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Autore: Laura Sparrow    28/04/2011    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6
Fumo negli occhi


Tiago Marquina.
Era questo il nome inciso sulla piccola insegna di legno che pendeva davanti alla porta. Sotto, in piccolo, una sola parola: “armeria”. Jack fu il primo a varcarne la soglia, seguito da me e da Will: quando aprì la porta con cautela, quasi circospetto, un piccolo campanello appeso sullo stipite annunciò la nostra presenza.
L'armeria non era grande e, forse proprio per questo, sulle pareti non c'era un solo angolo che non fosse occupato dalle spesse rastrelliere di legno, ciascuna carica di spade ordinatamente allineate: per un momento sorrisi tra me, notando che l'occhio critico di Will, al mio fianco, era già scattato istintivamente ad esaminare la fattura della merce esposta.
Jack ci precedette all'interno del negozio, ruotando lentamente su sé stesso per guardarsi bene attorno. Fu solo alla fine della sua giravolta che si accorse dell'ometto magro che sedeva dietro il bancone; era talmente piccolo e silenzioso che nemmeno io lo notai subito; mi accorsi della sua presenza solo nel momento in cui si alzò lentamente, appoggiandosi ad un bastone nodoso, e caracollò verso di noi squadrandoci con espressione incuriosita.
Vedendolo avvicinarsi, mi fermai quasi d'istinto. Gli occhi piccoli e castani ci scrutavano da sotto una benda verde scuro stretta in fronte, che gli tratteneva una massa di capelli scuri, sporchi e ricciuti che gli crescevano fino alle spalle. Metà viso e l'occhio sinistro erano parzialmente nascosti da un bendaggio improvvisato, che gli fasciava forse una ferita sulla guancia: mi bastò un'occhiata più accurata per riconoscere il pallore dello scorbuto sulla parte del suo volto che restava visibile. L'uomo ci guardò tutti per qualche istante, poi fece un sorrisetto tutto denti e annuì stupidamente, senza dire una parola.
- Aehm... salve, voi dovete essere Tiago Marquina. - si decise a farsi Jack, col tono più accattivante che gli riuscì. Se Marquina capì che cosa aveva detto, non lo diede a vedere: arretrò con calma di qualche passo, tornando al suo bancone, e ci si appoggiò per poi continuare a squadrarci con curiosità.
- Uh... tu...capisci... quello... che... dico?- sillabò Jack, gesticolando per rendere più incisive le sue parole. L'ometto rispose con strani gesti della mano libera, emettendo un curioso, gutturale mugolio come se cercasse di farfugliare qualcosa a mezza voce senza riuscirci: più fastidioso ancora, mi aveva piantato gli occhi addosso e aveva sfoderato un sorrisaccio a labbra tirate che non mi piaceva per niente. Mentre noi ancora non sapevamo da che parte prenderlo, con rapidità improvvisa lui afferrò due oggetti sul suo tavolo, un foglio di pergamena e un carboncino, e scarabocchiò alla svelta qualcosa. Quindi sollevò il foglio per mostrarcelo, e vidi che su di esso aveva scritto: “SPARROW?”
- Sì. - sbottò Jack, spazientito. - Sì, Dio santo, sono Sparrow!- ad un tratto voltò le spalle a Tiago Marquina, guardando me e Will in cerca di supporto. - Come si fa a mettere un muto come contatto?!-
- Infatti non è lui il vostro contatto. -
La voce acida e improvvisa ci fece quasi sobbalzare: dietro al bancone c'era una piccola porta che conduceva alla stanza adiacente; sulla soglia, intento a masticare un pezzetto di quella che sembrava una striscia di tabacco, c'era un ragazzotto alto e lentigginoso che ci squadrò con aria di sufficienza. Riconobbi subito lo stesso giovane che ci aveva “accolti” al nostro arrivo nella Gilda, e non era un ritrovamento piacevole.
- Tiago è qui solo per custodire l'armeria; se avete informazioni da riferire alla Gilda è con me che dovete parlare. - precisò, dandosi arie di importanza, mentre avanzava verso di noi. Jack lo squadrò da capo a piedi, sforzandosi evidentemente di apparire paziente.
- Meraviglioso. Allora, giacché sei tu il nostro contatto, fa' il tuo dovere e contatta Silehard, perché siamo noi quelli che sono appena stati contattati dai Mercanti... e in modo assai poco piacevole, comprendi?-
Davanti allo sguardo perplesso del giovane, Jack allungò con gesto brusco il rotolo di stoffa bruciacchiata che si era portato dietro, e lo sventolò mostrando il simbolo dei Mercanti. - Hanno cercato di dare fuoco alla mia nave, con questo affare che porta la loro firma. E non era un messaggio diretto solo a me. Ora, il tuo capo può cortesemente dirmi che cosa crede che io debba fare davanti ad un omaggio del genere?-
Il giovane lentigginoso fissò la bandiera per qualche momento, aggrottando le sopracciglia, ma la cosa più strana fu che non mi sembrò molto sorpreso. - Strano. - commentò infine. - Ma non mi sorprende, in fondo: quei dannati Mercanti sono diventati ancora più suscettibili, e solo perché non gli riesce di corrompere neanche la metà dei capitani che passano alla Gilda. -
- E' un sollievo sapere che devo considerarmi un “corrotto”. -
- Ci aspettavamo qualche smacco da parte loro. - continuò quello, come se non l'avesse sentito: perse ogni interesse per la bandiera bruciacchiata e tornò a guardare Jack. - Però la rapidità con cui hanno reagito quei Mercanti è... sospetta, sì. -
Il capitano alzò vistosamente le spalle e cincischiò con la tela che teneva in mano. - Forse è il caso di contemplare l'eventualità che, tra gli uomini fidati che il buon Silehard si tiene tanto vicini, ci sia qualcuno che fa la spia. - fece, con un sogghigno.
Il ragazzo reagì con rabbia inaspettata, facendosi rosso in volto -non per imbarazzo, ma vera e propria collera- e portandosi di scatto alla cintura. Vidi il manico di un pugnale.
- Mi stai dando del bugiardo?- ringhiò, oltraggiato. Ma ebbe appena il tempo di pronunciare quelle parole che si ritrovò sotto il tiro di tre pistole: quella di Will e le due in mano mia, che avevamo estratto e caricato nel momento stesso in cui aveva messo la mano sul suo coltello. Notai un movimento al fianco del giovane e cambiai la direzione della seconda pistola... ma era solo Tiago Marquina che, con aria allarmata, alzò le mani in segno di resa e caracollò all'indietro, appoggiandosi con la schiena alla parete. Gettata un'occhiata alla situazione, Jack sgattaiolò indietro tra me e Will.
- Non scaldiamoci, e tu per favore vedi di non fare cose stupide. Siamo venuti qui solo per parlare. - disse Will al ragazzo nel tono più calmo che poté: lo vidi abbassare la sua pistola, ma solo quando si fu accertato che la mano del giovane non era più sull'impugnatura del coltello.
- Vi porterò da Silehard. - sbottò il giovanotto dopo un attimo, senza guardare in faccia nessuno: improvvisamente sembrava quasi imbarazzato per il suo scatto d'ira. - Credo che sarà disposto ad ascoltare le vostre lamentele, ma non vi prometto niente. Seguitemi. Solo voi, però. - precisò in tono brusco, indicando Jack. Quest'ultimo tentennò, scambiando un'occhiata con me e con Will, quindi schioccò le labbra e accennò al giovane col capo. - Tornate pure alle navi; io vi raggiungo appena ho finito. -
Il ragazzo prese ad armeggiare attorno ad una grossa rastrelliera di spade addossata al muro: ci fu uno schiocco metallico, e improvvisamente quella scivolò di lato come una porta scorrevole, rivelando un piccolo corridoio. Lo guardai, sgranando gli occhi: un'altra delle molteplici entrare della tana di topi che si dipanava sotto le fondamenta della città?
- Jack... - prima che si voltasse verso il ragazzo, lo presi per una manica e abbassai la voce. - Sei sicuro di volere andare da solo?-
Lui accennò un sorrisetto e scrollò le spalle. - Che altro vuoi che succeda?-
Mi morsi le labbra per trattenermi dal rispondergli a tono, ma incrociai il suo sguardo, e per un attimo i miei occhi dissero tutto quello che avevo accuratamente evitato di pronunciare. “Non chiamarteli, i guai, stupido. Sono già abbastanza preoccupata così.”
Il giovane fece cenno a Jack di seguirlo dentro il corridoio: Jack gli venne dietro e, mentre si voltava per richiudere dietro di sé la rastrelliera, si sporse e gesticolò con una mano verso Tiago: - Comunque, conosco un tale che potrebbe insegnarti un paio di cose utili con un pappagallo... pensaci!-
Entrambi sparirono nel condotto, quando la rastrelliera fu chiusa alle loro spalle. Nel silenzio calato nell'armeria, Will sospirò e mi lanciò uno sguardo. - Sembra che non abbiamo altra scelta, se non di lasciargli condurre gli affari. - commentò, con una punta di amarezza. Io mi limitai ad annuire in silenzio, mentre rinfoderavo le pistole.
- Tu che lo conosci bene... - Will esitò, incerto. - Cosa... che cosa pensi che abbia in mente?-
Pensai ai suoi strani discorsi sui sogni, al modo in cui Silehard gli aveva parlato, e a come adesso rimaneva attaccato alla sua decisione anche dopo avere messo in pericolo la stessa Perla. Pensai alle carte che avevo trovato in cabina. Alle streghe. - Non ne sono sicura. - ammisi, ed era la cosa più sincera che potessi rispondere, al momento. Guardai Tiago, fermo a pochi passi da noi, che ci guardava senza avere nessuna reazione. Gli voltai le spalle e mi accostai a William, abbassando la voce. - Ma credo che sia alla ricerca di qualcosa dentro la Gilda, e non si fermerà finché non l'avrà trovato. -
Ad un tratto l'armaiolo muto si mosse, saltellando fino a noi con rapidità insospettata: non era proprio che zoppicasse, solo le sue gambe sembravano andare l'una nella direzione opposta all'altra, così che si bilanciava sul bastone, zampettando come un grosso insetto arzillo. Si fermò davanti a noi e prese a fare dei cenni a Will, indicando con insistenza la spada che portava alla cintura.
- Che cosa c'è?- domandò lui, senza capire. Tiago indicò ancora la spada, poi i propri occhi. Capendo che stava chiedendo di poterla vedere, Will estrasse la spada e la porse all'armaiolo per l'elsa: questi la prese con attenzione e se la rigirò a lungo davanti agli occhi, studiandola in ogni minimo dettaglio. Ad un tratto fece un sorriso soddisfatto e abbassò la spada, quindi si protese verso la sua scrivania per recuperare il pennino e il foglio di carta, sul quale scarabocchiò in fretta: “fabbro?”
Quel tizio sembrava esprimersi solo a domande. Will annuì, e il muto ebbe una specie di sussulto di gioia: gli restituì in tutta fretta l'arma che prima aveva esaminato con tanta attenzione, e cominciò a scrivere forsennatamente. Affacciandomi dall'altro lato del tavolo, cercai di sbirciare, ma rimasi delusa quando mi accorsi che l'ometto non stava scrivendo parole, ma una valanga di cifre e qualche scarabocchio che forse doveva rappresentare delle spade.
Quando ebbe finito porse il foglio a Will, continuando a fare gesti con le dita, indicando a turno ora lui, ora se stesso: il mio amico studiò il foglio per alcuni istanti, con le sopracciglia aggrottate, poi vidi il suo sguardo illuminarsi improvvisamente.
- E' un ordine per... una decina di spade? Spade come questa?- sollevò lo sguardo mentre lo diceva, e per un attimo non riuscii a capire se stesse parlando con me o con Tiago, dato che i suoi occhi si spostavano in continuazione tra noi due. L'ometto annuì vigorosamente, e con un cenno lo invitò a continuare a leggere. - Sì, capisco... il tempo, i materiali... tutto pagato? Però devi capire, sono molti anni ormai che non lavoro più come fabbro, non posso garantire sul tempo che ci impiegherei, né sulla qualità delle armi. -
Mentiva. Lì a Tortuga avevamo un fabbro di fiducia che ci riparava i cannoni, e da un po' di tempo William era entrato in confidenza con lui quanto bastava da lasciargli usare l'officina: quando capitava che ci trattenessimo in città più del solito, lui ne approfittava per rispolverare le sue vecchie doti di armaiolo. Anche la spada che portava al fianco, dalla quale Tiago Marquina era rimasto così impressionato, era una delle sue creazioni.
L'armaiolo alzò una mano, unendo le dita con fare insistente. Il messaggio era molto chiaro: ti pagherò.
- D'accordo. - forse il suo orgoglio di artigiano aveva preso il sopravvento. - Però voglio una promessa. Questo sarà un lavoro su commissione fra me e te, niente di più. Che non ti salti in mente di dire a Silehard che lavoro per lui, ora. - il suo tono si era fatto molto più duro, e vidi un'ombra di minaccia nel suo sguardo: Tiago non fece una piega, anzi, annuì soddisfatto.
Terminata quella bizzarra contrattazione, io e William ci congedammo e uscimmo, lasciandoci alle spalle l'armeria.
E Jack.

*

Silehard vuotò il boccale che aveva in mano in un solo sorso, quindi si asciugò le labbra con la manica, con un gesto frettoloso.
- Me lo aspettavo. - disse, tirando giù i piedi dalla cassa su cui li appoggiava, e alzandosi dal suo imponente seggio. - Non avete tutti i torti, Sparrow: forse questo fatto potrebbe davvero significare che ci sono delle spie all'interno della gilda... o forse no. Non è questo il momento di pensarci, comunque. -
Trastullandosi col boccale, si accostò a Jack, il quale al momento se ne stava in piedi davanti a lui, con il ragazzo lentigginoso da una parte e uno degli uomini nerboruti che stavano a guardia dell'ufficio di Silehard dall'altra.
- Strano a dirsi, ma questo incidente capita quasi a proposito. Ora avete visto a cosa sono disposti i nostri nemici... e quanto sono diventati avventati. - si concesse un sogghigno e prese a camminare avanti e indietro. - Non capite? E' la paura, che li spinge ad atti tanto sconsiderati! Perché arrischiarsi a fare un simile gesto di disprezzo nei confronti di uno dei miei nuovi capitani, quando io so benissimo che non sono abbastanza forti, tanto meno abbastanza influenti da poterselo permettere? Si stanno indebolendo, e lo sanno benissimo. Non posso che prenderlo come un segnale positivo, senza dubbio. Ma tutta questa storia ha posto in chiara evidenza una domanda che intendevo porre a voi, capitan Sparrow. Ora che avete visto a cosa sono disposti i Mercanti, a cosa siete disposto voi?-
- Non a lasciarmi bruciacchiare la Perla, di sicuro. - replicò Jack, sardonico. Il buon umore di Silehard era fuori luogo, così come i suoi evidenti tentativi di intortarlo grazie a quell'incidente. Inoltre, aveva la sensazione che negli ultimi avvenimenti ci fosse qualcosa che stonava, ma non avrebbe saputo individuarlo con chiarezza. Tuttavia, quello che al momento gli importava era che si trovava di nuovo dentro la gilda, nel suo cuore, e questo forse poteva finalmente portarlo più vicino a quel che stava cercando.
La sua risposta fece solo allargare il sorriso del capo della gilda. - Ne sono certo. - girò di nuovo su se stesso, alzando per aria il boccale vuoto. - Un attacco così diretto ad un membro della gilda è una chiara sfida, uno schiaffo morale che ci chiede di reagire, se ne siamo capaci. Perdio, ci stanno chiedendo se ne siamo capaci! Gli farò vedere io che cosa siamo capaci di fare, quando ci si provoca così deliberatamente! E' un gesto che non possiamo assolutamente lasciare impunito: cosa dovrei fare, lasciare che quei vermi credano di poter fare quello che vogliono ai miei capitani? Immagino che anche voi vogliate evitare che un episodio del genere si ripeta. - lanciò un'occhiata a Jack che, dal canto suo, era molto più impegnato a domandarsi se lui stesso facesse quell'effetto, quando dava dimostrazione della sua incapacità di stare fermo mentre parlava. Sicuramente no: lui di certo aveva molta più classe di Silehard.
Quando si accorse che l'uomo stava aspettando una sua risposta, scrollò le spalle e si limitò ad annuire, sperando fosse la cosa giusta da fare.
- Molto bene. In tal caso, ho un incarico per voi. - Silehard gli fece cenno di avvicinarsi e puntò il dito sulla mappa che ricopriva quasi interamente il suo tavolo, seguendo con la punta dell'indice una lunga serie di schizzi di edifici. - Qui è dove i Mercanti hanno le loro sedi. I loro magazzini, il loro quartier generale, il loro cantiere navale... E' da molto tempo che progetto un attacco come si deve al loro centro di comando, e ora il momento è finalmente arrivato!- posò il boccale sul tavolo e scrutò Jack di sottecchi. - Potrei mettere voi a capo della spedizione, Sparrow: mi sembra doveroso. Accettate l'incarico? Adempite a questo compito in modo soddisfacente, e otterrete subito un posto di favore all'interno della gilda. So premiare chi non mi delude. -
Il capitano lo interruppe alzando entrambi gli indici. - Io ho ancora una nave bucata. - gli ricordò, in tono di disapprovazione. Con un cenno del capo che forse voleva essere comprensivo, Silehard aggiunse: - Allora svolgete il vostro compito, ed io mi occuperò anche di riparare a mie spese il danno subito dalla vostra nave. -
- Così mi suona già meglio. - sorrise Jack, dando di gomito al ragazzo che lo accompagnava e accennando a Silehard. Il giovanotto alzò gli occhi al cielo e si sforzò di ignorare tutta quella confidenzialità con cui il capitano si ostinava a trattarlo. - Insomma, l'incarico di oggi servirà a mettere alla prova la mia affidabilità, più o meno è così?-
Un'ombra maligna saettò negli occhi di Silehard, e sembrò mettere in secondo piano perfino l'esaltazione con la quale fino a poco prima stava pregustando il suo contrattacco ai Mercanti. - No, capitano. L'incarico che ho in programma per voi questa sera servirà a mettere alla prova soltanto la vostra abilità. Credo che la vostra affidabilità la metterò alla prova adesso. -
Fece un cenno ai suoi tirapiedi e si allontanò dal seggio, senza bisogno di aggiungere altro: i due al fianco di Jack gli fecero segno di mettersi a camminare, e insieme lasciarono l'ufficio del capo della gilda, per infilarsi in un uno dei piccoli corridoi sotterranei. Il capitano non mancò di notare che i suoi accompagnatori sembravano più nervosi di lui, in particolare il ragazzo con le lentiggini: lo scrutò per un po' mentre percorrevano l'intero corridoio, e lo vide deglutire più volte, con lo sguardo ostinatamente fisso sui propri stivali. Perfino il bruto alla sua destra sembrava irrequieto.
Silehard si fermò bruscamente davanti ad una porta in fondo al corridoio: a Jack sarebbe potuta sembrare solo una delle tante porte che davano ai depositi della gilda, eppure il modo in cui l'uomo vi rimase di fronte, con un che di reverenziale, gli suggerì che doveva trattarsi di qualcosa di importante.
- Lei è qui. - disse, quando si accorse dello sguardo incuriosito di Jack su di sé. - La mia consigliera più fidata. Non fate domande; sarà lei a farvene. E non sforzatevi di mentire. Tanto... - un sorrisetto sgradevole gli arricciò gli angoli della labbra. - ...non potrete. -
Jack si accigliò ancora di più, mentre Silehard batteva quattro colpi secchi sulla porta.
- Avanti. - rispose una voce dall'interno e, all'udirla, il capitano rizzò le orecchie e sbarrò involontariamente gli occhi. Forse alla fine aveva raggiunto colei che divertiva a tirare le fila dei suoi incubi... non c'era voluto molto.
Il capo della gilda aprì la porta e gli fece cenno di entrare per primo, mentre i due uomini alle sue spalle sembravano molto contenti di essere stati dispensati dal compito: Jack varcò la soglia e si ritrovò in una stanzetta angusta che puzzava terribilmente di chiuso. C'era una sola, stretta finestrella che non avrebbe stonato in una cella; le pareti erano quasi interamente occupate da scaffali ricolmi di libri, carte e barattoli, cosa che faceva sembrare il posto ancora più stretto; in un angolo c'era un semplice lettuccio, e dalla parte opposta un minuscolo caminetto emergeva a fatica dalla parete, soffocato dagli scaffali. C'era il fuoco acceso, sopra il quale penzolava una grossa teiera di metallo brunito. Al centro della stanza troneggiava un tavolo enorme che avrebbe potuto rivaleggiare con quello nella sua cabina in quanto al disordine: era ingombro di libri e di pergamene, di candele consumate e chincaglierie varie. La persona che stava seduta al tavolo quasi spariva, dietro quella montagna di roba.
Era una donna, intenta a scrivere qualcosa con una penna dall'aria costosa, lunga e nera, dal pennino d'argento: stava talmente china sul suo lavoro che quasi sfiorava la pergamena col naso, ma si raddrizzò sulla sedia quando li sentì entrare.
Il suo sguardo incontrò quello di Jack, il quale per un attimo si sentì gelare.
“Tia Dalma.” pensò, nel momento stesso in cui realizzava che era impossibile. La donna che aveva davanti, naturalmente, non era affatto la misteriosa maga voodoo che ricordava, anche se il suo aspetto, i suoi abiti, perfino la sua stanza, contribuivano a suggerire più di una somiglianza.
- Siete il capitano, immagino. Sedetevi. - ordinò lei dopo un istante, e Jack avvertì un fastidioso brivido riconoscendo nuovamente la stessa voce rasposa che aveva sentito fin troppe volte parlare nei suoi sogni.
- E voi siete la strega, devo dedurre. Incantato. - replicò a tono, rivolgendole un inchino, prima di mettersi a sedere sull'unica sedia libera che vide davanti al tavolo. Silehard rimase in piedi dietro di lui.
- Il mio nome è Imogen. - disse lei, immobile come un ragno, fissando a lungo il capitano. Era attempata, doveva avere già raggiunto la cinquantina, ma curiosamente c'erano ben poche rughe a solcare il suo viso abbronzato: si era tinta di scuro gli occhi e le labbra -altro dettaglio che gli ricordava spaventosamente Tia Dalma- tanto che le sue iridi sembravano scrutarlo dal fondo di due pozzi neri. I suoi capelli erano lunghi, castano chiaro, raccolti in una cascata di piccole trecce annodate strettamente sulla sommità del capo: l'unica cosa che tradiva veramente la sua età erano le mani, rugose e nodose come quelle di una pescivendola.
Si mosse piano sulla sua sedia, con un fruscio di gonne: era vestita semplicemente, una lunga gonna scarlatta ed un corsetto dalle maniche a sbuffo, eppure la stoffa appariva lisa come se il vestito fosse stato vecchio di anni. Dal collo le pendeva più di una collana di conchiglie, che tintinnavano ad ogni suo movimento.
Jack si mosse sulla sedia, a disagio: si sentiva sotto esame, e la cosa non gli piaceva per niente.
- E' un piacere vedervi. Sentire soltanto la vostra voce era un tantino inquietante. - disse ad un certo punto, come per rompere il silenzio. La donna arricciò le labbra e intrecciò le dita nodose, allungandosi sul tavolo.
- La sfera del sogno può rivelare molte cose di una persona, ed è molto utile per conoscere fino in fondo i propri alleati... e i propri nemici. -
- Bastava chiedere. Sapete, non mi trovo molto a mio agio con voi che mi frugate nella testa tutte le notti. - si appoggiò contro lo schienale, rilassandosi. - Per curiosità, posso chiedervi come fate?-
Imogen rimase in silenzio per qualche momento, poi si portò una mano al collo, liberando una delle sue collane e mettendola alla luce perché il capitano potesse osservarla: Jack strinse gli occhi e si avvicinò un poco, vedendo che cosa penzolava dalla collana. Era un anello da uomo, grosso, con una pietra verdognola elaborata. Aveva qualcosa di familiare.
- Era già da qualche tempo che la gilda stava cercando informazioni su di voi, capitan Sparrow, ma è stato in un bordello che sono riuscita ad ottenere quello che volevo. E' una fortuna che certe prostitute conservino così amorevolmente i doni dei loro amanti pirati di un tempo. - disse la strega in tono vagamente divertito, mentre Jack si tirava indietro con una smorfia.
- Oh, andiamo... quello risalirà a due anni fa come minimo. - sbottò, con una scrollata di spalle.
Le labbra scure della donna si dischiusero in un sogghigno. - Vero: funzionerebbe molto meglio con un oggetto più recente, che voi abbiate posseduto per molto tempo e tenuto accanto. Magari posso chiedervi di prestarmi uno dei vostri anelli, per sostituire questo?-
Il capitano chiuse le mani a pugno, come per proteggere i monili che portava alle dita, e se le mise di scatto dietro la schiena. - No. - replicò in fretta, con aria quasi impaurita.
La strega rise di gusto, evidentemente divertita dal potere che vantava sopra di lui. - Non importa. Come vedete, mi basta un gioiello che sia appartenuto alla persona di cui voglio sondare la mente. Gli altri particolari non vi devono interessare; è sufficiente che siate consapevole di cosa posso fare. - lasciò andare la collana, facendosi ricadere l'anello contro il petto, quindi si alzò e in tutta calma andò a recuperare il bollitore che aveva lasciato sul fuoco, versando una sorsata di liquido fumante in una tazza. Si sprigionò uno strano odore, che rimase ad aleggiare attorno a loro come una presenza indefinibile.
Imogen tornò al suo posto e appoggiò sul tavolo la tazza fumante, spingendola verso Jack. - Dovete bere questo. -
Il capitano aggrottò le sopracciglia, squadrando con più attenzione la tazza: il contenuto era scuro e denso, e l'odore non assomigliava a niente che avesse mai sentito prima di allora. - E... perché dovrei?- domandò, circospetto.
- Regole della gilda: tutti devono berlo prima di un colloquio con me. - la donna spinse la tazza verso di lui con più insistenza, mettendogliela proprio sotto il naso. Jack lanciò uno sguardo a Silehard, ancora perfettamente immobile alle sue spalle, il quale si limitò a scoccargli un'occhiata eloquente alzando le sopracciglia. Deglutì: non aveva mai avuto belle esperienze con gli intrugli misteriosi di qualsiasi genere. Rassegnato, prese la tazza tra le mani, annusò, soffiò un paio di volte mentre scrutava il liquido con sospetto, infine si decise e se la portò alle labbra.
Il sapore non era dei migliori, e la bevanda viscosa gli lasciò uno sgradevole amarognolo in fondo al palato, ma lo bevve fino in fondo: quando ebbe finito posò la tazza sul tavolo e fece una smorfia, schioccando ripetutamente le labbra per liberarle dal cattivo sapore. Gli sembrava di avere ingurgitato del fango.
Silehard e la strega lo stavano scrutando con aria quasi avida, come se fossero in fervente attesa di qualcosa. Jack si leccò le labbra ancora una volta: il suo stomaco non stava protestando, e non gli sembrava di essere sul punto di cadere stecchito da un momento all'altro, quindi non aveva proprio idea di cosa si aspettassero quei due.
C'era qualcosa che non andava, però.
Ad un tratto, del tutto inaspettatamente, si sentì i piedi di piombo, e le braccia talmente pesanti che sembrava costargli fatica anche muovere solo un dito. Il crollo di energie fu talmente repentino che riuscì solo a restare seduto con lo sguardo vacuo, accasciato contro lo schienale della sedia e le braccia abbandonate sui braccioli, completamente e innaturalmente immobile.
“Cristo, mi hanno avvelenato.” fu il suo primo pensiero, subito sostituito da quello seguente. “Se è davvero così, è il veleno più strano che mi sia mai stato propinato. Non sento niente.” al quale seguì, con una nota di sorpresa: “Diavolo, questo sì che è strano. Non sento proprio niente. In tutti i sensi.” e infine arrivò una sorta di vacuo nulla: l'incapacità totale di formulare un pensiero, di riflettere. Improvvisamente tutto attorno a lui sembrava succedere molto, molto lentamente. O forse era lui che riusciva ad accorgersi di una sola cosa alla volta.
Si ricordò della presenza di Silehard solo quando questo si mosse e si spostò al suo fianco, entrando nel suo campo visivo. Perfino muovere gli occhi sembrava improvvisamente molto faticoso. Gli sembrava di guardare Silehard da dentro una bottiglia, come se lui fosse stato una di quelle stupide navi in miniatura, e tra di loro ci fosse un vetro arrotondato che distorceva tutto quanto.
- Molto bene. - la voce della strega. Giusto, c'era anche lei. La vide mettersi comoda e intrecciare le dita, mentre gli rivolgeva un sorriso affabile. - Capitano Jack Sparrow, sei disposto ad obbedire a noi, a lavorare per la gilda, e a schiacciare la gilda dei Mercanti?-
Impiegò alcuni istanti a capire la domanda, e altrettanti per riuscire a parlare: boccheggiò, sentendosi la bocca impastata, poi borbottò: - Sì... se mi andrà bene. -
Un momento, ma cosa stava dicendo? Doveva essere cauto con le parole, maledizione, doveva indurli a fidarsi di lui, come aveva sempre fatto fin dall'inizio! Imogen si limitò a sorridere di più e a sporgersi ancora un po' verso di lui. - Senti senti... Jack Sparrow, tu sai dove si trova l'Isla de Muerta?-
Il suo nome, pronunciato dalla strega, raggiungeva come un colpo di pistola il suo cervello assopito e lo costringeva a prestare attenzione alle sue parole, che lo volesse o no. - Sì. - biascicò di nuovo.
- Ci porterai laggiù, se te lo chiederemo?-
- Se me lo chiedete... sì... posso farlo. - era come se pensare fosse diventato troppo difficile. Improvvisamente non c'era più nessuna scusa, nessuna mezza verità: solo la forza per dire esattamente quello che gli passava per la testa. - Ma... si è inabissata. -
- Ma tu ci sei tornato, una volta... e non tu solo, stando a quanto ho visto. L'antico tesoro è raggiungibile?-
- Sì. -
- Ci porterai là. -
Jack batté le palpebre. - Va bene. -
Silehard ebbe uno scatto di irrequietezza e per un attimo le sue dita si serrarono sul braccio di Jack. - Sparrow, cosa mi dite della fonte della giovinezza? L'avete trovata?-
Il capitano strizzò di nuovo gli occhi. - Sì. - mormorò, per poi raddrizzare improvvisamente il capo con un debole scatto convulso. - Inutile... -
Gli occhi di Silehard si strinsero. - ...Inutile?-
- Inutile. - ripeté lui, con un debole movimento che avrebbe voluto essere un cenno di diniego.
- Abbiamo l'Isla de Muerta, e tanto ci basta. - la strega riprese seccamente il capo della gilda, rimproverandolo con lo sguardo per l'interruzione, quindi tornò a rivolgersi a Jack. - La tua donna, invece, mi preoccupa... lei obbedirà alla gilda?-
- No. - gli era uscito di bocca ancora prima che potesse solo pensare di trattenersi. Gli occhi neri della strega scintillarono brevemente. - Così, eh? Potrebbe esserci d'intralcio. -
- Non... - una scintilla di determinazione si riaccese per un attimo soltanto. - Non lo sa. Non lo sa perché sono entrato nella gilda. Non c'entra. -
- Capisco. Ma hai giurato per te stesso e per la tua ciurma, il che comprende anche lei: quindi sarà meglio che non ci causi dei problemi, perché nella gilda non c'è posto per i disertori. -
Jack si agitò per un attimo sulla sedia. - Non... le deve succedere niente di male!-
- Tranquillo, tranquillo... - il tono di Imogen si fece mellifluo. - Possiamo trovare un accordo. La tua ciurma, quindi, non si fida di noi. -
- No. -
- Ma si fida di te. -
- Sì. -
- Ottimo. E che mi dici del giovane capitano della nave che ti accompagna?-
- William. Ne sta fuori. Non ci vuole stare, lui, con la gilda. -
Era un sogghigno quello che balenò per un attimo sulle labbra della strega? Lui, piuttosto, stava davvero parlando troppo e non poteva fare niente per evitarlo. - Capisco... Il primo che cerca di fuggire dall'inevitabile. I codardi sono un dannoso intralcio ai nostri progetti, non trovi?-
- No. -
Imogen quasi rise. - Ma sentilo... Comunque, non è lui il problema più urgente. Stasera il quartier generale dei Mercanti brucerà, e tu dirigerai la spedizione al meglio delle tue capacità. Lo farai?-
- Lo farò, sì. -
- Molto bene. Resterai qui per organizzare l'attacco: ti verranno date delle istruzioni e tu le eseguirai alla lettera. Entro stasera, tutto dovrà essere stato compiuto alla perfezione. Considerala una prova per verificare quanto sei pronto a spingerti oltre. Dimmi, sei fiero di agire per la gilda?-
- ...No. -
Sorprendentemente, Imogen emise di nuovo uno sbuffo che assomigliava molto ad una risata. - Silehard è il tuo capo e il tuo superiore?-
- No. -
- Eseguirai ogni suo ordine, qualsiasi esso sia? -
- No. -
- Sei curioso di scoprire quanto a fondo posso scavare nella tua testa, e quali incubi posso mandarti?- le labbra della strega ora erano tirate in un sorriso spietato. Jack trovò improvvisamente anche la forza per scuotere la testa, sentendo un brivido freddo corrergli per la schiena. - No. No... no. -
- Bravo il nostro codardo. Non ti interessa neanche un po' il grande progetto di Silehard, vero? Agisci per il tuo tornaconto, a quanto pare, eppure sembra proprio che ti interessi andare fino in fondo. Speri di guadagnarci qualcosa, e dubito che sia il denaro. Che cos'è che ti interessa?-
Jack strizzò gli occhi. - Volevo sapere chi era che mi faceva fare i sogni. E voglio sapere a cosa vi servo. - dovette tirare un gran respiro per riuscire a finire la frase. - ...Voglio vedere dove volete arrivare. -
- Interessante. - concluse vivacemente la donna, con un guizzo di curiosità nello sguardo. - La cosa quindi non ti lascia indifferente come pensavo. Lo trovo... stimolante. Questo potrebbe tenerti legato a noi più di qualunque accordo. - si mise più comoda sulla sedia. - Abbiamo saputo che c'è un nuovo uomo nella tua ciurma. Chi è?-
La testa del capitano ciondolò per un attimo. - Testarossa? L'irlandese. Donovan. Connor. Connor Donovan. Non è nessuno... l'hanno salvato dopo l'incontro di boxe. Messo male. Lavorava per i Mercanti, questo sì... si è arruolato nella ciurma. Vuole venire con noi. L'ho accettato. -
Imogen si voltò quasi impercettibilmente verso Silehard e mormorò: - Corrisponde?-
Il capo della gilda rispose con un cenno altrettanto lieve che poteva forse essere interpretato come un gesto d'assenso, quindi si sporse per guardare Jack negli occhi. - Solo un'ultima domanda, Sparrow. Tu sei un pirata nobile. Qual è il tuo pezzo da otto?-
Lentamente, molto lentamente, il capitano riuscì ad alzare una mano fino a portarsela sulla testa, e le sue dita sfiorarono un piccolo corno d'osso appeso al filo di perline che pendeva dalla sommità della sua bandana. - Questo. - mormorò. Per qualche attimo ebbe paura che Silehard potesse prenderglielo, così che la strega potesse usarlo su di lui per fargli venire degli incubi ancora peggiori.
Invece lui si limitò a guardare il suo pezzo da otto con un ghigno soddisfatto, per poi farsi indietro e rispondere, in un sussurro inquietante: - Grazie. -

*

Un'altra giornata passata a far niente. Un altro giorno completamente buttato.
Questo pensavo mentre, sotto il sole del tardo pomeriggio, camminavo lungo il molo, dirigendomi verso la Perla.
Nemmeno di giorno la città era un posto piacevole dove stare: al culmine della noia mi ero presa tutto il pomeriggio per vagare per le strade, fermandomi qua e là a pensare se mi servissero nuove armi, munizioni di scorta o cose del genere. Ero tornata dal giro col mio gruzzolo ancora intatto nella borsa, e una crescente sensazione di minaccia addosso. Ovunque andassi mi sentivo osservata, anche se a girare per le vie c'erano sempre e solo i soliti onesti -e non- cittadini e i consueti brutti ceffi che se ne andavano a zonzo come se si sentissero i padroni indiscussi della strada. Anche se di norma non andavo mai a cercarmi guai, quella volta fui più guardinga del solito: evitai accuratamente le strade pattugliate da quelle sottospecie di squadroni di guardia, non parlai con nessuno, badai perfino a non incrociare lo sguardo di nessuno.
Forse in realtà non avevo niente da temere poiché, almeno formalmente, anch'io facevo parte della gilda di Silehard, per cui dubitavo che i suoi uomini avrebbero perso tempo ad attaccare briga con me. Tuttavia quella mattina avevo avuto la prova tangibile che non eravamo al sicuro, gilda o non gilda. Ogni giorno che passava, Tortuga mi sembrava sempre di più una polveriera pronta ad esplodere, e mai come adesso avevo desiderato poter levare gli ormeggi e andarmene via.
Passai accanto alla nave, scoccandole un'occhiata distratta: uno dei portelli dei cannoni era di un legno leggermente più chiaro e nuovo e spiccava evidente sulla fiancata. Jonathan doveva avere finito.
Lo avevo incaricato di sostituire il portello bruciato, e sembrava aver fatto un ottimo lavoro, ma in quel momento avevo la testa da un'altra parte. Jack non era tornato. Non l'avevo più visto da quando l'avevamo lasciato nell'armeria di Marquina, e l'unica, per niente rassicurante certezza, era che al momento si trovava alla gilda insieme a Silehard.
Feci per salire sulla passerella della Perla, ma qualcosa mi fermò. Solo poco più in là lungo il molo era ormeggiata la Sputafuoco e, anche se non riuscivo a vedere cosa succedeva sul ponte, ero certa di avere sentito della musica che proveniva proprio da lì. Come mi fermai ad ascoltare la sentii ancora: il suono miagolante di un violino mi portò le note di un minuetto, seguito da uno scroscio di risate.
Scoccai un'occhiata al ponte della mia nave: qua e là c'erano i soliti drappelli di pirati che bevevano, giocavano a dadi e a braccio di ferro, e nessuno sembrava di umore particolarmente allegro. Girai sui tacchi e mi diressi verso la Sputafuoco.
Il suono del violino e delle risate si fece più forte quando risalii la pedana, e fu con un certo stupore che mi accorsi di essere piombata nel bel mezzo di quella che aveva tutta l'aria di essere un festino: alcuni pirati erano seduti sul ponte e sulla murata, il suonatore di violino era il vecchio Trentacolpi in persona, ritto sotto l'albero maestro; mentre suonava batteva i piedi e si dimenava, facendo tintinnare tutte le sue pistole, eppure dovevo riconoscere che sapeva il fatto suo. Al centro del ponte c'erano tre coppie danzanti: Will ed Elizabeth ballavano abbracciati, subito accanto a loro c'erano Faith ed Ettore e per ultimi -dovetti strizzare gli occhi per essere sicura di non avere preso un abbaglio- Connor insieme a Valerie.
La giovane sembrava più che soddisfatta di fare coppia col bell'irlandese e, mentre volteggiavano -adesso aveva attaccato l'aria di un valzer- la vidi abbandonarsi al suo abbraccio un po' più di quanto fosse consigliabile. Per l'ennesima volta in quei giorni mi domandai dove fosse finito Jonathan, e perché i due sembrassero avere improvvisamente tagliato i ponti. Per un attimo mi passarono proprio davanti, e i capelli neri di Valerie volteggiarono in aria, mentre Donovan la teneva tra le braccia.
La danza finì, e tutti i pirati applaudirono e gridarono: Trentacolpi ci mise del suo alzando in aria sia il violino che l'archetto e agitandoli furiosamente, con un grido d'approvazione. Scoppiai a ridere e mi unii agli applausi, avanzando sul ponte verso i miei amici.
David, che si stava divertendo anche lui a volteggiare e saltellare per conto suo sul ponte, mi notò e mi corse incontro. - Laura! Ciao!- cinguettò, agitando le braccia per salutarmi.
- Capitana!- esclamò il vecchio Trentacolpi, e in men che non si dica caracollò verso di me e piombò in ginocchio ai miei piedi, con occhi e bocca spalancati all'inverosimile come se fosse sopraffatto dall'emozione. - Unica! Splendida! Divina! Magnifica... Capitana!- scherzò, accompagnando ogni parole con un cigolante colpo dell'archetto sulle corde del violino.
- Avete finito?- davanti alla sua sceneggiata risi di nuovo, e tutta la ciurma rise con me. Trentacolpi si rialzò in piedi ringraziando la folla con un cenno del capo, mentre Elizabeth mi fece un cenno di saluto dal centro del ponte. - Ti unisci a noi?- mi invitò, sorridendo.
Scossi il capo, poi mi chinai a prendere in braccio David che saltellava in cerca di attenzioni. - No grazie. Ho già il mio ballerino!- risposi, sollevandolo.
Sbirciai in direzione di Connor e Valerie e per un attimo li vidi testa contro testa, quella nera di lei e quella rosso scura di lui, chini a confabulare qualcosa tra di loro. Poi Valerie gettò indietro il capo e rise in modo assolutamente adorabile, con le mani ancora appoggiate sulle spalle larghe di Connor. Durò un istante appena, poi i due si separarono con tutta la naturalezza del mondo, e l'irlandese si diresse verso le altre due coppie per poi inginocchiarsi con fare melodrammatico davanti ad Ettore e Faith, e porgere la mano a lei.
Inarcai un sopracciglio, mentre tenevo distrattamente David tra le braccia. Di colpo sembrava che a Donovan tutto fosse concesso, anche fare il buffone con Faith sotto gli occhi di suo marito: per qualche momento Ettore fece un'espressione dubbiosa, poi Will ruppe il ghiaccio lasciando andare Elizabeth e facendosi avanti per uno scambio di dame. Un attimo dopo avevano già formato le nuove coppie; Connor con Faith, Ettore con Elizabeth e Will con Valerie, e ripresero a ballare come se nulla fosse.
Avevo la sensazione di essere finita in mezzo ad una specie di commedia teatrale, e di essere l'unica a non avere letto il copione.
- Balliamo, David?-
- Sììì!- gridò entusiasta il bimbo, gettando le braccia in aria. Mentre gli altri ballavano sul ponte, io rimasi ai margini e per un po' mi divertii a fare girare David, godendomi le sue risate sguaiate. In quel momento provavo sentimenti contrastanti: era un piacere trovarmi finalmente in mezzo ad un'atmosfera un po' più allegra del solito, ma allo stesso tempo era come se l'arrivo di Donovan tra di noi avesse improvvisamente distrutto l'equilibrio precedente per crearne dal nulla uno del tutto nuovo. Un equilibrio dal quale in parte mi sentivo esclusa, e in parte non ero sicura di voler entrare.
Sbirciavo Faith mentre ballava con Connor, che li faceva volteggiare sul ponte con naturalezza. Aveva un sorriso impacciato congelato sulle labbra, ed era arrossita violentemente: Donovan, invece, le sorrideva apertamente, con la scioltezza del migliore dei ballerini. Chissà Ettore come l'avrebbe presa?
Anche quel giro di danza finì, e sotto sotto fui felice di vedere la mia amica staccarsi finalmente da Connor. I pirati gridarono e applaudirono di nuovo, io feci fare una giravolta a David e poi lo appoggiai a terra mentre lui ancora rideva come un matto.
- Andiamo, andiamo, mezze calzette, non sarete mica già stanchi!- sbraitò Trentacolpi con una potente risata, e riattaccò a suonare il violino con un ritmo più indiavolato di prima, senza prestare ascolto alle risate e alle scherzose richieste di pietà dei ballerini.
- Vado io, vado io!- gridò David, tutto felice, correndo davanti al vecchio nostromo e mettendosi a saltellare davanti ai suoi piedi, scatenando l'ilarità della ciurma. Un altro pirata si era affiancato a Trentacolpi con un tamburello e batteva il ritmo. Mentre ancora guardavo David, sorridendo, qualcuno mi batté un colpetto sulla spalla: mi voltai e mi trovai faccia a faccia con Donovan, che mi rivolse un sorrisetto inequivocabile e mi porse la mano.
Scossi la testa e arretrai di un passo. - No, grazie. - rifiutai, senza particolare entusiasmo.
- Perché no?- insistette. - E' un peccato che proprio voi dobbiate essere senza cavaliere. -
- Ha ha. Divertente. Grazie, ma no. -
- Volevo solo essere gentile. - si scusò, perdendo un po' del suo sorriso. - Ne siete proprio sicura? Vi assicuro che sarebbe un onore, per me. -
Riuscì a strapparmi un sorriso. - Non si balla col capitano. - scherzai, con un cenno del capo. Questo lo fece ridacchiare, e mi scoccò un'occhiata da sotto in su. - Davvero? E' uno degli articoli del codice?-
- Ovviamente. Come farei a farmi rispettare, poi?-
Lui rise ancora di buon grado, ma non lasciò perdere. - Mi pare giusto. Tuttavia... - gettò un'occhiata attorno a sé. - Non siamo sulla vostra nave, e voi non siete il capitano, qui. Non è una scusa sufficiente?-
Sospirai e alzai gli occhi al cielo: un po' mi sentivo braccata e la cosa mi infastidiva, ma, d'altra parte, Donovan era stato molto gentile nel suo approccio. Quasi mi dispiaceva dirgli ancora di no. - C'è un modo per convincervi a lasciar perdere?-
- No. - replicò con un gran sorriso. - Facciamo così: se vi rivelerete una pessima ballerina, state pur sicura che sarò io a scappare a gambe levate. -
Sogghignai di rimando. - Ho già vinto, allora: non sono mai stata brava a ballare. -
- Forse avete solo avuto un cattivo insegnante. - senza aggiungere altro, Connor mi prese per mano e mi tirò al centro del ponte.

*

I cancelli del cantiere navale dei Mercanti si aprirono per fare passare un gruppo di sette robusti marinai negri: ciascuno di loro faceva rotolare davanti a sé un grosso barile.
- Ehi, ehi!- l'uomo che presidiava il cancello sollevò una mano e si fece loro incontro di corsa. - Che cos'è questa roba?- domandò in tono imperioso, lanciando ai barili un'occhiata sospetta.
- Chiodi, signore. I capi vi mandano i materiali richiesti. - rispose il negro interpellato, posando le mani sul barile. L'uomo sbuffò, sdegnoso, e chiamò i suoi aiutanti perché venissero coi piedi di porco ad aprire quei barili: uno dopo l'altro vennero tutti scoperchiati, rivelando il loro contenuto che, effettivamente, era di spessi chiodi per le navi. Si rilassò un poco: ricordava che, in effetti, pochi giorni prima era stata fatta una grossa ordinazione di chiodi; l'unica cosa sorprendente era che avessero eseguito così in fretta.
Una volta controllato il carico, l'uomo ordinò ai negri di sistemare i barili, e questi furono lesti ad eseguire. Quando i cancelli furono chiusi alle sue spalle, né il guardiano né tantomeno gli operai prestarono attenzione ai marinai negri che si sparpagliarono per tutto il cantiere, disponendo i loro barili in un ordine preciso.
I Mercanti potevano vantare di un cantiere navale piuttosto spazioso: dall'esterno appariva solo come un classico casermone in legno, chiuso da un tetto, ma dall'interno si poteva avere un'idea di quante fossero in realtà le persone che vi lavoravano e di quanto spazio disponevano. Un bacino di carenaggio si apriva verso l'esterno, sul mare aperto, e subito accanto c'era ancora abbastanza spazio per il largo piano inclinato sul quale venivano tratte in secca le imbarcazioni più piccole.
Al momento, la maggior parte dei lavoratori erano molto occupati nella costruzione di un grosso galeone da guerra, mentre altri erano alle prese con quattro imbarcazioni di dimensioni molto più ridotte.
Non era la prima volta che quei marinai negri consegnavano materiali al cantiere, quindi le guardie che pattugliavano l'arsenale non fecero commenti vedendo passare uno di loro che spingeva il suo barile, tutto preso dal suo compito. Ignorato da tutti, il negro posò il barile il più vicino possibile al deposito dell'artiglieria, dove era contenuto tutto il materiale bellico e la polvere da sparo con cui armare le navi che venivano assemblate lì dentro.
Si fermò con il barile proprio dietro ad una grossa pila di stoffa per i velaggi, accuratamente ripiegata e legata, e si inginocchiò a terra per nascondere i suoi movimenti: in un attimo ribaltò il barile su di un fianco e aprì facilmente il finto fondo. Dal barile sgusciò fuori un ragazzino cencioso di appena nove anni, che fino a quel momento era rimasto raggomitolato dentro l'angusto doppio fondo che lo teneva separato dai chiodi. Un po' ammaccato, ma sveglio come un grillo, il bambino si mise a quattro zampe e sgattaiolò via in pochi secondi, nascondendosi dietro le cataste di cordame, di vele e di assi, stringendo contro il petto un lungo punteruolo robusto di metallo.
Mentre i negri, con molta calma, si radunavano per andarsene, il bambinetto sgusciò indisturbato fino all'artiglieria e si impossessò di un barilotto di polvere da sparo, il più piccolo che riuscì a trovare. In tutta fretta si accucciò dietro i barili più grossi e, stringendo forte il punteruolo tra le dita, cominciò a menar colpi contro il fondo fino a che una delle assicelle non si spezzò con uno scricchiolio sonoro, spargendo a terra un po' della polvere che conteneva.
Con un sogghigno soddisfatto, il bambino si infilò il barilotto sotto il braccio e riprese il suo giro furtivo lungo il perimetro del cantiere in senso inverso, raggiungendo uno dopo l'altro tutti e sette i barili che i negri avevano depositato in punti diversi.
Dietro di lui, si snodava una linea nera e sottile di polvere da sparo.

*

Donovan mi prese con la mano dietro la spalla, ed io appoggiai la mia mano sul suo braccio: con la mano sinistra presa la mia destra, e cominciammo a girare su noi stessi. Mi sforzavo di non incrociare il suo sguardo nemmeno per sbaglio, ma eravamo così vicini che lo sentii trattenere una risata, e allora mi voltai verso di lui.
- Che cosa avete da ridere?-
- L'albero maestro è più sciolto di voi, signora!- replicò lui, scoppiando a ridere. - Cos'è che vi innervosisce?-
- Da dove comincio?- ribattei, acida. Nello stesso momento riuscii a pestargli un piede per ben due volte, ma la cosa lo fece ridere ancora di più: ad un certo punto lui accelerò un poco il ritmo e, mio malgrado, dovetti assecondarlo e lasciarmi condurre. A tempo di musica attraversammo il ponte, volteggiando anche un po' troppo per i miei gusti: ero certa che sarei finita per terra, se non fossi stata saldamente aggrappata a Donovan. Dettaglio che, ne ero certa, non mancava di divertirlo immensamente.
- Così andiamo molto meglio. - commentò, scostandosi appena perché fossimo faccia a faccia. - Visto? Siete molto più apprezzabile, quando vi degnate di rilassarvi un po'. -
Mi bloccai, interrompendo bruscamente la nostra serie di giravolte lungo il ponte. - State diventando noioso. -
- Voi invece no. - un largo sorriso gli guizzò sul volto, mentre la sua mano dava una stretta alla mia e il suo braccio premeva attorno alla mia vita, invitandomi a continuare il ballo. Pigramente ricambiai il sorriso, poi sgusciai via dalla sua stretta con facilità, anche se non mi riuscì di sfilare la mia mano dalla sua.
- Spiacente, signor Donovan. Penso di averne avuto abbastanza. -

*

Quando i sette negri uscirono dal portone principale del cantiere, la figura acquattata nell'ombra del vicolo poco distante scoprì i denti d'oro in un sorrisetto.
Nello stesso momento, il giovanotto dai capelli rossi spuntò da dietro le spalle di Jack, si affacciò da dietro l'angolo e fece un breve fischio, facendo cenno col braccio agli uomini perché si affrettassero: quelli non si fecero pregare e imboccarono di buon passo la strada opposta, improvvisamente ansiosi di lasciarsi il cantiere alle spalle. Lo sguardo del ragazzo rimbalzò per qualche momento da Jack al portone, sempre più impaziente, mentre sembrava combattuto tra la cautela e l'orgoglio nel difendere la propria posizione di superiorità. - Allora? Non è ora di metterci al riparo?- sibilò.
- Con calma, figliolo. - replicò il capitano in tono distratto. - Avremo tutto il tempo di avere fretta, non appena... ah, ecco. -
Un improvviso trambusto anticipò l'apertura del portone, dal quale questa volta si affacciò un nerboruto carpentiere che spinse fuori con una pedata il bambino che era entrato nascosto dentro le botti. Quello cadde a faccia in giù per la spinta, strillò qualche insulto al carpentiere -tanto per reggere il gioco ancora per qualche momento- poi, quando quello richiuse pesantemente il portone senza smettere di imprecare, saltò in piedi e se la svignò a rotta di collo su per la strada, molto più in fretta di quanto non avessero fatto i sette negri. Se il marmocchio si era fatto scovare e buttare fuori -come previsto dal piano- poteva significare una sola cosa: la miccia era accesa.
- Ora è tempo di avere fretta!- esclamò Jack, tornando a ripararsi prudentemente dietro l'angolo della strada. Quella dei barili era stata una sua idea: quando alla gilda gli avevano mostrato quel doppio fondo solitamente usato per il contrabbando, il piano aveva preso forma da solo. Soltanto un piccolo scomparto sotto il coperchio del barile conteneva i chiodi che avevano tratto in inganno il responsabile del cantiere navale: sei di essi erano pieni di polvere da sparo. Ma, logicamente, la polvere nei barili, da sola, non sarebbe bastata: serviva qualcuno che si occupasse di innescare la trappola. Appiccare un incendio nel cantiere non era una cosa da poco: cordame e vele venivano mantenuti umidi proprio al fine di evitare incidenti, e le pareti del cantiere erano in legno spesso, che non bruciava facilmente. Perciò occorreva sparare dritti sul bersaglio grosso: l'artiglieria. Per questo uno dei barili conteneva lo svelto ragazzino che si era prestato all'impresa, e gli altri, posizionati strategicamente, erano diventati semplici trappole pronte ad esplodere non appena fossero stati raggiunti dalle fiamme e dal troppo calore.
Giusto per non rendere le cose troppo facili.

*

Connor rafforzò la stretta sulla mano che ancora non si decideva a lasciarmi, e mi tirò di nuovo vicino a sé. I nostri occhi si incrociarono in silenzio per qualche attimo, prima che lui dicesse: - Mi sembra di finire continuamente per offendervi e, credetemi, vorrei davvero sapere come fare per evitarlo. -
Riuscii finalmente a liberare la mano con uno strattone, forse un po' più bruscamente di quanto avrei voluto. - Evitare di starmi addosso aiuterebbe. - ribattei. Trentacolpi stava continuando a suonare, ma sapevo che il nostro bisticcio aveva già attirato l'attenzione di gran parte dei presenti.
Donovan mise su un cipiglio ferito e si strinse nelle spalle. - Mi dispiace davvero che pensiate questo. Non sono io quello da cui dovete guardarvi. -
Qualcosa nelle sue parole, o forse nel tono in cui le aveva pronunciate, mi fece sussultare più del dovuto. - E con questo cosa state insinuando?-
- Non insinuo niente. Guardatevi dalla strega, capitano: lei sa come tenere alla catena gli uomini che lavorano per Silehard... e non c'è niente che voi possiate fare per evitarlo. -
- Ora ascoltatemi bene!- scattai, a voce così alta da zittire perfino il violino di Trentacolpi. - Mi sono stancata della gente che mi parla per enigmi, e mi sono stancata della gilda! Non mi fanno paura né le streghe né tutti i balordi al soldo di Silehard, è chiaro? E fossi in voi, Donovan, in questo momento eviterei proprio di farmi arrabbiare!-
Davo le spalle al porto, per questo distinsi la vampata di fiamme solo quando ne vidi il bagliore rossastro brillare sui visi dei pirati rivolti verso di me.
Ci fu un boato assordante che mi fece tremare fin nel midollo delle ossa e, quando mi girai di scatto, vidi salire nel cielo una fiammata, seguita da una nuvola di fumo nero. I pirati, dapprima ammutoliti dal frastuono, ora cominciarono a gridare, eccitati, spintonandosi per vedere e additando il luogo dell'esplosione. Un altro scoppio, più piccolo, illuminò ancora la notte di bagliori rosso sangue. Quello che andava a fuoco era il capannone del più grosso cantiere navale della città, ed era tanto vicino che lì dal porto potevamo vederne crollare la struttura tra il fuoco e il fumo.
I domini dei Mercanti bruciavano.



Note dell'autrice:
E si riparte! Forse per caso, forse per via di quella vocina che mi assillava perché finissi almeno un capitolo prima dell'uscita di POTC 4, ma finalmente ho ripreso a scrivere! Ormai dubito molto che riuscirò a coronare l'ambizioso progetto di finire questo episodio prima del quarto film, ma se non altro sono riuscita a tenere fede all'altro patto: quello di non smettere di scrivere e di portare questa saga fino in fondo; non importa cosa mi riserverà il nuovo film. Dovrò conviverci, a quanto pare. Ma le mie storie resteranno per sempre una versione alternativa e personale. Grazie come sempre alle fedelissime eltanin12 e Fannysparrow; felice che l'affezionato signor Donovan di quartiere abbia riscosso successo... I capitoli di transizione sono una croce e una delizia; ora vediamo un po' se i personaggi si decidono a smettere di "transitare" e basta e mi tornano sui binari... Con questo capitolo, intanto, di certo ho dato un po' di fuoco alle polveri.
Come sempre, wind in your sails.

  
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