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Autore: IoNarrante    03/05/2011    6 recensioni
Cosa vi aspettereste da una vacanza in un villaggio? Sole, mare, magari qualche flirt estivo.. niente di più! Questo è ciò cui pensava Francesco, quando, con i suoi amici dell'università, è partito per la Puglia, per una vacanza post-laurea. Ma è bene fare attenzione a scegliersi le compagnie con cui passare quattordici giorni della propria vita.. altrimenti si può incappare in una scommessuccia, dapprima innocente, ma che costringe il nostro povero protagonista, sciupafemmine e perennemente single, ad imbarcarsi in un'avventura con una ragazza.. come dire.. non proprio della sua 'taglia'..
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4

  ~Picchio dorsobianco~    
betato da Pepita

Premesso che non è umanamente possibile alzarsi alle sei del mattino, quando persino il sole si è risvegliato da poco, né tantomeno plausibile che un ragazzo di ventitré anni, già al secondo giorno di vacanza si ritrovi con uno zigomo tumefatto, s’infili un paio di pantaloncini scomodi, una T-shirt scolorita, degli scarponcini da trekking di dubbia provenienza e che si carichi sulle spalle il peso di: numero 2 panini al prosciutto, una lattina di Coca-cola e una di birra, una bottiglia d’acqua da un litro e mezzo e una felpa ciancicata, senza che gli venga in mente di lanciare tutto dalla finestra e rotolarsi di nuovo tra le sue morbide e fresche lenzuola, sappiate che il sottoscritto è uomo d’onore e la parola data a Sole è una promessa da mantenere.
Ma questo non era nulla in confronto a ciò che avrei dovuto sopportare quel giorno.
Dopo aver spiegato ai ragazzi la proposta che Sole mi aveva fatto, Stefano per poco non era svenuto mentre mormorii di dissenso si erano levati un po’ da tutte le parti. L’idea di svegliarsi all’alba per camminare sotto il sole cocente di Luglio in una foresta dimenticata da Dio, non allettava proprio nessuno ma il non sapere cosa sarebbe successo tra me e Sole li metteva in una posizione davvero compromettente.
«Potremo infilargli un walkie-talkie nello zaino e sentire quello che si dicono» propose Stefano che fra tutti era quello più terrorizzato all’idea di svegliarsi alle sei del mattino.
«Ma fra il sentire e l’assistere c’è una bella differenza!» si lamentò Ginevra che, come gli altri, ci stava davvero prendendo gusto a fare la spettatrice.
«Facciamo decidere la sorte» propose Ale. «Due di noi vanno e poi riferiscono agli altri».
Mentre loro discutevano su chi di loro fosse più adatto a compiere il ‘sacrificio’ di alzarsi così presto, mi ritrovai veramente a pensare se ci fosse davvero una via di scampo a tutto questo?. Ero ancora in tempo per mollare tutto, per non ingarbugliarmi in una storia che se fosse andata secondo i piani di Sara avrebbe cambiato per sempre la vita di quella povera ragazza. Sarei stato disposto a fare il carnefice?
«O andiamo tutti o non andrà nessuno» s’intromise Sara guardandoli di traverso. «Ci siamo dentro in questa storia, nessuno escluso, perciò non vedo dove sia il problema».
Da questo punto di vista sarebbe stata una ragazza ammirevole. Purtroppo ognuno di noi conosceva il suo lato sadico e mi stupivo ogni giorno di più di quanto potesse essere subdola.
«Ma dove ci dovremmo incontrare?» domandò Stefano, sempre più demoralizzato.
«'Alle sei meno un quarto davanti alla reception'» recitai, leggendo le informazioni del volantino che Sole mi aveva relativo all’escursione.
«Meno un quarto?!?» sbraitò lui. «Non mi sarei alzato così presto nemmeno se uno tsunami avesse minacciato di spazzar via la mia casa!».
«Siamo tutti a conoscenza della tua narcolessia» commentò Giacomo mentre tutti annuivano con la testa.
«Bene, allora è deciso!» esultò Claudia. «Vado a tirare fuori gli shorts e gli scarponcini da trekking».
«Perché, ci vogliono anche delle scarpe speciali per andare in quell’inferno?» borbottò Stefano sempre più scoraggiato.
«Se non vuoi rischiare che qualche viscido animale ti morda le caviglie..» osservò Ginevra rabbrividendo.
Dopo le paranoie che Claudia e Ginevra avevano disseminato in tutta la comitiva, fummo costretti a sborsare 30 euro a cranio per affittare l’attrezzatura da trekking e, come se non bastasse, venni a conoscenza del fatto che il simpatico lottatore di Wrestling, quello che il giorno prima mi aveva quasi mandato all’altro mondo con un pugno, avrebbe accompagnato la guida nell’escursione.
Peggio di così non può andare, pensai.
Quanto mi sbagliavo.
 
***
 
«Non dovete venire per forza» tentai di insistere quando Betta e Sere stavano già mettendo l’occorrente per una scampagnata nei loro zainetti. «Avete sempre detto che semmai fossi voluta andare a fare trekking nel bosco sarei dovuta andare da sola a fare compagnia a quei pidocchiosi animalacci».
Erano le testuali parole che mi avevano ripetuto, quasi fino alla nausea, durante le due settimane che avevano preceduto la vacanza. Da una parte mi sarebbe dispiaciuto andare da sola, senza poter condividere con loro la mia passione per la natura, dall’altra, però, sapendo che anche Francesco e gli altri vi avrebbero partecipato, non ero più tanto dell’idea che quelle due pesti dovessero accompagnarmi.
«È inutile che cerchi di convincerci» mormorò Betta agitando il dito indice davanti alla mia faccia.
«Dove va quel polpo-maniaco andremo anche noi.. per vigilare!» mentre Sere, invece, puntò l’indice e il medio tesi, prima verso i suoi occhi, poi verso i miei con l’intento di dirmi ‘ti tengo d’occhio’.
Oh, Signore.. cosa avevo fatto di male?
«E, poi, come te la caveresti senza di noi? Non hai detto di aver invitato anche quegli strambi individui dei suoi amici?».
Il cipiglio di Betta e Serena era uguale e se una non fosse stata mora e l’altra bionda, avrei anche potuto dire di avere davanti agli occhi due gemelle identiche. Fino all’ultimo avevo sperato in una loro rinuncia, soprattutto per via dell’attrezzatura che avrebbero dovuto noleggiare e che io, preventivamente, mi ero già portata da casa, invece niente! Erano andate entrambe alla reception e avevano prenotato la gita per l’indomani, come se niente fosse.
«Serena, siamo serie. Tu odi profondamente tutto ciò che si muove!» le ricordai alludendo alla sua fobia per insetti e animaletti vari.
Lei sembrò inizialmente perplessa, tant’è che deglutì a fatica, poi sospirò e tornò sicura di sé. «Bel tentativo, cara, ma non posso lasciarti in balia di questa malata mentale» ricominciò riferendosi a Betta.
«Senti, tu!» le rispose l’altra e da lì in poi ci furono solamente dei continui battibecchi su Francesco, su Emanuele e su chi di loro due mi avrebbe fatto da damigella il giorno delle nozze.
Spalancai la portafinestra che dava direttamente sulla spiaggia, inspirando la frescura e l’umidità del mattino della mattina presto, quando non si ode altro che lo sciabordio delle onde. Anche se sapevo di andare in contro a una catastrofe emotiva portandomi dietro quelle due sciagurate, non avrebbero potuto rovinarmi la giornata dopo che era iniziata con quel meraviglioso panorama.
Infilai i piedi nella sabbia ancora fresca della notte rabbrividendo quando un alito di vento mi soffiò sulla pelle nuda del collo, dato che avevo i capelli legati al di sopra della nuca, e sospirai ammirando quella bellezza naturale.
Una volta lessi che la vita più intensa è raccontata in sintesi dal suono più rudimentale: quello dell’onda del mare che da quando si forma muta ad ogni istante, e pensai che quella frase potesse rappresentare quello che sono. Trovavo più affinità con un elemento così distante dalla nostra specie, come il mare, piuttosto che con tutto ciò con cui ero venuta a contatto sin dalla nascita, ossia il genere umano.
Avrei dato ogni cosa per rendere infinito quell’istante, mentre con lo sguardo ero persa nella contemplazione di quell’irreale tranquillità.
«Sono quasi le sei, Sole!» mi urlò dietro Betta. «Non vorrai fare tardi o farci fare tardi..».
Sconsolata, rientrai e raccolsi tutto ciò che mi sarei dovuta portare per fare trekking. Allacciai bene gli scarponcini, tirai i calzettoni fin quasi sotto il ginocchio, mi aggiustai per bene la cintura che teneva su gli shorts e diedi un’ultima occhiata allo specchio lungo della camera.
Questo è il massimo che puoi ottenere, cara, disse la mia coscienza per me.
Ero soltanto al secondo giorno di villeggiatura e mi ero già incasinata in una storia che non aveva nulla di semplice davanti a sé. Più passava il tempo e più mi rendevo conto che quel Francesco stava architettando qualcosa, ma non sapevo ancora di cosa si trattasse.
«Sole, muoviti!» sbraitò Serena, dopodiché chiusi la stanza e ci dirigemmo nella hall dove tutto il gruppo di trekking si sarebbe dovuto riunire per dare il via alla gita a Bosco Umbro.
 
***
 
L’umore generale di quella mattinata era più nero di un caffè espresso. Attorno alle teste dei miei amici si poteva benissimo intravedere un alone scuro di risentimento, a causa dell’alzataccia di quella stessa mattina, mentre Stefano era letteralmente sbracato sul bancone della reception, russando sonoramente e non preoccupandosi affatto di sembrare narcolettico.
Oltre al nostro gruppo e a quello di Sole, che giunse poco dopo il nostro arrivo, c’era una coppietta di anziani, più arzilli di noi che avevamo le occhiaie fino ai piedi, e un signore con i baffi e la barba stile ‘Texas Ranger’, armato di binocolo, macchina fotografica, telecamera, tre-piedi e chi più ne ha più ne metta.
«Bene, ci siamo tutti!».
La guida, una ragazza di circa 25 anni, piccola, bionda e con i codini, piuttosto piacente se vogliamo tenerci nella media, richiamò la nostra attenzione. Non appena, però, vidi arrivare Tarzan dall’altro capo della stanza istintivamente indietreggiai lasciando che Giorgio fosse l’apri fila.
«Sei proprio un cacasotto» ridacchiò lui, notevolmente divertito.
«Vaffanculo» borbottai io tenendomi comunque a debita distanza.
Sole non si era scomposta da quando era arrivata con le sue amiche/guardie del corpo al seguito. Avevo cercato d’incrociare il suo sguardo, almeno per salutarla, ma era intenta a sistemare le impostazioni della sua Canon Reflex 35mm, rivolgendo più attenzione alla sua fotocamera che al sottoscritto.
Quella mattina aveva un nonsoché di Indiana Jones nel modo in cui si era vestita, e il sapere che fosse una biologa m’interessava parecchio. Era la prima volta che incontravo una ragazza che avesse scelto di frequentare una facoltà scientifica che non fosse, necessariamente, medicina. Magari perché alla Luiss non c’erano ragazze del genere, visto che l’università non presenta tali corsi, oppure perché non avevo avuto fortuna in quel senso, ma cambiare mi piaceva, almeno quella tortura sarebbe stata contornata da un pizzico di novità.
«Sono molto contenta che abbiate partecipato in tanti a questa iniziativa che il villaggio ha proposto quest’anno e soprattutto sono lieta di comunicarvi che abbiamo due vip tra di noi» ridacchiò la guidaindicando il baffone e Sole. «Il signor Ramigi è un famoso naturalista, con cattedra alla Sapienza di Roma, mentre la piccola Sole» e in quel preciso istante Sole arrossì, «si è laureata quest’anno in biologia. Spero proprio che ci darete una mano».
Non riuscivo ancora a controllarmi quando vedevo in lei quel genere di reazioni spontanee, mi colpivano come un fulmine a ciel sereno.
«Ora Emanuele vi distribuirà dei fogli con delle immagini delle specie animali e vegetali che potremo incontrare durante la passeggiata nel bosco» annunciò la guida. «Dovrete dividervi in squadre da quattro elementi ciascuna e, una volta arrivati a Bosco Umbro, ci separeremo per dare inizio a questa emozionante caccia al tesoro».
«Cosa si vince se completiamo la scheda?» domandò Sara, mostrando sempre quel suo esagerato spirito di competizione.
La guida rimase interdetta perché, evidentemente, non si aspettava di proporre una ricompensa alla fine dell’escursione; poi, però, sorrise.
«Chi per primo mi porterà delle foto con tutte le specie elencate nella scheda vincerà una cena al ristorante di lusso che si trova a Peschici» rispose radiosa ed elettrizzata.
Una cena? Bel premio.. avrei potuto pagarmela quattro volte senza vincere quella stupida sfida.
«Cosa c’è, figlio di papà?» mi domandò l’energumeno distogliendomi dai miei pensieri. «Stai forse pensando di portare la dolce Sole a cena fuori?».
Cominciavo a non sopportare più quel suo tono di voce ironico e il modo in cui mi gettò la scheda addosso, senza preoccuparsi che i fogli si spargessero a terra, mi irritò ancora di più.
«E se anche fosse?» lo provocai sostenendo il suo sguardo.
La solita maglietta arancione dell’animazione era arrotolata sulle sue possenti spalle mentre l’abbronzatura lo faceva assomigliare ad uno di quei campioni di body building dalla pelle cosparsa di olio abbronzante.
«Credo che tu debba passare sul mio cadavere, bello, perché ho intenzione di vincere io quella cena!».
Pensai che scherzasse, visto che dall’espressione poco sveglia sul suo viso avrei scommesso che non sapesse nemmeno allacciarsi le scarpe da solo, però il bastardo si avvicinò al professore con i baffoni e lo vidi fare una risata sadica in direzione di Sole.
«Allora, le squadre sono le seguenti» disse la guida prima che ci incamminassimo verso le jeep. «Alessandro, Giacomo, Claudia e Ginevra: sarete il team Lince».
A quel punto i gridolini di eccitazione da parte di Claudia e Gin per poco non mandavano in frantumi i vetri della reception.
«La squadra Orchidea sarà composta dal Professor Ramigi, il nostro Emanuele e i signori Dervi».
Ah, ah! Quel Tarzan da strapazzo era capitato insieme a quei vecchiacci che avrebbero di sicuro rallentato la sua corsa per il premio che mi spettava di diritto!
«Il terzo team, quello del Cervo, sarà composto da Stefano, Elisabetta, Serena e me» concluse la guida spuntando i nomi da una lista che teneva in una cartelletta.
Quando realizzai che eravamo rimasti solo in quattro cominciai a gonfiare il petto d’orgoglio, guardando di traverso quello stronzo di Tarzan. Ero capitato con Sole, alla faccia sua!
«L’ultima squadra, quella della Moffetta..».
La moffetta? Ma che razza di animale era la moffetta? Possibile che gli altri avevano avuto nomi virili come ‘Lince’ o ‘Cervo’ e al mio team avevano affibbiato il nome di un animale così stupido?
«..sarà composta da Francesco, Sole, Giorgio e Sara».
Cosa? Avevano sentito bene le mie povere orecchie?
«Saremo nella stessa squadra, tigre» disse Sara passandomi vicino e rifilandomi una pacca sul sedere. «Vediamo di vincere questa cenetta. Non vedo l’ora di vestirmi elegante per te».
Oh Gesù, Giuseppe e Maria! Che cosa avevo fatto di male per incasinarmi così la vita?
«Ohi, amico, sono in squadra con Sara, hai visto?» mi fece notare Giorgio, tutto eccitato.
«Sono felice per te, bello» gli risposi sperando che non avesse assistito alla palpatina che la sua amata Sara aveva riservato per il mio povero sedere.
Tamara, la guida, ci indirizzò verso quattro jeep parcheggiate nel vialetto davanti al villaggio. Sole non aveva detto una parola da quando ci eravamo lasciati il pomeriggio precedente, né per quanto riguardasse la gita, né per la divisione in squadre. Sembrava apatica, quasi assente e distaccata da tutto ciò che la circondava.
Più andavo avanti e più quella ragazza sembrava un grosso, immenso e gigantesco punto interrogativo.
Ci accomodammo sul fuoristrada rosso ma, con immenso dispiacere, scoprii che alla guida c’era quel bastardo di Tarzan.
«Siediti qui, Sole» disse picchiettando con la mano sul sedile accanto al suo. Lei lo guardò e gli sorrise.
«Grazie» e timidamente si sedette al posto del passeggero.
Io finii nel sedile posteriore, nel mezzo fra il mio migliore amico dei tempi del liceo e quella sanguisuga di Sara che, ad ogni occasione, mi infilava una mano in mezzo alle gambe per fare Dio sa che cosa.
«Siamo tutti pronti?» tuonò l’energumeno. «Hai allacciato bene la cintura, principino?» disse rivolgendosi al sottoscritto.
«Fottiti» gli risposi ringhiando e lui, dopo avermi sorriso, schiacciò l’acceleratore talmente forte che sbattei la nuca sul tettuccio della jeep.
Quella giornata era iniziata col piede sbagliato, c’era poco da fare, ma speravo che si sarebbe risollevata col tempo, magari durante quella stupida gara a squadre.
«La moffetta.. ma che cazzo di animale è?» me ne uscii dopo un po’, pensando a voce alta.
Fu a quel punto che Sole si voltò e mi sorrise, dopo quasi ventiquattro ore. «La moffetta è una specie di puzzola, solo che vive negli Stati Uniti e molti la tengono come animale da compagnia» mi spiegò e rividi nei suoi occhi grigi quella luce che scaturiva ogni volta che tentava d’insegnarmi qualcosa.
«Ah..» riuscii soltanto a dire, sorpreso.
«Cosa t’insegnano a scuola, eh, principino? Il Galateo?» ridacchiò Tarzan ed io ebbi tanta voglia di rompergli il naso.
«No, ci insegnano a trovare lavoro a tanti pezzi di merda come te» intervenne Giorgio, in mia difesa.
Lo guardai con ammirazione e ci scambiammo un sonoro cinque. Avere Giorgio dalla mia parte era sicuramente l’arma migliore che potevo usare contro quel bastardo.
 
Arrivammo alla radura di Bosco Umbro verso le nove del mattino. Stefano aveva dormito per tutto il viaggio nella macchina ed ora stava vomitando persino l’anima vicino ad una pietra miliare sul ciglio della strada.
Tamara ci richiamò proprio all’imboccare del sentiero, facendoci le solite raccomandazioni e ricordandoci di tornare esattamente per le cinque di quello stesso pomeriggio.
«Al crepuscolo» ripeté. «Non un minuto oltre perché il parco non è dotato d’illuminazione artificiale e rischierete di perdervi».
Cercai di non pensare alla fine che avremmo potuto fare una volta smarriti nel bosco, ma nella mia mente si proiettarono unicamente le immagini del telefilm Lost.
«Bene, da questo momento diamo inizio alla gara» disse e le rispettive squadre s’incamminarono verso il sentiero prendendo strade diverse.
Dappertutto c’erano alberi, fogliame e terreno bruno ricoperto di foglie e di muschio. In vita mia l’unico bosco che avevo visto era quello attorno alle piste sciistiche di Saint Moritz, perciò mi ritrovai in un mondo completamente nuovo per me.
«Ehi, ragazzi, venite qui» disse Giorgio richiamando la nostra attenzione.
Ci voltammo e lo raggiungemmo, poi lui, con i suoi occhi nocciola pieni di vita, posò una mano aperta davanti a noi.
«Impegniamoci per vincere questa sfida» ci disse. «Al mio tre gridiamo Team Moffetta!».
Quell’idea era tremendamente stupida soprattutto ogni volta che la moffetta, alias puzzola, veniva associata a me. Sole, però, sembrava entusiasta di quella cooperazione perciò, per il bene della scommessa, mi dovetti adeguare.
«Uno, due, tre.. TEAM MOFFETTA!» gridammo in coro, come dei cretini.
«Il primo animale della lista è il picchio dorsobianco o Dendrocopos leucotos» disse Sole cominciando a guardare sui rami più alti.
Camminammo per altri due chilometri, tenendo lo sguardo in alto fino a quando non ci vennero i crampi ai muscoli del collo. Quel maledetto uccellaccio era più introvabile di un ago in un dannatissimo pagliaio.
«Non lo troveremo mai!» si lamentò Giorgio sedendosi su un vecchio tronco marcio.
«Sono le dieci e mezza del mattino e non abbiamo visto altro che tre gechi e quattro scarafaggi» aggiunse Sara, scocciata tanto quanto il resto del gruppo.
Mentre loro due rimanevano indietro a lamentarsi, decisi di seguire Sole per avere un altro momento da soli, lontano dal resto di quei selvaggi. La raggiunsi mentre teneva le braccia abbandonate lungo i fianchi e chiudeva gli occhi.
Mi misi al suo fianco e tentai di instaurare una conversazione sensata con lei, per quanto quella finta-cotta mi potesse permettere.
Deglutii per bene prima di parlare, poi mi feci coraggio. «È proprio bello qui» sospirai dondolandomi avanti e indietro. «Non ero mai stato in un bosco, tu scommetto che ci avrai passato la maggior parte della tua vita».
Nessuna risposta.
Cominciai a sudare freddo e a pensare che si fosse completamente ammattita. Cos’era? Mi stava forse mettendo alla prova? Non ero il tipo da farmi in quattro per una ragazza, soprattutto se si trattava di una Moby.
«Insomma, questo picchio..» continuai, facendo una conversazione con me stesso.
Sole rimaneva immobile, con le braccia lungo i fianchi, gli occhi chiusi e il respiro appena percettibile. La guardai ritrovando le lentiggini color caffè che le ricoprivano le gote mentre il primo sole le aveva fatte arrossare rendendola ancor più bambina. Non sapevo perché quel particolare, mescolato ai suoi improvvisi imbarazzi, mi facesse sentire così maledettamente idiota. Era tutto nuovo per me.
Come il parlare da solo, risultando un perfetto imbecille.
«Beh, io vado da Sara e Giorgio allora..» sospirai, vedendo che le mie parole rimbalzavano contro un muro di assoluto silenzio ma quando feci per andarmene la sua mano s’intrecciò alla mia ed io ritrovai i suoi occhi grigio perla.
«Vieni con me» mi disse ed io mi sentii improvvisamente strano.
«C-che?» balbettai, completamente preso alla sprovvista.
Era rimasta immobile e muta come una statua per tutto il tempo ed ora mi faceva una proposta del genere? Era impazzita forse?
Non rispose alla mia mezza-domanda e si limitò a trascinarmi verso Est, procedendo a passi sicuri mentre io cercavo di non inciampare in ogni rametto che mi si presentava sul cammino. Camminammo per altri cinque metri dopodiché si fermò di nuovo.
«Senti, non so tu che abbia intenzione di fare..» cominciai stupito, credendo di dover arrivare al momento clou troppo presto. Non ero preparato a vedere Moby in tutta la sua impetuosa maestosità.
«Fai silenzio un momento» disse rimproverandomi.
Il suo sguardo era serio e maledettamente sicuro di ciò che stava dicendo. In seguito chiuse gli occhi, di nuovo, e decisi anch’io di imitarla.
Nell’apparente silenzio del Bosco Umbro udii un cinguettio intenso, che non apparteneva di certo,(no virgola) a qualche passerotto di città. Sentii stridere un altro uccello, un rapace, e fui distratto da un fruscio alle mie spalle.
Fra tutti quei suoni che a occhi aperti non mi erano mai parsi così acuti, riuscii a distinguere un picchiettio sul legno e compresi cosa Sole stesse realmente cercando.
«Lo senti, vero?» mi chiese sfiorandomi la mano e riportandomi alla realtà.
«Un picchio..» mormorai incredulo, mentre lei mi sorrise di nuovo.
Era vicino, ora lo sentivo distintamente nel mezzo degli altri rumori e avrei potuto isolarlo per capirne l’origine.
«È lì su» mi fece notare lei, indicando un vecchio faggio quasi cadente.
Ci avvicinammo di qualche passo ) poi Sole imbracciò la sua fotocamera e scattò qualche istantanea con uno zoom di 12x.
«Tieni, prova tu» mi disse cedendomi la sua Reflex.
La afferrai titubante e regolai l’obiettivo in modo che fosse a fuoco, poi lo vidi. Era agganciato al tronco con le zampe mentre picchiava forte con il becco sul legno del faggio. Il suo piumaggio era spettacolare: un mix di nero a striature bianche, rosso sotto la coda, mentre il dorso era completamente bianco.
Sole spuntò soddisfatta il picchio dorsobianco dalla lista delle specie, poi mi guardò fiera.
«Uno in meno. La cena ci aspetta».
Se avessi potuto decidere di scattare un’istantanea della mia vita avrei scelto quel preciso istante, con i raggi del sole di Luglio che filtravano dall’intricato fogliame e si andavano ad infrangere sul viso raggiante di Sole mentre mi sorrideva soddisfatta.
Peccato che la vita non si poteva ridurre a piccole fotografie, anche perché la vacanza era ancora lunga e i problemi erano solo all’inizio.

***

Spazietto autrice:
Ringrazio di tutto cuore le 4 recensioni al precedente capitolo che detiene il record, per ora, e tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/seguite. Siete il carburante che manda avanti le mie idee, vi ringrazio!!
Baciotti, Marty

Per chi volesse dare un'occhiata al Picchio Dorsobianco, clicchi qui.
   
 
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