglie stringendo i seni e il collo appesantito da un gioiello di turchesi, granato e malachite.
Iras e Carmiana le avevano fatto indossare una parrucca tintinnante di perle vetrose dai mille riflessi, sormontata non dalla spoglia dell’avvoltoio, simbolo di regalità, ma da un cono di grasso odoroso, che, sciogliendosi, avrebbe posato sulla donna un profumo incantevole e prezioso. 
Da ultimo, le serve avevano speso molto tempo nel truccarle gli occhi, di modo che fossero ancora più magnetici e profondi: il pigmento nero del kohl era sfumato d’oro e la linea che dalla palpebra le arrivava fino alle tempia la faceva rassomigliare alla Dea Iside dalle ali spiegate, alla Dea Maga dalle parole che incantano e incatenano. Nemmeno le sopracciglia erano state tralasciate, anzi, erano state scurite e la piega così creata donava al volto di Cleopatra un’espressione soffusa tra il mistero e la malizia.
-Perché ancora non mi hai accusato di tradimento nei confronti di mio fratello?- chiese la donna e la sua pareva semplice curiosità –Perché non hai ancora detto nulla per farmi retrocedere dal mio proposito?-
Ammone fissò lo sguardo in quello di Cleopatra, lei, l’unica della Dinastia Tolomea con cui sua Madre si fermasse a parlare. Lei che conosceva la lingua degli Antichi, parole e simboli che nemmeno Ammone era in grado di leggere o parlare. Lei che era la via di contatto tra lui e sua Madre, tra l’Antico ed il Nuovo. Lei che non era Passaggio, ma Futuro.
Il giovane si mise in piedi e le si avvicinò; con lentezza le prese il volto fra le mani e le sfiorò la fronte con le labbra.
Iras e Carmiana si trattennero a stento dall’emettere un gridolino sorpreso.
Con quel gesto Ammone Tolomeo, Regno d’Egitto, aveva appena consacrato Cleopatra VII, figlia di Tolomeo XII l’Aulete, come sua Regina.

 

***

Fischiavano gli anelli del sistro.
Nel silenzio del Tempio di Hathor4, Madre Egitto danzava sotto la statua della Dea, tenendo alto lo strumento, col capo gettato all’indietro e il viso che a tratti appariva e scompariva tra le pieghe biancastre dell’incenso.
Era sola, danzava e pregava nel buio e nel silenzio.
-Madre..-
La donna cadde bocconi a terra, prostrandosi ai piedi di Hathor fino a quando Ammone non la prese per le spalle e l’aiutò a rimettersi in piedi.
Madre Egitto fissò per alcuni istanti il volto del figlio e un sorriso le sorvolò le labbra pallide; gli carezzò una guancia con la punta delle dita, sfiorandogli le tempie e posando la mano sulla sua spalla.
Il giovane la strinse a sé, circondandole la vita con le braccia e affondando il viso fra i suoi capelli; la Madre sfiorò i riccioli del figlio con una mano, mentre con l’altra si aggrappava alla sua veste, in un pallido tentativo di trattenerlo a sé.
-Ho scelto, Madre- sussurrò Ammone, aumentando la stretta –Ho scelto Cleopatra-
-Così sia- rispose la donna, ricordando la missiva di Caio Giulio Cesare, il volto cinereo del Faraone, lo sguardo della co-reggente che brillava nell’ombra della Sala –Che gli Dei ti benedicano, figlio mio-
-Non mi interessa la loro benedizione, Madre- la voce del giovane era rotta dal pianto –Mi basta unicamente la vostra-
Madre Egitto allontanò gentilmente il figlio da sé e lo guardò per alcuni istanti: ne osservò il viso, i capelli d’un biondo cenere che gli ricadevano lunghi sino alle spalle, la fronte ampia, le spalle, le braccia magre, le mani da copista, le labbra seriche ed infine gli occhi, quegli occhi che erano la prova tangibile del suo legame con Nicoforo di Pella5. Le iridi di diverso colore, l’una d’un intenso azzurro e l’altra nera come il ventre stellato di Nut6.
Erano le stesse del defunto Alessandro Magno: chiunque, violando la Sacra Tomba7 del grande condottiero, ne avesse aperto a forza le palpebre non avrebbe faticato a riconoscervi gli occhi di suo figlio.
Lui, Ammone Tolomeo, l’ultimo discendente ancora libero tra i Regni smembrati dell’Antico Impero..
-Madre..?- domandò il giovane, aggrottando le sopracciglia.
La donna gli sorrise, gli prese il volto con entrambi le mani e gli sfiorò la fronte con le labbra.
-Hai la mia benedizione, figlio mio..-
Ammone le strinse le mani e le baciò, poi si allontanò veloce dal Tempio, sparendo nel chiarore delle vie al crepuscolo.
Una lacrima rigò le guance di Madre Egitto, tracciandovi una linea nera come le membra tenebrose di Seth.
-Di ankh Ra mi jet8- pregò, alzando gli occhi verso Atum9 che bruciava all’orizzonte, cogliendo negli ultimi squarci di luce la Barca del Sole che si inabissava, pronta ad affrontare il lungo viaggio verso la rinascita10 –Che abbia vita come Ra, in eterno-

 

***

Romanus reclinò annoiato  il capo, facendo notare a Cesare quanto l’incontro con Tolomeo l’avesse reso nervoso.
-Deduco, Romanus- osservò il condottiero, scoccandogli una occhiata in tralice –Che Roma non accetta l’alleanza con Tolomeo-
-Con quel ragazzino?- ghignò l’altro –Preferirei piuttosto avere la compagnia di Marco Tullio Cicerone per tutti i giorni e tutte le notti da qui fino alla mia caduta!-
Cesare rise, ma Romanus notò immediatamente come la sua fosse una risata priva di qualsivoglia allegria, un riflesso incondizionato e freddo, manchevole d’un reale divertimento. Doveva essere ancora forte, nel cuore e nella mente del condottiero, l’immagine dissacrante della testa mozzata di Pompeo. Romanus lo avvertiva e tutto il dolore dell’uomo gli gravava sulle spalle e gli gelava l’animo.
-Non possiamo deporre Tolomeo XIII, non così d’improvviso- mormorò Cesare –Il popolo si rivolterebbe contro di noi-
-E dunque cosa intendi fare?- domandò Romanus prestando una maggior attenzione alle parole dell’altro –Chi mettere al suo posto?-
Gli occhi del condottiero guizzavano da una parte all’altra della stanza, due insetti scuri che ronzavano senza sosta alla ricerca di un posto sicuro su cui posarsi; le labbra erano tormentate dai denti e le dita tamburellavano ritmicamente contro le ginocchia, una, due, tre, quattro volte, fino a perdere il conto.
-Fatemi passare! Fatemi passare!- gridò una voce fuori della stanza.
Romanus si alzò dalla sedia e portò la mano alla cintola, pronto ad estrarre il gladio; la porta si aprì, rivelando la figura curva di un uomo vestito con abiti egiziani: sulle spalle cotte dal sole portava un grosso tappeto, stretto da una cinghia di pelle, e le ginocchia tremavano, non più in grado di sostenere il peso.
-Chiudete le porte- ordinò Cesare –E tu- disse, rivolgendosi al nuovo arrivato –Posa quel tappeto-
L’uomo annuì, passandosi una mano sulla fronte sudata e poggiando il fardello sul pavimento. Fardello che prese immediatamente a muoversi, costringendo Romanus ad estrarre il gladio e Cesare a fare lo stesso con la lama che teneva alla cintola.
Lo sconosciuto, nel vedere il gesto di entrambi, alzò le mani
-No, miei signori!- gridò –Lasciate che vi spieghi! Lasciate che vi mostri..- e detto questo corse con le dita a sciogliere il nodo della cinghia.
Si udì un sospiro, uno sbuffo e il tappeto si srotolò ai loro piedi, e tra le ricche trame, tra i colori accesi, sbocciò l’esile figura della co-reggente, vestita come una Regina. L’uomo chinò il capo, allontanandosi e chiudendosi le grandi porte alle spalle.
Romanus indietreggiò, osservando rapito la donna mentre si levava in piedi, in un lampeggiare d’oro e d’azzurro, con la veste candida che le scivolava piano lungo le gambe, il petto nudo che si sollevava rapido e ansante, il viso bronzeo tinto d’un lieve rossore.
 Non era bella, così minuta, con quel naso dritto, le ossa spigolose e la vita resa ancora più stretta dal cinturone di pietre preziose che indossava.
Non era bella, questo era certo, ma stupiva. E a Romanus non servì guardare in direzione di Cesare per capire quanto questi fosse rimasto incantato dalla donna; e lo stupore crebbe quando la co-reggente si rivolse al condottiero in un latino preciso e quasi privo delle inflessioni gutturali della koinè.
-Caio Giulio Cesare, figlio d’Ascanio, discendente d’Enea, dono degli dei agli uomini, vengo umile a te per chiedere aiuto. La spada del Faraone pende sopra di me, che sono sua sorella di sangue, figlia dello stesso padre- chinò il capo e le ciocche nere scivolarono sulle spalle aguzze –Da sola non posso certo affrontare il figlio di Horus. Colui nelle cui vene scorre il sangue divino di Venere mi concederà il suo aiuto? E Roma con lui?-
E quando la donna sollevò i grandi occhi scuri su Cesare Romanus capì che la decisione era già stata presa.

 

***

Ammone si tormentava le mani, incapace di rimanere fermo, il corpo teso per l’ansia ed il terrore.
Sentiva onde di emozioni contrastanti che si sollevavano, mugghiavano, crollavano con gran scroscio l’una sull’altra, senza che nessuna riuscisse a prevalere. Temeva di aver preso la decisione sbagliata, ma non aveva visto altra scelta: schierandosi con Cleopatra o rimanendo fedele al Faraone l’alleanza con Roma era inevitabile.
Si sentì un vile, un traditore.
I suoi fratelli erano stati schiacciati dal giogo romano e lui andava incontro a Roma spontaneamente! Che avrebbe detto il piccolo Polinice, se avesse avuto ancora la forza di parlare col ventre squarciato e la lingua mozzata? Che avrebbe fatto il forte Seleuco, dalla schiena spezzata, umiliato nella violenza?
E se si fosse ridotto come Eumenide? La scrofa Eumenide che puzzava di capra e si chinava lieta al cospetto di Roma! Avrebbe fatto la sua stessa fine? Ad implorare uno sguardo di Roma, a chiederne un respiro appena, felice di concedergli anima e corpo?
Mai! Mai!
No, era un folle! Non avrebbe mai dovuto seguire Apollodoro fino alle stanze di Cesare! Oh, perché, perché aveva seguito Cleopatra? 
Decise di lasciarsi il padiglione del Romano alle spalle ed era già lontano nel lungo colonnato quando una voce lo raggiunse, una voce sibilante, cadente.
-Ille mi par esse deo videtur11-
Ammone Tolomeo si voltò: lo stava raggiungendo un uomo, la cui figura dapprima vestita d’argento lunare, veniva inghiottita dalle zone d’ombra del colonnato, per poi ricomparire, più vicino, col mantello di Selene drappeggiato sulle spalle.
Il giovane ci mise più del dovuto a riconoscere il Romano oramai a pochi passi, ma quando vi riuscì, quando gli tornò alla mente l’ultimo, gorgogliante respiro di Potino, avvertì una fiamma lambirgli la bocca dello stomaco e cancellare, anche solo per qualche istante, la volontà di Cleopatra.
Dinanzi a lui, col viso piegato e un ghigno a sollevargli le labbra, le braccia incrociate al petto e il mantello di porpora che gli cadeva poco oltre le ginocchia, stava l’assassino di Potino. Puzzava di sangue e non solo di quello dell’eunuco: riusciva a percepire l’odore crepitante della pergamena, della terra di Magnesia, della polvere di Pidna e di dieci, cento, mille altre genti che avevano macchiato di scarlatto il filo della lama che portava alla cintola.
Davanti a lui stava l’assassino del piccolo Polinice, del forte Seleuco, il padrone della bella Eumenide.
Davanti a lui stava Roma.
E Ammone Tolomeo si pentì amaramente di non avere con sé una spada con cui tagliargli la gola.

 

{~***~}

 

  • 1La testa mozzata, il servo, l’anello e il pianto di Cesare ci vengono raccontati da Plutarco.
  • 2Tolomeo XIII era ancora “minorenne”
  • 3Mi sono concessa una licenza. Potino viene comunque giustiziato per ordine di Cesare, ma non sul posto.
  • 4Dea dal volto di giovenca, Signora del Turchese, della Terra di Punt e dell’Amore Spirituale
  • 5Alessandro Magno aveva effettivamente un occhio azzurro e uno nero/marrone
  • 6Dea della Volta del Cielo
  • 7Si dice che la tomba di Alessandro si trovasse nel tempio di Ammone [Diodoro Siculo] e che Augusto, una volta conquistato l’Egitto, fosse andato a visitarla.
  • 8Formula rituale riportata in “Il Segreto dei Geroglifici”, di Christian Jacq, Piemme Pocket
  • 9Forma di Ra al tramonto
  • 10Gli Egizi credevano che Ra, dopo il tramonto, dovesse affrontare un percorso a dodici stazioni nel Mondo Sotterraneo e sconfiggere il Serpente Apophis prima di poter sorgere di nuovo. E questa battaglia si svolgeva ogni giorno.
  • 11Catullo, Carme 51. Calco del frammento 31 di Saffo.

 

 

 

 

   
 
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